(Elena Cifali) Oggi giorno alle tre del pomeriggio esco da casa per andare a lavorare.
Ogni giorno da 14 anni percorro la stessa strada.
Ogni giorno il mio sguardo si posa su quelle aiuole così diverse dalle altre.
Due aiuole fiorite 365 giorni l’anno, oasi felici tra il degrado cittadino, due luoghi curati nei dettagli, puliti, ordinati in maniera quasi maniacale.
A prendersi cura di questi luoghi non sono i “Comuni” di appartenenza, ma dei “comuni” cittadini.
Cittadini modello si potrebbe dire, cittadini diversi, dico io.
La prima aiuola si trova lungo la strada che porta da Nicolosi a Mascalcia. Un piccolo spicchio di marciapiede dove al centro c’è un bell’albero sempreverde. Attaccato al tronco dell’albero la foto di un giovane, un ragazzo morto a 17 anni: Emanuele Vitale.
Quasi 5 anni fa, quando morì Emanuele, figlio di una nota famiglia, l’eco della notizia si sentì per tutta Nicolosi, fu lutto cittadino e tutti ci sentimmo coinvolti e avvolti da questo dolore che faceva tremare e gonfiore il cuore.
Il Duomo gremito di persone tanto che il parroco fu costretto a celebrare il funerale sul sagrato per dare l’opportunità a tutti di partecipare e salutare lo sfortunato ragazzo.
Era un giorno di novembre, Emanuele era in ritardo per andare a scuola e decise di usare il motoscooter per far prima. Forse abbagliato dal sole basso novembrino, si schiantò contro un palo della luce: oltre a perdere il controllo del suo mezzo, perse anche la vita.
I suo genitori, dilaniati dal dolore ogni giorno, da quell'infausto evento, portano fiori freschi in quel luogo. Quel luogo é ormai diventato la dimora dell’anima di Emanuele (così mi piace pensare che sia).
E’ terribile pensare di sopravvivere ai propri figli, ma la morte a volte è capricciosa e, prendendosi i figli, li deruba della loro eredità vivente.
A loro non resta che il dolce navigare nei ricordi degli anni vissuti col loro bambino e quella piccola aiuola. La mamma, una donna ancora giovane, si regge in piedi aiutata dalle stampelle e, insieme al marito e padre, veste i panni neri del lutto, un nero spezzato solo dagli sgargianti colori dei fiori.
Qualche chilometro più giù, scendendo dalla montagna verso il mare, al centro della barocca Catania una piazzetta con tante aiuole e panchine. Tutto è lindo, tutto è pulito.
A prendersi cura di questo luogo c'è un uomo anziano. Un uomo con barba e capelli lunghi, grigi come l’argento. Lo vedo tutti i giorni inginocchiato davanti alla grande statua di Padre Pio, dove prega, rivolgendo gli occhi agli occhi del Santo, con le braccia levate in cielo.
Sempre gli stessi gesti, tutti i giorni, tutti i santi giorni. Annaffia, pota, cura, spazza, spolvera le panchine. Sembrerebbero gesti maniacali ed invece hanno un loro perché.
Non saprei dire chi sia quest’uomo e quale sia la sua storia.
I genitori di Emanuele e quest’uomo – che, nel corso degli anni, ho soprannominato il “nonno grigio”- si sono ricavati un motivo per vivere, o forse per sopravvivere al dolore.
Nelle infinite forme di vita che si possono perseguire, c’è chi ha scelto, a torto o a ragione, di vivere pensando che, in un certo luogo, viva ancora la persona che si ama e poco importa se si tratta di un figlio divenuto angelo o di un prete divenuto Santo.