I romanzi e le fiction letterarie sono sempre in qualche modo il risultato di un furto.
Quante volte capita che i romanzieri, grandi collettori di storie, dopo aver sentito sentono la narrazione orale di una storia, decidono di appropriarsene per farne l'idea portante di un loro libro? Tantissime.
Quanti sono gli autori che utilizzano materiali altrui senza citare le fonti? Tantissimi.
Qualche volte ciò traspare velatamente nella pagina finale dei "Ringraziamenti".
Ma il più delle volte la parte più corposa di ciò che è stato incamerato del materiale originale di altri viene spacciata per farina del proprio sacco.
E nessuno verrà mai a saperlo.
Come anche è risaputo che molti scrittori di grido e autori di best seller utilizzino spesso per la parte più faticosa del lavoro l'opera di ghost writer o "negri" che rimarranno sempre nell'ombra e che, a volte, sono enormemente talentuosi.
Quanti sono i registi che, abilmente e con opportuni mascheramenti sono capaci di importare nel loro film un'idea di qualcun altro che sia stata già espressa in un romanzo o in un saggio, ma in maniera tale da non dovere impegnarsi al riconoscimento di costosi diritti d'autore?
Il furto di un romanzo fa parte della più ampia categoria del "furto" o "appropriazione indebita" di opere dell'intelletto e dell'ingegno altrui, una figura "penale" ampiamente trattata nella giurisprudenza cui spetta la definizione di "plagio" (non nell'accezione di influenzamento di una mente più debole, però).
Il "plagio" può riguardare qualsiasi opera dell'intelletto ed è considerato un reato particolarmente odioso: specie nella letteratura, poichè chi ruba un'opera altrui si appropria anche di tutto ciò che ha portato a quel costrutto particolare, soltanto che non avendo vissuto gli stessi identici percorsi di vita, in seguito - quando a causa di quell'opera diventerà un personaggio pubblico - potrà soltanto scimmiottarli, esibendo in una qualche misura una falsa identità, visto che - in qualche modo - la scrittura creativa é lo specchio dell'anima.
Oppure, come alternativa dovrà chiudersi in un cupo ermetismo comunicativo.
Su questo tema, vorrei ricordare - nell'ambito della narrativa - il magistrale "Notizie sull'autore" di John Colapinto (Ponte alle grazie, 2002) e naturalmente l'inossidabile (e geniale) romanzo breve di Stephen King, Finestra segreta, giardino segreto (Secret Windows) contenuto nell'antologia "Quattro dopo mezzanotte" e trasposto con maestria in un film omonimo (David Koepp, 2004, con la bella interpretazione di Johnny Depp nella parte dello scrittore, alle prese con un insormontabile writing block e in preda ad una crisi esistenziale che sfocia nel delirio).
Il furto di un'opera altrui, come illustrano i due romanzi citati può avvenire nel caso di scrittori che non riescono a far decollare la propria carriera (Colapinto) o di scrittori che hanno prodotto e che sono ora alle prese con una blocco di scrittura (King) e che, magari, nonsono mai stati autentici scrittori perchè all'inizio della loro carriera hanno "rubato" l'ispirazione di qualcun altro.
Rubare in questo caso, significa appropriarsi un maniera irrevocabile di qualcosa della vita dell'altro: e per questo tipo di furto non c'è risarcimento possibile.
E' come con il doping: se qualcuno vince una gara sportiva dopandosi, ruba il merito a chi è arrivato dopo di lui/lei.
Se la frode sportiva viene sventata, il titolo va di diritto a chi era stato spodestato con l'inganno. Ma il danno morale, non lo pagherà più nessuno. Che merito c'è a salire d'ufficio ex-post su di un podio internazionale solo perchè il primo classificato viene riconosciuto come "dopato". E tutto ciò che si è perso chi lo potrà mai restituire?
Il plagio di un'opera letteraria già pubblicata, oppure l'appropriazione e l'intestazione a sé di un'opera altrui ancora non pubblicata rappresentano - nel campo della letteratura - dei fatti particolarmente odiosi, per i quali non esistono risarcimento o azione di emendamento del guasto arrecato possibili.
L'idea del film The Words (USA, 2012), uscito proprio in questi giorni nelle sale cinematografiche, è sostanzialmente buona, supportata da due attori rilevanti come Jeremy Iron, l'"uomo vecchio", e Dennis Quaid, nella parte dello scrittore Clay Hammonds che, in un reading letterario racconta - con il supporto di brani selezionati - ad una folta platea di uditori il suo romanzo di successo "The Words" in cui ha sviluppato la storia di Rory Jansen, uno scrittore esordiente che balza al top del successo con una scrittura narrativa, ricavata dal dattiloscritto del romanzo perso a suo tempo dal suo vero autore). Negli intervalli del suo reading, Clay Hammond viene interrogato da una sua ammiratrice (nel contempo anche ricercatrice) sul senso della sua scrittura, senza riuscire a dare delle risposte esaurienti e definitive, poichè ciò che l'ha mosso è stato soltanto il cinismo di voler scrivere un rmanzo di successo.
La trama - supportata da una buona idea che è quella di porre la creatività della scrittura come un incastro labirintico di scatole cinesi - perde di incisività e s'impantana in una lentezza esasperante, tuttavia, con una diluizione degli interrogativi che vorrebbe lanciare su quale senso abbiano la scrittura e lo scrivere, quando non si è capaci di sperimentare il dolore e la sofferenza di ciò di cui si scrive, ponendo il problema di base che l'unica scrittura veramente incisiva possa essere soltanto quella autobiografica che si fondi su esperienze di gioie e di dolori autentici, vissute ed incise profondamente sulla propria pelle e nel proprio animo e quando possiede nella sua genesi un significato catartico-rievocativo delle gioie e dei dolori sperimentati.
Tuttavia, benche le tematiche trattate siano complesse ed articolate, suggerendo un'intensa riflessione sul tema della scrittura e sul suo senso, lo spettatore comune esce dalla sala cinematografica - a fine proiezione - avvertendo che gli è sfuggito qualcosa oppure sentendo che il percorso narrativo da qualche parte si sia irrevocabilmente inceppato, al punto da far apparire alquanto scialba anche l'interpretazione dei due attori di maggiore rilievo presenti nel cast.
(da www.mymovies.it) The Words (USA, 2012). Clay Hammond (Dennis Quaid) è un celebre scrittore corteggiato da una seducente dottoranda che vorrebbe carpire la verità dentro e dietro il suo romanzo. Avvicinato durante una lettura pubblica, Clay si limita a confessare i primi capitoli del libro introducendo la vita del suo personaggio: Rory Jansen (Bradley Cooper), che si sogna scrittore e sogna il libro della vita, libro che arriverà dentro una vecchia ventiquattrore e non attraverso un'ispirazione. Pubblicato e raggiunto il successo a colpi di premi letterari, Rory viene seguito e poi ammonito da un vecchio signore (Jeremy Iron) che rivendica la paternità del libro e la storia della sua vita. Scoperto, Rory proverà a rimediare e poi a convivere con la menzogna e i propri limiti. A non riuscirci sarà la giovane moglie a cui lo scrittore, alla maniera del suo creatore, ha mentito. Perché Rory è probabilmente una proiezione di Clay e Clay il prosatore di se stesso.
The Words, film d'esordio degli sceneggiatori Brian Klugman e Lee Sternthal, è un dramma intrigante intorno al tema della narrazione, una riflessione sull'arte di raccontare storie, o più propriamente sul bisogno di farlo. Al punto di rubare un manoscritto per farsi scorrere tra le dita il piacere delle parole o di ripudiare la propria consorte per averle perdute. Storia dentro un'altra storia che diventa Storia, The Words è affollato di personaggi col vizio della scrittura: chi lo fa per mestiere, chi ha un romanzo nel cassetto, chi ha perduto il libro della vita insieme alla propria vita. Tutti registrano un'urgenza di comunicare, di esplorare e di esplorarsi, di dare uno sfogo alla tristezza e una forma alla vita, di ritrovare quello che si è sprecato, di scoprire quello che non si è mai avuto. La cornice del film è un reading letterario, letteralmente narrante, dove non è nemmeno sempre chiaro cosa è vero e cosa no, chi è chi, chi ha scritto cosa, chi ha inventato chi. Klugman e Sternthal confondono impercettibilmente i piani del reale e della finzione, dove i sogni e i desideri hanno la stessa nitidezza del momento presente. Alla maniera di una scatola cinese, Clay Hammond racconta Rory Jansen che plagia un vecchio uomo che romanza un amore conosciuto e poi smarrito come le pagine del suo libro. L'immaginazione per i tre protagonisti (Dennis Quaid, Bradley Cooper e Jeremy Irons), che potrebbero essere in fondo la stessa persona, è un laboratorio in cui fermentano le emozioni della vita reale e in cui fervono i preparativi per la vita reale, quella che si ha paura ad affrontare e su cui non ci è mai concesso un secondo giro. Ma se esiste un solo modo di vivere una vita, ne esistono almeno tre per raccontarla, suggerisce The Words, seguendo parallelamente quella reale e quella finzionale, quella creata e quella rubata, quella navigata e quella naufragata. L'idea dei registi, nel modo del cinema, mette il mondo in movimento dentro una cornice e attraverso le parole. Parole seminate nelle immagini in attesa che attecchiscano stando a vedere (e ad ascoltare) quello che succederà.
Scheda Film
Un film di Brian Klugman, Lee Sternthal.
Interpreti principali. Con Bradley Cooper, Jeremy Irons, Dennis Quaid, Olivia Wilde, Zoe Saldana. «continua Ben Barnes, Nora Arnezeder, Michael McKean, John Hannah, J. K. Simmons, Ron Rifkin.
Titolo originale: The Words.
Genere: drammatico
Ratings: Kids+13
Durata: 97 min.
USA 2012. - Eagle Pictures
Uscita venerdì 21 settembre 2012
Trailer