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11 novembre 2019 1 11 /11 /novembre /2019 12:10

Questo articolo è stato pubblicato il 5 giugno 2009 nel mio blog "Frammenti. Appunti e pensieri sparsi da un diario di bordo" e lo ripropongo integralmente, apportando al testo solo qualche piccola modifica. Come incipit propongo il post del mio grande amico, il compianto Enzo Cordovana, "Panchine da viaggio" (del 3 giugno 2009), le cui considerazioni mi hanno ispirato nella scrittura del mio post, pubblicato il 5 giugno successivo.
Spesso con Enzo succedeva così: in una dimensione molto ludica ci rimpallavamo a vicenda dei contenuti ceativi in uno scambio fecondo di spunti e di riflessioni.

 

Diversi anni fa, passando per una strada di grande transito, vedevo sovente, “appanchinato” sempre nel medesimo segmento di gard rail un uomo di mezza età, vestito con un giubbotto e recante con sé alcune valigie. Stava fermo, solitario a guardare la strada ed il traffico dei veicoli che scorrevano dinanzi a lui. Con alcuni amici, miei compagni di percorso si rideva di lui considerandolo portatore di una strana follia ma, a ben pensare, io ho sempre considerato quell'uomo semplicemente un viaggiatore, si, il rappresentante di una tipologia nuova di viaggiatore. Con quel giubbotto e quelle valigie quell'uomo era per me una sorta di “viaggiatore stazionario”.

Enzo Cordovana, Panchine da viaggio

Diversi anni fa, passando per una strada di grande transito, vedevo sovente, “appanchinato” sempre nel medesimo segmento di gard rail un uomo di mezza età, vestito con un giubbotto e recante con sé alcune valigie. Stava fermo, solitario a guardare la strada ed il traffico dei veicoli che scorrevano dinanzi a lui. Con alcuni amici, miei compagni di percorso si rideva di lui considerandolo portatore di una strana follia ma, a ben pensare, io ho sempre considerato quell'uomo semplicemente un viaggiatore, si, il rappresentante di una tipologia nuova di viaggiatore. Con quel giubbotto e quelle valigie quell'uomo era per me una sorta di “viaggiatore stazionario”.
Mi spiego.
Mentre il viaggiatore cammina per il mondo, quell'avventuriero visionario vedeva il mondo scorrergli davanti. E così ogni giorno, per molti giorni. Poi, all'improvviso non lo vidi più. Chissà dove sarà adesso. Forse si è stancato di viaggiare ed è tornato a casa, forse è invecchiato e non ha più le forze per continuare il suo viaggio, forse sta seduto da solo in un'altra panchina e vive ricordando,
quando,
ancor giovane,
viaggiando
da quel posizionamento
conobbe il mondo,
perpetuo,
in scorrimento

Panchina di Ronta(foto di Maurizio Crispi, 2009)

Mi ha molto colpito il post di recente comparso nel blog di Enzo Cordovana, dal titolo accativante "Panchine da viaggio" (nel suo blog Varietà), oltre che nel gruppo di discussione FB "QUELLI, KE LE PANCHINE...".
La definizione cordovanesca di "panchine da viaggio" mi è piaciuta davvero molto  perchè nel nome c'è insita la garanzia di poter viaggiare con la mente, sicuramente e di potere osservare il mondo dislocarsi attorno a te, realizzando quindi una delle caratteristiche principali del viaggiare con l'effetto di spaesamento e quant'altro.
E' un modo per capovolgere l'idea stessa del viaggio: non sei più tu che vai verso il mondo, ma è il mondo che scorre davanti ai tuoi occhi, come in un film.
Il microcosmo, che comprende ciò che puoi abbracciare con lo sguardo o toccare con mano, costituisce una rappresentazione attendibile, se non addirittura isomorfica, dell'intero macrocosmo.
Questo assunto ha degli antecedenti letterari significativi, tra i quali mi vengono in mente due piccole opere del francese Xavier de Maistre.
Xavier De Maistre (1763-1852), fratello del più famoso Joseph, è l'autore di un piccolo libro, il "Viaggio intorno alla mia camera", composto nel 1790 in occasione di una sua forzata immobilità conseguenza degli arresti domiciliari cui l'avevano condannato le autorità militari savoiarde. Il libro, con un andamento discorsivo e raffinato al tempo stesso, è costituito da 42 capitoletti tanti quanti sono stati i suoi giorni di prigionia. De Maistre, nelle sue pagine, ci racconta di tante sue piccole scoperte che sono, in realtà, alla portata di ogni attento osservatore, ma il suo "tocco" ed il principio ispiratore (spiritualista) della sua narrazione lo hanno fatto apprezzare, nel tempo, anche da illustri scrittori quali Alessandro Manzoni e tanti altri suoi contemporanei.
Il piccolo libro venne seguito da un secondo volumetto, "Spedizioni notturne intorno alla mia camera", costruito in modo del tutto simile.
E, a questo riguardo,mi viene anche in mente un aneddotto, citato da un famoso psicoanalista argentino: un uomo ubriaco se ne stava fermo, in piena notte, appoggiato ad un lampione. Si avvicina uno, incuriosito, e gli chiede: "Cosa fai qui? perchè non te ne vai a casa?" L'ubriaco gli risponde, guardandolo con sufficienza: "Me ne sto qui ad aspettare. E, prima o poi, la mia casa passerà di qui. Ne sono certo".
Certo: parole di ubriaco, ma in fondo anche di profonda saggezza. Inutile affannarsi per cercare di trovare qualcosa che, prima o poi, troverà te.
Seduti nella panchina ci si mette un po' fuori dal mondo e lo si osserva: ma non sempre questo volontario mettersi fuori dal flusso delle cose è ben accolto dal "pubblico". In alcuni casi, per potere seguire indisturbato questa tua esigenza, devi un po' nasconderti.
Una volta, alla 100 km Trapani-Palermo, sentii impellente il bisogno di dormire: dovetti scegliere per la bisogna un posto relativamente appartato e fuori dalla vista. Se infatti fossi stato visto da qualcuno dell'organizzazione beatamente addormentato, nella peggiore della ipotesi, avrei suscitato allarme ("Sta male. Ha bisogno di soccorsi!") e di peso sarei stato portato via e, nella migliore, sarei stato guardato con compatimento ("Chistu è unu curiusu").
La panchina offre la possibilità di un viaggio "stazionario", un modo di viaggiare in controtendenza rispetto a questa nostra moderntà ipervelocizzata, in cui le cose che viengono maggiormente apprezzate e valorizzate sono il movimento continuo e la velocità.
Robert Anson Heinlein, uno dei maestri della narrativa di anticipazione, scrisse negli anni Sessanta un racconto che è una rappresentazione metaforica di ciò che accade al nostro mondo, oggi: in "Le strade devono correre" veniva preconizzato una società futura, in cui il nostro pianeta è ridotto ad una rete infinita di strade, su cui l'intera umanità vive la sua vita su mezzi di trasporto (la più parte autoveicoli personali), dunque ciascuno anche in modo solipsistico) in continuo movimento. Unica legge: non ci si può mai fermare.
A quel mondo (ma, senza arrivare all'estremo visionario di Heinlein, anche nel nostro mondo attuale) preferisco una modesta panchina "da viaggio" che, in alcuni casi, può anche diventare come un tappeto magico che, subito in volo al tuo comando, ti trasporta ovunque tu voglia andare.
Come ad esempio la panchina della foto che si trova sulla strada che da Firenze porta a Faenza, subito dopo l'uscita di Ronta, dunque al 45° km circa del percorso che da Firenze si snoda attraverso l'Appennino sino a Faenza.
La panchina è strategicamente posizionata su di un tornante in modo tale che standovi seduti lo sguardo può avere uno scorcio sulla valle del Mugello che chi percorre quella strada in direzione di Faenza si è lasciato alle spalle e, a più breve distanza, sul tratto di strada a partire dal tornante subito prima.
La panchina è ubicata proprio nel punto in cui la salita si fa veramente dura per poi mantenersi con questo grado di pendenza sino al Passo della Colla (di Casaglia) ubicato al 48° km.
Seguivo come fotografo la testa di un'edizione passata della 100 km del Passatore e quando sono arrivato su questa curva (ottima per tirare delle foto), la panchina era occupata da un papà e da un bambino (o ragazzetto): entrambi ciclisti, si concedevano qualche istante di riposo. Erano seduti e si riposavano. Avrei voluto fotografarli.
Non ho fatto in tempo perchè hanno inforcato le bici e sono andati via, continuando la dura pedalata in salita.
Non mi è rimasto altro da fare che fotografare la panchina vuota.
E poi mi ci sono seduto, in attesa del passaggio della testa della gara.

 

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Come sono arrivato qui

DSC04695.jpegQuesta pagina è la nuova casa di due blog che alimentavo separatamente. E che erano rispettivamente: Frammenti. Appunti e pensieri sparsi da un diario di bordo e Pensieri sparsi. Riflessioni su temi vari, racconti e piccoli testi senza pretese.

Era diventato davvero troppo dispendioso in termini di tempi richiesti alimentarli entrambi, anche perchè nati per caso, mentre armeggiavo - ancora alle prime armi - per creare un blog, me li ero ritrovati ambedue, benchè la mia idea originaria fosse stata quella di averne uno solo. Infatti, non a caso, le loro intestazioni erano abbastanza simili: creatone uno - non ricordo quale dei due per primo - lo ho "perso" (per quanto strano ciò possa sembrare) e mi diedi alacremente da fare per ricrearne uno nuovo. Qualche tempo - nel frattempo ero divenuto più bravino - il blog perso me lo ritrovai).

Ohibò! - dissi a me stesso - E ora cosa ne faccio?

La risposta più logica sarebbe stata: Disattiviamolo!. E invece...

Mi dissi: li tengo tutti e due. E così feci. E' stato bello finchè è durato...

Ma giocare su due tavoli - e sempre con la stessa effcienza - è molto complicato, ancora di più quando i tavoli diventano tre e poi quattro e via discorrendo....

Con overblog ho trovato una "casa" che mi sembra sicuramente più soddisfacente e così, dopo molte esitazioni, mi sono deciso a fare il grande passo del trasloco, non senza un certo dispiacere, perchè il cambiamento induce sempre un po' di malinconia e qualche nostalgia.

E quindi ora eccomi qua.

E quello che ho fatto - ciò mi consola molto - rimane là e chiunque se ha la curiosità può andare a dargli un'occhiata.

 

Seguendo il link potete leggere il mio curriculum.

 

 


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