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1 marzo 2014 6 01 /03 /marzo /2014 08:04

Modestia britannica

 

Quando andavo a scuola - prima all'Asilo e poi alle Elementari - era di prammatica indossare il "grembiule", a volte nero, a volte azzurro, qualche volta ingentilito da un fiocchetto bianco che pendeva dal colletto.

Non ci chiedevamo perchè o percome, né questa richiesta della Direzione scolastica veniva messa in discussione dai genitori.

Era una cosa che si doveva fare e basta.

Ma, in definitiva, era un dispositivo comodo e funzionale (non che ne caldeggi l'uso ora, ovviamente)

Il grembiule proteggeva i vestiti dal logoramento e dalle inevitabili macchie: in fondo, andare a scuola era il nostro lavoro e quella era - a tutti gli effetti - una divisa da lavoro. Ma c'è anche da dire che quelli erano gli anni del dopoguerra: ed eravamo tutti ben più poveri di adesso.Ma - in quel grembiule deamicisiano - c'era anche un altro significato più profondo che introduceva un elemento di democraticità e di condivisione dello stesso ambiente senza divisioni in classi di censo, poichè - come ogni uniforme - rendeva tutti eguali ed impediva che ciascuno esibisse gli indumenti e i relativi orpelli del proprio status sociale.

 

Poi, con il passare del tempo, l'usanza del grembiule in classe divenne obsoleta e nessuno lo indossò più (anche se, sporadicamente, in alcune scuole elementari, alcune maestre lo richiedono con il supporto della Direzione didattica): non fu tanto perchè lo rifiutarono gli alunni che, senza condizionamenti esterni, sarebbero portati ad uniformarsi ad una regola data da una fonte autorevole, ma perché furono i genitori a volerlo rlegare nella soffitta d'una scuola arcaica e post-risorgimentale, ritenedolo penitenziale e affliggente. Ma, in realtà, nella società affluente del boom economico era divenuto un'inutile gramaglia, soprattutto agli occhi delle mamme che, narcisisiste e vanitose, vogliono mandare il loro bambinetto a scuola vestito come un "pupiddo".

 

Quando mio figlio Francesco era piccolo e cominciò a frequentare le Elementari, ci fu un tentativo da parte del Direttore didattico e delle maestre della sua scuola di riportare quest'usanza in auge, anche se in una forma diversa.

Le maestre, infatti, in una riunione con i genitori, proprosero che i bambini venissero mandati a scuola, indossando una tuta sportiva che doveva però essere eguale per tutti.

La proposta mi piacque, ma il mio rimase un rapporto di minoranza contro la schiacciante levata di scudi di tutte le altre mamme presenti.

 

"No, no, no e poi no" - girdarono tutte assieme, capricciosamente ed impetuosamente.

Naturalmente, non se ne fece nulla.

Correttamente, le maestre addussero due ordini di fattori, a corroborare la loro proposta. Il primo era quello di garantire gli abiti normali da un eccessivo logoramento ("Non tutti i genitori possono consentirsi di spender eper acquistare dei vestiti buoni per la scuola"). Il secondo (prioritario) era quello di fare in modo che si appiattissero le differenze di status sociale tra i diversi alunni. creando un'atmosfera paritaria e evitando, nello stesso tempo, di stimolare forme inopportune di competitività oppure di suscitare nei meno abbienti neo-bisogni e desideri frustranti.

 

Qui, in Gran Bretagna, sembra ancora una volta di essere in un altro mondo.

In tutte le scuole di ogni ordine e grado, si indossa un'uniforme scolastica. E si badi, non è un'uniforme standard per tutte le scuole, ma ogni istituto ha la sua, con un'ampia gamma di indumenti che sono d'obbligo, identici sia nella fattura sia nei colori (pe finire con il badge esclusivo della Scuola)..

Indossare l'uniforme, fornisce agli studenti di quella scuola un forte senso di appartenenza ad una comunità e, nello stesso tempo, evita che attraverso il vestiario, utilizzato come Status Symbol, si possano creare soverchianti differenze tra compagni di una stessa classe o dello stesso istituto.

 

E ciò si applica anche nel caso che gli alunni utilizzino gli abiti tradizionali della propria etnia: in questi casi, viene richiesto il rispetto di certi colori che sono quelli dell'Istituto frequentato (vedi la foto di un gruppo di alunne musulmane che è stata ripresa all'uscita da una scuola nell'East End londinese).

 

Nessuno fiata per quest'obbligo: un obbligo che, a differenza di quanto accade in Italia (in questo caso, come in molte altre circostanze), non è negoziabile. Si deve fare così e basta.

 

La ratio dell'uniforme rimane identica alle motivazione addotte dalle maestre della scula elementare di mio figlio, quando chiedevano che i bambini utilizzassero una tuta sportiva eguale per tutti.Ma qui, in Gran Bretagna, c'è un elemento in più che incrementa la motivazione ad accettare l'uniforme, oltre al già citato senso di appartenenza ad una comunità specifica: e si tratta della modestia.

In tutti i modi, qui in Gran Bretagna, si cerca di insegnare a vivere in relazione agli altri in modo sommesso, senza mai sopravanzarli e senza mai creare disagio con un atteggiamento ridondante e troppo espansivo.

 

Alcuni locali pubblici, da questo punto di vista, invitano ala "modestia" nell'abbigliamento, per evitare che altri avventori possano sentirsi a disagio.

 

La modestia diventa così un pilone fondante del senso della comunità e del rispetto verso gli altri. 

 

Modestia britannica

 

"Apprezzeremmo molto se i nostri clienti indossassero abiti modesti per evitare di ferire la sensibilità degli altri" - così recita la seconda frase di un cartello esposto all'esterno di un coffeshop nell'East End Londinese (Commercial Road), dove si fa anche book exchange.

 

 

 

Nella foto in alto: Alunne musulmane all'uscita da scuola dell'East End londinese: scelte obbligatoire nei colori e nei capi d'abbigliamento da adottare, pur nel rispetto della diversità etnica.

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commenti

N
sono sempre stata contraria al grembiule come camuffamento dello status sociale di appartenenza, non credo che le differenze sociali si possano nascondere con un grembiule o una tuta e non lo trovo<br /> neanche giusto. Io insegno ai miei alunni a non esibire/esibirsi, a rispettare ogni tipo di status e nel contempo a lottare per eliminare le differenze di status nella società. Oggi la situazione è<br /> diversa da quella dei nostri tempi, un abito dignitoso si compra anche al mercatino senza andare in rovina e non esistono più, per esempio, le differenze estetiche che permettevano, quando eravamo<br /> studenti noi, di distinguere con un'occhiata i ragazzi di città da quelli "di paese". Le differenze di oggi, purtroppo sono più profonde. Dicono i miei alunni che, viaggiando in corriera o in<br /> metro, si distinguono gli studenti dei licei da quelli dei tecnici e professionali, per i temi di cui discutono, per il tono di voce, per l'uso dell'italiano o del dialetto… cominciano a capire la<br /> sorte a cui la società li destina: i "colti" al comando e gli "acculturati" alla manovalanza. Ed è su questa consapevolezza che faccio leva per spingerli a ribellarsi, studiando e diventando<br /> critici e consapevoli. Il vestito è secondario, io lascio libertà di esprimere la propria personalità anche attraverso l'abbigliamento…se le studentesse musulmane sono libere di venire a scuola<br /> velate, allora mi sembra giusto che quelle di origine africana possano portare le loro complicatissime acconciature di treccine e perline, che le dark vengano tutte in nero e così via...
Rispondi
M
<br /> <br /> <br /> Tu - assieme ad altre poche insegnanti - sei una delle eccezioni in un sistema scolastico - quello italiano che, a mio modo di vedere (come osservatore<br /> esterno che ha visto transitare un figlio nei diversi passaggi del sistema scolastico italiano - , è sempre più becero. E' una fortuna che ci siano persone come<br /> te, come mia madre ai suoi tempi cercava di insegnare, trasmettendo nello stesso tempo alle sue allieve strumenti per affrontare la vita.<br /> In Gran Bretagna, è così. Il sistema educativo inglese nelle scuole pubbliche si fonda su questo principio: insegnare nozioni, ma soprattutto educare cittadini e prepararli ad affrontare la<br /> vita, avendo molto alto il principio del rispetto della comunità in cui sono inserito e del rispetto degli altri. <br /> E, in un contesto più ampio, l''uniforme scolastica, ha un senso.<br /> In Italia, sarebbe soltanto vuota apparenza.<br /> <br /> <br /> <br />
A
Maurizio: condivido completamente tutte le considerazioni che hai svolto. Desidero, tuttavia, segnalarti che "modest" riferito agli abiti ha un significato diverso, che può essere tradotto con<br /> "sobrio, appropriato, decoroso", fino ad arrivare a sfumature più rigide come "decente, castigato". In pratica, "modest clothing" è un vestiario "non vistoso", "tale da non generare attenzione".
Rispondi
M
<br /> <br /> <br /> Sì, lo so, ma ho volutamente stressato maggiormente il riferimento denotativo alla "sobrietà", per sviluppare meglio la mia riflessione... e, anche se vogliamo, alla<br /> "decorosità"... <br /> Al tempo in cui ancora lavoravo, nella stessa strada dove si affacciava<br /> il mio ufficio dell'Azienda sanitaria incidevano ben tre Scuole superiori: non puoi immaginare quello che si vedeva nell'intervallo tra lezioni o all'uscita, in termini di abbigliamento, tutto<br /> fuorché sobrio o decoroso, spesso da parte delle ragazze anche avulso da qualsiasi forma di sana autocritica. <br /> Indossare un'uniforme, ti insegna anche a sapere che per ogni circostanza occorre indossare un abito appropriato e che, per ogni abito che indossi, il tuo corpo devo adottare il portamento<br /> idoneo. <br /> E, quindi, anche attraverso quella che, ad un occhio superficiale, potrebbe apparire come una anacronistica forzatura, si forgiano il corpo e la mente e si attivano delle forme di<br /> apprendimento che, in seguito nella vita, potranno tornare utili..<br /> Sembra che da noi il laissez faire delle scuole sia fatto apposta per far crescere i giovani virgulti come consumatori, succubi di un mercato sempre più invadenti e "buona maestra<br /> televisione", mentre in altri paesi come la GB si mantiene fermo il punto che la scuola debba sostanzialmente "educare" e non limitarsi a fornire dei pezzi di carta al termine di un percorso<br /> povero di contenuti educativi significativi.<br /> <br /> <br /> <br />

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Come sono arrivato qui

DSC04695.jpegQuesta pagina è la nuova casa di due blog che alimentavo separatamente. E che erano rispettivamente: Frammenti. Appunti e pensieri sparsi da un diario di bordo e Pensieri sparsi. Riflessioni su temi vari, racconti e piccoli testi senza pretese.

Era diventato davvero troppo dispendioso in termini di tempi richiesti alimentarli entrambi, anche perchè nati per caso, mentre armeggiavo - ancora alle prime armi - per creare un blog, me li ero ritrovati ambedue, benchè la mia idea originaria fosse stata quella di averne uno solo. Infatti, non a caso, le loro intestazioni erano abbastanza simili: creatone uno - non ricordo quale dei due per primo - lo ho "perso" (per quanto strano ciò possa sembrare) e mi diedi alacremente da fare per ricrearne uno nuovo. Qualche tempo - nel frattempo ero divenuto più bravino - il blog perso me lo ritrovai).

Ohibò! - dissi a me stesso - E ora cosa ne faccio?

La risposta più logica sarebbe stata: Disattiviamolo!. E invece...

Mi dissi: li tengo tutti e due. E così feci. E' stato bello finchè è durato...

Ma giocare su due tavoli - e sempre con la stessa effcienza - è molto complicato, ancora di più quando i tavoli diventano tre e poi quattro e via discorrendo....

Con overblog ho trovato una "casa" che mi sembra sicuramente più soddisfacente e così, dopo molte esitazioni, mi sono deciso a fare il grande passo del trasloco, non senza un certo dispiacere, perchè il cambiamento induce sempre un po' di malinconia e qualche nostalgia.

E quindi ora eccomi qua.

E quello che ho fatto - ciò mi consola molto - rimane là e chiunque se ha la curiosità può andare a dargli un'occhiata.

 

Seguendo il link potete leggere il mio curriculum.

 

 


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