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30 marzo 2012 5 30 /03 /marzo /2012 08:15

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Quando ero piccolo, giocavo a lungo nel cortile dietro casa (la vecchia casa dove ho abitato sino ai miei 12 anni).

A questo cortile s'accedeva percorrendo uno stretto passaggio tra il nostro palazzo e il giardino confinante, fiancheggiato da mura intocanate e liscie: un passaggio impossibile per le macchine di oggi, ma perfetto per le macchinette dell'epoca, dopo aver superato un cancello di ferro dipinto di verde.

I miei mi davano il permesso di scendere giù (mi potevano sempre dare un'occhio dalla finestra) ed io trascorrevo lunghe ore, giocando ed esplorando.

Avevamo una specie di box dotato di una porta di legno ad ante pieghevole e fornita di una finestrella a vasistas (il che dava tanto l'idea di casetta nel bosco). Ma questo spazio  non si usava mai per metterci l'auto: piuttosto come deposito di vecchie cose (mobili in disuso, attrezzi, vecche carcasse di biciclette) ed io stavo molto tempo a rovistare nella semioscurità (il locale non era fornito di impianto elettrico), aspettandomi di trovare chi sa quali tesori.

Ricordo molto bene le sensazioni olfattive delle lunghe ore che trascorrevo in quest'angolo fuori dal mondo: una volta percorso il passaggio che si affacciava sulla strada, si era fuori dalla vista e si era immersi in una quasi impenetrabile coltre di silenzio.
Uno degli odori dominanti era quello delle foglie morte in putrefazioni che cadevano dai grandi alberi subito oltre la piccola corte, in autunno; mentre in primavera arrivava l'odore dolcissimo della zagara e del gelsomino arabo.

Una volta - non so come - arrivò a casa una tartaruga: mia madre non la volle tenere a casa e la mettemmo dentro quel box, all'interno di un vecchio stipetto di legno.
Non era molto attiva. Io andavo a guardarla, forse le parlavo anche e le portavo lasttuga, carote ed altri ortaggi.
Se ne stava immobile, anche troppo. Mi dissero che ciò accadeva perché era caduta in letargo.
Ma poi, un bel giorno, mi resi conto che era morta: lo capii dal lezzo penetrante che impregnava lo stipetto di legno.
Forse fu quello in assoluto il mio approccio con la morte: ma nessuno mi spiegò mai nulla, né mi venne chiesto nulla.
So solo che di quella tartaruga non si parlò più...
Oltre al continuo frugare tra le vecchie cose, uno dei miei passatempi preferiti era quello di impastare il fango in una grossa pozzanghera che si formava dopo la pioggia al centro della corte, il cui tombino collocato in posizione centrale, nel punto più declive, era invariabilmente intasato.

Ricordo che, persino d'inverno, mi piaceva mettermi a piedi scalzi e sentire il freddo del cemento sotto la pianta dei piedi. Era una sensazione deliziosa...
Quando facevo ciò, elaboravo una serie di fantasia su di una storia che la mamma mi avevo letto e che mi era piaciuta molto. Era "Il Principe e il Povero" di Mark Twain (1881) e qui uno degli elementi indicatori della povertà - come il Principe, entrato nei panni del Povero, si troverà a sperimentare - era appunto la mancanza di calzature adeguate (nelle mie fantasie di gioco io ero il Principe che diventava povero, era sempre questa la parte che preferivo).

Al di là di un alto muro in parte dominato da una strana e svettante costruzione cilindrica che, forse, era un silos o solo una cisterna per l'irrigazione c'erano gli alti alberi di un giardino rigoglioso (e, per me, misterioso) che potevo vedere anche dalla loggia posteriore del nostro appartamento.

C'era anche un piccolo ripostiglio ritagliato nell'angolo determinato dalla curvatura del muro della cisterna.

Per me, quel posto era una specie di "giardino segreto" e non sentivo mai il desiderio di condividerlo con qualcuno.

In questi ultimi giorni, ci sono entrato per la prima volta da allora: il luogo sembrava del tutto immutato: forse mi è solo apparso in scala ridotta, rispetto a come lo conservavo nel mio ricordo, ma per il resto del tutto identico.

E' stata una rapida ed istantanea immersione nel passato lontano...

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Come sono arrivato qui

DSC04695.jpegQuesta pagina è la nuova casa di due blog che alimentavo separatamente. E che erano rispettivamente: Frammenti. Appunti e pensieri sparsi da un diario di bordo e Pensieri sparsi. Riflessioni su temi vari, racconti e piccoli testi senza pretese.

Era diventato davvero troppo dispendioso in termini di tempi richiesti alimentarli entrambi, anche perchè nati per caso, mentre armeggiavo - ancora alle prime armi - per creare un blog, me li ero ritrovati ambedue, benchè la mia idea originaria fosse stata quella di averne uno solo. Infatti, non a caso, le loro intestazioni erano abbastanza simili: creatone uno - non ricordo quale dei due per primo - lo ho "perso" (per quanto strano ciò possa sembrare) e mi diedi alacremente da fare per ricrearne uno nuovo. Qualche tempo - nel frattempo ero divenuto più bravino - il blog perso me lo ritrovai).

Ohibò! - dissi a me stesso - E ora cosa ne faccio?

La risposta più logica sarebbe stata: Disattiviamolo!. E invece...

Mi dissi: li tengo tutti e due. E così feci. E' stato bello finchè è durato...

Ma giocare su due tavoli - e sempre con la stessa effcienza - è molto complicato, ancora di più quando i tavoli diventano tre e poi quattro e via discorrendo....

Con overblog ho trovato una "casa" che mi sembra sicuramente più soddisfacente e così, dopo molte esitazioni, mi sono deciso a fare il grande passo del trasloco, non senza un certo dispiacere, perchè il cambiamento induce sempre un po' di malinconia e qualche nostalgia.

E quindi ora eccomi qua.

E quello che ho fatto - ciò mi consola molto - rimane là e chiunque se ha la curiosità può andare a dargli un'occhiata.

 

Seguendo il link potete leggere il mio curriculum.

 

 


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