(Maurizio Crispi) L'altro giorno, passando dalla centralissima via Ruggero Settimo di Palermo, ho notato con una stretta al cuore che la storica Libreria Flaccovio, era chiusa: la porta sbarrata con un cartello affisso davanti ("Chiusura per rinnovo locali", reca scritto) e le vetrine oscurate da strati di carta.
La mia è stata un'osservazione fuggevole, entrata solo per un attimo nella mia visione periferica (era alla guida dell'auto), eppure tanto è bastato a riempirmi il cuore di malinconia.
E' triste pensare che dalla Libreria, da cui per decenni sono passati scrittori e pittori nascera' probabilmente un negozio adibito alla vendita di mutande e reggiseni, trasformazione che - dovesse verificarsi - sara' indubbiamente l'epitome dell'impoverimento culturale di questo nostro tempo.
Se ne va cosi' un altro pezzo della Palermo di un tempo, ma quello che si perde non e' solamente un pezzo della citta', ma anche una parte consistente della sua cultura, sacrificata al mondo superficiale e triste dei "nuovi" consumi.
E, ovviamente, l'improvvisa stretta di malinconia al cuore, mi ha riportato indietro nel tempo e agli anni della mia formazione alla lettura.
Alla Libreria Flaccovio (proprio questa di Via Ruggero Settimo, non tanto l'altra ubicata in via Maqueda all'altezza dei Quattro Canti) sono infatti legati tanti ricordi della mia infanzia e della mia adolescenza, quando cominciavo a compiere i miei primi passi di lettore autonomo e di appassionato di libri.
Lì ci andavo sin da bambino al seguito di mio padre che, per motivi connessi alla sua attività lavorativa, ma anche nel suo ruolo di animatore culturale nella Palermo del dopoguerra, ci andava spessissimo, praticamente ogni giorno.
Negli anni del dopoguerra, per tutti gli anni Cinquanta e Sessanta, all'interno della Libreria Flaccovio si faceva la cultura, poichè grazie all'apertura mentale di Salvatore Fausto Flaccovio suo fondatore la Libreria era presto divenuta negli anni della ricostruzione, quando ancora parti della città erano cumuli di maceria il punto di ritrovo degli artisti e degli intellettuali della città, tutti animati in quel periodo da un grande fervore di rinnovamente e dalla speranza di dar vita ad un mondo migliore dopo le ristrettezze e le brutture della guerra.
Era un luogo di incontro, di dibattiti di idee, di confronti fecondi.
Vi si incontravano frequentemente i pittori più conosciuti di quel periodo e quelli emergenti, dal momento che nel suo spazio più interno venivano di continuo organizzate delle mostre.
Mio padre era in rapporti di grande amicizia con Fausto Flaccovio e tra i due correvano correnti di simpatia e di reciproca stima.
Io piccoletto, a volte, accompagnavo mio padre e, mentre lui era intento in conversazioni con questo e con quello, io ero libero di vagare a mio piacimento all'interno della libreria, affascinato e per nulla intimorito da quegli scaffali alti sino al soffitto e carichi di libri di tutti i tipi, di tutte le forme e le dimensioni.
In pratica, lì, ritrovavo, un'atmosfera che mi era familiare, perché la casa dei miei genitori, sin da quando ricordo era stra-piena di libri e mio padre frequentemente ritornava a casa con fasci di nuovi libri sotto il braccio, tra i quali non mancava mai qualche libro per me.
Io stavo a gironzolare qual e là, ma ero naturalmente affascinato dal settore dei libri per l'infanzia e per i ragazzi.
Tra questi, messi nei ripiani più bassi, perché ormai obsoleti, avevo scovato uno scaffale tutto dedicato ai romanzi di Salgàri in edizione integrale della casa editrice Viglongo (in brossura, con l'immagine di copertina in quadricromia e con le illustrazioni interne a piena pagina dei più famosi illustratori di Salgari) e in un altro ripiano i romanzi della casa editrice Sonzogno, di piccolo formato e dalla carta spessa e ruvida (si direbbe, oggi, pulp), di una collana avventurosa, ma maggiormente destinata più a lettori adolescenti e di taglio più esterofilo (ed erano le opere di Raphael Sabatini, di Zane Grey, di Oliver Curwood, di Henry De Vere Stacpoole, di Joseph Conrad.
Questi volumi erano pure brossurati, ma con una la copertina di un bel rosso scarlatto che se veniva bagnata stingeva e erano dotati di una bella sovraccoperta in quadricromia che riproduceva una dei momenti topici del romanzo. Il bello - leggendoli - era scoprire il passaggio del romanzo che quell'unica illustrazione rappresentava.
Dei volumi di Salgàri e di quelli della collana Sonzogno facevo - grazie all'indulgenza di mio padre - manbassa. Una terza categoria di volumi dai quali ero profondamente attratto era rappresentata dai romanzi di Jules Verne, allora disponibili in versione quasi integrale in una collana edita da Principato, con belle illustrazioni (quelle delle edizioni originali) incorporate nel testo.
Ma c'erano degli altri volumi più lussuosi che mi capitava di adocchiare: si trattava di rappresentanti ancora sparuti di una nuova generazione di libri per ragazzi (con carta di qualita', buone rilegature, illustrazioni a colori) e che costituivano - nel campo dell-editoria di quel tempo - l'uscita dalle ristrettezze del periodo postbellico.
Questi volumi mi facevano letteralmente gola.
Qualche volta capitava che Fausto Flaccovio mi dicesse: "Scegli volumi che vuoi, che te li regalo".
E mio padre mi incoraggiava sempre ad agire di conseguenza: "Vai, Maurizio, vai a scegliere ciò che ti piace!", mi diceva.
Io partivo per la mia battuta di caccia e spesso la mia scelta ricadeva proprio su questi volumi che, senza esitazione, mi venivano accordati.
Da più grande mi sono chiesto se, per caso, sottobanco (senza nulla levare alla dimensione del dono), mio padre non li pagasse per discrezione e per non abusare della squisita cortesia di Fausto Flaccovio.
Ma non ho saputo come le cose andassero veramente, né a mio padre l'ho mai chiesto.
E come non ricordare della Libreria Flaccovio, la signorina Iole Di Marco che aveva un ruolo chiave nella sua conduzione e che era sempre disponibile alla mie richieste di questo o quel volume, quando, divenuto più grande, andavo autonomamente a rifornirmi di libri, visto che mio padre prima (e poi anche mia madre) mi avevano dato carta bianca per prendere tutto cio' che avessi voluto.
La casa dei miei genitori e la Libreria Flaccovio furono a tutti gli effetti i luoghi dove, nel corso degli anni, si strutturò la mia passione per la lettura e anche un gusto e un piacere un po' bibliofilici (ma questi aspetti ci stanno pure) del possedere i libri (e si potrebbe dire con una metafora un po' ardita, anche di nutrirsene e mangiarli, nel senso proposto da Ivan Illich, nel suo saggio "Nella vigna del testo. Per una etologia della lettura", Raffaello Cortina Editore, 1994).
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