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Ho sognato che andavo ad un convegno
(di psicoanalisi o di psichiatria)
su di un magnifico cavallo bianco
Ero gioioso per avere questo cavallo
Tutti erano stupiti nel vederlo
Io ero compiaciuto
Non era soltanto magnifico,
era anche intelligente
Era capace, per esempio,
di aprire il rubinetto dell’acqua
per bere autonomamente,
come se avesse zoccoli prensili
Era una creatura mitologica,
a tutti gli effetti
Il convegno si svolgeva all’aperto
nella vasta corte di un’antica dimora
Incontravo tanti colleghi del passato,
altri - più giovani - mi erano sconosciuti
Ma, in verità, ero più interessato al cavallo
che non al convegno,
né mi sentivo vocazione alcune per le rimpatriate
E poi c’era il cavallo da impastoiare
e da rigovernare
Parlavo con una tizia
che riconoscevo come scrittrice
Nella conversazione mostravo
di possedere un’articolata conoscenza
dei suoi libri
e lei se ne stupiva
Poi se ne andava
e la conversazione si spegneva
Forse, avrebbe voluto
rimanere nell’anonimato
Anche la scrittrice, però, era venuta
al convegno a cavallo
- questo ci accomunava -
ma il suo destriero era un roano
Cominciavano a cadere
grosse gocce di pioggia
Guardavo il cielo ad est
e vedevo che grossi cumuli
grigio-neri, minacciosi,
si addensavano rapidamente
Pioverà?, chiedevo alla scrittrice
Lei rispondeva, Sì, certo!
Se non vogliamo bagnarci,
occorre andare!
Il cavallo mi rendeva davvero felice
Non avevo bisogno d’altro
Mi occupavo di lui
Non temevo alcun male
Pensavo che me ne sarei andato via
presto, in groppa al mio destriero,
per scansare la pioggia imminente
Del convegno e delle facce di circostanza
non mi importava proprio nulla
Pregustavo una magnifica uscita di scena,
io e il mio destriero
per andare a passo lento e maestoso
verso altri destini
Dopo poco più di un mese da quello che avete appena letto, ecco un nuovo sogno, nel quale mi ritrovo a partecipare ad un convegno di psichiatria
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Sono tra i partecipanti d'un convegno nazionale di psichiatria
Si tratta di una cosa davvero grande ed importante
C’è uno stuolo di professoroni, il fior fiore,
la crème del la crème, e i loro accoliti
lecchini, rampanti e ambiziosi
armati di coltelli taglienti
per pugnalarsi alle spalle
quando occorre o anche quando non occorre
Bisogna avere lo stomaco foderato di acciaio
ma anche indossare robuste mutande di latta,
per stare assieme ad una simile combriccola,
eppure siamo lì,
volenti o nolenti
La folla è percorsa da grandi ondate nervose
Ci si sposta all’improvviso
sulla base di dicerie o anche di semplici supposizioni
La parola d’ordine é essere presenti
laddove le cose accadono,
per ottenere favori
o cogliere opportunità
C’è anche mio fratello,
con la sua carrozzina,
lui però è un outsider, un puro,
un gigante con i piedi di solida roccia
non come quei fantocci dai piedi di argilla
che lo circondano
Lui è là, perché deve presentare
un suo libro sui diritti
delle persone con disabilità
Di lì a poco, mio fratello scompare, tuttavia,
e non ho più il conforto
della sua rassicurante presenza
In uno dei tanti spostamenti di folla
vengo trascinato in una grande sala
dove è allestito un buffet
Tutti si avventano sui tavoli
riccamente imbanditi
riempiono piatti di tutto e di più
mangiano a quattro palmenti,
quasi fossero reduci da un mese di digiuno
a pane e acqua
Intanto, infarciscono il loro ingozzarsi
con un chiacchiericcio vuoto
Una nuvola di parole vuote
si leva verso l’alto
come un sottile gas asfissiante
I coltelli sono sempre là
pronti all’uso
Mi trovo alla presenza di un augusto professore
il quale, attorniato dalla sua corte, sentenzia
Alcuni, i suoi più fedeli,
annotano le sue parole oracolari
a futura memoria
Io non so che dire
Tacere è la virtù dei forti
Poi ci si sposta altrove,
in un grande androne
dove ci si registra per poter prendere la parola
e fare dotti interventi
La calca è terribile
Tutti si fanno sotto,
cercando di scavalcare e arrivare per primi
Non si contano i furbetti e i furetti
Ma c’è un servizio d’ordine impeccabile
Ci sono delle amazzoni
a torso nudo
che bloccano gli indisciplinati
con prese d’acciaio
al collo o alle braccia
Stringono con tanto vigore
che potrebbero spezzare le ossa di quei tapini
A nulla valgono le loro suppliche
o anche le blandizie
Anzi, più i tapini - un tempo furbetti -
supplicano e pregano
di essere trattati con meno rigidità,
più la stretta aumenta
e i loro volti si contorcono
per il dolore,
mentre le amazzoni mute
tengono puntati su di loro
occhi di fuoco
(Dissolvenza)
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