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14 dicembre 2012 5 14 /12 /dicembre /2012 07:09

Amour.jpg(Maurizio Crispi) Amour (un film del tedesco Michael Haneke premiato con la Palma d'Oro a Cannes nel 2009 con "Il nastro bianco", Francia-Austria-Germania, 2012), molto intenso e triste, quasi pensoso, propone una riflessione sulla vecchiaia e sul morire, su come ci si lascia, e sul fatto che non sempre è possibile dirsi addio, ma anche sull'abnegazione dell'amore coniugale (da qui il titolo), quando l'amore non è più passione bruciante, ma quieta convivenza e condivisione, quando si sta semplicemente seduti a desinare, accompagnati soltanto dall'acciottolio delle stoglie e dal tintinnare delle posate sul piatto, senza più bisogno di molte parole. Ma quando si arriva a questo punto, senza astio e con un profondo rispetto e attacemento reciproci, nel caso del bisogno si attiva da parte di uno nei confronti dell'altro, una profonda solidarietà.
La storia è semplice ed essenziale. Anne e Georges hanno tanti anni e un pianoforte per accompagnare il loro tempo, speso in letture e concerti. Insegnanti di musica in pensione, conducono una vita serena, interrotta soltanto dalla visita di un vecchio allievo o della figlia Eva, una musicista che vive all'estero con la famiglia. Un ictus improvvisamente colpisce Anne e collassa la loro vita. Paralizzata e umiliata dall'infarto cerebrale, la donna dipende interamente dal marito, che affronta con coraggio la sua disabilità. Assistito tre volte a settimana da un'infermiera, Georges non smette di amare e di lottare, sopportando le conseguenze affettive ed esistenziali della malattia. Malattia che degenera consumando giorno dopo giorno il corpo di Anne e la sua dignità. Spetterà a Georges accompagnarla al loro 'ultimo concerto'.


In parallelo, il film propone una una triplice riflessione sulla vecchiaia, sulla malattia e sulla morte (e, in particolare, sul morire e sui possibili modi di uscire di scena). Dopo una vita attiva e laboriosa, quando sopraggiunge una malattia, si va avanti, sino a che si comprende che il corpo è diventato una prigione troppo stretta: una spoglia che non funziona più a dovere e che è soltanto di peso per sè e per gli altri. E allora l'unica risorsa che rimane, per esprimere la propria volizione, è data dalla via del rifiuto e dal lasciarsi andare.

Anche se la storia raccontata da Haneke non è del tutto sovrapponibile, ho visto in alcune sequenze del film il lasciarsi andare di mia madre che, quando si rese conto che non poteva più essere d'aiuto, lasciò che le forze restanti che le rimanevano, la abbandonassero, transitando da una condizione di torpore e di esclusione sensoriale auto-imposta al sonno e al trapasso (il tutto accaduto in pochi giorni...).
E ciò accade esattamente quando si rese conto che non poteva più contare sulle proprie forze e d essere quella che era sempre stata ed essere invece diventata (comme ci diceva ripetutamente "di peso".
 
Mia madre negli ultimi suoi giorni spesso mormorava tra sé e sé: "Viva il Polo Nord! Viva la Groenlandia!". Invocazioni che si spiegavano bene, quando ci diceva: "Perché non mi portate in un luogo freddo e mi lasciate lì, seduta nella mia poltrona e avvolta in una coperta, cosicché io possa addormentarmi piano piano nel freddo?".

Lei voleva soltanto potersi addormentare in un sonno più lungo di quello ordinario. E così ha fatto. E proprio per questo motivo aveva rifiutato sempre, anche quando nel corso del tempo si parlava di quella che pareva una remota possibilità, l'idea di dover essere ricoverato in qualche luogo della Sanità. Come sua madre, lei voleva poter morire serenamente a casa sua, tra le sue cose e vicino ai suoi figli.
E così è stato, secondi i suoi desideri.

Tanti anni fa (anzi, una vita fa), avevo fatto leggere alla mamma un romanzo di Hans Ruesch, dal titolo "Il paese dalle ombre lunghe", ambiantato tra gli Eschimesi della Groenlandia. E la mamma era rimasta molto colpita dal fatto che, come si narrava nel romanzo, l'anziano della famiglia, quando capiva di essere ormai diventato di peso per tutti, si incamminava da solo nel freddo del grande Nord e andava a sedersi in un luogo lontano dal gruppo degli igloo per lasciarsi andare nel freddo della progressiva ed inarrestabile ipotermia.
E, alla fine, come ci dice il film, non c'è niente che possa ravvivare, delle abitudini precedenti: nemmeno la musica serve più. 
Non può essere più ascoltata e persino la colonna sonora del film nel momento della dipartita e dell'inevitabile addio si spegne: e nemmeno in dissolvenza. Di colpo.
Non ci sono più né parole che si possano dire, e nemmeno musica da ascoltare.

La medicalizzazione delle malattie senili e del morire, oggi, rischia di levare ogni dignità alla morte, come anche l'insofferenza di molti nei confronti delle limitazioni scaturenti dall'evolversi di alcune malattie o sempliceemnte connesse alla senescenza. In questo senso, la pellicola del cineasta tedesco dà una profonda lezione morale a quanti vorrebbero togliersi davanti agli occhi la pena del morire e risparmiarsi scomodità, fatiche ed imbarrazzi legati di necessità all'assistenza di chi sta morendo.


Ma il film è anche di più. Amour, pur essendo un film non facile da affrontare, fa risuonare molte corde nel nostro animo, perchè ci riporta ad esperienze pregresse oppure ad esperienze ancora non vissute e che temiamo di dover affrontare prima o poi.

Quello del cineasta è uno sguardo impietoso, quasi chirurgico su alcuni momenti della malattia e del suo evolversi, eppur necessario. L'abilità del regista è stata quella che dopo la crudezza delle sequenze che raccontano delle limitazioni indotte dalle malattia della donna sino al tragico e pietoso trapasso, tutto il resto del racconto sfuma in una dimensione onirica e quasi fiabesca, senza che il regista indulga prosaicamente a illustrare una delle possibili conclusioni con oggettività realistica, ma lasciando che sia lo spettatore a comporre un'immagine della fine della storia, secondo la sua sensibilità.

Un film che lascia tanto e che apre degli interrogativi su ciò che ciascuno di noi sente nei confronti della morte e del morire. 



Scheda film
Un film di Michael Haneke.
Interpreti principali: Isabelle Huppert, Jean-Louis Trintignant, Emmanuelle Riva, Rita Blanco, Laurent Capelluto, William Shimell 
Titolo originale Amour. 
Drammatico. 
Durata 105 min. 
Origine: Francia, Austria, Germania 2012 - Teodora Film 
Uscita giovedì 25 ottobre 2012.


Visto il 12.12.2012 (cinema Aurora, Palermo)
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Come sono arrivato qui

DSC04695.jpegQuesta pagina è la nuova casa di due blog che alimentavo separatamente. E che erano rispettivamente: Frammenti. Appunti e pensieri sparsi da un diario di bordo e Pensieri sparsi. Riflessioni su temi vari, racconti e piccoli testi senza pretese.

Era diventato davvero troppo dispendioso in termini di tempi richiesti alimentarli entrambi, anche perchè nati per caso, mentre armeggiavo - ancora alle prime armi - per creare un blog, me li ero ritrovati ambedue, benchè la mia idea originaria fosse stata quella di averne uno solo. Infatti, non a caso, le loro intestazioni erano abbastanza simili: creatone uno - non ricordo quale dei due per primo - lo ho "perso" (per quanto strano ciò possa sembrare) e mi diedi alacremente da fare per ricrearne uno nuovo. Qualche tempo - nel frattempo ero divenuto più bravino - il blog perso me lo ritrovai).

Ohibò! - dissi a me stesso - E ora cosa ne faccio?

La risposta più logica sarebbe stata: Disattiviamolo!. E invece...

Mi dissi: li tengo tutti e due. E così feci. E' stato bello finchè è durato...

Ma giocare su due tavoli - e sempre con la stessa effcienza - è molto complicato, ancora di più quando i tavoli diventano tre e poi quattro e via discorrendo....

Con overblog ho trovato una "casa" che mi sembra sicuramente più soddisfacente e così, dopo molte esitazioni, mi sono deciso a fare il grande passo del trasloco, non senza un certo dispiacere, perchè il cambiamento induce sempre un po' di malinconia e qualche nostalgia.

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