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Che dire?
Che fare?
Che dire?
Avrei voluto qualcosa di diverso
Ci tengo molto alla memoria delle cose familiari
Mio padre aveva un culto
molto forte della sua famiglia,
anche per il valore storico di essa
Ha fatto di tutto per inculcarmi questo suo amore
E ci è riuscito
Anche la mamma era prodiga di memorie familiari (di cui aveva una gerla ben colma)
e non faceva che raccontarmi le sue storie di famiglia
Forse, lei, ancora più generosamente di mio padre ed era ricca di storie
che rimandavano alla quotidianità
Insomma, sono stato educato a dare il massimo valore alla memoria
e alla genealogia e, nello stesso modo,
queste storie di famiglia
cui ora si aggiungono le mie
vorrei poterle tramandare
Ho l’impressione, tuttavia, d’essere finito
in un vicolo cieco
Non so come sarà con Gabriel
Con mio figlio maggiore ho toppato alla grande
Ci ho tentato,
non è che non ci abbia provato
Ma i miei tentativi sono stati vani
Ho scritto nei mie blog
Ho raccontato a voce
Ho cercato di far nascere interesse e passione
Ma niente!
Lo sponda cui mi rivolgevo rimaneva muta e silente
A volte reagiva in maniera astiosa
Non rimandava alcun eco
Nessuno dei semi
lanciati generosamente a spaglio
ha germogliato
Sono tutti caduti fuori dal solco
e hanno generato deliri e farneticazioni
Ho detto più volte a mio figlio il grande
Ti voglio mostrare pezzi della mia vita
ti voglio raccontare
Voglio farsi conoscere
Ciò che ho fatto
Ciò che ho vissuto
Partendo anche dalle piccole cose materiali
Che sono nelle stanze
In fondo, le stanze della casa
in cui una persona ha vissuto
sono in qualche maniera
una rappresentazione della sua vita
ed anche una proiezione della sua mente
Ogni oggetto può raccontare una storia:
la vita di un uomo è intessuta di storie
alcune delle quali può valer la pena raccontare
E così gli ho detto,
e così gli ho detto:
Ogni giorno possiamo visitare una stanza
Per ogni stanza ti racconterò delle storie
a partire dagli oggetti che vi sono conservati,
Quadri, suppellettili, soprammobili, libri
Tutto è sovrascritto,
è multi determinato
e può avere un senso
Ad ogni cosa
potrei dare un nome
e assegnare un ricordo
Gli ho detto anche:
Visto che sei così bravo a riprendere in video
Potremmo fare anche delle sequenze
In cui tu riprendi e io parlo fuori campo
e racconto,
ti racconto
Ogni giorno potremmo
passare in rassegna una stanza
Poi con un abile montaggio
da questo materiale
ci potresti fare un film
che dica la nostra memoria di famiglia
In questo processo di travaso
le mie memorie diventerebbero tue
e su questa tela poi potresti metterci le tue
Ma lui non ha mai voluto
Ha dilazionato
rimandato
Ho capito che non gli interessava proprio
Anzi, evitava attivamente di fare una simile cosa
In fondo, se tu non nomini le cose,
se ad esse non assegni una storia,
se non costruisci storie che s’intersecano
quelle cose rimarranno anonime
non vivranno
non pulseranno di significati
non potranno mai appartenerti
In fondo, è la stessa cosa che capitava
agli internati dei campi di concentramento che venivano privati del proprio
(era loro assegnato un numero)
e venivano privati e spogliati di tutto,
e, ridotti alla nuda vita,
non venivano più visti come uomini
dai loro aguzzini
E così quest’occasione è andata sprecata, anzi è stata disprezzata
Ci sono alcuni giovani
- oggi sempre di più -
che vivono senza radici
Costoro vogliono vivere senza memoria,
rifiutando l’essere figli,
cercando di essere
- nel pieno senso del narcisismo -
figli di se stessi
in disconoscimento della filiazione
e della genealogia
Una società che s’isterilisce
è ciò che ci attende,
una società senza padri e senza madri
in cui i figli sono soltanto monadi
che vivono senza memoria
e figli che rifiutando la memoria
rifiutano la genealogia
non vorranno - o non potranno -
essere madri e padri
Vivere senza memoria significa
anche rifiutare di avere radici
che si connettono ad altri alberi più grandi
e che, da questi, assorbono nutrimento
Bisogna prendere atto di ciò
Lo dico con molto dispiacere
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(Anita Riotta) Caro Maux, capisco il dispiacere nel non riuscire a partecipare la propria storia ai figli, perché la conservino.
Però tieni presente che, mentre noi vivevamo la nostra, anche i nostri figli si sono costruiti la propria storia di vita nella quale ci sono aspetti e valori che appartengono solo a loro e che a volte noi nemmeno immaginiamo.
I miei figli sono molto più grandi dei tuoi e adesso ci sono anche i nipoti.
Come te provo anch'io a tramandare storie e valori, ma sto anche attenta ad ascoltare la "loro" storia, che spesso ha contenuti e punti di vista elaborati in modo diverso da come noi abbiamo pensato di "seminarli".
I nostri discendenti sono altro da noi.
Noi possiamo solo trasmettere e spargere semi...dove, come e "se" cresceranno non dipende da noi.
Possiamo solo cercare di fare il meglio.
Poi, a volte, ci stupiscono…
(io) Certo, Anita, lo so e condivido il punto di vista che espliciti
Che è poi espresso magnificamente dal racconto di Kalhil Gibran a proposito dei figli che sono come la freccia scoccata dall’arciere e che nel momento in cui è lanciata non è più dell’arciere, ma vola per conto suo.
Quello che non capisco è la negazione radicale dell’importanza della memoria, il non volere ascoltare, il non volere imparare nulla del passato da cui si proviene e l’elusione di un qualsiasi confronto.
Non mi ritrovo in ciò
Io, benché anelassi a seguire la mia via, ascoltavo le storie di mio padre e di mia madre con interesse e curiosità e me ne nutrivo, perché mi davano l’idea che appartenevo ad un flusso e che non ero un’onda isolata.
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