I ricordi sono una cosa strana...
E' una cosa strana il modo in cui riemergono, a volte senza nessuna ragione apparente, come quando - camminando su di una spiaggia - ci si imbatte in una conchiglia a lungo sepolta nella sabbia che ad un certo punto è riemersa, ma solo in parte, mostrando di sé solo un bordo dentellato e colorato... E allora tu, attratto da quella macchia di colore, ti chini a raccoglierla e prendi ad esaminarla.
In altri casi, ci sono fatti ed eventi della tua vita quotidiana, non necessariamente eclatanti - piccole cose, per lo più - che ti spingono indietro nel tempo e fanno all'improvviso riaffiorare una cosa dimenticata.
Possiamo affermare che quesata modalità è quella del ricordo "associativo" in un processo in cui ci ritroviamo ad afferrare una traccia che prendiamo a seguire lungo un percorso tortuoso e complesso oppure che tiriamo verso di noi, come il pescatore che dopo aver lanciato la sua rete la trae a sè, ritirandola carica di cose che a volte sono prive di qualsiasi valore utilitaristico, ma ne hanno qualcuno potentemente evocativo.
Freud, a questo riguardo, parlava di una ricerca archeologica, affermando che il lavoro di scavo nei ricordi rimossi è paragonibile quello di un archeologo che, con una paziente attività di scavo e di catalogazione dei reperti va alla ricerca di relique e tracce di civiltà del passato che, poi, si sforza di mettere insieme in un quadro coerente: erano ancora fresche al tempo di Freud le scoperte di Heinrich Schliemann (che avevano dato un fondamento certo alle leggende sulla Guerra di Troia) e quelle dell'inglese Arthur Evans che condusse gli scavi di Cnosso con risultati ancora più strepitosi, discendenti in parte dalla sua spregiudicatezza ricostruttiva.
E proprio dal lavoro degli archeologi del suo tempo Freud trasse la sua metafora del ricordo, avvertendo però che la rimembranza deriva da un compromesso tra decostruzione e ricostruzione.
Quando ricordiamo, in realtà, noi non riesumiamo il passato, ma attivamente lo ricostruiamo. In terapia, poi, procedendo alla demolizione dei meccanismi di difesa e alla cancellazione degli effetti della rimozione, riemerge un passato che non più quello "vero", ma semplicemente un passato "verosimile" ed "accettabile" alla luce del presente. Ma, tornando alla vita ordinaria (quella che si svolge al di fuori di un contesto terapeutico) quando riesumiamo un ricordo (il più delle volte per i motivi accidentali sopraesposti), gli forniamo una nuova veste, di frequente più elaborata, in un certo senso lo ri-raccontiamo e ciò che recuperiamo non è più la stessa cosa di allora, è arricchito (o appesantito, a seconda dei casi) da una serie di successive incrostazioni, come la chiglia di una nave rimasta a lungo sommersa dopo il naufragio è ricoperta da incrostazioni di flora e fauna marina e per questo pulsante di vita.
I ricordi sono il frutto di successive costruzioni e decostruzioni che si snodano in un processo infinito, che pocede seguendo un percorso a spirale: man mano che cresciamo (o invecchiamo, a seconda del punto di vista) ritorniamo a trovarci in corrispondenza con un punto precedente del nostro percorso esistenziale, ma ad un livello superiore della spirale che è la nostra vita: e, quindi, quel particolare ricordo verrà rivissuto o ri-raccontato alla luce di nuove acquisizioni.
Non mi sono mai esercitato invece nella tecnica del ricordare, basata sulla compilazione di "liste di cose": una tecnica lanciata da George Perec in un suo citatissimo volume (La vita: istruzioni per l'uso, 1978), e citata in un racconto di Gianrico Carofiglio che mi è recentemente capitato di leggere.
"...il modo migliore per raccogliere i ricordi, per non disperderli, sono le liste. Ogni lista deve avere un titolo - che ne so: titoli delle canzoni che ballavamo alle feste di quarto ginnasio, oppure i dolciumi dell'infanzia. Ogni voce della lista deve essere di pochissime parole. Se è una sola è meglio", afferma la protagonista del racconto "La velocità dell'angelo" di Carofiglio (in AA. VV, Cocaina, Einaudi, 2013, pp. 88-89). E le pagine seguenti sono un'esemplificazione pratica del metodo delle liste come strumento del ricordo e del processo che ci riporta ad essere padroni del nostro passato, mettendoci in condizione di poterlo raccontare.
E' come se, con le liste, si creassero degli insiemi di ricordi omogenei, ma anche qui, persino quando il compito sembra ingrato se non impossibile, quando si intercetta la prima voce della lista, questa fa da volano propulsore ed aiuta a "ripescare" altre voci simili, sino a dare al "compilatore" un senso di pace ed appagamento.
Un requisito fondamentale delle liste è che siano altamente specifiche e non generiche.
Io preferisco di gran lunga il ricordo associativo: è per molto più fascinosa la possibilità di sperimentare la "meraviglia" dell'improvviso ritrovamento di ciò che era stato dimenticato o, sin da subito, sepolto.
La "tecnica delle liste", invece, appaga maggiormente coloro che hanno l'ansia di poter dimenticare o che sono assillati dalla mancanza di un completo controllo su ciò che hanno fatto negli trascorsi della propria vita.