(Maurizio Crispi) Quando ero giovane (o dovrei dire "più" giovane, partendo dall'assunto ottimista che ancora non sono vecchio?), pensavo che il mondo in cui vivevo fosse bello e che fosse destinato a diventare sempre più bello.
Adesso che ho superato i 65 anni devo ricredermi.
Il mondo va deteriorandosi sempre di più: si è messo in moto un processo di irreversibile decadimento, evidente nella sciatteria, nella sporcizia, nella rinuncia alla ricerca del bello, nella perdita della sobrietà.
Credo che oggi nessuno più potrebbe comprendere il messaggio di Walden.
Anche se, ovviamente, rimane la possibilità di considerare la città un testo da leggere e da esplorare, in cui assemblando assieme elemeti disparati e casualmente presenti si potrebbe costruire una piccola opera d'arte.
Questo è, forse, il senso del fotografare anche le scene del degrado quotidiano, gli animali morti ed in decomposizione, tutto ciò che giace abbandonato nel flusso ininterrotto delle strade, trasformando l'invisibile in visibile.
In fondo, in questo c'è molto della lezione di Joseph Cornell, artista statunitense e pioniere dell'assemblaggio con la creazione di ineffabili ed incredibili "scatole magiche", come racconta Charles Simic in un suo libricino, appunto dedicato all'artista americano scomparso (Il cacciatore di immagini. L'arte di Joseph Cornell, Adelphi, 2005) che sto leggendo proprio in questi giorni.
Onde evitare fraintendimenti, chiarisco un punto essenziale: questa non è una considerazione "saggistica", bensì una nota di diario che, quindi, riflette essenzialmente un mio stato d'animo.
Si coglie - della realtà - ciò che i nostri occhi ci fanno vedere, guidati dal cuore: e, quindi, in alcuni momenti ci può essere la tendenza a vedere solo buio, quando magari - invece - c sono anche delle chiazze di luce.
Sono contento, tuttavia, dei molti interventi che ha suscitato il mio post, perché la discussione e il confronto sono sempre costruttivi anche quando scaturiscono da un pezzo che risente di uno stato d'animo (transitorio) cupo.
D'altra parte ho ritenuto "illuminante" (il virgolettato è per enfatizzare il senso metaforico della parola in questo contesto), il riferimento a Joseph Cornell che, come racconta Simic nei suoi quadretti, realizzava le sue opere dopo aver camminato a lungo per le vie di New York (Manhattan, specificatamente) e averle osservate con attenzione alla ricerca di subliminali messaggi negli oggetti più insignificanti, anche in quelli più degradati, e nella loro combinazione e ricombinazione.
Tornando alla realtà, Palermo ha effettivamente delle qualità particolare, poichè - forse per via del retaggio del Gattopardo - qualsiasi cosa nasca o venga partorita (si tratti di piste ciclabili, o adesso di una moderna "light railway" cittadina, parchetti giochi per i bambini, parchi pubblici etc, già nel momento in cui nasce è degradata, poichè l'Amministrazione locale è brava a sperperare soldi in nuove (e potenzialmente qualificanti iniziative) ma non è in condizione (o non vuole) pianificare un capitolo di spesa per il mantenimento nel tempo delle opere stesse (sia che si tratti di manutenzione, guardiania, abbellimenti ulteriori etc).
Se a tutto questo si aggiunge l'incuria dei cittadini, il loro menefreghismo, la totale assenza di senso della pubblica utilità e della consapevolezza di essere parte di una comunità, allora siamo davvero a posto.
Maurizio, ripenso a com'era la mia città natale quando nacqui e la trovo migliorata nella pulizia, nella civiltà degli abitanti, nell'ordine, nel traffico. Questa evoluzione la riscontro in molti altri luoghi. Inoltre, ravviso macro-segnali relativi all'accesso di frange sempre più ampie della popolazione mondiale a scalini successivi della piramide di Maslow.
Intendiamoci, non sono un turbo-ottimista. Sono convinto che dobbiamo lavorare ogni giorno, ad esempio per ridurre la forbice della disuguaglianza, che si sta allargando di nuovo, come sempre accade in periodi di crisi economica. Oltre a questo, dobbiamo continuare a insegnare alle persone più giovani di noi la cultura dell'accoglienza, del rispetto, perché sono le uniche che garantiscono l'inclusione e depotenziano certi problemi sociali che gli steccati innescano.
Sono più possibilista, ecco tutto.
Chi era Joseph Cornell? «Non saprei dire se è uno scultore, un pittore, un poeta, un estemporaneo artigiano o semplicemente un mago» rispondeva Goffredo Parise, perplesso. Ma certo è che l’incontro tra Cornell e Charles Simic appare predestinato. Difficile immaginare una più alta affinità di quella che lega i due instancabili esploratori di universi fatti di cose inutili, frusti detriti del vivere quotidiano, nostalgie, percezioni marginali che accendono lampi visionari e offrono squarci imprevedibili sulla dimensione metafisica del tutto. Con dedizione appassionata, Simic rende omaggio a Cornell ripercorrendo i luoghi di una New York segreta, così amata da entrambi; si immagina momenti diversi nella giornata dell’artista, scandita dagli abituali vagabondaggi per le vie di Manhattan; evoca volti di sconosciuti in cui forse Cornell ebbe modo di imbattersi; ridisegna con la trama delle parole le sue creazioni: scatole in cui svariati oggetti si armonizzano in simmetrie oniriche, collage, sculture, filmati. È il suo modo di ricordarlo a vent’anni dalla morte, quando ormai un incontro – talmente desiderato da riproporsi addirittura in sogno – è impossibile.
E così, affastellando cimeli teatrali e variopinti pappagalli, cartoline seppiate e stupefatti volti di bambole, mappe stellari e selve di rami nodosi, cappelli di paglia e palazzi fantasma, Simic altro non fa che replicare, per l’incanto del lettore, le magiche alchimie combinatorie di Cornell (dal risguardo di copertina).
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