Le panchine vuote e le panchine abitate sono ai due poli di un'intera gamma di possibilità.
A volte sono semplicemente vuote, come in attesa.
A volte sono occupate da uccelli che vengono a becchettare le briciole lasciati dalle merende di precedenti passaggi umani.
A volte attorno a certe panchine ci sono delle tracce che indicano il passaggio di un precedente ospite, come una bottigla di birra vuota, oppure i resti di una sigaretta fumata senza fretta.
Altre volte i loro ospiti sono extracomunitari alla ricerca di riposo, di frescura e il più delle volte in solitudine, come se fossero in attesa di qualcosa che per loro non arriva quasi mai.
Oppure, vi si possono scorgere ospiti dormienti, accasciati, abbandonati, ignari di tutto ciò che è loro attorno, come se lo stare sulla panchina li ponesse in una dimensione extratemporale ed extraspaziale, quasi in una bolla sospesa, che per loro - dormienti e sognanti - può diventare una sorta di treno dei desideri che li conduce ai luoghi da cui sono partiti e che consente loro di ricomporrre affetti spezzati.
Poi ci sono le panchine occupate da chi se ne sta in solituddine ad osservare e ad ascoltare altri che sono, invece, in gruppo e festosi.
E poi ci sono quelle in cui si accomodano per brevi istanti coppie solitarie, anziani assieme da una vita, che se ne stanno in silenzio, vicini uno all'altro, muti, ma intenti in quella che sembra essere una silenziosa conversazione, intensa e vibrante.
Queste ultime sono le panchine che preferisco, e invece molte di quelle che ho descritto mi mettono malinconia.
Ma in ogni caso le panchine, anche attraverso le assenze e il vuoto, sono capaci di raccontare delle storie.
Tutte le foto sono di Maurizio Crispi
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