(Maurizio Crispi) Domenica 27 novembre, rifuggendo dalla consueta routine fotografica delle solite e sempre eguali gare podistiche locali, mi sono ritrovato a trascorrere quasi un'intera giornata a Capo Zafferano: malgrado la pioggia violenta della notte, una giornata di caldo e sole, che mi hanno spinto a scendere a mare, benchè avessi delle faccende da sbrigare.
Dapprima, mi sono soffermato sulla spiaggetta del "Lido del carabiniere", del tutto deserto: ma poi ho - sentendo il desiderio di muovermi in un'atmosfera che prefigurava il ritorno all'estate (benchè fossimo a novembre), ma senza il caos e la baraonda dei gitanti al mare ho deciso di affrontare una passeggiata verso il Faro, dove non andavo da circa un secolo.
Mentre mi ero avviato da poco, by-passando il tratto iniziale della stradella che era stato allagato dalla pioggia recente (non volevo bagnarmi i piedi: e qui confesserò che non possiedo quella voluttà in ciò che è tipica del provetto trailer) prendendo dalla scogliera, ho intravisto il mio amico Roberto Magnisi (ambiente runner) che portava in passeggiata il cane di famiglia (lui e Lara li avevo poco prima incrociati sulla strada asfaltata al termine della loro corsa di allenamento e, lì per lì, avevamo scambiato quattro chiacchiere (ma non di corsa, tengo a precisare: con loro si può sempre parlare di tante cose diverse).
Quindi, prendendo vantaggio da questo reiterato nuovo incontro, entrambi in compagnia dei rispettivi cagnoli, abbiamo deciso di proseguire assieme la passeggiata. Gli ho raccontato alcune delle mie memorie del periodo in cui ogni anno a partire da qualche tempo dopo la morte di mio padre venivamo qui in villeggiatura: e gli racconto delle mie frequenti escursioni al Faro oppure sino alla cima della montagna, seguendo una vecchia mulattiera militare che a zig zag, facendo dei gomiti strettissimi, si inerpicava sino alla cima.
Arrivati alla cappella, aggettante sul mare, in una posizione stupenda, ci siamo fermati sul piccolo belvedere delimitato da una ringhiera di ferro battuto a contemplare il paesaggio.
Il nostro sguardo si è disteso con facilità verso l'orizzonte che pareva infinitamente lontano e dilatato: Il mare e il cielo erano tanto azzurri da far male agli occhi.
Una barca a motore fendeva la superficie d'acqua tranquilla non turbata da una bava di vento, lasciando al suo passaggio una traccia di spuma bianca che persiste a lungo come una cicatrice.
La piccola cappella è stata intonacata di recente di bianco, un bianco, anch'esso accecante nel sole, che si può vedere soltanto in alcune isole della Grecia.
Il nostro sguardo si è volto alla montagna e ho detto a Roberto che mi sono sempre chiesto se da qui, salendo sulla scarpata, vi fosse un possibile passaggio verso l'altro versante
E Roberto mi ha preso di contropiede, dicendomi all'istante: "Andiamo a vedere!". E così eccoci ad inerpicarci sulla parete del monte, una pendio piuttosto scosceso, praticabile ma ripido e accidentato, pieno di massi, di fitti cespugli di disi, di arbusti troppo cresciuti e dai rami pungenti, di buche inaspettate..
Malgrado le difficoltà, abbiamo continuato ad ascendere, passo dopo passo e al nostro sguardo si è andata aprendo la vastità immensa dell'orizzonte.
Mentre noi sgobbavamo i cani si divertivano e ci precedevano ansimando con allegrezza, talvolta imboccando percorsi per loro non agevoli e facendo retromarcia per imboccare una strada più percorribile.
Ma poi, alla fine, Roberto ha avvistato (per tempo, per fortuna) un nido di vespe e qualche sentinella alata in perlustrazione: la discesa è stata precipitosa.
Rudely interrupted! Ma ho il sospetto, guardando la conformazione del monte, che arrivati al ciglio della scarpata, dove si poteva immaginare un possibile punto di aggiramento (ma senza averne la certezza) ci saremmo trovati dai piedi di un muro di roccia invalicabile. Ma è pur vero anche che le cose bisogna anche andare a vederle, per convicersene di persona. Ed anche, come dice il noto proverbio: tentar non nuoce...
La nostra impresa è così rimasta a metà: il suo compimento sarà per una prossima volta. Con la montagna rimane un conto aperto...
Ma è stato un bel provarci.
Dopo questa mezza impresa, ma contenti per aver raccolto il cimento, io e Roberto ci siamo congedati per riprendere ognuno la sua strada, lui per casa, io per la spiaggetta dove ho potuto godere un meritato riposo, crogiolandomi al sole.
Al ritorno al villino, mi è rimasto da fare il lavoro che avevo soltanto dilazionato.
Quando ho finito con i miei doveri contadineschi, sono ripartito per Palermo, ricevendo in premio lungo la via del ritorno alcune straordinarie vedute del Golfo di Palermo all'imbrunire, sovrastato da possenti coltri di nubi che si coloravano del tramonto, dal punto di osservazione privilegiato che è il borgo marinaro de L'Aspra
Capo Zafferano è per me un luogo dei ricordi: che, tuttavia, per me non sono d'infanzia, ma un po' più recenti, perchè abbiamo cominciato a passare le estati a Capo Zafferano (oggi, nella toponomastica, Contrada Urio) solo attorno al 1975 per poi mantenere questa consuetudine sino al 2004 circa, quando la mamma non si è più sentita di stare per giorni interi sola con mio fratello... visto che io potevo andarci solo nei fine settimana (e non sempre).
Ma ora quei tempi si sono rinverditi, per fare vivere la casa ho cominciato ad accogliere (ancora occasionalmente) degli ospiti e, quindi, per i check-in e -out sono costretto ad andarci di continuo, oltre che lavorarci attivamente per tenere tutto in ordine.
In ogni caso, per me, questa casa (e i luoghi che la circondano) sono un posto della nostalgia, poichè il periodo più intenso della sua frequentazione per me è stato quello collocabile in quella terra di nessuno tra la fine degli studi universitari e l'inizio di una vera ed intensa attività lavorativa, in procinto di attraversare quella conradiana "linea d'ombra", tra l'adolescenza spensierata e l'adultità con la prime e dolorose assunzioni di responsabilità...
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