Palermo è una città di grandissima bellezza e ricchissima di storia, come solo poche altre riescono ad essere.
Sin da quando ero piccolo, mio padre mi ha inculcato questo pensiero.
Quando mi portava in giro nel centro storico (cosa che accadeva sovente) mi diceva ogni volta: "Palermo è la città più bella del Mediterraneo. E' l'unica città a possedere così tante stratificazioni storiche, tangibilmente evidente in edifici di tutte le epoche storiche e di tutte le diverse dominazioni che si sono succedute nel corso dei secoli. E, in più, - mi diceva - ricordati che non c'è città europea che si affacci sul Mediterraneo che abbia un centro storico così esteso".
E se lo diceva lui che aveva viaggiato in lungo e in largo per l'Europa con l'occhio critico e scrutatore del giornalista, c'era da crederci.
Io ci credevo. E le sue parole mi sono rimaste scolpite nella mente: spesso, tornando a girare per le vie del centro storico di Palermo tornano ad affiorare.
Quando crebbi un po' e cominciai ad affacciarmi anch'io alla fascinosa dimensione del viaggio, ero sempre orgoglioso delle mie origini e non esitavo mai a decantare le bellezze della mia città.
Quando - dopo ognuno dei miei viaggi - facevo ritorno, un po' mi si stringeva il cuore a vedere il degrado, le miserie, l'incultura della maggior parte delle persone che a Palermo ci vivono e ci abitano: ma ciò nondimeno ero contento.
Sentivo che Palermo era - e rimaneva - la Mia città e che per nulla al mondo avrei voluto sostituirla nel mio cuore con un altra.
Anche oggi, è così.
Negli anni passati - con un'interruzione, purtroppo, quando le cose hanno ripreso a segnare il passo - c'è stata la rinascenza di Palermo: alcuni edifici del centro storico sono risorti grazie ad attenti restauri, ma purtroppo questo cambiamento non è avvenuto in maniera omogenea, ma a macchia di leopardo, sicché a zone restaurate e riportate all'antico splendore, se ne alternano - in una logica folle e sconnessa, quasi demenziale - altre in totale degrado, fatiscenti, invase da cumuli di spazzatura e maleodoranti.
Camminando per le viuzze del centro storico, ciò che colpisce è il forte contrasto tra edifici storici ristrutturati ed altri che invece sono cadenti e in stato di totale abbandono oppure sottoposto ad interventi che li hanno impoveriti rispetto alla purezza originaria. Ma nello stesso tempo si possono scoprire splendidi edifici che, nel corso dei secoli, hanno subito successivi rimaneggiamenti che li hanno impreziositi, rendoli unici e fruibili come un libro di storia fatto di tanti capitoli diversi: ascoltando una persona esperta che ti illustra le caratteristiche di uno specifico edificio, puoi avere l'impressione che puoi ripercorrere in modo affascinante epoche diverse in un turbinio di personaggi, più noti e meno noti.
E poi, c'è la bellezza di stradine vuote e silenziose, perennemente in ombra, silenziose, benchè si sia poco distante dalle vie più trafficate, percorse da sporadici viandanti a piedi che rimandano ad un'altra fruizione del tempo, non corrosa dalla fretta o dalla velocità a tutti i costi: e, subito dopo, ti imbatti nuovamente in un'isola di degrado e di miasmi fetidi.
C'è il fascino meraviglioso di sapere che, sotto alcune delle vie del centro storico, scorrono due fiumi, il Kemonia e il Papireto che furono successivamente coperti per recuperare spazio edificabile e carrabile alla città in espansione.
Se fossimo in uno qualsiasi dei paesi "civilizzati" del Nord Europa, probabilmente sarebbe tutto splendido (anche se forse un po' asettico). In Inghilterra e in Scozia, ho visto dei luoghi in cui attorno a quattro pietre squadrate, resti di antichi castelli o monasteri caduti in rovina, è sorto un Centro visitatori (ed abbinato piccolo museo), sono stati stesi dei prati come fossero tappeti, sono state allocate deliziose e confortevoli panchine: il massimo della valorizzazione di tutto ciò che riporta indietro alla memoria storica e che è patrimonio della memoria storica e dell'identità di quel popolo.
E' come se noi Palermitani (e forse, in genere, da Siciliani) tendessimo ad essere un popolo senza memoria e senza storia (il che è un paradosso, se si considera che tutta l'enorme, estesissimo centro storico di Palermo, con i suoi quattro mandamenti trasuda storia da ogni muro e dal selciato delle strade).
Peraltro, la mancanza di storia e d'identità è causa del degrado delle Istituzioni civiche, ma anche del senso di appartenenza ad una comunità.
La Palermo del XXI secolo, paradossalmente, risorge e trova una sua nuova identità composita attraverso le molteplici comunità di extracomunitari che, nella loro nuova città, costruiscono dei propri ed inediti percorsi identitari, identificando dei "luoghi" di memoria e integrandosi con ciò che trovano delle antiche storiche e vivendo questa nostra città come la loro città, come è giusto che sia.
Non è un caso (ed è forse la manifestazione di uno stato di necessità) che la Moschea si trovi proprio in pieno centro in una zona abbastanza contigua alla cittadella araba di un tempo.
E' fonte di meraviglia passare da Ballarò oppure dalla piazzetta prospiciente l'Oratorio di Santa Chiara e vedere gruppi di Africani che chiacchierano placidamente o che giocano con un gioco simile alla nostra dama (un'immagine di calma e tranquillità, anche se in altri orari, magari a tardi notte, dalle parti di Ballarò quando le libagioni sono state copiose, possono scoppiare furibonde risse); oppure vedere le antiche vie con il selciato di pietra percorsi da Maghrebini con il loro abbigliamento tradizionale.
Tutto questo, in me, riaccende la meraviglia di essere viaggiatore nella mia stessa città e mi riporta indietro nel tempo quando Palermo, città meravigliosa ed impareggiabile e centro di commerci che facevano da cerniera tra l'Africa e il Nord Europa, era una città autenticamente multietnica, crogiuolo di cività e religioni che, serenamente, riuscivano a convivere assieme.
Si diceva che Palermo fosse, un tempo, una "città felicissima" (secondo l'espressione consacrata da uno dei libri dello storico siciliano Rosario la Duca): io credo che potrebbe tornare ad esserlo ancora se soltanto alla stragrande maggioranza dei Palermitani si riuscisse a restituire la memoria delle proprie radici ed un forte senso di identità.