(Maurizio Crispi) Le panchine, di quando in quando, suscitano le mie riflessioni. Alcune di esse sono inevitabilmente ripetitive, ma attraverso la ripetizione si consolida il panchina-pensiero.
Noto che le panchine sono sempre molto utilizzate, anche ai nostri giorni in cui dominano la fretta e l'accelerazione.
Sarà forse perchè le panchine offrono una seduta gratuita, pressocché dovunque. Ma questo elemeto "strumentale" è solo un comune denominatore "minimo" che non aiuta a spiegare l'universalità della panchina.
Le panchine servono a rendere vivibili le città e mi sembrano barbari i luoghi in cui le panchine per ragioni di ordine pubblico (o di pubblica decenza) sono state abolite.
Come mi sembrano barbari quei paesi che, volutamente, rendono le panchine scomoda, proprio allo scopo di evitare su di esse il bivacco degli homeless.
Ma, ovviamente, le panchine non fanno parte solamente dell'arredo urbano, perchè le si possono trovare dovunque, anche fuori dai centri abitati: sulla curva di una strada, ai piedi di un albero fronzuto, la cui ombra densa é resa più fresca dal chiocchiolio di una fontana, su di un punto prominente che consente da seduti la vista su di un bel paesaggio, sulla riva del mare.
La panchina nasce da un bisogno universale che è quello di fornire una seduta al viandante che si trovi a passare da quel luogo o alla persona che vive in quel luogo e che esce di casa a fare due passi, avendo come metà quella panchina e non un'altra: in un certo senso, le panchine - in tutte le loro varianti - rappresentano il grado zero dell'ospitalità che è l'ospitalità stessa del luogo: é come se, in parte, fossero in parte espressione del genius loci.
E non ci vuole molto per allestire una panchina rudimentale: è sufficiente un muretto basso, oppure una trave di legno che venga poggiata tra due grosse pietre ed ecco realizzata con un minimo di spesa una panchina.
A partire dalla prima rudimentale panchina, soltanto dopo nella storia dell'Uomo sono sopravvenute esigenze estetiche e si è fatto strada il bisogno di abbellire la panchina, variando i materiali di costruzione, anche se una panchina dovrebbe essere costruita in modo da poter durare nel corso del tempo e da resistere al logorio degli elementi atmosferici e soprattutto in modo da essere comoda e confortevole.
Ci si siede su di una panchina per riposare.
Per leggere il giornale.
Per leggere un libro.
Per ascoltare la musica o per suonare uno strumento musicale.
Ci siede su di una panchina per conversare e magari uno degli interlocutori se ne sta in piedi davanti al suo interlocutore seduto.
Ci siede in panchina per fumare indolentemente una sigarete o per farsi una buona pipata.
Le coppie si siedono sulle panchine per abbracciarsi o per baciarsi o semplicemente per starsene accanto mano nella mano (vedi i famosi disegni di Peynet, ad esempio).
Ci siede su di una panchina per fare merenda, per consumare il lunch nella pausa-lavoro oppure per gustarsi in santa pace un bel gelato.
Ci siede in panchina per allattare il proprio bimbo oppure per cambiargli il pannolino.
Ci si stravacca su di una panchina per bere in solitaria, oppure per smaltire la sbornia e per finire addormentati in un profondo sonno etilico, per risvegliarsi solo alle prime luci dell'alba.
La panchina può diventare un punto di incontro, chiassoso e festoso.
Oppure un luogo di meditazione e di riflessioni.
Ci si siede sulle panchine per piangere sconsolati e per smaltire il proprio dolore.
Qualche volta per sentire dentro di noi la nostalgia e il peso della malinconia.
Ci siede su di una panchina per utilizzarla come vettore temporale e, cavalcandola, fare escursioni nel passato da cui veniamo, facilitati dal fatto che la seduta su di essa ci impone immediatamente l'immersione in un tempo lento, in cui il presente si dilata o si fa immobile.
Qualcuno si siede in panchina e muore lì, confortato dal vento, dal fruscio delle foglie e dal cinguettio degli uccelli. Qualche volta uno scoiattolo si incuriosce e viene a visitare il vistatore immobile come una statua.
E, qualche volta, sulle panchine siedono statue di bronzo o di pietra che raffigurano persone morte da lungo tempo e uno si può sedere in loro compagnia e con loro conversare amabilmente.
Ci siede in panchina per fare un bel sonnellino e, magari, quando Morfeo comincia ad averla vinta, si scivola lentamente in una posizione più consona, ma c'è chi anche vi si sdraia direttamente, utilizzando il proprio zaino come cuscinetto, come anche qualcuno si leva le scarpe per stare più comodo, ed ecco che la panchina si tramuta rapidamente in un letto a cielo aperto, un giaciglio che ha per tetto il blu e le nuvole e la chioma degli alberi di giorno e la volta stellata di notte.
Ci siede in panchina soprattutto per stare, per fermarsi, per contemplare.
E, quando uno ha imparato a conoscere bene le panchine, anche in assenza di una panchina reale, può sedersi su di una panchina virtuale, costruita nella sua mente.
Oppure può fare riferimento ad una panchina metafisica, la Panchina delle Panchine, per così dire, che racchiuda in sè l'essenza e il concentrato di tutte le panchine del mondo.
E quando si sta seduti su di una panchina sembra di essere in uno spazio diverso e in un tempo più lento di quello degli altri che si affannano e che sono tiranneggiati dalla velocità.
La panchina in un certo senso è il simbolo dello slow time e, nello stesso tempo, può essere utilizzata per intessere l'elogio dell'ozio.
Le panchine, che si ritrovano pressocché identiche dovunque nel mondo e che sono dunque un oggetto "universale", ci ricordano delle nostre origini e ci fanno guardare al nostro passato, al nostro presente, e al nostro futuro in una maniera diversa.
Ci suggeriscono che un modo diverso di vivere è possibile e che si può pur sempre tornare ad una maniera semplice di condurre le nostre vite.
La panchina è uno strumento forte e potente "contro il logorio della vita moderna".
E dunque le panchine vanno protette e rispettate.
Guai a quei barbari che le distruggono, siano essi i vandali improvvisati che scaturiscono dalle febbri alcooliche e drogate del sabato sera, siano i distruttori "legittimi" che si annidano nelle pieghe delle più disparate amministrazioni comunali.
La civiltà d'una nazione si vede dallo stato di salute in cui versano le sue panchine.
Nelle foto (di Maurizio Crispi): panchine di Villa Trabia a Palermo.