(Maurizio Crispi) D'estate vado al bar con una certa frequenza.
Soprattutto nelle ore calde del giorno berrei volentieri un the o un caffé freddo.
O anche sorbirei una bella granita.
A Palermo, avevamo una bella tradizione per questo tipo di bevande.
Il nostro caffé freddo (e se uno voleva ci aggiungeva la panna) era ineguagliabile e chi veniva a Palermo ne rimaneva estasiato.
Ma oggi tutto questo si è perso.
Chi lavora nei bar è senza né arte né parte. Non conosce l'antica arte di produrre con poco cose semplici e genuine.
Non ne posso più dell'offerta di cremini vari, di the freddi, di granite al caffé o al limone omologate, globalizzate, sempre con lo stesso sapore insapore, perchè fatte con le bustine e nelle macchinette.
Uno chiede il buon caffé freddo "all'antica" e ti guardano storto oppure perplessi: forse non sanno nemmeno di cosa stai parlando.
A poco a poco stiamo perdendo tutto quello che ci contraddistingueva: rimangono forse soltanto le cose peggiori che sono
La mancanza di stile
L'ignoranza e l'incultura
La sciatteria
L'approssimazione
La presunzione
Una volta in un bar ho chiesto del the al latte: bene, me lo hanno servito in una teiera con la bustina già in infusione e, orrore, nella teiera avevano già versato il latte.
Gliel'ho mandato indietro. Gli ho detto come lo volevo: ma non hanno capito nulla oppure hanno interpretato a modo loro, sicché mi hanno riportato indietro la teiera con la bustina già in infusione e la tazza con il latte già versato dentro.
Sconsolante! Ho dovuto rinunciare a qualsiasi velleità.
Da quella volta, mi sono guardato bene dal chiedere di nuovo, un the caldo al bar.
In passato era tutt'altra cosa. Anche attività relativamente semplici erano regolate da un certo protocollo: il personale che lavorava nei bar e nella ristorazione in genere (a meno che non si trattasse di una bettola nei pressi del porto), aveva un suo stile e magari indossava una giacchetta bianca o un grembiule nero. Oggi vedi dipendenti o proprietari/gestori sciatti, vestiti con gli indumenti "normali", che si seggono ai tavoli riservati ai clienti, che ridono sguaiatamente o che, mescolati agli avventori, consumano essi stessi qualcosa.
Modi alternativi di condurre esercizi di ristorazione?
Alternativi quanto vogliamo, ma non accettabili.
Ci vuole, secondo me, un minimo di "stile", nel gestire queste cose: imprimere alla propria attività un marchio inconfondibile, fatto di attenzione ai dettagli, di competenza professionale ed anche un pizzico di "originalità" creativa.
Nell'anteguerra, l'Extrabar di Palermo, all'angolo tra Via Ruggero Settimo e Piazza Castelnuovo era frequentato con passione e con riverenza da tutti i cittadini: era rinomato per quasi tutte le sue specialità. E mia madre mi raccontava di una cosa molta ambita e deliziosa: era la "Banana split" (ma allora non si chiamava così) realizzata artigianalmente.
La banana spellata veniva immersa nella cioccolata calda e poi conservata in ghiacciaia, in modo tale che la cioccolata si rappredesse.
Veniva servita così, oppure condita con la panna (quella nostrana, cioé dolcificata: una goduria) oppure con gelato (o con entrambi).
Mia madre ne era golosa. E mi raccontava di questa cosa che lei mangiava, andando palesemente in visibilio.
Ma poi questa preparazione scomparve nel dopoguerra, con l'avvento dei primi gelati industriali.
Oggi l'Extrabar è scomparso sostituito da un anonimo negozio di abbigliamento simil-griffato: un'altro pezzo della palermo dei ricordi naufragato nell'oblio.
In un altro bar con tavoli esterni che si affacciava su Via Libertà dove mio padre portava me e mio fratello bambini, facevano in esclusiva una cosa che era buona da mangiare soltanto lì: ed era il semifreddo alla fragola.
Semplicemente delizioso.
Anche questa una specialità oggi scomparsa.
Di alcune di queste cose noi possiamo soltanto ricordarci.
Di altre ne abbiamo avuto trasmesso il racconto dai nostri genitori, ma a noi sono definitivamente precluse.
Il presente non ci offre molto.
Se si è di bocca buona, ci si accontenta della brutta copia delle cose di un tempo, realizzate senza amore e prodotto di un mercato sempre più globalizzato che impone a commercianti ed esercenti materie prime industriali o pre-confezionate, in cui la chimica e la contraffazione (quella lecita consentita dalle leggi) la fanno da padrone, sicchè tutti possono affrontare certi mestieri senza aver prima imparato l'arte.
E se una cosa si fa senza l'arte, si fa pure senza amore e senza orgoglio.
Tenpo addietro ho conosciuto a Ispica (in provincia di Ragusa) il gestore di un locale specializzato in granite artigianali: era un vero tripudio entrarci, segliere tra le molteplici offerte e poi degustare.
Si potevano assaggiare granite di tutti i tipi: all'arancia, al gelso nero e bianco, alla mandorla dolce e alla mandorla tostata; alle noci, alle more. La granita al caffé e al limone, ovviamente disponibili, messe al confronto con l'ampiezza e la varietà delle scelte, pur buonissime, sembravano quasi banali.
Segliere era un serio problema: si aveva voglia di assaggiarle tutte.
Il locale era vuoto (ma era il primo pomeriggio di un giorno di piena estate).
L'anziano signore che era anche il valente artigiano "facitore di granite", quando mi complimentai con lui, mi disse: "Oggi non c'è più nessuno che vuole imparare a fare le granite buone. Eppure, se uno sa come fare, non è molto costoso prepararle, non ci vuole nemmeno troppa frutta. Io vorrei insegnare il mio mestiere a qualcuno: sono anche disposto a spostarmi per questo: eppure per insegnare ad altri, mi accontenterei di poco. Di un alloggio anche in un garage per pernottare. E di un compenso solo per coprire le spese. Ma oggi nessuno vuole impare a fare le granite buone".
Queste parole sonno le più adatte per concludere queste mie sconsolate considerazioni.
Ma aggiungerei anche: evviva le macchinette e le bustine!
Di questo ormai dobbiamo accontentarci.
E più non dimandate. Vuolsi così colà dove si puote ciò che si vuole.
E' questo il mondo che qualcuno vuole per noi.