Piccoli eventi quotidiani, osservazioni causali, ti rimandano all'improvviso indietro nel tempo, immettendoti con prepotenza nel cuore d'un evento completamente dimenticato.
L'altro giorno andai in ospedale a ritirare degli esami di mio fratello e la dottoressa con cui avevo preso l'appuntamento, nel darmeli, voleva commentare qualcosa.
La attesi. Quando si liberò, venne verso di me, ma prima si diresse al bagno degli operatori la cui porta si apriva sull'atrio.
Nell'entrare, lasciò appese le chiavi alla serratura, all'esterno della porta.
Io rimasi per pochi istanti a guardarle: era forte la tentazione di fare un balzo verso quelle chiavi e girarle nella toppa, sicché la dottoressa al momento di uscire trovasse la porta chiusa.
Uno scherzo, insomma, naturalmente immagginato dal mio spirito mattacchione.
Quando ci fummo accomodati, dissi alla dottoressa: "Sa, dottoressa... Non dovrebbe mai lasciare appese le chiavi in quel modo. Potrebbe passare qualcuno in vena di scherzi e chiuderla dentro".
Mi guardò sorpresa: "E' vero! Non ci avevo mai pensato... Ci farò caso la prossima volta".
"Quando lavoravo [in un'occasione precedente le avevo detto di essere medico] a volte facevo degli scherzi di questo tipo - le dissi - e qualcuno si è, in effetti, ritrovato chiuso dentro ad una stanza... Ma era più che altro un modo per allegerire la tensione... Facevamo un lavoro molto stressante e io, da dirigente responsabile del servizio, - aggiunsi - mi ritenevo responsabile del benessere psico-fisico degli operatori... Sa, quattro sane risate e alleggerire tutto con il senso dell'ironia, giovavano alla diuturna fatica di avere a che fare con i tossicodipendenti".
Mi chiedo se non mi abbia guardato come un mentecatto: ma ha avuto il buon gusto di non dire nulla...
Chiusa la parentesi, abbiamo parlato di ciò di cui si doveva parlare e me ne sono andato...
L'episodio tuttavia mi ha fatto ricordare di una volta in cui io piccolo di pochi anni (ne avrò avuto 4 o 5) ero riuscito a chiudermi a chiave in una stanza e non ne potevo più uscire.
Era d'estate ed eravamo nella casa di Mondello, all'estremità del Piano dove comincia la Fossa del Gallo.
Lì, d'estate eravamo in tanti, perchè - avvicendandosi - venivano i fratelli e la sorella di mamma, tutti con figli: situazione logisticamente complicata, con turni in cucina, difficoltà a ripartire equamente gli spazi disponibili, piccole tensioni, ma anche tanta allegria per il fatto di ritrovarsi tutti riuniti...
Non si sa come e perchè, ma io salii al piano di sopra dove c'erano le camere da letto e la nostra in particolare, quella dove dormivamo io e mio fratello assieme al papà e alla mamma. Oppure, forse, già mi ritrovavo nella stanza per il sonnellino pomeridiano (anche se in quell'arco di tempo, spesso all'insaputa della mamma fiduciosa del fatto che io dormissi tranquillo, combinavo delle piccole monellerie e poi lei constatava i danni...)
Non si sa come riuscii a chiudere la porta a chiave dall'interno: forse giocherellando con la chiave, non so.
Dopo un po' tutti si allarmarono non vedendomi (o forse fu la mamma che venne a controllare se stessi dormendo). Partì la ricerca: e presto fu chiaro che ero dietro la porta, chiuso dentro. Forse mi lamentavo o piangevo o frignavo oppure me ne stavo in silenzio, non mi ricordo bene.
Provarono a darmi delle istruzioni per aprire la serratura, perchè cercassi di rifare quello che mi era riuscito in modo del tutto casuale.
Ma, malgrado la pazienza e la minuziosità delle spiegazioni, io non ero in grado di seguirle in alcun modo.
Presto dietro la porta erano tutti assiepati: la nonna, mamma, papà, la zia Iole e lo zio Armando, i loro figli, Marcello, Adamaria e Luciana. Suppongo che a quel punto arrivaro anche le mie prozie che, essendo molto autoritarie, in tutte le situazioni critiche arrivavano ad impartire istruzioni sul da farsi, facendosi parte dirigente, ed erano accompagnate dalla loro fida domestica Mària, che avendo assistito la mamma alla mia nascita aveva un debole per me (ma anche per Salvatore, in eguale misura).
Tutti mi parlavano e cercavano di tenermi avvinto alla porta: la preoccupazione maggiore, infatti, era che mi avvicinassi al davanzale della finestra (che era aperta) e che potessi cascare giù.
Disperazione della mamma, agitazione della nonna. In un romanzo ottocentesco, a questo punto, l'autore avrebbe usato una frase del tipo: "...per la sofferenza si tiravano i capellie si torcevano i polsi...".
Alla fine, la cosa fu risolta con un'alzata d'ingegno.
Quelle porte avevano un riquadro di vetro o di altro materiale trasparente in alto (con meccanismo a vasistas) che serviva a dare luce e aria al disimpegno quando tutte le porte fossero chiuse.
Presero una scala e con molta pazienza ed abilità, ma a quel punto invitandomi a stare lontano dalla porta per evitare di essere ferito, riuscirono a smontare il pannello.
Il cugino Marcello che era il più agile e di corporatura adeguata per passare attraverso l'apertura che si era creata si inerpicò sulla scala e penetrò nella stanza, calandosi con cautela dal riquadro in alto.
Questa è la parte dell'evento che ricordo con maggiore vividezza, anche perchè il cuginetto Marcello (che aveva - e ha - 10 anni più di me), a quel tempo mi sembrava gigantesco e questa impressione si accrebbe quando lo vidi scivolare dall'alto, come un autentico deus ex machina, tale da ispirare meraviglia.
La porta la aprì subito all'interno ed io fui messo in salvo e, tra grida di giubilo e pianti di commozione, fui riabbracciato dal consesso dei parenti, ma soprattutto fui preso in braccio e coccolato dalla mamma, felice per il pericolo appena scongiurato.
L'abbraccio della mamma, di quell'episodio, è sicuramente il ricordo più dolce.
La foto: La foto è stata scattata nell'estate del 1953 che dovrebbe essere l'anno in cui accadde l'episodio che ho raccontato.
Da notare: l'annaffiatoio metallico (presumibilmente di stagno): ancora non esistevano i giochini da spiaggia di plastica.
Sulla sinistra, si vede una borsa di tela verde con i manici di legno: era una vecchia borsa di mia madre che mi serviva per trasportare i miei più preziosi tesori, cioè un'intera collezione di pezzi di legno di varie misure e dimensioni che mi servivano per completare i miei castelli di sabbia (in particolare per fare delle concamerazioni dei setti o anche delle solette).
Passavo ore a giocare sulla sabbia da solo.