Nessun uomo è un’isola,
completo in se stesso.
Ogni uomo è un pezzo del Continente,
una parte della Terra.
Se anche solo una Zolla viene portata via
dall’onda del Mare,
l’Europa ne sarebbe diminuita,
come se le mancasse un Promontorio,
o una Magione amica o la tua stessa Casa.
Ogni morte di un uomo mi diminuisce,
perché io sono parte dell’umanità.
E così non chiedere mai
per chi suona la Campana:
essa suona per te.
Non so che dire
Certi eventi irrompono all’improvviso
Ti colpiscono duro
Ti lacerano
Ti fanno sentire in colpa
Ti fanno pensare a ciò che non hai fatto
A ciò che hai fatto e a come lo hai fatto
Rifletti sulle debolezze della memoria,
sull’oblio e sul modo in cui, a volte,
mettiamo da parte le persone
Poi quando la realtà ti colpisce
al petto come un maglio
è troppo tardi per rimediare
Quando ciò accade
si è portati a pensare
alla propria infinita debolezza e fragilità
Non dimentichiamo che,
quando una campana suona a morto
suona per ciascun vivente
Il vento scuote gli alberi
Fa vibrare le finestre
Si sente fuori dalle mura
un rimestio o un brontolio
Ma anche una vibrazione
altalenante
come se uno stuolo di monaci tibetani
stesse salmodiando l’OM
Carte e cartacce,
fogli di giornale,
involti oleosi stropicciati
bicchieri di carta,
ma anche foglie secche,
danzano nel vento
si sollevano in piccoli vortici
e poi ricadono
fino a quando un turbine
più vigoroso non li prende
portandoli via con sé
Il vento allontana le persone,
le isola,
fa volare via i pensieri, scompigliandoli,
via sciarpe e berretti
Le costringe a piegarsi per resistere,
ma poi le prende e le trascina
nell’Altrove
Dove?
Forse a Erewhon
Forse a Kansas City
Forse a Xanadu di Kubla Khan
O forse a Shangri-la
o in altri luoghi dove si possa
ricevere il dono (o la maledizione)
dell’eterna giovinezza
Dicono che nei giorni di vento
le anime dei defunti
possano più facilmente volare via
libere da catene e da fardelli
Fa caldo in questo giorno di Marzo
Questa sezione del cimitero
è battuta dal sole,
sotto un cielo implacabilmente terso
C’é - a poca distanza -
un rifugio ombroso
ai piedi di un cipresso secolare
Mi ci riparo
Accanto a me,
occhieggia con i suoi fiori
una margherita selvatica
cresciuta a fatica
tra gli interstizi d’una sepoltura
Avverto la pace
E se non fosse considerato strano
mi sdraierei volentieri
su d'una lastra tombale
per assorbirne la tellurica frescura
Attorno a me s'erge
un fitto bosco di sepolture,
ornate di croci e colonne mozze,
custodite da angeli in preghiera
o dormienti,
adorne di scritture ultime,
alcune abitate e frequentate,
ingentilite da fiori freschi e piante ancora vitali,
altre neglette, dissestate,
con inferriate e recinzioni di metallo
divelte e rugginose
I defunti sono qui
attorno a me
Lo sento
Alcuni sono rappacificati e sereni
Altri levano le loro voci irose
per essere stati trascurati
Tutti aspettano qualcosa
L’ora che verrà
o che mai arriverà
Si sente echeggiare il verso del corvo,
nero guardiano
Squilla il telefono
ripetutamente
Poi il trillo cessa
e sento una voce strozzata
che mi chiama per nome,
più volte, con insistenza
Una voce la cui timbrica
evoca sofferenza e dolore
Mi sveglio del tutto,
con il cuore in gola
Rovisto in giro
in cerca del telefono
che non trovo, all’inizio
Il cuore batte veloce,
impazzito
Là fuori, penso,
qualcuno ha bisogno di me!
Il vento soffia forte
Grida e ulula
Le chiome degli alberi
sono squassate senza requie
dalla mano d’un gigante
Non c’è quiete
Tutto è in movimento
Penso che se uscissi
fuori dal mio loculo sicuro,
in questo istante,
potrei essere trascinato
come un fuscello
da qualche parte,
oppure sospinto via
sino ad essere inghiottito
nel Gorgo del Tempo
e mandato a sprofondare
nel Pozzo dell’Oblio
più radicale ed inimmaginabile
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