Tutti portiamo dentro di noi tracce fossili: sono i segni lasciati da chi non c'è più e da chi abbiamo perduto. La scritta a mano su una busta; i punti consumati su una scala di legno; il ricordo di un gesto familiare che faceva chi ci ha lasciato, ripetuto così spesso da aver scavato un solco nell'aria e nella mente: anche queste sono tracce fossili. A volte tutto quel che resta di una perdita è una traccia. E a volte può essere più facile serbare in cuore uno spazio vuoto che non la presenza stessa.
Il passato è sempre stato importante per me, ma questo è ovvio; in fondo, per chi non lo è?
Ho sempre pensato che il modo di essere nel presente sia condizionato in qualche modo dalle esperienze passate - nel bene e nel male - e che quindi nasca e si sviluppi con continue nuove ramificazioni che si originano proprio dal passato.
Il presente è come un albero che cresce con nuove ramificazioni le cui radici profonde e altrettanto ramificate sono il nostro passato.
Tutto del nostro passato é prezioso, eventi buoni ed eventi "cattivi", perfino cose apparentemente inutili, ma che hanno avuto un loro effetto.
Ho coltivato il mio passato come una cosa preziosa, malgrado tutte le sue imperfezioni, i suoi fallimenti, le sue perfettibilità e l'ho coltivato, cercando sempre di ricordare e di raccontare per poter tramandare.
La mia vita - come traccia di un uomo - può essere importante: non voglio che sia buttata via come una paglliuzza nel vento, destinata a disperdersi nell'ampio cielo.
E, di conseguenza, mi sono dedicato alacremente a metter insieme frammenti di memorie passate e a farli rivivere nel presente, mettendo me stesso in prima fila nelle storie di cui io, al tempo stesso, volevo essere il contastorie.
Ma sento di aver fallito... Questo compito di lavorare sulla memoria, che mi sono dato e che mi ha impegnato per anni, non ha portato a nulla di significativo.
Ho l'impressione che quelle che dico e scrivo siano parole buttate via nel vento.
Sono sfiduciato, anche perchè ho l'impressione non tanto che il passato non si sbiadisca (le memorie più antiche raramente si cancellano o si perdono), ma che piuttosto vada perdendo di importanza.
Come se non me ne importasse più di tanto.
Non c'è più un passato mitico da ricordare.
Mi sembra che qualsiasi ricordo sia fatto di cose banali ed insignifcanti che, possibilmente, non interesseranno nessuuno e nemmeno a me stesso.
E mi sento perduto nel bel mezzo d'un inverno gelido, uomo senza memorie, perchè fondamentalmente uomo senza qualità.
Cammino per strade che mi sono estranee
Penso che se cadessi o se morissi all'improvviso, in mezzo alla via, nessuno potrebbe essere avvertito.
Fantastico che, in tal caso, rimarrei a lungo uno sconosciuto alla morgue e che nessuno verrebbe a reclamarmi.
Ma so che, in realtà, questo non è vero.
E' soltanto una mia fantasia distruttiva all'opera.
Nessuno può vivere senza lasciare tracce e senza avere su di sé indizi ed elementi che consentano di attivare percorsi di ricerca e d'identificazione.
Chi sono? Da dove vengo? Dove vado?
Certo è che se ne ho appena l'occasione, anche tenue ed irrisoria, e mi ritrovo a rievocare il passato, c'è un passato lontano che riemerge e che mi conduce ai miei genitori che, ciascuno in modo diverso mi hanno plasmato.
Il senso del dovere e della disciplina.
La costanza del sacrificio quando questo sia necessario.
O perfino saper vivere nel sacrificio e nella rinunzia.
E, paradossalmente, la gioia di vivere, la curiosità verso l'ignoto, il desiderio di andare a vedere ciò che sta al di là dell'orizzonte e qualche volta la trasgressione.
La possibilità di trovare la gioia ed un momento radioso anche nei giorni più cupi.
L'amore - se non la passione - per la cultura.
L'amore e l'odio.
Non puoi veramente amare - retrospettivamente - i tuoi genitori, se non li hai anche odiati, per averti messo al mondo, per averti plasmato, per averti costretto a vivere a lungo nella loro ombra.
E quest'odio, perchè tu possa amarli liberamente (anche nel ricordo, quando non ci sono più) deve poter fluire liberamente, diventando parte dei tuoi pensieri consapevoli.
Ho sognato poche notti fa che ero in una grande casa nuova, appena finita e ancora senza mobili, caratterizzata da grandi spazi funzionali.
Ed io ero lì che mi ci aggiravo, un po' sorpreso, un po' meravigliato, ma con il piglio di chi si sente a proprio agio in un posto tutto suo.
E cominciavo a pensare di mettermi a riorganizzare gli spazi.
Centrale nella pianta della dimora era una grande e luminosa cucina, unico ambiente già arredato con pensili e ripiani funzionali, tutto di un bianco candido all'infuori dei piani di lavoro di granito grigio ben levigato e lucido e dei punti di cotturo di acciaio scintillante.
A titolo di esplorazione aprivo alcuni dei pensili e sbirciavo all'interno: e c'erano pile e pile di panini imbottiti avvolti nella pellicola trasparente che offriva una veduta del loro contenuto, e poi innumerevoli confezioni di frutta sottovuoto in speciali contenitori di plastica.
Si apriva la porta ed entrava mia madre.
Come se il tempo non fosse passato, mi appariva come era quando era ancora nel pieno delle sue forze e straordinariamente attiva, come se avesse dentro di sé l'energia di quattro diverse persone.
Se penso ai miei sonni, alle mie cadute improvvise in un incoercibile stato letargico, non posso non chedermi come facesse lei che era sempre attiva e che contemporaneamente seguiva con rigore il richiamo del dovere senza tuttavia perdere quello del proprio piacere personale, poichè coltivava la buona letteratura, il piacere per il teatro, la musica, il cinema e molto altro.
Qualche volta quando era sconfortata e stanca, soprattutto negli ultimi anni, invocava: "Mamma! Voglio la mia mamma!"
E quando ero piccolo, ma anche più avanti negli anni dell'adolescenza, non c'era giorno che non mi desse la buonanotte tracciandomi con un dito il segno della croce sulla fronte.
E mi sono svegliato con la persistenza di questa traccia, radiosa e confortante.
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