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15 settembre 2022 4 15 /09 /settembre /2022 09:15
Peter Matthiesen, Il leopardo delle nevi, Mondadori, 1980

Il Leopardo delle nevi di Peter Matthiesen è diventato negli anni un libro culto, utilizzato da viaggiatore e da esploratori del versante tibetano dell'Himalaya.

Io lo comprai alla sua prima uscita in edizione italiana nel 1980 (in lingua originale era comparso appena due anni prima, nel 1978), ma lo misi da parte ripromettendomi di farlo in seguito. In quel periodo ero molto interessato a libri naturalistici e ne compravo più di quanti potessi leggerne, anche se - malgrado il titolo - Il Leopardo delle Nevi è libro naturalistico soltanto marginalmente, mentre è fondamentalmente un libro di viaggio e, se vogliamo, anche di formazione.

Tra il 2020 e il 2021 mi è capitato di leggere due, molto più recenti, resoconti di viaggio che ne parlavano: ma non solo in essi l'opera di Matthiesen veniva asetticamente citata. Bensì dei due viaggiatori, rispettivamente il nostro Paolo Cognetti e il francese Sylvain Tesson era stata un vero e proprio Badaeker lungo percorsi sostanzialmente sovrapponibili e fedele compagno di viaggio, letto durante i bivacchi notturni alla luce del fuoco o di una fioca lanterna e gelosamente trasportato nello zaino, al riparo delle intemperie.

Sono andato immediatamente a cercarlo tra i miei libri e, dopo qualche esitazione, in merito alla sua collocazione, con mio grande giubilo, l'ho trovato e ho subito cominciato a leggerlo. Lettura tardiva, ma ancora più prelibata dopo una tanto lunga stagionatura. I libri sono così: non è detto che, nel momento in cui li prendi, siano destinati ad un'immediata fruizione. Ed è un piacere ancora maggiore sapere che sono stati in uno degli scaffali di casa tua in fedele attesa, silenti, promananti una loro silenziosa energia. 

Comincia così:

Sul finire del settembre 1973 partii insieme a GS verso la Montagna di Cristallo, camminando in direzione ovest sotto l'Annapurna e nord lungo il fiume Kali Gandaki, poi di nuovo ad ovest e a nord attorno ai picchi Dhaulagiri e attraverso il Kajiroba, quattrocento chilometri o più, verso la Terra di Dolpo sull'altopiano del Tibet. GS è lo zoologo George Schaller (ib., Prologo, p. 11).

 

Prima di questa spedizione, George B. Schaller aveva già compiuto importanti osservazioni naturalistiche tra cui quelle relative al Gorilla di montagna dei Monti Virunga nel cuore della foresta tropicale africana (che io avevo già già letto a quel tempo - Cfr. L'anno del gorilla, De Donato, 1968) e lo scopo di questa sua spedizione era quella di osservare il bharal, o Pecora Azzurra dell'Himalaya, con l'intento di capire se questa specie fosse in realtà più capra che pecora. Un sottoprodotto di questa osservazione naturalistica avrebbe potuto essere l'individuazione di qualche esemplare di qualche rarissimo individuo del Leopardo delle Nevi (Panthera uncia), che - nel corso del XX secolo - era stato avvistato solo altre due volte (ed uno dei due avvistamenti era appannaggio dello stesso Schaller).

 

La spedizione di George Schaller, iniziata il 28 settembre 1973 da Pokhara, punto di partenza di tutte le spedizioni himalayane, e conclusasi nel dicembre successivo regalerà molteplici e dirimenti osservazioni sul Bharal, mentre sarà quasi fallimentare per quanto concerne gli avvistamenti del Leopardo delle Nevi che rimarrà una metà desiderata, ma sempre evanescente.

Poco dopo il rientro dei due esploratori a Katmandu, la Terra di Dolpo verrà chiusa ai visitatori stranieri a causa di disordini su base politica.


Matthiesen che farà da accompagnatore di Schaller per poi ripartire un po' prima di lui, sarà il cronista di questo viaggio con una profonda sensibilità che deriva dall'avere abbracciato lui stesso la fede buddhista e dall'essere dunque un praticante della meditazione profonda. E, quindi, di quest'avventura diventerà anche il cantore ispirato e profondo.

Il suo resoconto, infatti, supportato da appunti pressoché giornalieri, è - apparentemente - la narrazione di accadimenti, di fatti e di luoghi, ma è in realtà un viaggio interiore, nel profondo nell'animo.
Non può che essere così, dal momento che - man mano che la piccola spedizione con il suo seguito di guide e di portatori si allontana dalla civiltà occidentalizzata (con le sue brutture, con i resti di plastica e con i cumuli di immondizia) ed entra in lande sempre più remote, la vita materiale si va esemplificando sempre di più, lasciando spazio ampio agli scenari interiori.
Non può che essere così.
Matthiesen cerca la pace dell'anima, dal momento che è ancora fresca dentro di lui la ferita aperta dalla morte per cancro della moglie molto amata, anche lei buddista.
Il viaggio così, benché scandito dallo scorrere dei giorni del calendario, diventa un tempo sospeso e avventura di esplorazione interiore alla ricerca di pace e di equilibrio, pur nell'accettazione dell'impermanenza.

Le descrizioni dei luoghi, con le case che si fanno sempre più semplici ed essenziali, con i loro muri di preghiera, con le bandiere di preghiera che vibrano nel vento tutte sbrindellate, con i piccoli tempi e con  monasteri minuscoli, fatti di piccoli stanze, eppure pieni di inestimabili tesori della fede, con la sobrietà e la capacità di vivere con pochissimo (anche dal punto di vista alimentare), rimandano costantemente ad una dimensione del vivere profondamente mistica.

Il viaggio di Schaller e di Matthiesen si concluderà il 1° dicembre a Katmandu in attesa del volo che li riporterà alla civilizzazione e qui avviene la transizione dal Buddismo all'Induismo ben più affollato e rumoroso: in un luogo in cui le due culture e le due tradizioni religiose si confrontano e si mescolano. 
E' il tempo dei commiati e degli abbandoni. 
La fine del viaggio è accompagnata dalla nostalgia per i luoghi che si sono visti e che si stanno per abbondare forse per sempre, senza possibilità di ritorno, e forse anche per via dell'ombra rimasta evanescente di quel mitico leopardo delle nevi, appena una volta avvistato (forse), ma mai visto realmente.

Ma è questo che debbono essere i viaggi più veri e profondi (i viaggi dell'anima, in altri termini): non il tempo del compimento e dell'accumulo di trofei da portare via con sé, ma il tempo del non concluso e di ciò che rimane imperfetto, di ciò che non si potuto trovare, benché lo si sia cercato a lungo e con intensità.

Dunque, in questo, il resoconto di Matthiesen contiene degli insegnamenti profondi e vi si ritrovano le sue radici dell'essere libro di culto. 

 

Peter Matthiesen, Il Leopardo delle Nevi, BEAT, 2015

​Il Leopardo delle Nevi è attualmente disponibile in edizione BEAT (2015) e questo ne è il risguardo di copertina.

Nell'autunno del 1973 l'autore, in compagnia dello zoologo e naturalista George Schaller, percorse a piedi più di 250 miglia nel cuore della regione himalayana del Dolpo, l'ultimo baluardo rimasto dell'autentica civiltà tibetana. I due viaggiatori cercavano il leopardo delle nevi dell'Asia del nord, una creatura così poco avvistata da essere diventata quasi mitica. Pubblicato per la prima volta nel 1978, è il racconto di un viaggio avventuroso tra le gole profonde e le montagne del Tibet, ma è anche un racconto sulla vita e la morte, sul rapporto con la natura e sul senso dell'esistenza. Al viaggio e alla ricerca del mitico animale, si affianca un viaggio più significativo, quello alla ricerca dell'essenza della vita.

 

 

Peter Matthiesen

L'Autore. Peter Matthiessen, naturalista, esploratore, narratore, è nato a New York nel 1927 ed è morto a Sagaponack il 5 aprile 2014.
Negli anni Cinquanta è stato cofondatore della rivista letteraria statunitense Paris Review.
Le sue numerose spedizioni nelle aree più selvagge del mondo l’hanno condotto in Alaska, Asia, Australia, Oceania, Africa, Nuova Guinea e Nepal, memorabilmente descritti nei suoi libri: The Cloud Forest, Under the Mountain Wall, Blue Meridian, Killing Mr. Watson, At play in the Fields of the Lord, e, soprattutto, Il leopardo delle nevi.

 

 

 

 

Sono felice di averlo trovato tra i miei libri. Ero tassativamente sicuro di averlo. Sylvain Tesson nella sua scrittura-reportage sul leopardo delle nevi si è ispirato a questo classico che gli è stato compagno di viaggio nella sua spedizione alla ricerca della "pantera delle nevi", seguendo quasi lo stesso percorso di Matthiesen, come del resto racconta Cognetti in un altro libro diaristico ambientato negli stessi luoghi.
E la sua lettura mi ha aiutato ad immergermi nel ricordo del mio viaggio in Nepal nel lontano 1992 e del mini-trekking che mi ritrovai a fare lungo i pendii dell'Annapurna, assieme a due occasionali compagni di viaggi.

La Pantera delle Nevi di Sylvain Tesson, Sellerio

Sylvain Tesson, La pantera delle nevi (titolo originale: La panthère des neiges, nella traduzione di Roberta Ferrara), Sellerio (collana Il Contesto), 2020

(Risguardo di copertina) Nel 2018 Sylvain Tesson viene invitato dal fotografo naturalista Vincent Munier ad andare alla ricerca degli ultimi esemplari della pantera delle nevi. Questi animali magici e segreti, schivi ma altrettanto temuti, la cui caratteristica è la dissimulazione e l’occultamento, vivono in Tibet, sull’immenso altipiano del Qiangtang. In inverno le temperature sono glaciali, l’area è costantemente spazzata da forti venti e la neve non riesce mai ad attecchire. In volo verso la Cina Tesson conosce Marie, la compagna del fotografo, cineasta naturalista, e Léo, aiutante di campo e filosofo. Sono diventati una «banda dei quattro», insieme affrontano la strada e raggiungono paesaggi sempre più maestosi e deserti. La popolazione diminuisce, al suo posto la fauna sembra apparire dal nulla, al riparo dagli effetti nocivi della civiltà; greggi di antilopi, pecore blu, mandrie di yak, branchi di lupi, predati e predatori attraversano distese lunari e sconfinate, sembrano fagotti di lana, o macchie di inchiostro. A 5.000 metri di altitudine si apre il regno della pantera. In questo santuario naturale, totalmente inospitale per l’uomo, il felino ha trovato il modo di sopravvivere e di difendere la sua tranquillità. Per avvistarla bisogna organizzare degli appostamenti in cui restare immobili a volte per trenta ore consecutive, con la temperatura che staziona a decine di gradi sotto lo zero. La ricerca di questo animale mitico diviene per Sylvain Tesson il racconto di un’avventura straordinaria e la scoperta di uno spazio infinito di riflessione. Le conseguenze disastrose dell’intervento umano sulla natura, il destino di un mondo in cui le specie animali andranno a scemare fino a scomparire, l’annullamento del sé nella meditazione indotta dall’attesa spossante, la spiritualità che l’accompagna, il divenire invisibili nel flusso degli elementi che regala la fugacità della meraviglia. E poi la consapevolezza che la natura è popolata di presenze che ci guardano senza ostilità, ma tenendoci d’occhio: «gli animali sono i guardiani del giardino pubblico, dove l’uomo gioca col cerchio credendosi il re». Immergendosi totalmente nell’ambiente, trasformandosi in uno sguardo assoluto capace di vincere sul tempo, Tesson ha scritto il suo libro più coraggioso e importante.

Sylvain Tesson

(Quarta di copertina) Un’immersione totale nei maestosi paesaggi del Tibet, l’incontro con mondi incontaminati, un avvicinamento alla meditazione e un’iniziazione all’arte dell’attesa.

«Un canto d’ammirazione per la natura e il regno animale» - Bernard Pivot, Le Journal du Dimanche

L’autore. Scrittore, giornalista e grande viaggiatore Sylvain Tesson è nato nel 1972. Dopo un giro del mondo in bicicletta si appassiona all’Asia centrale, che visita frequentemente a partire dal 1997. Come autore esordisce nel 2004 con un racconto di viaggi, L’Axe du loup. Nel 2009 ha pubblicato con Gallimard Une vie à coucher dehorse. Nel 2011 è arrivato il grande successo di Nelle foreste siberiane (Sellerio 2012), che ha vinto il Premio Médicis 2011. Tra gli altri suoi libri

Paolo Cognetti, Senza mai arrivare in cima, Einaudi

Paolo Cognetti, Senza mai arrivare in cime. Viaggio in Himalaya, Einaudi , 2018.

Questo piccolo libro, prezioso, contiene  il resoconto del viaggio che Paolo Cognetti intraprese sul finire del suo quarantesimo anno, nel 2017, poco prima di superare il crinale della giovinezza.
Il libro di Paul Matthiesen più volte citato è stato, per Cognetti, un assiduo compagno di viaggio: una copia di questo "mitico" volume, infatti, ha viaggiato assiduamente con lui. Si potrebbe dire che il viaggio di Cognetti&Co., benché molto più compresso nel tempo, rispetto a quello di Matthiesen, sia stato un'avventura autenticamente "sulle tracce".
Il volume è corredato di splendidi disegni, da bozzetti realizzati durante il viaggio da uno dei suoi compagni di avventura, Nicola Magrinche si ritrova di frequente di frequente a dialogare con le sue tavole a dialogare con i testi di grandi autori.

«Alla fine ci sono andato davvero, in Himalaya. Non per scalare le cime, come sognavo da bambino, ma per esplorare le valli. (...) Ho camminato per 300 chilometri e superato 8 passi oltre i 5000 metri, senza raggiungere nessuna cima. Mi accompagnavano un libro di culto, un cane incontrato lungo la strada, alcuni amici: al ritorno mi sono rimasti gli amici»
 

(dal risguardo di copertina) Che cos'è l'andare in montagna senza la conquista della cima? Un atto di non violenza, un desiderio di comprensione, un girare intorno al senso del proprio camminare. Questo libro è un taccuino di viaggio, ma anche il racconto illustrato, caldo, dettagliato, di come vacillano le certezze col mal di montagna, di come si dialoga con un cane tibetano, di come il paesaggio diventa trama del corpo e dello spirito. Perché l'Himalaya non è una terra in cui addentrarsi alla leggera: è una montagna viva, abitata, usata, a volte subita, molto lontana dalla nostra. Per affrontarla serve una vera spedizione, con guide, portatori, muli, un campo da montare ogni sera e smontare ogni mattina, e soprattutto buoni compagni di viaggio. Se è vero che in montagna si cammina da soli anche quando si cammina con qualcuno, il senso di lontananza e di esplorazione rinsalda le amicizie. Le notti infinite in tenda con Nicola, l'assoluta magnificenza della montagna contemplata con Remigio, il sa­liscendi del cammino in alta quota, l'alterità dei luoghi e delle persone incontrate. Questo è il viaggio che Paolo Cognetti intraprende sul finire del suo quarantesimo anno, poco prima di superare il crinale della giovinezza. «Alla fine ci sono andato davvero, in Himalaya. Non per scalare le cime, come sognavo da bambino, ma per esplorare le valli. Volevo vedere se da qualche parte nel mondo esiste ancora una montagna integra, vederla coi miei occhi prima che scompaia. Sono partito dalle Alpi abbandonate e urbanizzate e sono finito nel più remoto angolo di Nepal, un piccolo Tibet che sopravvive all'ombra di quello grande e ormai perduto. Ho camminato per 300 chilometri e superato 8 passi oltre i 5000 metri, senza raggiungere nessuna cima. Mi accompagnavano un libro di culto, un cane incontrato lungo la strada, alcuni amici: al ritorno mi sono rimasti gli amici».

Hanno detto di questo libro

«"Senza mai arrivare in cima. Viaggio in Himalaya" ci riconsegna quei luoghi nello spirito di una esplorazione e di una immedesimazione autentiche in cui sono la natura e l’oltre a plasmare la psiche del viaggiatore che le contempla, ne subisce il fascino, finanche la forza invincibile» – Andrea Velardi, Il Messaggero

«Cognetti, tra pecore azzurre e leopardi invisibili, ha fatto un viaggio nell’aspra poesia della natura» – Paolo Mauri, la Repubblica

«Paolo Cognetti riprende il passo fisico e letterario – lento, costante, classico – col quale ci aveva lasciati» – Stefania Chiale, Sette – Corriere della Sera

 

 

La Pantera delle Nevi - film documentario

Fu un’apparizione religiosa. Oggi il ricordo di quella visione ha per me un carattere sacrale. Lei alzava la testa, annusava l’aria. [...] Viveva sotto il vello del mondo. Era coperta di rappresentazioni. La pantera, spirito delle nevi, si era vestita con la Terra.
Sei pronto a partire per un viaggio che ti cambierà per sempre? 
Tratto dal racconto diaristico di Sylvain Tesson 𝙇𝙖 𝙋𝙖𝙣𝙩𝙚𝙧𝙖 𝙙𝙚𝙡𝙡𝙚 𝙉𝙚𝙫𝙞, il miglior documentario dei César 2022 e del Trento Film Festival 2022.
La voce narrante è quella di Cognetti: e così si chiude il cerchio.
Le musiche sono di Warren Ellis e di Nick Cave.
Nelle sale cinematografiche dal 20 ottobre. 

Questa la sinossi ufficiale:
Molto più di un documentario, La pantera delle nevi è un film filosofico, che segue il celebre fotografo naturalista Vincent Munier e il romanziere e avventuriero Sylvain Tesson nel cuore degli altopiani tibetani, tra valli inesplorate e impervie, dove vive una fauna rara e nascosta agli occhi dei più.
Per diverse settimane Vincent Munier e Sylvain Tesson esploreranno queste valli alla ricerca di animali unici, cercando di avvistare la pantera delle nevi, uno dei grandi felini più rari e difficili da avvicinare. Più i giorni passano e più i due protagonisti entrano in contatto con la disarmante bellezza dell’universo, domandandosi quale sia il senso di ciò che li aspetta a casa al loro ritorno e quindi il posto dell’essere umano nel mondo.
La stessa pantera delle nevi, sfuggente e maestosa, qui diventa il simbolo della natura incontaminata che non si interessa all’uomo, metafora di un mondo in pericolo che potremmo non essere più in grado di vedere nel giro di poche generazioni per le disastrose conseguenze degli interventi umani.

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DSC04695.jpegQuesta pagina è la nuova casa di due blog che alimentavo separatamente. E che erano rispettivamente: Frammenti. Appunti e pensieri sparsi da un diario di bordo e Pensieri sparsi. Riflessioni su temi vari, racconti e piccoli testi senza pretese.

Era diventato davvero troppo dispendioso in termini di tempi richiesti alimentarli entrambi, anche perchè nati per caso, mentre armeggiavo - ancora alle prime armi - per creare un blog, me li ero ritrovati ambedue, benchè la mia idea originaria fosse stata quella di averne uno solo. Infatti, non a caso, le loro intestazioni erano abbastanza simili: creatone uno - non ricordo quale dei due per primo - lo ho "perso" (per quanto strano ciò possa sembrare) e mi diedi alacremente da fare per ricrearne uno nuovo. Qualche tempo - nel frattempo ero divenuto più bravino - il blog perso me lo ritrovai).

Ohibò! - dissi a me stesso - E ora cosa ne faccio?

La risposta più logica sarebbe stata: Disattiviamolo!. E invece...

Mi dissi: li tengo tutti e due. E così feci. E' stato bello finchè è durato...

Ma giocare su due tavoli - e sempre con la stessa effcienza - è molto complicato, ancora di più quando i tavoli diventano tre e poi quattro e via discorrendo....

Con overblog ho trovato una "casa" che mi sembra sicuramente più soddisfacente e così, dopo molte esitazioni, mi sono deciso a fare il grande passo del trasloco, non senza un certo dispiacere, perchè il cambiamento induce sempre un po' di malinconia e qualche nostalgia.

E quindi ora eccomi qua.

E quello che ho fatto - ciò mi consola molto - rimane là e chiunque se ha la curiosità può andare a dargli un'occhiata.

 

Seguendo il link potete leggere il mio curriculum.

 

 


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