Scrissi questo pezzo come "nota Facebook" il 27 agosto 2009 ed è rimasto sepolto lì, man mano che i contenuti della bacheca scorrevano in avanti, proiettati lungo un vettore di tempo lineare.
Riemerge oggi e avendo controllato che di questo scritto non v'è traccia nei miei blog, lo lancio qui.
parla di un momento quasi antidiluviano, prima ancora che esordisse un decennio di lutti, ma anche di grandi cambiamenti ed è, per questo motivo una traccia che vale la pena conservare.
Anche questo scrissi nel lontano 28 agosto 2010. E anche questo breve scritto mi è stato restituito in forma di "ricordo" dall'algoritmo di Facebook. Lo ripropongo qui, poichè non fu mai pubblicato nei blog che tenevo attivi a quel tempo.
Gli attimi sono sempre fuggenti. E' nella loro natura esserlo
Crediamo di avere la presa sul presente e ciò che riteniamo di possedere, in un attimo, è già passato
Il presente di fatto non esiste
Ciò che è in un modo transita veloce verso successive - imprevedibili - metaformosi
E non c'è mai l'immobilità, né l'equilibrio assoluto
Viviamo in un continuo disequilibrio alla ricerca di continui micro-equillibri esistenti soltanto in funzione del caos che preme da ogni parte
Io non ho mai un mio centro, non riesco ad averlo nemmeno quando ci provo e sono convinto di provarci
Se lo avessi, probabilmente non scriverei come faccio - spinto da un'ossessione d fissare - attraverso la scrittura - le cose (gli accadimenti) e i pensieri e le emozioni
Se io faccio ciò è per vincere il fantasma della morte e di ciò che si deteriora e si guasta
Se scrivo e se penso e se ricordo l'attimo fuggente oppure ciò che è stato ed è fuggito via da tanto tempo, sono vivo
Ancora per un attimo
Poi, si vedrà
Il commento che segue non è mio e ci tengo a riportarlo sia pure in forma anonima:
"Gli attimi sono importanti.
Sono fuggenti, ma sono come un puzzle e permettono la crescita e la costruzione di tutta la nostra vita, delle nostre emozioni, della nostra... storia.
Ogni attimo passato ci ha permesso di essere come siamo.
Ogni attimo presente ci permette di esserci domani.
L'attimo fugge la morte, perchè la morte è l'ultimo attimo.
L'unico attimo che viviamo senza quasi esserne consapevoli se non forse per una frazione di secondo
1. Dopo il temporale
(alias nubifragio, alias - ma solo per i media conformisti -
“bomba d’acqua”)
è ritornato il sereno
Il cielo è di un azzurro che più non si può
Qualche nuvoletta cotonosa indugia nell’azzurro
Prima, brontolio di tuoni annunció la bufera
E infuriarono anche raffiche di vento poderose,
assieme a fulmini e saette
Sedie e sdraio da balcone volarono
Tende da sole dispiegate come vele
furono divelte
Vasi di piante si schiantarono
Ed ora ci crogioliamo di nuovo
nel sole che non dà requie
2. E poi di notte ha piovuto di nuovo,
ma così quietamente
che non me ne sono accorto
Ora, al mattino, nuvole vaganti
si addensano e si separano
nel grande melting pot del cielo
Mentre cammino assiem al mio Fedele
è anche ricominciata la pioggia,
ma é solo una pioggerellina lieve,
solo alcune gocce sparse
Ma qualcuno, dei radi passanti,
ha ritenuto opportuno
aprire l’ombrello di scorta,
inscenando così
una romantica passeggiata a due
sotto la pioggia
Mentre i due sotto l'ombrello
si allontanano
facendosi sempre più piccini
un piccione spennacchiotto,
posato su di una ringhiera,
sembra guardarli con fiero cipiglio,
tubando in attesa di dispiegare
le ali della libertà
Il giorno dopo ferragosto,
sono uscito di primo mattino,
come d'abitudine,
per la rituale passeggiata umano-canina
L'impatto dell'aria calda è stato forte e devastante
Par d'essere davanti alla bocca d'un forno di panificio o per le pizze
che stia andando a pieno regime,
o nella traiettoria dell'alito caldo di un gigante
Ho camminato per vie deserte
Non un'anima viva, benché formalmente
il giorno sia lavorativo
Ma la verità è che la città è tutta chiusa per ferie
come un villaggio messicano
all'ennesima potenza
Anche le edicole,
ma già!, forse, il giorno dopo Ferragosto
i giornali non escono
Il cane ansima per il gran caldo
Io sudo copiosamente
e vado cercando i tratti di strada più ombreggiati
(o meno esposti al sole)
Le foglie dei platani, appassite anzitempo,
si sono ammucchiate negli angoli morti
e vengono di continuo spostate dai refoli dello scirocco
Ombre lunghe nel primo mattino
Eppure scorgo di tanto in tanto
qualche camminatore affranto e traballante
trafelato alla ricerca di frescura
Arriva uno su di una bici elettrica,
grosse ruote tozze,
che tiene sospeso un dispositivo
per ascoltare la musica dal cellulare
a tutto volume, mediante bluetooth
Procede in un'onda sonora di bassi
che fanno tremare i polsi
Sono ancora nel caldo torrido,
così torrido che di più non si può
e la mia attenzione è attratta
dalla carcassa di un piccione che si dissecca sull'asfalto,
piume e ossa, in una parvenza di mummificazione
un resto che forse, prima, è stato cibo
per i gabbiani cittadini, sempre più predatori e carnivori
Il vento che ha soffiato una notte di bufera,
qualche giorno fa,
ha spezzato rami e abbattuto dei grossi platani
Uno è stato rimosso
e rimane soltanto un'ampia ferita nella tessitura
del marciapiede con le grandi pietre squadrate
che delimitavano l'aiuola spostate come fuscelli
E ancora vedo delle piccole farfalle gialline
che si rincorrono nell'aria
celebrando la loro effimera vita
Loro danzano lievi,
malgrado il caldo,
ma hanno poco tempo,
non possono fermarsi a riposare
neppure per un istante
Poi, all'improvviso,
si sente in alto,
forse proveniente da qualche tetto condominiale
sul quale hanno preso alloggio,
sento un'improvvisa baruffa tra gabbiani
Cosa si diranno mai?
Il loro è loro ormai
Noi umani siamo una specie
in via d'estinzione
I cannoli dell'antico fontanile settecentesco di Palazzo Adriano (PA) - Foto di Maurizio Crispi)
Dolci e fresche acque - chioccolanti - dal cannello di ottone dell'antico fontanile di pietra, al centro della Piazza di Palazzo Adriano...
In questa fontana che non cessa mai di mormorare c'è tutta la storia di un luogo...E c'è tutta la magia delle fontane quando l'acqua per dissetarsi e per rinfrescarsi era libera e gratuita, un bene di tutti.
Queste meraviglie - le fontane che erogano in continuità acqua sempre fresca e pulita - stanno scomparendo dal mondo nella disattenzione generale...
Ho scritto questo pezzo nel luglio 2015, rendendolo visibile nel mio profilo Facebook. Probabilmente non l'ho tempestivamente pubblicato qui sul blog. Mi ci sono imbattuto casualmente, nella solita rassegna di ricordi proposta giornalmente dall'algoritmo di Facebook. E , quindi, non avendolo fatto a suo tempo, lo lancio, qui, oggi.
Delle riflessioni che arrivano in ritardo rispetto a quando furono formulate, ma che sono tuttora attuali.
Tante delle persone che sono state nella mia vita sono morte.
Mia nonna e la prozia Irene le ho viste solo nel letto di morte e poi composte nella bara. Mi è stato risparmiato il momento del loro trapasso.
Poi è stata la volta di Papà che è entrato in casa, dopo il tragico incidente, già sigillato dentro la sua bara. Mi è stato risparmiato di andare all'Istituto di Medicina Legale ad effettuare il riconoscimento di quel che restava. O forse io sono stato vigliacco e, con facilità, mi sono lasciato convincere a non andare, lasciando ad altri il pietoso compito.
Poi - e vado saltando, passando agli eventi più significativi - è stata la volta di mio cugino Gabriele. Questa volta - forse per compensare ciò che mi ero risparmiato quando era morto papà - sono andato con i miei cugini e con i suoi genitori sul luogo dell'incidente e abbiamo passato la notte davanti all'obitorio di un piccolo cimitero di provincia, in attesa che gli addetti ne aprissero le porte, con impietoso orario di ufficio.
E qui, io, facendo da supporto per i miei cugini e per i miei zii, mi assunsi parte dell'incarico del riconoscimento di Gabriele e, poi della sua svestizione dalla muta di sub che ancora indossava. In questo compito impregnato di pietas, mi ritrovai a vivere in pieno ciò che non avevo vissuto alla scomparsa di mio padre. E fu un'esperienza intensa e, in parte, destabilizzante, negli effetti che ebbe su di me negli anni successivi: un'esperienza che potei metabolizzare a poco a poco, con grande dolore.
Poi, andando avanti negli anni, siamo arrivati alla morte della mamma: l'ho seguita intimamente negli ultimi giorni, osservando il suo rapido declino e, nello stesso tempo, sentendo l'energia caparbia con cui si teneva legata alla vita, aspettando il momento proprizio per lasciarci con fierezza e nel suo modo. L'ultima notte non volle andare a letto e rimase seduta nella sua poltrona, la poltrona dove aveva passato sempre più tempo nei suoi ultimi giorni. Io mi misi nella poltrona accanto a lei per rimanerle vicino. E mi addormentai.
Quando alcune ore dopo mi risvegliai forse a causa dell'eccessivo silenzio (il suo respiro nelle ore precedenti si era fatto pesante e affannoso), mi resi conto che aveva compiuto il suo transito, con accanto la sua borsa e la sveglia che ogni mattina puntava alle 5.00 secondo un'abitudine consolidata allo scopo di avviare la routine dell'accudimento a Salvatore (mi aveva chiesto di portargliela e di caricarla per lei al solito orario di sempre). E quella sveglia all'ora stabilita suonò ancora una volta, per ricordare a tutti noi che la vita continuava con le sue necessità e i suoi obblighi.
Anche questa volta, tuttavia, mi fu risparmiato il momento del trapasso. Ero addormentato accanto a lei.
Con Salvatore, no.
Eravamo assieme e l'ho visto morire.
Ho visto la sua lotta, mentre se ne andava.
Ricorderò il suo sguardo carico di angoscia: non si è mai pronti, quando quell'ultimo momento arriva; il suo tentativo di dirmi qualcosa, delle parole che non riusciva ad articolare; il suo improvviso accasciarsi in avanti, terreo in viso, in un'immobilità che, sul momento, mi sono rifiutato di codificare nel suo vero ed ineludibile significato, per quanto io sia medico (ma che ha scelto di fare lo psichiatra, proprio per non doversi confrontare con questi aspetti del morire).
E' stato giusto che sia accaduto così, io e lui assieme, vicini come eravamo stati negli ultimi anni dopo la morte della mamma. L'ho visto e l'ho sentito mentre era sulla soglia e forse mi rivolgeva un ultimo saluto, oppure mi chiedeva aiuto, perchè ancora per lui non era tempo di andare.
Non credo che potrò mai dimenticare quel momento.
Ci penso sempre: non riesco a distanziarmene.
Quelle fatidiche sequenze compaiono improvvisamente davanti ai miei occhi e nella mia mente nei momenti più impensati.
Ed è giusto che sia così.
Ed anche vero che il tempo è un grande scultore e che poi, a poco a poco, le cose si attenuano e si smussano anche se ci affanniamo a farle vivere nel ricordo.
Quando spingo il passeggino con Gabriel, ci penso più intensamente, proprio perchè quando il transito di Tatà si è verificato io ero lì con lui nella mia funzione di fratello-spingitore.
Forse ciò dipende anche per il fatto che questa sia stata la prima volta in cui ho visto materialmente il momento del trapasso di una persona cara.
E stato così che ho bevuto il calice della vita sino in fondo.
Questa volta, in occasione del mio ultimo miglio come spingitore, non sono stato risparmiato: ho dovuto vivere per intero il commiato da Tatà, senza sconti.
Sono convinto che, per vivere, occorre avere consuetudine con la morte e soprattutto con il morire.
Ho sognato che camminavo in un bosco
portando un grosso serpente di pezza
verde che più verde non si può,
avvolto attorno alle mie braccia
e al mio corpo
Ed ecco che,
vicino ad un tronco abbattuto
mezzo marcio e rivestito di muschi e licheni,
avvisto un enorme serpente
gigantesco e lunghissimo,
anche lui (o lei?) d’un intenso verde-smeraldo,
così verde che più verde non si può
Le sue spire occupano una vasta area
e si muovono di continuo
Mi son fermato in preda al timore
per esaminare le opzioni possibili
Intanto, osservand, mi accorgo
che questo enorme boa verde
è una mamma
Infatti nel punto più centrale delle spire
che sembrano inanellarsi all’infinito
c’è un ammasso brulicante
di piccoli serpentelli verdi
e, in mezzo, la testa della mamma-serpente
che sembra far la guardia alla nidiata
Mi muovo con circospezione
sempre con quello stupido
serpente di pezza
avvolto attorno al corpo e alle braccia
Vorrei allontanarmi
il più presto possibile
Temo che il serpentone
(o meglio, la serpentessa)
possa aggredirmi
scorgendomi assieme al finto serpente
e scambiandomi per un avversario
che stia per attentare alla sua prole
Le spire sono dovunque
e per allontanarmi
ci devo camminare in mezzo
con il cuore in gola
- come se fossi costretto
ad attraversare un campo minato -
e mi accorgo che si muovono
sempre più velocemente,
annodandosi e sciogliendosi
Aspetto il momento fatale in cui
ne sarò ghermito e stritolato Aiutoooooo!
E' la mia muta invocazione
Poco prima mentre dormivo
sdraiato sul divano
avevo sognato
che dormivo sdraiato su di un divano
Sentivo dei rumori e pensavo
che fosse la mamma
- che non vedevo da tanto tempo -
a muoversi per casa
Provavo a chiamarla,
desiderando attirare la sua attenzione
su di me, disteso su quel divano, ,
ma nessun suono usciva dalla mia gola
per quanto mi sforzassi
e sentivo nello stesso tempo
una totale paralisi di tutte le membra
Provavo e riprovavo a farmi sentire,
ma niente accadeva
Poi sentivo che qualcuno
mi sollevava il busto
pesante ed inerte come un tronco
cingendolo tra le braccia
Ed era la mamma
che, malgrado tutto,
era arrivata e mi stringeva
con le sue braccia in un abbraccio
tanto, troppo, a lungo desiderato
E scoppiavo allora
in un pianto dirotto,
irrefrenabile,
Ed ero scosso dai singhiozzi
Mamma, mamma, dove sei?
Mia madre invocava spesso sua madre
negli ultimi mesi della sua vita,
quando la fatica del vivere
e il senso di inutilità
si erano fatti per lei intollerabili Mamma!, diceva, Voglio la mamma!
Questa nota, scritta il 20 giugno del 2020, è riemersa attraverso i ricordi di Facebook, non ancora pubblicata qui, su questo blog.
E credo che sia stata per me una delle ultime "note" pubblicate su Facebook, prima che gli sviluppatori di FB abolissero questa funzione, che per me era preziosissima, in quanto mi consentiva di utilizzare il mio profilo, a tutti gli effetti come una pagina web. E capitava spesso, in questa mia gestione, che dapprima scrivessi una nota su Facebook, ripromettendomi di trasferirla dopo nel blog e che, poi, distolto da altre incombenze, mi dimenticassi di farlo.
Per quanto concerne il contenuto della nota, voglio circostanziare meglio: quando la scrissi avevo già vissuto il primo periodo del lockdown e mi ero dedicato a scrivere un mio personale diario della pandemia che poi, assieme ad altri successivi scritti estendentesi sino al marzo del 2021, si è trasformato in libro (Ai tristi tempi del Coronavirus. Dove siamo, dove andiamo - Il mio diario giornaliero, Edizioni ExLibris, 2021) e, successivamente, ho messo mano ad una serie di miei scritti sulle panchine e ne ho scritto di nuovi. Quindi, ciò che scrivo in questa nota non è esattamente veritiero, anche se è verissimo il fatto che dopo aver scritto un bel po' di note di diario relative al primo periodo della pandemia, mi fossi poi fermato, scrivendo in un arco di due mesi quattro o cinque testi soltanto: al punto di sentirmene preoccupato.
Ritengo che i pensieri e le emozioni che si esprimono siano veri nel momento in cui si descrivono, ma essi sono fatti d'una materia plastica, continuamente mutevole, e dunque sono transitori e mobili come le nuvole. Si trasformono, sono metarmorfici e non possono essere liquidati con uno sbrigativo giudizio dicotomico vero/falso.
In fondo queste brevi note diaristiche sono delle fotografie istantanee che hanno pur sempre un loro valore documentario.
E’ da molte settimane - forse non esagero se dico due mesi - che non ho più scritto una sola parola.
La routine di ogni giorno, i piccoli gesti quotidiani sia della gestione domestica sia dei lavori outdoor in campagna, mi hanno assorbito totalmente. Se a questi due aspetti si aggiunge la cronica carenza della connessione internet per il laptop proprio in questo ultimo periodo la lista degli impedimenti materiali è completa.
Ma - ad essere onesti - devo aggiungere che vi sono altri - più impalpabili - eventi soggettivi che hanno interferito.
Forse la mancanza di ispirazione, o forse la mancanza di quello stato estatico della mente che prelude all’atto della scrittura e che già la contiene (e sintomo di ciò vi è la cronica incapacità di ricordare al risveglio i sogni che sono sempre presenti tuttavia, abbondanti e vivaci, per quanto possa confusamente ricordare), o forse ancora la mancanza di voglia di comunicare qualsivoglia pensiero odi andare alla ricerca di immagini da catturare con la mia attrezzatura fotografica per poi divulgarle nella rete o per usarle come primum movens per lanarrazione di piccole storie.
Non sono più un attivista della comunicazione, come mi ritenevo sino a qualche tempo fa.
C’è qualcosa di più, forse. Ed è la sensazione di aver varcato in qualche modo una soglia.
Sappiamo tutti che nella vita abbiamo sempre molte soglie da attraversare. A molte di esse non facciamo caso, spinti come siamo dallo slancio e dall’entusiasmo. Di altre ci accorgiamo, invece: o per la gravità degli eventi cui esse ci conducono o per i particolari stati emozionali sperimentati.
Ogni soglia superata espone alla perdita di qualcosa, ma - al tempo stesso - apre la via a nuove potenzialità e a nuove avventure.
Con il trascorrere del tempo alcune soglie acquistano il sapore dell’ineluttabilità: ed è quando uno vorrebbe fare magari una ricarica indietro, una sorta di fast backward: ma è chiaro che non è possibile tornare indietro per riavere più tempo, poiché è nella natura umana essere in parte legati ad un vettore del tempo lineare.
Ecco il fatto...
Il 9 agosto 2019 ho compiuto 70 anni: e devo dire che non ci ho pensato particolarmente; mi sono sentito nei mesi successivi lo stesso di sempre.
Ora si avvicina il tempo del mio 71° compleanno e, nel frattempo, qualcosa è cambiato, con Covid-19 a far da trigger e da catalizzatore, con la caduta verticale delle piccole abitudini quotidiane e con la necessità di ridisegnare stili di vita e relazioni sociali.
Il tempo si fa stretto, quando - nell'acquisire consapevolezza di aver varcato una soglia cruciale - il bilancio tra ciò che si è perso e ciò che ancora può essere trovato non è più tanto vantaggioso, come anche quello che si può trarre soppesando i propri fallimenti nel confronto con i successi o analizzando la propria perdita di vision, in altri termini della propria capacità di sognare ad occhi aperti, proiettandosi in un futuro ipotetico, ma pur sempre possibile.
Sento il tempo che passa veloce in questi giorni ed è forse la perdita di creatività, quella creatività che è alla base della scrittura, uno dei segnali premonitori dell'abbandono dell’entusiasmo, della curiosità, della vivacità mentale e della voglia di apprendere di continuo cose nuove.
So anche, tuttavia, che quello di essere vicino al fine turno è uno stato d’animo transitorio e sento che continuo ad identificarmi con il gatto che ha nove vite da vivere.
Ma anche il gatto che ha nove vite da vivere giungerà alla fine alla sua nona (ed ultima) vita...
E cosa gli rimarrà poi da fare per avere ancora più tempo?
E' molto difficile, in certi momenti della vita, trovare qualcosa da dire o da scrivere. Quando ciò capita, ci si sente prosciugati, inariditi. Quando ci si ritrova a chiedersi perchè mai, dopo u...
C’è tanta solitudine in giro
e anche tanta bruttezza
e mancanza di senso estetico
Soffro nell’osservare
le altrui solitudini
Soffro nel vedere il Brutto
dispiegarsi davanti ai miei occhi
Soffro nel guardare le persone
sbranare il loro cibo
come se fossero affette da fame secolare
Soffro nel vedere gli accattoni chiedere,
appostati davanti ai templi del consumo
Soffro nel vedere
pacchion* e ciccion*
muoversi a fatica
come balene spiaggiate
Ma almeno le balene sono belle
Ho visto un gabbiano cittadino
tentare di levarsi in volo,
ma faceva una fatica bestia a decollare
poiché era appesantito da una preda
piuttosto voluminosa
che stringeva tra gli artigli
Quando ormai stavo
per piombargli addosso
(era sulla traiettoria della mia auto)
ha mollato la sua cacciagione
e, in un attimo,
s’è librato imponente
battendo con forza le sue ali, grandi come vele
Un bel dì ho pensato di indossare
un paio d'ali
Le avevo appena trovate lì,
appese nell'armadio di casa,
il loro piumaggio era tutto polveroso
come se non fossero state usate da tempo
Un mistero
chi le avesse lasciate e perché
Le ho prese e le ho ripulite ben bene
sino a farle risplendere di riflessi iridescenti
che s’accendevano
nella luce piena del giorno
Dopo averle ammirate,
le ho indossate e mi calzavano a pennello
Ed ero tutto nudo
all’infuori di quelle ali
Preso da subitanea eccitazione
e inedita vigoria
sono uscito fuori in balcone
e ho spiccato il volo
Volavo e volavo
e, intanto, emettendo dei suoni celestiali
in un idioma a me sconosciuto,
provavo a chiamare a raccolta
altri volatori come me,
preso dal desiderio di condividere
tanta bellezza
e l’estasi vivificante del volo
Nessuno rispose al mio richiamo
Il Cielo, azzurrissimo, rimaneva vuoto
ed era ben triste tutto quel vuoto tinto di blu,
senza nemmeno una nuvoletta bianca
a tenere compagnia
a me, unico volatore
Allora, sono salito sempre più su,
in alto, in alto
verso l'infinito d’un blu
sempre più profondo
che trascolorava nel nero
e già intravedevo le stelle,
sino a quando il freddo siderale
ha bloccato i miei muscoli
e l’aria s'era fatta così rarefatta
che l'ossigeno ha smesso di nutrirli
Sono caduto a precipizio
le ali si sono scomposte
e mi sono state strappate via
e, in un attimo, a velocità supersonica
mi è venuta incontro la superficie del mare,
dura come il cemento
Mi ci sono sfracellato
con un tonfo sordo
e, poi, sono stato inghiottito dall'acqua
che è divenuta per sempre
la mia tomba liquida
La morale della storia è che, quando si trova un paio d'ali,
abbandonate nell'armadio
non bisogna mai rinunciare a usarle:
le ali erano state messe lì per te
Ed il volo è stato impagabile
Ora che son morto,
dopo che le ali mi sono state strappate via,
non lo rimpiangerò mai quel volo
Meglio un solo volo glorioso
che una vita intera di grigiore e inettitudine
Sul bordo della strada c'era un grosso merlo stecchito.
Birdie, birdie! - ha detto anche questa volta Gabriel che è solito segnalare con grida di giubilo gli uccelli svolazzanti, attorno a noi, anche quando sono molto lontani, poco più che puntini mobili nel cielo.
Ma il birdie stavolta non si muoveva: se ne stava immobile con le zampine rattrappite e con la testa piegata ad un angolo innaturale rispetto al resto del corpo.
Ci siamo soffermati.
Gli ho spiegato che il merlo era caduto dall'alto, che aveva sbattuto sull'asfalto duro e che, a causa di ciò, si era fatto tanto male, ma proprio tanto male, al punto che non poteva più ne muoversi, né tornare a volare di nuovo.
Ma tutto questo l'ho detto in poche parole soltanto, cercando di essere il più semplice possibile.
Poi ho detto: "Si è fatto tanto male, è morto...".
Comunque, il concetto è rimasto impresso nella mente di Gabriel che ha guardato a lungo il merlo stecchito.
Quando ci siamo visti con Maureen, a suo modo ha cercato di raccontare l'accaduto: "Hen... male! Hen... male"! ("Hen", cioè gallina: subito prima avevamo incontrato delle galline vive e vegete, che si muovevano di concerto, in una sorta di danza paso doble con un tronfio tacchino).
Quest'incontro casuale mi è sembrato l'occasione giusta per parlare di un concetto ostico e di introdurlo, a partire dall'osservazione della realtà.
Proseguendo nell'ammaestramento, quando si è trattato di attraversare la strada, l'ho esortato a lasciarsi tenere per mano (Gabriel è riottoso e vorrebbe sempre fare da solo) e, per incoraggiarlo, gli ho detto "Devi darmi la mano, ci sono le automobili e se non mi dai la mano, le macchine ti possono fare molto male...".
Anche se per arrivare il concetto di "morte" ci vorrà ancora molto, almeno c'è stata l'occasione di introdurre quello di un "male" irreversibile che porta all'immobilità totale.
Penso che bisognerebbe sforzarsi di affrontare con i bambini queste piccole lezioni di vita: uno dei punti deboli della società contemporanea è il fatto che, mentre in un passato non lontano, vita e morte convivevano - per così dire - nella stessa stanza e il morire era semplicemente un fatto della vita, oggi l'esperienza del male e della morte si è sempre più rarefatta e se ne ha una rappresentazione soltanto mediatica, con l'idea che sia qualcosa di finto.
E, paradossalmente, vi è un atteggiamento diffuso che vorrebbe proteggere i più piccini dalla percezione della sofferenza e della morte.
Ma il rischio è che poi, in seguito, quando il bambino di un tempo - nel frattempo cresciuto dovesse - imbattersi in queste esperienze, non avrebbe strumenti per poterle metabolizzare e ne uscirebbe del tutto traumatizzato, poiché sarebbe incapace di assorbirle e di farsene una ragione.
Sarebbe un po' come accade nella storia del principe Siddharta che, messo di fronte all'esperienza disperante del dolore del mondo (dopo esserne stato protetto a lungo da genitori che volevano il meglio per lui), la senti del tutto intollerabile (un tradimento e una negazione della rappresentazione di un mondo dorato ed edulcorato che era stato portato a costruirsi)e dovette intraprendere un suo personale percorso di liberazione dalla sofferenza
Era diventato davvero troppo dispendioso in termini di tempi richiesti alimentarli entrambi, anche perchè nati per caso, mentre
armeggiavo - ancora alle prime armi - per creare un blog, me li ero ritrovati ambedue, benchè la mia idea originaria fosse stata quella di averne uno solo. Infatti, non a caso, le loro
intestazioni erano abbastanza simili: creatone uno - non ricordo quale dei due per primo - lo ho "perso" (per quanto strano ciò possa sembrare) e mi diedi alacremente da fare per ricrearne uno
nuovo. Qualche tempo - nel frattempo ero divenuto più bravino - il blog perso me lo ritrovai).
Ohibò! - dissi a me stesso - E ora cosa ne faccio?
La risposta più logica sarebbe stata: Disattiviamolo!. E invece...
Mi dissi: li tengo tutti e due. E così feci. E' stato bello finchè è durato...
Ma giocare su due tavoli - e sempre con la stessa effcienza - è molto complicato, ancora di più quando i tavoli diventano tre e
poi quattro e via discorrendo....
Con overblog ho trovato una "casa" che mi sembra sicuramente più soddisfacente e così, dopo molte esitazioni, mi sono deciso a
fare il grande passo del trasloco, non senza un certo dispiacere, perchè il cambiamento induce sempre un po' di malinconia e qualche nostalgia.
E quindi ora eccomi qua.
E quello che ho fatto - ciò mi consola molto - rimane là e chiunque se ha la curiosità può andare a dargli un'occhiata.