Quando andavo a scuola - prima all'Asilo e poi alle Elementari - era di prammatica indossare il "grembiule", a volte nero, a volte azzurro, qualche volta ingentilito da un fiocchetto bianco che pendeva dal colletto.
Non ci chiedevamo perchè o percome, né questa richiesta della Direzione scolastica veniva messa in discussione dai genitori.
Era una cosa che si doveva fare e basta.
Ma, in definitiva, era un dispositivo comodo e funzionale (non che ne caldeggi l'uso ora, ovviamente)
Il grembiule proteggeva i vestiti dal logoramento e dalle inevitabili macchie: in fondo, andare a scuola era il nostro lavoro e quella era - a tutti gli effetti - una divisa da lavoro. Ma c'è anche da dire che quelli erano gli anni del dopoguerra: ed eravamo tutti ben più poveri di adesso.Ma - in quel grembiule deamicisiano - c'era anche un altro significato più profondo che introduceva un elemento di democraticità e di condivisione dello stesso ambiente senza divisioni in classi di censo, poichè - come ogni uniforme - rendeva tutti eguali ed impediva che ciascuno esibisse gli indumenti e i relativi orpelli del proprio status sociale.
Poi, con il passare del tempo, l'usanza del grembiule in classe divenne obsoleta e nessuno lo indossò più (anche se, sporadicamente, in alcune scuole elementari, alcune maestre lo richiedono con il supporto della Direzione didattica): non fu tanto perchè lo rifiutarono gli alunni che, senza condizionamenti esterni, sarebbero portati ad uniformarsi ad una regola data da una fonte autorevole, ma perché furono i genitori a volerlo rlegare nella soffitta d'una scuola arcaica e post-risorgimentale, ritenedolo penitenziale e affliggente. Ma, in realtà, nella società affluente del boom economico era divenuto un'inutile gramaglia, soprattutto agli occhi delle mamme che, narcisisiste e vanitose, vogliono mandare il loro bambinetto a scuola vestito come un "pupiddo".
Quando mio figlio Francesco era piccolo e cominciò a frequentare le Elementari, ci fu un tentativo da parte del Direttore didattico e delle maestre della sua scuola di riportare quest'usanza in auge, anche se in una forma diversa.
Le maestre, infatti, in una riunione con i genitori, proprosero che i bambini venissero mandati a scuola, indossando una tuta sportiva che doveva però essere eguale per tutti.
La proposta mi piacque, ma il mio rimase un rapporto di minoranza contro la schiacciante levata di scudi di tutte le altre mamme presenti.
"No, no, no e poi no" - girdarono tutte assieme, capricciosamente ed impetuosamente.
Naturalmente, non se ne fece nulla.
Correttamente, le maestre addussero due ordini di fattori, a corroborare la loro proposta. Il primo era quello di garantire gli abiti normali da un eccessivo logoramento ("Non tutti i genitori possono consentirsi di spender eper acquistare dei vestiti buoni per la scuola"). Il secondo (prioritario) era quello di fare in modo che si appiattissero le differenze di status sociale tra i diversi alunni. creando un'atmosfera paritaria e evitando, nello stesso tempo, di stimolare forme inopportune di competitività oppure di suscitare nei meno abbienti neo-bisogni e desideri frustranti.
Qui, in Gran Bretagna, sembra ancora una volta di essere in un altro mondo.
In tutte le scuole di ogni ordine e grado, si indossa un'uniforme scolastica. E si badi, non è un'uniforme standard per tutte le scuole, ma ogni istituto ha la sua, con un'ampia gamma di indumenti che sono d'obbligo, identici sia nella fattura sia nei colori (pe finire con il badge esclusivo della Scuola)..
Indossare l'uniforme, fornisce agli studenti di quella scuola un forte senso di appartenenza ad una comunità e, nello stesso tempo, evita che attraverso il vestiario, utilizzato come Status Symbol, si possano creare soverchianti differenze tra compagni di una stessa classe o dello stesso istituto.
E ciò si applica anche nel caso che gli alunni utilizzino gli abiti tradizionali della propria etnia: in questi casi, viene richiesto il rispetto di certi colori che sono quelli dell'Istituto frequentato (vedi la foto di un gruppo di alunne musulmane che è stata ripresa all'uscita da una scuola nell'East End londinese).
Nessuno fiata per quest'obbligo: un obbligo che, a differenza di quanto accade in Italia (in questo caso, come in molte altre circostanze), non è negoziabile. Si deve fare così e basta.
La ratio dell'uniforme rimane identica alle motivazione addotte dalle maestre della scula elementare di mio figlio, quando chiedevano che i bambini utilizzassero una tuta sportiva eguale per tutti.Ma qui, in Gran Bretagna, c'è un elemento in più che incrementa la motivazione ad accettare l'uniforme, oltre al già citato senso di appartenenza ad una comunità specifica: e si tratta della modestia.
In tutti i modi, qui in Gran Bretagna, si cerca di insegnare a vivere in relazione agli altri in modo sommesso, senza mai sopravanzarli e senza mai creare disagio con un atteggiamento ridondante e troppo espansivo.
Alcuni locali pubblici, da questo punto di vista, invitano ala "modestia" nell'abbigliamento, per evitare che altri avventori possano sentirsi a disagio.
La modestia diventa così un pilone fondante del senso della comunità e del rispetto verso gli altri.
Nella foto in alto: Alunne musulmane all'uscita da scuola dell'East End londinese: scelte obbligatoire nei colori e nei capi d'abbigliamento da adottare, pur nel rispetto della diversità etnica.