Si svolge nell'ampio slargo
davanti ad un edifico condominiale
I negozi e le botteghe che danno sulla strada
sono chiusi,
le saracinesche abbassate,
dovunque segni di degrado e abbandono
la pavimentazione davanti è di terra battuta
(Questo è strano)
tutta invasa da erbacce e da arbusti infestanti
Ero lì che passeggiavo,
quando all’improvviso
le mie gambe hanno cominciato
a muoversi in modo diverso,
manifestando in modo autonomo
il loro desiderio di correre
Sto correndo dunque
Vado avanti e indietro
Un centinaio di metri in una direzione
Poi giro di boa,
quando sono arrivato all'estremo limite dello slargo
E di nuovo
Di nuovo
Di nuovo
Ci vuole molta pazienza
Ma poi creo nella mia mente
scenari di natura
mutevoli e va bene così
Vedo montagne
paesaggi marini,
cittadine pittoresche,
ghiacciai e fiumi che scorrono,
foreste immense palpitanti di vita invisibile e visibile
La corsa va avanti a lungo
Il mio corpo reagisce bene
Nello spiazzale (che è di terra battuta,
come ho detto)
si vanno creando - dopo molteplici passaggi -
dei solchi, come crepature nel terreno,
profonde sino al mio ginocchio e di più
Una corsia, un sentiero,
tracciato dal continuo calpestio dei miei piedi
Al giro di boa più lontano,
ora devo anche muovermi tra due grossi teschi
di dinosauro,
bianchi e calcinati
dopo la lunga esposizione al sole
Sono davvero enormi
Ogni volta li osservo senza sorpresa
Fanno parte di quel paesaggio
e lo ampliano a dismisura
nello stesso tempo
Questa sensazione mi dà le vertigini,
un senso di dislocazione
Dove sono veramente?
Chi sono?
Perchè sto correndo?
Corro, le mie ginocchia sono in sofferenza,
soprattutto ai giri di boa
Eppure continuo a girare
a girare
a girare
a girare
Il cane fedele al guinzaglio
mi segue, senza nulla chiedere
Ogni tanto mi guarda in tralice
Siamo vagabondi nello spazio
ma anche nel tempo
Ho l'impressione che, ad ogni giro in senso anti-orario,
ci muoviamo verso un passato sempre più arcaico
Lo sento
Dove arriveremo?
Non so che dire
Certi eventi irrompono all’improvviso
Ti colpiscono duro
Ti lacerano
Ti fanno sentire in colpa
Ti fanno pensare a ciò che non hai fatto
A ciò che hai fatto e a come lo hai fatto
Rifletti sulle debolezze della memoria,
sull’oblio e sul modo in cui, a volte,
mettiamo da parte le persone
Poi quando la realtà ti colpisce
al petto come un maglio
è troppo tardi per rimediare
Quando ciò accade
si è portati a pensare
alla propria infinita debolezza e fragilità
Non dimentichiamo che,
quando una campana suona a morto
suona per ciascun vivente
2.
Il vento scuote gli alberi
Fa vibrare le finestre
Si sente fuori dalle mura
un rimestio o un brontolio
Ma anche una vibrazione
altalenante
come se uno stuolo di monaci tibetani
stesse salmodiando l’OM
Carte e cartacce,
fogli di giornale,
involti oleosi stropicciati
bicchieri di carta,
ma anche foglie secche,
danzano nel vento
si sollevano in piccoli vortici
e poi ricadono
fino a quando un turbine
più vigoroso non li prende
portandoli via con sé
Il vento allontana le persone,
le isola,
fa volare via i pensieri, scompigliandoli,
via sciarpe e berretti
Le costringe a piegarsi per resistere,
ma poi le prende e le trascina
nell’Altrove
Dove?
Forse a Erewhon
Forse a Kansas City
Forse a Xanadu di Kubla Khan
O forse a Shangri-la
o in altri luoghi dove si possa
ricevere il dono (o la maledizione)
dell’eterna giovinezza
Dicono che nei giorni di vento
le anime dei defunti
possano più facilmente volare via
libere da catene e da fardelli
3.
Fa caldo in questo giorno di Marzo
Questa sezione del cimitero
è battuta dal sole,
sotto un cielo implacabilmente terso
C’é - a poca distanza -
un rifugio ombroso
ai piedi di un cipresso secolare
Mi ci riparo
Accanto a me,
occhieggia con i suoi fiori
una margherita selvatica
cresciuta a fatica
tra gli interstizi d’una sepoltura
Avverto la pace
E se non fosse considerato strano
mi sdraierei volentieri
su d'una lastra tombale
per assorbirne la tellurica frescura
Attorno a me s'erge
un fitto bosco di sepolture,
ornate di croci e colonne mozze,
custodite da angeli in preghiera
o dormienti,
adorne di scritture ultime,
alcune abitate e frequentate,
ingentilite da fiori freschi e piante ancora vitali,
altre neglette, dissestate,
con inferriate e recinzioni di metallo
divelte e rugginose
I defunti sono qui
attorno a me
Lo sento
Alcuni sono rappacificati e sereni
Altri levano le loro voci irose
per essere stati trascurati
Tutti aspettano qualcosa
L’ora che verrà
o che mai arriverà
Si sente echeggiare il verso del corvo,
nero guardiano
Entro nel mio studio
e trovo una serie di prodotti cosmetici
esposti in bella mostra sul piano della scrivania
Inappropriato!
Sono irritato
Chi avrà fatto questo?
Penso che dovrò parlarne con mio figlio
Ma sono certo che lui non capirà
È facile essere frainteso
Lui è irruento e di rado ascolta
sino in fondo
ciò che ho da dire
Poi, in un altro momento,
ero trasportato in auto
Il guidatore faceva anche da guida
Si parlava di un certo ospite,
un mio lontano parente,
che era venuto in visita
da un paese estero
Siccome era venuto per partecipare
ad una celebrazione familiare
le spese di viaggio e permanenza alberghiera per due giorni
erano a mio carico
Il guidatore mi diceva
che l’ospite aveva deciso
di prolungare il suo soggiorno,
trasferendosi in un hotel di superlusso
Aggiungeva anche
che l’ospite si aspettava che io pagassi il conto
Mi facevo quattro conti in croce
e realizzavo che avrei dovuto esborsare
circa 25 milioni
Mi sentivo sbalordito e sopraffatto,
sgomento anche
Dicevo che c’era stato un fraintendimento
Non sarebbe dovuto toccare a me
pagare le spese extra
Non erano questi i patti con l’ospite
Nel sogno, tutto questo
lo dicevo in inglese
Il guidatore/guida sghignazzava di gusto,
mentre continuava a guidare
Avrei voluto scendere
ma la portiera era senza maniglie,
i finestrini non si potevano abbassare
Non sapevo dove stessimo andando
e nemmeno quanto sarebbe durato il viaggio
Ho sognato che andavo ad un convegno
(di psicoanalisi o di psichiatria)
su di un magnifico cavallo bianco
Ero gioioso per avere questo cavallo
Tutti erano stupiti nel vederlo
Io ero compiaciuto
Non era soltanto magnifico,
era anche intelligente
Era capace, per esempio,
di aprire il rubinetto dell’acqua
per bere autonomamente,
come se avesse zoccoli prensili
Era una creatura mitologica,
a tutti gli effetti
Il convegno si svolgeva all’aperto
nella vasta corte di un’antica dimora
Incontravo tanti colleghi del passato,
altri - più giovani - mi erano sconosciuti
Ma, in verità, ero più interessato al cavallo
che non al convegno,
né mi sentivo vocazione alcune per le rimpatriate
E poi c’era il cavallo da impastoiare
e da rigovernare
Parlavo con una tizia
che riconoscevo come scrittrice
Nella conversazione mostravo
di possedere un’articolata conoscenza
dei suoi libri
e lei se ne stupiva
Poi se ne andava
e la conversazione si spegneva
Forse, avrebbe voluto
rimanere nell’anonimato
Anche la scrittrice, però, era venuta
al convegno a cavallo
- questo ci accomunava -
ma il suo destriero era un roano
Cominciavano a cadere
grosse gocce di pioggia
Guardavo il cielo ad est
e vedevo che grossi cumuli
grigio-neri, minacciosi,
si addensavano rapidamente Pioverà?, chiedevo alla scrittrice
Lei rispondeva, Sì, certo!
Se non vogliamo bagnarci,
occorre andare!
Il cavallo mi rendeva davvero felice
Non avevo bisogno d’altro
Mi occupavo di lui
Non temevo alcun male
Pensavo che me ne sarei andato via
presto, in groppa al mio destriero,
per scansare la pioggia imminente
Del convegno e delle facce di circostanza
non mi importava proprio nulla
Pregustavo una magnifica uscita di scena,
io e il mio destriero
per andare a passo lento e maestoso
verso altri destini
Dopo poco più di un mese da quello che avete appena letto, ecco un nuovo sogno, nel quale mi ritrovo a partecipare ad un convegno di psichiatria
Sono tra i partecipanti d'un convegno nazionale di psichiatria
Si tratta di una cosa davvero grande ed importante
C’è uno stuolo di professoroni, il fior fiore,
la crème del la crème, e i loro accoliti
lecchini, rampanti e ambiziosi
armati di coltelli taglienti
per pugnalarsi alle spalle
quando occorre o anche quando non occorre
Bisogna avere lo stomaco foderato di acciaio
ma anche indossare robuste mutande di latta,
per stare assieme ad una simile combriccola,
eppure siamo lì,
volenti o nolenti
La folla è percorsa da grandi ondate nervose
Ci si sposta all’improvviso
sulla base di dicerie o anche di semplici supposizioni
La parola d’ordine é essere presenti
laddove le cose accadono,
per ottenere favori
o cogliere opportunità
C’è anche mio fratello,
con la sua carrozzina,
lui però è un outsider, un puro,
un gigante con i piedi di solida roccia
non come quei fantocci dai piedi di argilla
che lo circondano
Lui è là, perché deve presentare
un suo libro sui diritti
delle persone con disabilità
Di lì a poco, mio fratello scompare, tuttavia,
e non ho più il conforto
della sua rassicurante presenza
In uno dei tanti spostamenti di folla
vengo trascinato in una grande sala
dove è allestito un buffet
Tutti si avventano sui tavoli
riccamente imbanditi
riempiono piatti di tutto e di più
mangiano a quattro palmenti,
quasi fossero reduci da un mese di digiuno
a pane e acqua
Intanto, infarciscono il loro ingozzarsi
con un chiacchiericcio vuoto
Una nuvola di parole vuote
si leva verso l’alto
come un sottile gas asfissiante
I coltelli sono sempre là
pronti all’uso
Mi trovo alla presenza di un augusto professore
il quale, attorniato dalla sua corte, sentenzia
Alcuni, i suoi più fedeli,
annotano le sue parole oracolari
a futura memoria
Io non so che dire
Tacere è la virtù dei forti
Poi ci si sposta altrove,
in un grande androne
dove ci si registra per poter prendere la parola
e fare dotti interventi
La calca è terribile
Tutti si fanno sotto,
cercando di scavalcare e arrivare per primi
Non si contano i furbetti e i furetti
Ma c’è un servizio d’ordine impeccabile
Ci sono delle amazzoni
a torso nudo
che bloccano gli indisciplinati
con prese d’acciaio
al collo o alle braccia
Stringono con tanto vigore
che potrebbero spezzare le ossa di quei tapini
A nulla valgono le loro suppliche
o anche le blandizie
Anzi, più i tapini - un tempo furbetti -
supplicano e pregano
di essere trattati con meno rigidità,
più la stretta aumenta
e i loro volti si contorcono
per il dolore,
mentre le amazzoni mute
tengono puntati su di loro
occhi di fuoco
Scrissi questo pezzo come "nota Facebook" il 27 agosto 2009 ed è rimasto sepolto lì, man mano che i contenuti della bacheca scorrevano in avanti, proiettati lungo un vettore di tempo lineare.
Riemerge oggi e avendo controllato che di questo scritto non v'è traccia nei miei blog, lo lancio qui.
parla di un momento quasi antidiluviano, prima ancora che esordisse un decennio di lutti, ma anche di grandi cambiamenti ed è, per questo motivo una traccia che vale la pena conservare.
Anche questo scrissi nel lontano 28 agosto 2010. E anche questo breve scritto mi è stato restituito in forma di "ricordo" dall'algoritmo di Facebook. Lo ripropongo qui, poichè non fu mai pubblicato nei blog che tenevo attivi a quel tempo.
Gli attimi sono sempre fuggenti. E' nella loro natura esserlo
Crediamo di avere la presa sul presente e ciò che riteniamo di possedere, in un attimo, è già passato
Il presente di fatto non esiste
Ciò che è in un modo transita veloce verso successive - imprevedibili - metaformosi
E non c'è mai l'immobilità, né l'equilibrio assoluto
Viviamo in un continuo disequilibrio alla ricerca di continui micro-equillibri esistenti soltanto in funzione del caos che preme da ogni parte
Io non ho mai un mio centro, non riesco ad averlo nemmeno quando ci provo e sono convinto di provarci
Se lo avessi, probabilmente non scriverei come faccio - spinto da un'ossessione d fissare - attraverso la scrittura - le cose (gli accadimenti) e i pensieri e le emozioni
Se io faccio ciò è per vincere il fantasma della morte e di ciò che si deteriora e si guasta
Se scrivo e se penso e se ricordo l'attimo fuggente oppure ciò che è stato ed è fuggito via da tanto tempo, sono vivo
Ancora per un attimo
Poi, si vedrà
Il commento che segue non è mio e ci tengo a riportarlo sia pure in forma anonima:
"Gli attimi sono importanti.
Sono fuggenti, ma sono come un puzzle e permettono la crescita e la costruzione di tutta la nostra vita, delle nostre emozioni, della nostra... storia.
Ogni attimo passato ci ha permesso di essere come siamo.
Ogni attimo presente ci permette di esserci domani.
L'attimo fugge la morte, perchè la morte è l'ultimo attimo.
L'unico attimo che viviamo senza quasi esserne consapevoli se non forse per una frazione di secondo
1. Dopo il temporale
(alias nubifragio, alias - ma solo per i media conformisti -
“bomba d’acqua”)
è ritornato il sereno
Il cielo è di un azzurro che più non si può
Qualche nuvoletta cotonosa indugia nell’azzurro
Prima, brontolio di tuoni annunció la bufera
E infuriarono anche raffiche di vento poderose,
assieme a fulmini e saette
Sedie e sdraio da balcone volarono
Tende da sole dispiegate come vele
furono divelte
Vasi di piante si schiantarono
Ed ora ci crogioliamo di nuovo
nel sole che non dà requie
2. E poi di notte ha piovuto di nuovo,
ma così quietamente
che non me ne sono accorto
Ora, al mattino, nuvole vaganti
si addensano e si separano
nel grande melting pot del cielo
Mentre cammino assiem al mio Fedele
è anche ricominciata la pioggia,
ma é solo una pioggerellina lieve,
solo alcune gocce sparse
Ma qualcuno, dei radi passanti,
ha ritenuto opportuno
aprire l’ombrello di scorta,
inscenando così
una romantica passeggiata a due
sotto la pioggia
Mentre i due sotto l'ombrello
si allontanano
facendosi sempre più piccini
un piccione spennacchiotto,
posato su di una ringhiera,
sembra guardarli con fiero cipiglio,
tubando in attesa di dispiegare
le ali della libertà
Il giorno dopo ferragosto,
sono uscito di primo mattino,
come d'abitudine,
per la rituale passeggiata umano-canina
L'impatto dell'aria calda è stato forte e devastante
Par d'essere davanti alla bocca d'un forno di panificio o per le pizze
che stia andando a pieno regime,
o nella traiettoria dell'alito caldo di un gigante
Ho camminato per vie deserte
Non un'anima viva, benché formalmente
il giorno sia lavorativo
Ma la verità è che la città è tutta chiusa per ferie
come un villaggio messicano
all'ennesima potenza
Anche le edicole,
ma già!, forse, il giorno dopo Ferragosto
i giornali non escono
Il cane ansima per il gran caldo
Io sudo copiosamente
e vado cercando i tratti di strada più ombreggiati
(o meno esposti al sole)
Le foglie dei platani, appassite anzitempo,
si sono ammucchiate negli angoli morti
e vengono di continuo spostate dai refoli dello scirocco
Ombre lunghe nel primo mattino
Eppure scorgo di tanto in tanto
qualche camminatore affranto e traballante
trafelato alla ricerca di frescura
Arriva uno su di una bici elettrica,
grosse ruote tozze,
che tiene sospeso un dispositivo
per ascoltare la musica dal cellulare
a tutto volume, mediante bluetooth
Procede in un'onda sonora di bassi
che fanno tremare i polsi
Sono ancora nel caldo torrido,
così torrido che di più non si può
e la mia attenzione è attratta
dalla carcassa di un piccione che si dissecca sull'asfalto,
piume e ossa, in una parvenza di mummificazione
un resto che forse, prima, è stato cibo
per i gabbiani cittadini, sempre più predatori e carnivori
Il vento che ha soffiato una notte di bufera,
qualche giorno fa,
ha spezzato rami e abbattuto dei grossi platani
Uno è stato rimosso
e rimane soltanto un'ampia ferita nella tessitura
del marciapiede con le grandi pietre squadrate
che delimitavano l'aiuola spostate come fuscelli
E ancora vedo delle piccole farfalle gialline
che si rincorrono nell'aria
celebrando la loro effimera vita
Loro danzano lievi,
malgrado il caldo,
ma hanno poco tempo,
non possono fermarsi a riposare
neppure per un istante
Poi, all'improvviso,
si sente in alto,
forse proveniente da qualche tetto condominiale
sul quale hanno preso alloggio,
sento un'improvvisa baruffa tra gabbiani
Cosa si diranno mai?
Il loro è loro ormai
Noi umani siamo una specie
in via d'estinzione
I cannoli dell'antico fontanile settecentesco di Palazzo Adriano (PA) - Foto di Maurizio Crispi)
Dolci e fresche acque - chioccolanti - dal cannello di ottone dell'antico fontanile di pietra, al centro della Piazza di Palazzo Adriano...
In questa fontana che non cessa mai di mormorare c'è tutta la storia di un luogo...E c'è tutta la magia delle fontane quando l'acqua per dissetarsi e per rinfrescarsi era libera e gratuita, un bene di tutti.
Queste meraviglie - le fontane che erogano in continuità acqua sempre fresca e pulita - stanno scomparendo dal mondo nella disattenzione generale...
Ho scritto questo pezzo nel luglio 2015, rendendolo visibile nel mio profilo Facebook. Probabilmente non l'ho tempestivamente pubblicato qui sul blog. Mi ci sono imbattuto casualmente, nella solita rassegna di ricordi proposta giornalmente dall'algoritmo di Facebook. E , quindi, non avendolo fatto a suo tempo, lo lancio, qui, oggi.
Delle riflessioni che arrivano in ritardo rispetto a quando furono formulate, ma che sono tuttora attuali.
Tante delle persone che sono state nella mia vita sono morte.
Mia nonna e la prozia Irene le ho viste solo nel letto di morte e poi composte nella bara. Mi è stato risparmiato il momento del loro trapasso.
Poi è stata la volta di Papà che è entrato in casa, dopo il tragico incidente, già sigillato dentro la sua bara. Mi è stato risparmiato di andare all'Istituto di Medicina Legale ad effettuare il riconoscimento di quel che restava. O forse io sono stato vigliacco e, con facilità, mi sono lasciato convincere a non andare, lasciando ad altri il pietoso compito.
Poi - e vado saltando, passando agli eventi più significativi - è stata la volta di mio cugino Gabriele. Questa volta - forse per compensare ciò che mi ero risparmiato quando era morto papà - sono andato con i miei cugini e con i suoi genitori sul luogo dell'incidente e abbiamo passato la notte davanti all'obitorio di un piccolo cimitero di provincia, in attesa che gli addetti ne aprissero le porte, con impietoso orario di ufficio.
E qui, io, facendo da supporto per i miei cugini e per i miei zii, mi assunsi parte dell'incarico del riconoscimento di Gabriele e, poi della sua svestizione dalla muta di sub che ancora indossava. In questo compito impregnato di pietas, mi ritrovai a vivere in pieno ciò che non avevo vissuto alla scomparsa di mio padre. E fu un'esperienza intensa e, in parte, destabilizzante, negli effetti che ebbe su di me negli anni successivi: un'esperienza che potei metabolizzare a poco a poco, con grande dolore.
Poi, andando avanti negli anni, siamo arrivati alla morte della mamma: l'ho seguita intimamente negli ultimi giorni, osservando il suo rapido declino e, nello stesso tempo, sentendo l'energia caparbia con cui si teneva legata alla vita, aspettando il momento proprizio per lasciarci con fierezza e nel suo modo. L'ultima notte non volle andare a letto e rimase seduta nella sua poltrona, la poltrona dove aveva passato sempre più tempo nei suoi ultimi giorni. Io mi misi nella poltrona accanto a lei per rimanerle vicino. E mi addormentai.
Quando alcune ore dopo mi risvegliai forse a causa dell'eccessivo silenzio (il suo respiro nelle ore precedenti si era fatto pesante e affannoso), mi resi conto che aveva compiuto il suo transito, con accanto la sua borsa e la sveglia che ogni mattina puntava alle 5.00 secondo un'abitudine consolidata allo scopo di avviare la routine dell'accudimento a Salvatore (mi aveva chiesto di portargliela e di caricarla per lei al solito orario di sempre). E quella sveglia all'ora stabilita suonò ancora una volta, per ricordare a tutti noi che la vita continuava con le sue necessità e i suoi obblighi.
Anche questa volta, tuttavia, mi fu risparmiato il momento del trapasso. Ero addormentato accanto a lei.
Con Salvatore, no.
Eravamo assieme e l'ho visto morire.
Ho visto la sua lotta, mentre se ne andava.
Ricorderò il suo sguardo carico di angoscia: non si è mai pronti, quando quell'ultimo momento arriva; il suo tentativo di dirmi qualcosa, delle parole che non riusciva ad articolare; il suo improvviso accasciarsi in avanti, terreo in viso, in un'immobilità che, sul momento, mi sono rifiutato di codificare nel suo vero ed ineludibile significato, per quanto io sia medico (ma che ha scelto di fare lo psichiatra, proprio per non doversi confrontare con questi aspetti del morire).
E' stato giusto che sia accaduto così, io e lui assieme, vicini come eravamo stati negli ultimi anni dopo la morte della mamma. L'ho visto e l'ho sentito mentre era sulla soglia e forse mi rivolgeva un ultimo saluto, oppure mi chiedeva aiuto, perchè ancora per lui non era tempo di andare.
Non credo che potrò mai dimenticare quel momento.
Ci penso sempre: non riesco a distanziarmene.
Quelle fatidiche sequenze compaiono improvvisamente davanti ai miei occhi e nella mia mente nei momenti più impensati.
Ed è giusto che sia così.
Ed anche vero che il tempo è un grande scultore e che poi, a poco a poco, le cose si attenuano e si smussano anche se ci affanniamo a farle vivere nel ricordo.
Quando spingo il passeggino con Gabriel, ci penso più intensamente, proprio perchè quando il transito di Tatà si è verificato io ero lì con lui nella mia funzione di fratello-spingitore.
Forse ciò dipende anche per il fatto che questa sia stata la prima volta in cui ho visto materialmente il momento del trapasso di una persona cara.
E stato così che ho bevuto il calice della vita sino in fondo.
Questa volta, in occasione del mio ultimo miglio come spingitore, non sono stato risparmiato: ho dovuto vivere per intero il commiato da Tatà, senza sconti.
Sono convinto che, per vivere, occorre avere consuetudine con la morte e soprattutto con il morire.
Ho sognato che camminavo in un bosco
portando un grosso serpente di pezza
verde che più verde non si può,
avvolto attorno alle mie braccia
e al mio corpo
Ed ecco che,
vicino ad un tronco abbattuto
mezzo marcio e rivestito di muschi e licheni,
avvisto un enorme serpente
gigantesco e lunghissimo,
anche lui (o lei?) d’un intenso verde-smeraldo,
così verde che più verde non si può
Le sue spire occupano una vasta area
e si muovono di continuo
Mi son fermato in preda al timore
per esaminare le opzioni possibili
Intanto, osservand, mi accorgo
che questo enorme boa verde
è una mamma
Infatti nel punto più centrale delle spire
che sembrano inanellarsi all’infinito
c’è un ammasso brulicante
di piccoli serpentelli verdi
e, in mezzo, la testa della mamma-serpente
che sembra far la guardia alla nidiata
Mi muovo con circospezione
sempre con quello stupido
serpente di pezza
avvolto attorno al corpo e alle braccia
Vorrei allontanarmi
il più presto possibile
Temo che il serpentone
(o meglio, la serpentessa)
possa aggredirmi
scorgendomi assieme al finto serpente
e scambiandomi per un avversario
che stia per attentare alla sua prole
Le spire sono dovunque
e per allontanarmi
ci devo camminare in mezzo
con il cuore in gola
- come se fossi costretto
ad attraversare un campo minato -
e mi accorgo che si muovono
sempre più velocemente,
annodandosi e sciogliendosi
Aspetto il momento fatale in cui
ne sarò ghermito e stritolato Aiutoooooo!
E' la mia muta invocazione
Poco prima mentre dormivo
sdraiato sul divano
avevo sognato
che dormivo sdraiato su di un divano
Sentivo dei rumori e pensavo
che fosse la mamma
- che non vedevo da tanto tempo -
a muoversi per casa
Provavo a chiamarla,
desiderando attirare la sua attenzione
su di me, disteso su quel divano, ,
ma nessun suono usciva dalla mia gola
per quanto mi sforzassi
e sentivo nello stesso tempo
una totale paralisi di tutte le membra
Provavo e riprovavo a farmi sentire,
ma niente accadeva
Poi sentivo che qualcuno
mi sollevava il busto
pesante ed inerte come un tronco
cingendolo tra le braccia
Ed era la mamma
che, malgrado tutto,
era arrivata e mi stringeva
con le sue braccia in un abbraccio
tanto, troppo, a lungo desiderato
E scoppiavo allora
in un pianto dirotto,
irrefrenabile,
Ed ero scosso dai singhiozzi
Mamma, mamma, dove sei?
Mia madre invocava spesso sua madre
negli ultimi mesi della sua vita,
quando la fatica del vivere
e il senso di inutilità
si erano fatti per lei intollerabili Mamma!, diceva, Voglio la mamma!
Era diventato davvero troppo dispendioso in termini di tempi richiesti alimentarli entrambi, anche perchè nati per caso, mentre
armeggiavo - ancora alle prime armi - per creare un blog, me li ero ritrovati ambedue, benchè la mia idea originaria fosse stata quella di averne uno solo. Infatti, non a caso, le loro
intestazioni erano abbastanza simili: creatone uno - non ricordo quale dei due per primo - lo ho "perso" (per quanto strano ciò possa sembrare) e mi diedi alacremente da fare per ricrearne uno
nuovo. Qualche tempo - nel frattempo ero divenuto più bravino - il blog perso me lo ritrovai).
Ohibò! - dissi a me stesso - E ora cosa ne faccio?
La risposta più logica sarebbe stata: Disattiviamolo!. E invece...
Mi dissi: li tengo tutti e due. E così feci. E' stato bello finchè è durato...
Ma giocare su due tavoli - e sempre con la stessa effcienza - è molto complicato, ancora di più quando i tavoli diventano tre e
poi quattro e via discorrendo....
Con overblog ho trovato una "casa" che mi sembra sicuramente più soddisfacente e così, dopo molte esitazioni, mi sono deciso a
fare il grande passo del trasloco, non senza un certo dispiacere, perchè il cambiamento induce sempre un po' di malinconia e qualche nostalgia.
E quindi ora eccomi qua.
E quello che ho fatto - ciò mi consola molto - rimane là e chiunque se ha la curiosità può andare a dargli un'occhiata.