L'infinita tipologia delle panchine non finisce mai di sorpendermi.
E' stupefacente vedere le variazioni con cui si presenta questo oggetto del nostro panorama percettivo.
Sono incredibili le possibilità combinatorie di materiali, di tecnica costruttiva, di foggia, di contesto e di luogo: e ogni volta il risultato è diverso e originale.
Se poi ci si aggiunge l'effetto del nostro sguardo introspettivo e delle nostre proiezioni, allora il gioco è fatto: la panchina diventa un oggetto universale che, dal particolare vertice di osservazione che ci regala (e se la possiamo guardare dall'esterno, nello stesso tempo ogni singola panchina può divenire un nostro punto di osservazione, se la utilizziamo per la sua naturale funzione, cioè per sedervisi oppure per sdraiarsi su di essa, o per conversare, o semplicemente stare in quiete mentre gli altri attorno a noi si affannano e vanno veloci), consente di raccontare a noi stessi una storia del mondo, continuamente in bilico tra realtà esterna e mondo interno.
Si potrebbe dire pertanto che il mondo può stare tutto in una panchina, oppure - viceversa - che potrebbero bastare le panchine, nelle loro infinite variazioni - a rappresentare il mondo.
Certo è che, da quando lessi il libricino di Sebaste e da quando è nato il gruppo Facebook sulle panchine (Quelli Ke le panchine), che soprattutto negli ultimi tempi ha visto una crescita esponenziale della partecipazione e di contributi visuali, di pensieri, di riflessioni e di link, camminando per le strade non faccio che accorgermi sempre di nuove panchine e non faccio che rimanere meravigliato dalle molteplici possibilità combinatorie con il loro contesto, dalle atmosfere che generano, dai pensieri, dalle sensazioni e dalle emozioni che ogni singola panchina avvistata elicita in me osservatore e potenziale fruitore.
Il mondo diventa una panchina, per alcuna versi.
Ma c'è anche da chiedersi: cosa sarebbe il mondo senza le panchine?
In fondo - a ben guardare - sotto tutti i cieli, qualsiasi sia la lingua parlata da chi vi si siede, le panchine parlano un linguaggio universale che tutti sono in grando di intendere: se ci si siede in una panchina e se questa seduta la si condivide con qualcun altro, credo che ci si possa intendere davvero con poco...
La panchina diventa così l'oggetto-simbolo per una possibile ecumene tra i popoli più diversi.