Ogni volta che vedevo Monte Cuccio con la sua singolare cima puntuta, la mia fantasia si infiammava sempre...
E dicevo sempre: "Mamma, mamma, guarda c'è il vulcano".
E la mamma: "Maurizietto, ma quello non è un vulcano, è solo una montagna che finisce a punta..."
Ed io, alla volta successiva: "Mamma, Mamma, come che da quel vulcano non esce il fumo?"
E la mamma: "Maurizietto, ma ti ho già detto mille volte che quella montagna non è vulcano, ma soltanto una montagna che finisce a punta".
Ma era una storia infinita.
Dialoghi come questo si ripetevano con una notevole frequenza: probabilmente, dal punto di vista di mia madre, sino allo sfinimento.
E mi piaceva davvero tanto pensare che avessimo un vulcano proprio alle porte di casa.
E me l'immaginavo che sbuffava fumo e che zampillava di fiamme, lava e lapilli incadescenti.
Lo collocavo perfettamente nei miei scenari mentali fatti di geografi avventurosi e di intrepidi eroi che si scontravano con le forze della Natura o che dovevano prevalere sulle sfide da un ambiente selvaggio e orrifico.
Poi, il tempo di Monte Cuccio, visto come vulcano, passò, come passano tante cose che fanno parte dell'archeologia del nostro sapere.
E arrivai anche sulla cima di quel monte, la prima volta assieme a mio padre: e quella volta ebbi la prova inconfutabile che non si trattava di un vulcano, nemmeno di un vulcano spento da millenni: vidi con i miei occhi che, sulla cima, non c'era traccia alcuna di un antico cratere.
E così la forza della Ragione spazzò via gli ultimi residui del mio immaginario avventuroso.
Eppure...
Quando ogni tanto guardo il monte che ormai l'inconfondibile marchio della skyline dei monti che contornano l'ex-Conca d'Oro che assediava con sterminati campi di agrumi con i loro frutti gialli e arancione la città storica, mi ritrovo a pensare con una certa nostalgia a quando immaginavo che Monte Cuccio fosse un vulcano ancora in attività.
E spesso è proprio l'immaginazione l'attività che riempe di condimento la nostra vita...