Le cose sono soltanto cose.
Nella vita si accumulano di continuo oggetti, specie se si vive in modo "stanziale" e nella propria vita non si è mai fatto un cambio di casa.
Tutto può sembrarci importante, quando lo mettiamo da parte oppure quando lo riceviamo in eredità nelle case "transgenerazionali".
Tutto potrebbe avere in futuro una sua utilità, mentre ad altre cose attribuiamo il valore di "ricordo" (ricevuto in eredità, per così dire, o acquisito).
Sembrerebbe quasi che conservare ogni singolo oggetto - e per certe persone tale consuetudine diventa quasi "fatidica" - sia di vitale ed insopprimibile importanza.
Gli oggetti finiscono con il diventare "feticci" che dominano la nostra vita, anziché essere al nostro servizio.
E c'è sempre un po' di tutto che viene accatastato qua e là, a partire dalle piccole collezioni tematiche sino ad arrivare ad una quantità di ciarpame senza valore, se non quello che gli viene attribuito da colui che ha messo da parte.
A volte, si conserva qualcosa, perchè è più facile procedere in questo senso che non buttare via. In fondo l'atto del buttare via qualcosa, implica il contatto doloroso con il processo della separazione: e allora si preferisce tenere tutto ben stretto, seguendo la via della minore resistenza...
E' come se la nostra vita - come nel caso di un'imbarcazione tenuta a lungo alla fonda - si appesantisse di concrezioni e di strati che, ad un certo punto, assumono una vita propria e vanno incontro a loro cicli biologici, ma intanto fanno da freno ad una libera navigazione.
Intanto noi andiamo avanti - il nostro tempo va avanti - e di tante di quelle cose che abbiamo pensato pensando che avesse un senso perdiamo il significato.
E ci dimentichiamo di alcuni oggetti.
Quegli oggetti (o a volte "non oggetti") semplicemente continuano a vivere di una vita propria o prendono ad esistere in una "non esistenza", in cui l'unica possibilità che è loro data è di andare incontro ad un progressivo decadimento.
Gli oggetti che decadono ed invecchiano e che, a volte, si disgregano per tramutarsi in polvere, possono diventare una metafora della nostra stessa esistenza.
E, intanto, ci parlano del nostro decadimento.
Forse per questo, ad un certo punto, ci dimentichiamo persino della loro esistenza..
Una volta, rimasi sorpreso ed anche angustiato, quando un anziano e stimato professore di Liceo della nostra città (insegnava Italiano e Latino) che abitava nel mio stesso palazzo, forse per un atto lucido e deliberato o forse perchè la sua mente aveva cominciato a vacillare, cominciò a liberarsi di tutte le sue cose, fogli, quaderni, libri che aveva usato nella sua carriera di insegnante.
Ogni volta che tornavo a casa dal lavoro, trovavo cumuli di cose che il professore aveva deciso di buttar via. E mi si tringeva il cuore: uno o due libri li recuperai e me li portai a casa.
Anche mia madre diceva di tanto in tanto che avrebbe voluto distruggere tutto: parlava soprattutto di corrispondenze, di lettere e di fotografie.
Aureliano Buendia, uno dei personaggi chiave in "Cent'anni di solitudine" di Gabriel Garcia Marqués fa una cosa analoga, sbarazzandosi di tutto ciò che lo riguarda, documenti, immagini, bruciando tutto quanto: ma lo fa mentre è pienamente lucido, perseguendo un atto di deliberata volontà.
Quando ero più giovane non capivo il perché di queste azioni.
Forse oggi capisco un po' di più.
Mi rendo anche conto che se ci si mette in una posizione oggettiva, magari coinvolgendo una persona esterna che viene incaricata di fare per conto nostro delle pulizie, alcune delle concrezioni - quelle più inutili e polverose - possono essere eliminate più facilmente. E quando si comincia, è più facile continuare anche da soli.
E' come se, deposti degli occhialacci di legno che abbiamo indossato per tutto il tempo, si vedesse finalmente che alcuni oggetti si sono ammalorati e che non ha più alcun senso conservare la loro polvere o la loro ombra o che quesgli stessi oggetti hanno perso tutto il loro potere ammaliante.
Quando si intraprende una simile impresa, è come fare pulizia nel camino, eliminando via quegli accumuli di fuligine che impediscono alla canna fumaria di respirare bene, con un buon tiraggio.
Oppure, per usare un'altra metafora che mi piace abbastanza, è come eliminare i rami morti e ormai inutili, in modo da dare a ciò che resta di un albero vetusto, maggiore vitalità e una migliore distribuzione della linfa e del nutrimento.
Forse in questo modo, liberandoci del superfluo e di ciò che si è deteriorato, dando via delle cose, allegerendoci dei nostri inutili fardelli, ci si potrà sentire interiormente rigenerati.
E questa pratica è contenuta, del resto, nel simbolismo dell'avvento del nuovo anno, quando usanza vuole che si buttino fuori dalla finestra vecchi oggetti, per rappresentare in maniera concreta che coiò che è vecchio deve andar via per dar luogo ad un possibile rinnovamento.
Dare via le cose vecchie, in fondo, è un ottimo modo per esercitarsi nella pratica d'uno dei precetti fondamentali del Buddismo, cioè nell'acquisizione della piena consapevolezza dell'impermanenza di tutto, e di noi stessi.
E, nello stesso modo, sbarazzarsi, facendo ogni tanto delle pulizie, è un ottimo modo per evitare di consegnare a chi ci seguirà soltanto un mucchio di inutile pattume.
Ma non fraintendetemi.
Ci sono delle cos eche non butterei mai via se ad esse riconosco un'utilità o una loro validità che si protrae nel tempo, come è nel caso dei libri.
Ma anche in questo caso si può procedere in una certa misura ad una "riqualificazione", sfrondando il superfluo e lasciando l'essenziale. Anche se in questo campo è diffcile giudicare: ma di fatto è ciò che viene fatto nella buona amministrazione delle biblioteche. Alcune cose dopo un certo tempo potrebbero dover andar ein soffitta ed altre eliminate.
Il Principe Tomasi di Lampedusa, grande lettore e studioso, nonchè conoscitore dei grandi classici della letteratura internazionale, soleva rinnovare periodicamente la sua biblioteca e, quando un nuovo volume di opere complete della collana francese Les Pleiades, di uno scrittore classico (collana più antica e prestigiosa dei "I Meridiani" di Mondadori, ma analoga nello spirito e negli intenti) entrava nella sua fornitissima libreria, egli soleva regalare i singoli volumi delle opere di quell'autore, ora raccolti in un unico tomo, agli allievi del suo piccolo ma agguerrito circolo letterario.