Nella notte c'è stato un nubifragio violento.
Il cielo è stato invaso da una cotte fitta di nubi.
La pioggia a grosse gocce ha picchiettato, tamburellato, percosso.
Poi, all'alba le nubi si sono diradate e si sono aperti grandi scampoli di
L'aria pulita e trasparente.
Preso dall'improvviso ed irresistibile impulso dromomanico, salto in auto e parto.
E, ancora una volta, sono on the road, attraverso la Sicilia.
E sì che nemmeno una settima di fa sono tornato da un viaggio di oltre 3600 km attraverso l'Europa centrale.
Ma non ne ho mai abbastanza.
All'inizio il sole risplende.
I campi sono gialli e riarsi.
Oppure, dove la mietitura è stata già portata a termine sono brulli, in un patchwork di colori, dal giallo delle stoppie, al grigio-nero delle pezzature dove le stoppie sono state bruciate, al marrone scuro dove è stata portata avanti l'aratura.
Fanno contrasto con questi colori forti il disegno e i cromatismi delle vigne in pieno rigoglio, a strisce regolari di un sontuoso verde che seguono le ondulazioni del terreno, in filari paralleli che in ogni pezzatura di terreno sono disposti in una direzione diverse, come se un gigante si fosse divertito a pettinare ciascun vigneto in una direzione differente.
E questo contrasto è affascinante.
Quando arrivo ad un selva di inutili pale eoliche che ruotano lentamente come enormi uccelli preistorici che non riescono mai a prendere il volo, il cielo s'incupisce di nuovo e cominciano a venir giù a tratti rovesci di pioggia.
Ed anche la temperatura si abbassa.
Procedo egualmente nel mio viaggio, egualmente contento.
Anzi, sono rallegrato del fatto che l'umido della pioggia e il sentore di terra e polvere bagnate mi riportino all'improvviso nell'atmosfera dell'inverno.
Penso che avrò l'occasione di vedere i luoghi a cui sono diretto con le nuvole, il cielo grigio e la pioggia: cosa che ancora non è capitata.
E questa idea mi piace intimamente.
Passo attraverso la selva delle pale eoliche, un po' intimorito. Cosa accadrebbe se quelle eliche-ali dovessero staccarsi e scivolare ruotando proprio adosso a me?
Un sogno sanguinario alla maniera dei racconti di Matheson, quando gli oggetti di uso comune prendono vita e si trasformano in letalistrumenti di morte per gli uomini che li hanno creati, si accende dentro me durante l'inquietante passaggio.
Vorrei scendere al mare attraverso uno dei tanti varchi che si aprono sulla destra della Sciacca-Agrigento: ogni volta mi addentro, fiducioso, ma poi le vie sterrate, solitamente bianche, assumono un preoccupante aspetto acquitrinoso. La terra polverosa d'estate, ma sostanzialmente argillosa, con la pioggia che l'ha inzuppata è divenuta vischiosa e finisce con l'aderire alle ruote in un spesso strato che toglie loro aderenza e spinta.
Arrivando infine al bivio che conduce a Siculiana Marina, mi infilo per quello: qui, almeno la strada è asfaltata, per quanto si vedano in maniera netta i segni d'un violento nubifragio che si è abbattuto su questa contrada alcune ore fa.
Il borgo di Siculiana Marina non è granché: un pugno di case moderne, orrendi cubi di cemento (ancora addobbati di tettoie di eternit) costruiti senza alcun gusto architettonico, come un gioco di cubi per bambini le cui singole unità sono state piazzate a casaccio.
Le case sono protette da un grande diga "foranea" che ha lo scopo di riparare una parte del litorale dagli assalti furiosi del mare e dai venti che, sul Canale di Sicilia, soffiano sempre gagliardi.
Non c'è un vero e proprio porticciolo: qui il mare non offre alcun riparo.
Gli abitanti spazzano via sabbia e fango dalle strette vie: si vede bene che c'è stato un nubifragio.
La via é breve: si transita rapidamente attraverso il piccolo gregge di cubi di cemento e si è subito sul lungomare che costeggia la grande spiaggia sabbiosa, delimitata ad ovest da una grande roccia argillosa, grigio-biancastra e friabile che, con i suoi contrafforti franati, impedisce il transito alla spiaggia successiva.
Il mare è agitato e le onde si rompono nei pressi della spiaggia, con un rombo continuo, il vento saffia vigoroso.
Ma oggi ci si deve accontentare di questa spiaggia, grande sì, ma non troppo, soprattutto perchè non offre alcun punto in cui il centro abitato sia fuori dalla vista.
Tutto é chiuso e abbandonato, ma non perchè siamo fuori stagione.
E' stato il nubifragio a indurre quelli del posto a lasciare tutto chiuso, come si fosse già entrati nella smobilitazione invernale.
Ma la giornata offre continui ed imprevisti rivolgimenti, da così a così.
Poche anime perse vagano per l'immensa distesa di sabbia, mentre comincia a piovere.
E ci si deve riparare; poi, la pioggia si depotenzia e allora si può riprendere a camminare.
E le poche decine di persone che si erano riparate dalla pioggia ritornano di nuovo a camminare sulla spiaggia resa compatta dalla pioggia, oppure sdi distendono al sole.
Gigli selvatici spuntano dalla sabbia: sono uno spettacolo.
Gabbiani volano alto: non pensano nemmeno a posarsi sulla spiaggia battuta dalle onde, troppa risacca.
Alla fine, mi seggo nell'unico locale aperto e ordino un bicchiere di vino e un piatto di pasta (gramigna con gamberi, zucchine, pomodoro e pistacchio).
Leggo, fumo una sigarettta e poi riprendo a camminare.
Appena arrivato avevo cominciato a fotografare svogliatamente: poi, man mano che andavo avanti ci ho preso gusto e ritmo, sino a che la batteria della macchinetta compatta mi ha tradito.
Che fare?
Niente problemi: ho preso a scattare istantanee con l'I-phone, anche se, con queste condizioni di luce, le foto vengono fuori prive di morbidezza, con contrasti sparatissimi, ma anche così va bene.
Purtroppo, specie quando si affaccia il sole sono costretto a fotografare alla cieca (quasi), poichè il riverbero mi impedisce di guardare bene nel display.
Eppure, pur con questa difficioltà riesco a farne tante e quasi tutte mi piacciono alla fine.
All'ultimo nella foga di una delle ultime foto con l'I-phone, mi è sfuggito di mano e stava volando verso terra, io allora per evitare gravi danni ho cercato di stopparlo con il piede, sul quale è rimbalzato per volare dritto dentro una pozzanghera di acqua fangosa.
E si è tutto squinternato...
Si ritorna sempre, alla fine, anche quando ti sei ritirato sul tuo pianeta di solitudine.
Si ritorna per condividere ciò che si è visto e si è sentito.
Si ritorna perché soltanto così, dopo, si può pregustare il piacere di una nuova fuga.
L'irrequietezza che alberga dentro alcuni (io sono uno di questi) ci porta a mordere sempre il freno che ci trattiene e a desiderare di andare, non importa dove, da qualche parte: ogni luogo donerà il senso della meraviglia, ma sarà soprattutto l'andare del viaggio, in quel limbo che si trova tra il punto di partenza e il momento del ritorno.
(Palermo-Siculiana Marina, il 15 settembre 2012)
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