Tatàaaaaaaa, Tatàaaaaa!
Tatarone, Tatarone!!!
Trovandomi sull'Etna, a quasi 2000 metri di quota e in totale solitudine, all'infuori del piccolo Gabriel che era con me, in attesa dell'arrivo dei primi runner, lanciavo nel vento a gran voce il nome di mio fratello nelle molteplici variazioni con cui, secondo una lunga consuetudine che nasce da lontano (dal tempo in cui eravamo piccini), lo distorcevo in una sorta di gioco. Il diminutivo Tatà nacque proprio da questa abitudine di gioco e molti hanno preso a chiamarlo così, invece del più classico "Totò"!
Tatarimpoooooo! Tatarimpoooooo! Tatarone, Tatarone!
Tata Tatibaaaaaaa! (questo appellativo, in particolare, è stato quello di più recente conio, ispirato al "Tata Madiba" con cui i Sudafricani neri si rivolgevano a Nelson Mandela, in cui "Tata" sta per "padre", mentre "Madiba" era il nome del clan tribale cui Mandela apparteneva).
Voci e nomi nel vento...
Una cosa che mi rimanda al suono delle campanelle con cui si accompagnano i momenti cruciali delle cerimonie religiose, o dei piccoli cimbali battuti nei momenti rituali delle religioni orientali, che sembrano tutti avere una matrice comune, cioè quella di attirare l'attenzione delle entità superne cui ci si rivolge in preghiera e che stanno in un altrove, in un empireo irraggiungibile per i nostri flebili ed inaudibili suoni.
Tatàaaaaaaaa! Tatàaaaaaa!
Quando ci si trova in montagna, minuscoli nell'immensità della Natura, ci si sente a contatto con qualcosa di grande: chiamiamolo Dio, chiamamolo il Trascendente, oppure ciascuno lo chiami nel modo che preferisce: e viene naturale gridare, cercare di farsi di sentire, rivolti al Cielo che ci sovrasta.
E, siccome soffiava a raffiche il vento, mi venivano in mente anche le bandiere di preghiera, utilizzate nei templi orientali, dai colori vivaci e con parole scritte a caratteri neri e fitti. E in questo caso, le bandiere di preghiere c'erano pure attorno: con un minimo di fantasia si potevano vedere così le numerose bandelle segnaletiche rosso-bianche che vibravano nel vento.
Si dice che il vento facendo battere queste bandiere, prenda le parole, le suppliche, le richieste che vi sono scritte su e le trasporti con sé in cielo: e, per questo motivo, una volte che siano state collocate in lunghe filiere davanti ai templi, non devono essere più rimosse, sintantochè non siano tutte a brandelli e i caratteri completamente dilavati via dalle intemperie e dagli elementi atmosferici.
Gabriel ad un certo punto mi ha guardato e mi ha detto con molta convinzione "Tatà, male! e ha preso a ripetere diverse volte questa singola frase: "Tatà, male".
Sono rimasto sorpreso e commosso ad un tempo.
Con mia moglie abbiamo voluto proteggere Gabriel da un'esposizione diretta ai momenti sofferti successivi alla morte di mio fratello.
Pure, qualcosa deve aver percepito ed elaborato dentro di sé, a partire dal concetto di "male" e "farsi male" di cui avevo avuto occasione di parlargli alcuni giorni prima della scomparsa di Tatà, prendendo spunto dall'incontro lungo la strada con un merlo morto stecchito.
Che Gabriel abbia associato la persistente assenza di Tatà, cui era molto attaccato per l'intrecciarsi di molti momenti quotidiani in cui eravamo tutti assieme con il suo essersi fatto "male" - e dunque con la sua morte - e che sia stato capace di sintetizzare tutto questo con il suo "Tatà, male!"?