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Poco più di un mese addietro i Ficus Magnoloides del giardino d'ingresso al mio condominio sono stati sottoposti ad una potatura selvaggia. che li ha lasciati allo stato di poco più che nudi scheletri arborei.
La stessa sorta è toccata dopo qualche giorno ad un possente esemplare di Eucaliptus sito in un giardinetto privato all'angolo tra via Lombardia e via Principe di Paternò, sempre a Palermo.
Una sorte ancora più impietosa è toccata dopo una buriana di vento che ne aveva fatto crollare un grosso ramo ad un secolare Ficus Magnoloides della vicina Villa Sperlinga. Anche qui i potatori anziché limitarsi a rimuovere le parti ammalorate della piante per metterla in sicurezza hanno optato per la potatura radicale che ha lasciato sul terreno soltanto un immenso mozzicone di tronco, vestigia della possanza di prima.
Questi che ho riferito sono soltanto degli esempi che riporto qui perché li ho potuti constatare di persona, ma - ahimé - sono soltanto alcuni casi di una lista purtroppo infinita, testimonianza di una pratica diffusa (soprattutto dalle nostre parti, ma non solo) che, se esprime fondamentalmente ignoranza ed imperizia, nasconde anche la volontà di fare le cose sbrigativamente, investendo poco in ore lavorative spese e professionalità/competenze impiegate nella manutenzione del nostro patrimonio arboreo: occorre tenere presente che anche le piante di alto fusto ricadenti nei terreni privati, quando abbiano superato una certa altezza ed età, sono sottoposte alla Tutela dei Beni ambientali.
Quindi, quanto osserviamo, è l'effetto deletero e nefasto di una malpractice che fonda i suoi pilastri su ignoranza, su incompetenza, su faciloneria e sbrigatività e, non ultimo, su scelte spesso fondate su malafede e sulla volontà di abbattere i costi di manutenzione di piante secolari.
Questo tipo di potatura è nota con il termine di "capitozzatura" che tanto evoca la pratica della pena capitale per taglio della testa (almeno questo è il tipo di suggestione che io ricavo quando sento parlare di questo termine e della relativa pratica).
In effetti gli alberi capitozzati in modo radicale - per non dire selvaggio - sembrano più che altro degli scheletri, tristissimi a vedersi, ma chi ha operato si esprime con l'ipocrisia di aver fatto degli interventi di messa in sicurezza - questo il dichiarato formalmente - che in realtà nascondono l'intento implicito - il piano segreto - di far fuori quell'albero o molti alberi in un colpo solo che, per motivi vari, "danno fastidio".
Alcuni dicono che se la capitozzatura debba proprio essere fatta essa debba essere "gentile", cioè mirata ad eliminare soltanto i rami pericolanti e non superante il 30% della chioma arborea. Interventi più radicali rischiano di ledere la stabilità della pianta e la sua ricrescita, tanto più che sulle ampie superficie lasciate dai tagli si impiantano colonie di funghi che possono ulteriormente compromettere la salute della creatura. Inoltre, tagli tanto radicali eliminano del tutto l'ombra e la frescura che gli alberi possono fornire e di conseguenza alterano in modo irreversibile il microclima che regna sotto di essi, oltre che eliminare in un colpo solo tutta la fauna di volatili che nell'intrico dei rami ha stabilito dimora.
Stringe il cuore vedere gli alberi mutilati in siffatta maniera.
Il più delle volte, simili interventi, soprattutto in ambito cittadino vengono effettuati tra l'altro come delle vere e proprio azioni blitz di kommando e, spesso, non è facile identificare i responsabili o i mandanti dell'azione deturpante. Questo è il potere dei moderni strumenti di taglio del legno vivente e quindi l'apoteosi delle motoseghe a catena più moderne che stanno agli alberi come il Kalashnikov sta alle persone che, dalle sue scariche, vengono falciate.
Quando si parla di ambiente e della sua protezione bisognerebbe cominciare a guardarsi attorno e osservare quali azioni di malgoverno nei suoi confronti vengono perpetrate nel nostro più vicino territorio e la militanzaambientalista andrebbe esercitata prima ancora qui che non nei confronti di una lontana foresta amazzonica di cui sappiamo soltanto in astratto. Forse, soltanto se ci occupassimo di ciò che accade vicino a noi, all'interno del nostro orizzonte esperienziale, potremmo con maggiore efficacia ed autorevolezza lottare anche per la salvezza della foresta amazzonica, in altri termini avvalendoci della forza della militanza maturata sul campo. Mutilare un albero, in modo tale che potrebbe non riprendersi più e pertanto morire, concettualmente non è molto distante dalle pratiche di disboscamento selvaggio e dalla deforestazione totale praticata altrove per conquistare nuove terre all'agricoltura (possibilmente in monocoltura e dunque ulteriormente devastante per l'ambiente).
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(da wikipedia) La capitozzatura, definita anche taglio a capitozzo, è una tecnica di potatura che consiste nel taglio dei rami sopra il punto di intersezione con il tronco o altro ramo principale, in modo che rimanga solo quest'ultimo o una parte della chioma, dopo una rimozione molto ampia, dal 50 al 100%. È una pratica che riceve aspre critiche.
La capitozzatura permette di potare un albero in circa mezz'ora e con personale poco qualificato, mentre una potatura più attenta può richiedere 2-3 ore per albero.
Con l'eliminazione della chioma, l'albero attiva le gemme latenti sottostanti[1], che determinano la crescita di nuovi germogli attorno al taglio. Soprattutto nelle piante ad alto fusto, questo richiede un enorme sforzo produttivo, oltre ad alterare la forma naturale dell'albero e la sua estetica, può creare futuri problemi alla stabilità della pianta con eventuali rischi di rotture, e indurre un probabile aumento dei costi a medio e lungo termine delle opere di arboricoltura. In particolare gli ampi tagli sono un facile punto di ingresso nell'albero per i funghi agenti della carie. I responsabili delle alterazioni del legno appartengono fondamentalmente ai generi Stereum, Ganoderma, Phellinus. Questi funghi degradano la lignina e la cellulosa, provocando la disorganizzazione e il disfacimento dei tessuti di sostegno, con conseguente formazione di cavità. La pianta perde resistenza ed elasticità, divenendo soggetta a crolli improvvisi.
È pratica arboricola molto criticata e deprecata, perché dannosa agli alberi, anche quando praticata su piante ornamentali.
Possibili e valutabili eccezioni si riferiscono alla coltivazione di piante dalla ridotta durata, alla pratica della frutticoltura e della viticoltura, agli innesti ed alle tecniche del bonsai. Nell'olivo si ricorre alla capitozzatura in caso di gravi danni per gelate o carie. Discussa è invece l'utilità della capitozzatura della vite nel caso di lotta alla flavescenza dorata o per il mal dell'esca della vite.
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