Oggi è il 5 maggio e ricorre il 49° anniversario dell'incidente aereo di Montagna Longa, nel quale perse la vita mio padre Francesco, assieme a tutti i passeggeri e ai componenti dell'equipaggio di quel volo, in tutto 115. E successo 49 anni fa, ma a me sembra ancora ieri: Molte vite, troppe, furono spezzate in una vampa sul monte. Il ricordo di quel dolore è tuttora vivido per tutti.
In quella circostanza perse la vita anche una mia cugina, figlia del fratello di mamma, Giovanni, Elisabetta Salatiello (e, ovviamente, cugina di Maria Patrizia) che, in quel periodo, aveva avviato un lavoro a Roma. Quell'aereo era pieno di palermitani "impegnati" su vari fronti e che si muovevano con notevole frequenza da Palermo per lavoro. Tutti ritornavano quel venerdì che era esattamente alla vigilia delle elezioni politiche e, dunque, quel disastro colpì duro. Da Carini la folla radunata in piazza per l'ultimo comizio prima del silenzio elettorale vide la vampa sul monte.
In questa ricorrenza, a seguito di alcuni post condivisi e in risposta ad alcune domande, sono arrivati alcuni frammenti di ricordi (cose di cui forse ho già parlato in altre circostanze).
L'orologio che mio padre aveva al polso non venne mai restituito: si dice che subito, prima ancora che sulla montagna potessero salire i primi soccorsi ufficiali, ci fu il tempo perchè alcuni mettessero in atto esecrabili azioni di sciacallaggio, alla ricerca di denaro e di preziosi.
Per esempio, a distanza di tempo, ci convocarono al comando dei Carabinieri di Palermo per restituirci il portafoglio di mio padre con i documenti che aveva con sé (carta d'identità, patente e poche altre cose) e che, però, non conteneva alcuna banconota (una mancanza che saltava all'occhio, poichè a quel tempo non esistevano ancora i Bancomat). Ci restituirono la fede nuziale, un po' deformata (e si poteva immaginare perché) e la chiave per aprire la valigetta samsonite, con cui papà viaggiava, e l'impugnatura della chiave era scalfita da uno sfregio (e si può immaginare perché). Un autentico, triste, reperto, tengo tuttora nel mio mazzo di chiavi in uso e ogni tanto percorro con il polpastrello quella scalfittura (e quando lo faccio non posso non pensare alla potenza dell'esplosione e dell'impatto). La fisicità di quest'oggetto minuscolo e la presenza fisica di quello sfregio, inciso indelebilmente sulla superficie di metallo, mi riconducono ogni volta in quel uogo e in quel momento.
Quella fede ammaccata mia madre la indossò assieme alla sua, mettendola sotto perchè essendo il dito di mio padre, altrimenti sarebbe sfuggita via. Ma dopo qualche anno la mise via, non so perchè.
Non andai mai all'Istituto di Medicina Legale dove erano state raccolte le salme o quel che restava dei corpi. Mi dissero che non era necessario che io mi sottoponessi a quel supplizio ed io accettai supinamente quest'indicazione. Ero troppo stralunato per oppormi.
Rimasi ad aspettare a casa, assieme alla mamma e a mio fratello.
A distanza di tempo mi dispiaccio di non essere andato e di non aver assaporato quel calice sino in fondo.
Di mio padre vidi, dopo un paio di giorni, soltanto una cassa da morto che venne portata in casa per la veglia funebre, già sigillata. E non potei che accettare il fatto, ma senza io averne alcuna evidenza fisica, che lì dentro ci fosse proprio lui. Forse per via di questa mancanza, quando la mamma è morta, l''ho voluta fotografare per un ultima volta, composta nella bara. E così ho fatto per mio fratello.
Un mio zio mi mostrò una foto pubblicata su "L'Ora" che ritraeva una chiazza scura (che faceva pensare ad un corpo) addossata ad una barriera di filo spinato, e uno in piedi che guardava ad essa, un po' chino in avanti, una foto ripresa in notturna con il flash e quindi con i contrasti sparatissimi: e mi disse che forse si trattava di papà per come era stato trovato.
Sono dei ricordi indelebili che ogni tanto riaffiorano.
Quando mio padre è morto aveva da poco compiuto 54 anni ed io ne avevo 22.
Oggi che, dalla sua scomparsa, ne sono passati 49 di anni, io ho vissuto per 15 anni più a lungo di mio padre e pertanto sono diventato più vecchio di lui che, per me, è fissato nel ricordo quando all'improvviso non torno più.
Le cose strane della vita.
Se avesse continuato a vivere (e lui diceva sempre che avrebbe vissuto a lungo perché tutti nella sua famiglia erano stati longevi), avrebbe da poco compiuto 103 anni.
Quando è morto, io ero in difficoltà nel rapportarmi con lui, visto che aveva una grande statura intellettuale ed io, nel confronto, mi sentivo piccino ed insignificante. Ero alla ricerca della mia identità e, dunque, cercavo di prendere le distanze da lui, a volte rifiutandolo quando lui cercava di essermi vicino.
E poi è morto e, quindi, il possibile confronto è rimasto in sospeso, lasciandomi dentro molto rimpianto ed amarezza, per le parole che non ero stato capace di dire.
Così vanno le cose della vita.
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