“Evidentemente non è una coincidenza che, nella Genesi, una delle punizioni più gravi impartite da Dio ad Adamo ed Eva nel cacciarli dal Paradiso sia stato il senso della vergogna per la loro nudità: La divinità giudiaco-cristiana aveva decretato che i due ingrati provassero eterno imbarazzo nel mostrare i propri corpi. A prescindere da come la pensiamo sulle origini bibliche di questo sentimento di vergogna fisica, è chiaro che ci vestiamo non solo per stare al caldo ma anche, e forse soprattutto, per paura che la vista della nostra provochi repulsione negli altri. I nostri corpi non sono mai come li vorremmo; anche nei momenti più seducenti ed atletici della giovinezza, abbiamo lunghe liste delle parti del nostro corpo che preferiremmo diverse. Ma questa ansia ha una base esistenziale che va oltre l’avversione estetica. C’è un che di fondamentalmente imbarazzante nel rivelare ad un testimone un corpo adulto nudo, e cioè un corpo capace di desiderare e di fare sesso”.[1]
Una miriade di corpi affolla una grande spiaggia
Corpi ignudi, di uomini e di donne distesi, seduti, in piedi, in ginocchio,
Molti camminano su e giù lungo la battigia, esponendo il proprio corpo allo sguardo altrui.
Alcuni corrono.
Altri sono intenti in forme varie di energy-walking oppure di più moderato fit-walking.
Altri ancora passeggiano indolenti.
Nella corsa e nella passeggiata vi è da parte di alcuni qualche concessione al vestiario: in alcuni casi, viene coperta soltanto la parte superiore del corpo. Solo alcuni sono abbigliati di tutto punto.
Massima libertà, dunque, tra l’essere “tessili” in alcune circostanze ed essere del tutto nudi.
È come se fosse in atto una sorta di “fiera” per l’esposizione e la vendita di corpi.
Un tempo quando nei porti delle Americhe arrivavano le navi dei negrieri, s’attivava immediatamente il mercato degli schiavi: quelli che erano sopravvissuti a condizioni di viaggio disumane venivano ripuliti ed esposti totalmente nudi allo sguardo dei potenziali acquirenti. I loro corpi venivano esplorati da sguardi indagatori, palpeggiati, soppesati. Delle donne si apprezzava soprattutto l’ampiezza del bacino e la grossezza delle mammelle: sarebbero state delle buone fattrici e avrebbero dato vita ad una nuova generazione di nati schiavi. Degli uomini si valutava lo stato della muscolatura e, in generale, a tutti quegli elementi indicativi di prestanza fisica e buona salute. A tutti, prima dell’acquisto, si controllava minuziosamente la dentatura.
In ogni caso, quelli che riuscivano ad arrivare integri al mercato degli schiavi e al momento dell’esposizione/valutazione del proprio corpo erano i sopravvissuti al trauma di essere stati strappati dalla propria teraa, viaggio durissimo, agli stenti, alle angherie: ed erano indubbiamente i più forti e i più prestanti, quelli emergenti da un impietoso processo di selezione.
Qui, invece, sembra che domini un mix: ce n’è per tutti i gusti, anche in assoluto spregio di qualsiasi criterio estetico.
A differenza delle genti d’Africa che erano costrette a mostrarsi ignude, qui l’esibizione del corpo è volontaria e risponde al criterio della più totale libertà.
Si potrebbe dire che sia in vigore una totalizzante democrazia dei corpi.
Corpi vecchi, corpi giovani.
Corpi obesi, corpi scheletriti.
Corpi raggrinziti, corpi nel loro pieno vigore.
Corpi flaccidi, corpi muscolarizzati.
Culi steatopigici e dorsi cushinghiani.
Culi grossi, culi magri.
Culi atletici, culi vizzi e cadenti.
Gambe dritte, gambe storte
Cosce cellulitiche, cosce scavate, cosce piene e sode.
Seni pendenti, seni flaccidi.
Seni grossi e turgidi, seni siliconati, big bloobs,
Seni vizzi, seni piatti.
Per questa infinita rassegna di seni, di tutte le forme e dimensioni, ci vorrebbe un Ramos de la Serna redivivo per descriverli tutti con ricchezza di parole evocative e fantastiche[2].
Ancora: corpi abbronzati, corpi pallidi e lunari, corpi arrossati del colore dell'aragosta; corpi spellati, corpi tatuati.
La mancanza di qualsiasi abbigliamento distintivo e griffato (che consenta di dire al primo sguardo: Dimmi come ti vesti e ti dirò chi sei) fa sì che, in applicazione della ineliminabile necessità interiore di creare comunque delle differenziazioni rispetto all’Altro da sé, vengano valorizzati al massimo tatuaggi e piercing soprattutto in quelle parti del corpo che, essendo solitamente occultate, vengono differenziate non dalla loro morfologia ma dall’indumento coprente: tatuaggi e piercing fantasiosi e vari sono uno spostamento della frontiera del vestiario.
Da un capo di vestiario semplicemente appoggiato alla pelle, si passa ad una condizione in cui la pelle stessa - in accordo con la filosofia dei Primitivi Moderni [3] – diventa vestiario ed è, di conseguenza, “decorata” con disegni realizzati con inchiostri iniettati al di sotto e con ornamenti che, in varia guisa, la perforano.
Ma ancora, ritornando alla vertigine della lista: cazzi piccoli e microscopici; cazzi turgidi e gloriosamente ballonzolanti tra le cosce del loro proprietario; cazzi grinzi, cazzi lunghi; cazzi storti, cazzi dritti; cazzi lucidi d’olio, cazzi smanettati; cazzi bagnati di sperma per una sega estemporanea fatta senza ritegno; cazzi e scroti con il piercing.
Anche di questi ce n'è per tutti i gusti.
Cazzi, culi, seni e fiche sono un po' come i nasi, prima dell’avvento della chirurgia plastica, cioè non omologati, ma esprimenti ciascuno profonde differenze individuali.
Fiche pelose, fiche depilate, fiche impudicamente spalancate, fiche perciate, fiche tatuate.
Per tutti, c’è un posto al sole.
A ciascuno spetta la piena dignità del corpo esposto, in una condizione “favorente” in cui sono stati banditi del tutto quei sentimenti, come la vergogna, il pudore, il senso di colpa che ordinariamente impediscono una piena ostensione del proprio corpo, inclusi i suoi più vistosi difetti.
Nell'esibizione del corpo, vige il principio della massima democrazia.
La condizione della nudità, la presentazione del proprio corpo nudo rendono tutti eguali: si tratta, in fondo, di una sorta di celebrazione del body-pride in cui ogni corpo è bello, di ogni corpo si può essere orgogliosi, lo stesso sentimento alla radice della pubblica ostentazione - senza veli - della ciccia degli obesi targati USA..
Ognuno esibisce il proprio corpo senza vergogna: Corpo è bello.
Ma anche: Brutto è bello.
La nudità totale, senza infingimenti, si fa interfaccia di dialogo.
Una nudità non edulcorata, tuttavia, come è quella dei “naturisti”, ma pienamente intrisa di sessualità ed eros.
Accade che, qui, sembra ricomporsi la divisione tra identità pubblica e identità sessuale (solitamente relegata alla dimensione privata), anche perché si respira un’aria in cui vi è comunanza di intenti e la condivisione di uno stesso credo.
Non c’è più nulla tuttavia dell’estetismo decadente dei Wandervőgel [4] che coltivavano attivamente il culto del corpo snello, agile e temprato; non vi è nulla nemmeno della dissacrante e gioiosa esposizione della nudità dei corpi concepita come mezzo per abbattere i tabù della società benpensante da parte dei Figli dei Fiori: si è di fronte, piuttosto, alla pratica dell’estetica del brutto, alla glorificazione del Kitsch, in definitiva di tutto ciò che può essere profondamente sgradevole e che, in altre condizioni, sarebbe oggetto di un certo pudore.
In effetti, sembra che qui vergogna e pudore siano stati del tutto aboliti.
Tutto fuori, sembra essere la parola d’ordine, una sorta di must; ma così, non rimane alcuno spazio per la fantasia e per quella forma di gioco mentale, di solleticamento intellettuale, alimentato dalla curiosità di sollevare, uno per uno, i metaforici sette veli.
La vergogna semmai funziona al contrario: quella di mostrarsi con una parte del corpo coperta, come anche il guardare, il porsi nella condizione di osservatore, essendo coperti e soprattutto avendo i genitali occultati implica a corto circuito l’attivarsi di meccanismi di esclusione e di rifiuto, se non addirittura l’allontanamento fisico di un corpo che, tessilmente fasciato, appare irrimediabilmente estraneo (e ciò è tanto più marcato in quelle aree del sito naturista dove viene dato libero campo all’espressione della sessualità pubblica).
In ogni caso, vige il principio tassativo della scopertura radicale di quelle parti del corpo che, di solito, sono maggiormente oggetto del pudore e, conseguentemente, della censura.
Magari, se tira il vento e fa fresco, alcuni non esitano a coprirsi con una T-Shirt la parte superiore del corpo, ma allora è d’obbligo lasciare il culo scoperto e così pure le fiche e i cazzi.
Il volto e la seduzione degli occhi, dello sguardo, delle labbra, nella bailamme di nudità, in quest’orgia di corpi ignudi, non hanno più nessuna rilevanza.
Tanta nudità provoca un’intensa eccitazione a pelle, molto fisica, molto somatica, una tensione elettrica che sembra caricare l’aria di vibrazioni magnetiche, per nulla filtrata dalle componenti pensanti e desideranti dall’animo romantico.
Viene da pensare che il luogo – con le sue strane regole - predisponga ad una consumazione sessuale – non erotica – violenta e selvaggia, per nulla sentita (e in niente elicitante una partecipazione/coinvolgimento sentimentale).
Note
[1] Questo afferma Alain de Botton in una sua recente opera, Come pensare (di più) il sesso (Guanda, 2013, pp. 24-25), quando spiega che l’atto dello spogliarsi è un modo per mettere fine alla “vergogna” del corpo derivante, nell’immaginario giudaico-cristiano, dal peccato originale e dalla cacciata di Adamo ed Eva dall’Eden.
Spogliarsi mette fine alla vergogna, sia nell’ambito di una coppia che si accinge ad un rapporto sessuale, sia in un ambito sociale e collettivo come può essere un contesto naturista (o nudista).
Alain de Botton sostiene anche non è possibile spogliarsi, abbandonando il pudore e il senso della vergogna, se non si accetta il proprio corpo, anche nella sua dimensione sessuale.
Ne consegue che la distinzione che taluni fanno tra naturismo e nudismo, sottolineando nel primo l’aderenza ad una filosofia di vita più ampia e e contemporaneamente affermando che una corretta “visione” naturista debba dissociare l’eros dal corpo nudo, rimanda la sessualità e l’espressione erotica ad una dimensione privata e nascosta.
L’atteggiamento del naturismo fondamentalista tradisce di fatto il principio che dovrebbe essere sotteso alla liberazione del corpo nudo, privandolo della dimensione dell’eros: il vissuto della vergogna, cacciato via dalla porta, rientra per così dire dalla finestra.
Per una discussione sul confronto/contrasto - a mio avviso artificiosi - tra naturismo e nudismo si rimanda all'Appendice 2.
[2] Cifr. Ramos de La Serna, Seni, Dall’Oglio, Milano, 1978.
[3] A proposito di Primitivi moderni, si vedano le seguenti considerazioni, tratte da “Corpo e mutazione” (in http://www.idra.it/cyberia/CorpMuta.htm ):
Nella società occidentale l'avanzamento tecnologico sollecita l'uomo ad un cambiamento talmente radicale che è forse opportuno parlare di mutazione .
L'offerta esponenziale di opportunità tecnologiche e la globalizzazione delle informazioni pongono infatti l'uomo nella necessità di un adeguamento continuo, talmente veloce da creare sensibili disambientamenti.
E' la ricerca di una stabilità psicologica che riguarda sia la conoscenza simbolica che l'intera fisicità.
Da sempre l'innovazione tecnologica comporta un'estensione del nostro corpo come oggi questa potenzialità ha raggiunto livelli così avanzati. Attraverso la virtualità sarà infatti possibile fare azioni ed esperienze a distanza e ciò comporterà una riconfigurazione sensoriale e di conseguenza una generale revisione dei rapporti con lo spazio e il tempo. Potremmo quindi arrivare ad affermare che l'uomo tende a non essere più la misura del mondo ma à il mondo stesso ad essere sempre più la misura dell'uomo.
L'avanzamento tecnologico ci invita insomma ad una sorta di accelerazione evolutiva che comporta in primo luogo una ridefinizione del rapporto tra uomo e mondo: tra corpo e spazio esterno.
La complessità è tale da comportare molteplici approcci al problema: dall'utilizzo funzionale di interfacce per "dialogare" con gli apparati di comunicazione all'insofferenza per l'inautenticità delle mediazioni culturali e artificiali in atto espressa da comportamenti che potremo definire Primitivi Moderni in cui il corpo acquista una valenza assoluta, limite.
L'arte della performance, ma anche alcuni fenomeni come il piercing o il trans-gender, possono essere considerati spie significative di questa mutazione in relazione al corpo.
[4] La storia dei Wandervogel la si trova scritta, con l’accompagnamento di una ricca documentazione fotografica in un volume pubblicato alcuni anni fa dal titolo I Wandervögel: una generazione perduta (Winfried Mogge Edizioni Socrates ). Questa che segue ne è una sintesi.
All'inizio del Novecento, uno studente liceale di Berlino, Karl Fischer, diede vita al gruppo dei Wandervögel, "uccelli migratori". In origine si trattava soltanto di un manipolo di ragazzi del quartiere di Steglitz.
Ma già nel 1904 i Wandervögel erano migliaia, sparsi per tutta la Germania.
I Wandervögel erano animati da un acceso spirito antiborghese che si esprimeva nella vita del campo, del cameratismo. Disprezzavano i miti borghesi del denaro, della felicità materiale, del successo, della vita comoda, oltre che gli pseudo-valori della società liberaldemocratica e della sua ideologia.
Ancorché estranei alla vita politica, i Wandervögel erano nazionalisti. Sognavano la 'rinascita' della Patria attraverso i Männerbunde (ordini virili), piccole élite unite dal culto dell'amicizia e del cameratismo.
Il pregevole saggio di Winfried Mogge (direttore dell'Archivio del Movimento giovanile tedesco) ha l'indubbio merito di contribuire alla riscoperta dei Wandervögel, dopo decenni di messa al bando perché ingiustamente assimilati alla gioventù nazionalsocialista. L'Autore spiega che ad accomunare e caratterizzare i Wandervögel erano "un certo modo di vestire, l'emozione della riscoperta della canzone e della danza popolare, la liberatoria esperienza di sé all'interno del gruppo. E inoltre, e soprattutto, le escursioni, un modo di entrare in contatto con la natura che andava ben al di là del viaggiare "economico". Queste gite, infatti, in fondo non originali e riprese da motivi letterari, in quella situazione storica vennero afferrate al volo, golosamente, come possibilità di vivere la comunità e di distaccarsi, almeno per un po', dalla famiglia e dalla scuola, dagli istituti "ufficiali" della socializzazione. In questo contesto si potevano sviluppare e sperimentare modi di vivere e di comportarsi propri e nuovi: nei gruppi si poteva assaporare <<il calore del nido all'interno di una società diventata fredda>>, nelle leghe si poteva articolare la protesta contro il mondo in cui si viveva e riflettere su altre e migliori possibilità di essere uomini. Nel manifesto programmatico elaborato e divulgato sull'Alto Meissner non c'erano dichiarazioni concrete su come dovesse apparire l'agognato futuro; ma venivano espressi, in sintesi, i desideri e le nostalgie di questo Movimento giovanile: <<La Libera gioventù tedesca intende plasmare la propria vita secondo la propria determinazione, la propria responsabilità, la propria verità interiore>>".
Nella Prefazione, Oliviero Toscani, provocatorio maestro della fotografia, rende omaggio ai Wandervögel: "Fin da quando eravamo studenti a Zurigo, quando ci incontriamo tra compagni, continuiamo a scambiarci l'augurio Gut Licht (buona luce), il saluto dei Wandervögel, che attraverso l'uso della loro "cassettina della luce", la macchina fotografica, seppero far conoscere e imporre un preciso stile di vita”. Il libro di Winfried Mogge è corredato d’un cospicuo apparato iconografico