La nostalgia è un sentimento che scaturisce dalla consapevolezza (a volte chiara e netta, a volte oscura ed indefinibile) della mancanza di qualcosa che non c'è più a cui si vorrebbe tornare, ma è anche il desiderio struggente di ciò che si vorrebbe raggiungere senza riuscirci...
Ma, in entrambi i casi, la matrice comune è il sentimento della mancanza, in definitiva, di qualcosa che abbiamo conosciuto bene in una fase precoce della nostra vita e a cui, sempre, nel tempo che ci è dato vivere, vorremmo potere ritornare.
"Nostos", del resto, sta a significare nella lingua greca "ritorno", mentre l'etimo della seconda parte della parte è "Algos", vale a dire "dolore", "sofferenza". Quindi, "nostalgia" è dolore per il ritorno.
Ma il ritorno dove?
Se si pensa alle peripezie avventurose di Odisseo, la sua nostalgia profonda è per la patria, la moglie e il figlio, per il suo cane Argo, per le sue terre, per la sua camera nuziale edificata attorno ad un enorme ceppo di ulivo, trasformato in talamo.
Quindi, la matrice più profonda della nostalgia è rappresentata dalla "patria" che è, in definitiva, la base più profonda della nostra identità, ma anche la fucina in cui si sono forgiati i nostri affetti e il nostro sentire: patria intesa come luogo natio, come terra d'origine in cui sono le nostre radici, ma anche come rapporto forte ed indelebile con il corpo materno, quello da cui siamo usciti nel mondo e che ci ha forgiato alla vita.
La nostalgia omerica nell'Odissea è tutto questo, ma - con la stessa matrice - è anche il dolore per tutto ciò che Ulisse non ha ancora conosciuto e che egli vorrebbe incontrare...
Cosicchè le due specie di nostalgia operano dentro di lui, lacerandolo: vive le sue scoperte e i suoi nuovi incontri, con lo stesso spirito con cui tornerebbe nella nativa Itaca, se potesse.
Ciò conferisce alle sue avventure il gusto dolceamaro della malinconia (stato d'animo che, per alcuni versi, consente una conoscenza pensosa e profonda delle cose, molta centrata sul sentire).
Dopo diversi mesi (forse, addirittura, più di un anno) sono tornato con mio fratello alla casetta vicino al mare, per risolvere un problema tecnico.
La casa era asciutta e pulita, malgrado la non frequentazione, ma il giardino (a cui in altri periodi della mia vita ho lavorato assiduamente) mi è apparso incolto.
Alcuni alberi li ho trovati morti, corrosi dalla salsedine, altri avrebbero bisogno di un'energica potatura.
Le aiuole dovrebbero essere zappate e ripulite dalle erbe infestanti, le foglie secche rimosse.
Tanto lavoro da fare: ma su quello non c'è probema...
Ci si rimboccano le maniche e si fa ciò che deve essere fatto...
Piuttosto, in modo prepotente, sono stato sommerso dalla malinconia, cioè dalla "nostalgia": una sensazione traboccante come un liquido che fuoriesce da una coppa troppo piena ...
Perchè è accaduto questo?
Per essere ritornato in un luogo che, nelle varie vicissitudini della mia vita, da solo, con le mie compagne, con mio figlio, con mia madre e mio fratello ho frequentato assiduamente per diversi decenni della mia vita... Tante immagini si sono succedute nella mia mente: ho collocato ai loro posti i fantasmi di chi non è più e gli avatar di chi vive e li ho mescolati tutti assieme, facendoli interagire, come accadeva in passato... Mi sono ricordato di momenti tristi e di momenti belli, di fasi di acuto entusiasmo e di profonda disperazione...
Ho ricordato i miei cani che tutti si sono succeduti all'interno di questo giardino e di uno di loro (una femmina di pastore tedesco il cui nome era Zeudi) di cui io stesso scavai la fossa ai piedi di quel muretto a secco, ora tutto ricoperto dalla crescita selvaggia delle piante infestanti.
E questo mentre la mia cagnetta Frida scondizolava e saltava eccitata da un'aiuola all'altra...
Mi sono ricordato dei momenti di silenzio e delle chiacchiere.
Di altri periodi in cui sentivo dentro di me un vuoto profondo e di altri in cui sperimentavo - forte ed intensa - la nostalgia per ciò che non avevo, ma anche dei momenti di soddifazione e appagamento, in cui mi pareva di aver toccato il cielo con un dito.
Ma, soprattutto, mi hanno colpito il silenzio profondo interrotto soltanto dalle strida dei gabbiani che volteggiavano in alto oltre la cresta del monte incombente e dal picchiettare della pioggia sul tetto.
Anche loro afflitti dalla solitudine e dalla nostalgia di qualche luogo, forse.
Mi ha colpito l'uggiosità del giorno, con quei continui rovesci di pioggia e nevischio, il freddo stizzoso, le montagne lontane insolitamente rivestite di neve, ma anche quell'improvviso squarcio tra le nubi da cui si è visto arrivare - come una benedizione - un frammento di raggio sole.
Ecco, la nostalgia ci fa stare sospesi, quasi in bilico, tra il passato (di gioie e di dolori, ma sempre il nostro passato) e il futuro che ancora non conosciamo e che ci aspetta con le sue incertezze...
La nostalgia, obbligandoci a tenere uno sguardo (come quello di Giano bifronte) proiettato in entrambe le direzioni ci fa andare avanti, costringendoci a non perdere il contatto con ciò che siamo stati (e con i luoghi da cui veniamo) e obbligandoci sempre a cercare in ciò che ci attende qualcosa che ci sia familiare e congeniale...
Nello scarto, si aprono immensi spazi di conoscenza e possibilità di incontri con il novum che ci possa fare meravigliare e gioire ancora una volta.
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