Giaccio sulla panca di sasso
ingentilita da una coperta di grassi fiori purpurei
Via vai di api laboriose
dentro e fuori le corolle carnose
dove vorrebbero ancora impollinare
ma quei fiori hanno esaurito il loro ciclo vitale
- loro, le api, non lo sanno, sembra -
e sprigionano già l’odore greve della decomposizione
I gabbiani veleggiano,
mentre i piccioni ormai sempre più sparuti
timidi si nascondono
Abbandonato sulla dura pietra
dormo
per un attimo sogno, forse,
all'improvviso i raggi obliqui
del sole nascente
mi colpiscono di taglio il volto
gli occhi ancora chiusi
Cambia la temperatura
ma il freddo della panchina sotto le schiena e le natiche
continua ad essere di sollievo
e gusto così la carezza calda del sole
sulla pelle
Poi,
splish splash,
vengo bersagliato dai gentili doni
di un gabbiano in volo
Apro gli occhi e li volgo al cielo
accettando l'imprevisto
con stoica attitudine
Mi alzo e vado
fiducioso
verso un nuovo giorno
Luce abbacinante
nel pieno del pomeriggio
Aria calda e asciutta
Saremo presto al giorno più lungo
E subito l’anno
volgerà al declino,
mentre l’estate darà i suoi frutti
Non cedo alla lusinga della luce piena e forte
Mi chiudo piuttosto nella fresca ombra di casa
Non voglio neppure guardarla,
questa luce,
che mi fa strizzare gli occhi
e fa male all’anima,
né espormi al fiato caldo del sole
Ciò che più voglio
è stare nella semioscurità della stanza
come una talpa
ma con i miei libri accanto
a leggere,
leggere,
dormire,
sognare
E ho sognato che correvo,
correvo all’infinito
con leggerezza sublime
ad ampie falcate
e, ad ogni passo,
un interminabile tempo di volo
Trasportavo una grossa pietra tondeggiante
sotto il braccio
Era ben pesante:
eppure non mi appesantiva nel mio andare
E volando nella corsa
giungevo a quella che sentivo essere
la mia destinazione,
il liscio mare di oro fuso
nel quale in un ultimo empito
dall’aggettante dirupo
mi lanciavo
sempre stringendo a me
quel fardello pietroso
Durante la II Guerra Mondiale, i londinesi per proteggersi dai bombardamenti tedeschi si rifugiarono nei tunnel della metropolitana che, già allora, era estesissima e ramificata, ponendosi di fatto come un enorme rifugio antiaereo già a disposizione.
Dicono che, una volta cessato l'allarme immediato, alcuni, per paura, ci rimanessero nei giorni successivi a bivaccare per proteggersi così dall'imprevedibile prossimo raid.
Senza che fosse stato previsto dal piano di protezione della popolazione civile, all'interno delle gallerie nacquero punti di vendita (ambulanti o anche fissi) di ogni genere: dal venditore di The caldo, al libraio fornito di un suo barachino mobile, a quello che somministrava generi di ristoro diversi etc.
Si creò nella profondità dell'Underground londinese un abbozzo di società civile.
Tra i governanti britannici, così racconta uno storico inglese in un suo libro che contiene una serie di piccoli saggi sulla "Londra sotterranea", si generò paura che la popolazione scesa nelle gallerie - una volta assuefattasi a quelle diverse condizioni di vita - non sarebbe più risalita alla superficie. Per questo motivo, essi scoraggiarono queste forme di iniziativa spontanea e, una volta cessata l'emergenza, proibirono decisamente ogni bivacco sotterraneo (si veda al riguardo Peter Ackroyd, I Sotterranei di Londra, Neri Pozza, Il Cammello Battriano, 2014).
C'è in questo piccolo frammento di storia - che suona quasi come un apologo - un insegnamento relativo alla dimensione claustrofilica che con facilità nella vita di una persona qualsiasi (anche molto attiva ed estroversa) può da un momento all'altro prendere piede e radicarsi.
C'è il fascino potente del claustrum come luogo fisico (ma anche un luogo della mente) nel quale ciascuno può rifugiarsi e stare perché lì non "non temerà alcun male"
Quando si cominciano ad apprezzare le gioie e l'infinita sicurezza del claustrum può diventare difficile tornare indietro, risalire alla superficie o venire fuori negli spazi aperti .
Specie se, in quello spazio claustrale, hai a disposizione tutto ciò di cui puoi avere bisogno.
Quando morì mio padre io che, allora, ero ancora studente universitario, mi insediai nella stanza adibita a suo studio personale, il suo "Sancta Sanctorum". Lì, lasciando tutte le sue cose, aggiunsi come stratificazione aggiuntiva le mie: libri di studio, libri di altro genere (narrativa o saggi) dischi, oggetti personali di ogni genere.
Quella per me divenne una stanza accogliente, dove - a prescindere dalle ore dedicate allo studio - passavo gran parte del mio tempo. Mi piaceva molto anche quest’idea delle stratificazioni archeologiche in cui io andavo aggiungendo il mio strato a quello di mio padre che, a sua volta, nel suo studio aveva collocato libri e oggetti di pertinenza della generazione che lo aveva preceduto.
E la cosa curiosa è che, per motivi complicati (di cui qui non parlerò), nel corso dell’ultimo anno specialmente, ho fatto ritorno a quella stanza in pianta relativamente stabile, colonizzandola con oggetti del presente (o del passato recente) e aggiungendo quindi un ulteriore strato a quelli precedenti, compreso il lungo periodo in cui mio fratello aveva utilizzato la stanza come ufficio del Coordinamento H.
Era questa la stanza dove, all'occorrenza accoglievo anche i miei amici o dove portavo le mie fidanzate (anzi, nei loro confronti, il farle entrare dentro questa stanza era una prova molto speciale).
La stanza infatti non solo era un luogo fisico, ma anche era uno spazio della mente molto personale ed intimo.
In quel periodo sentii intenso il fascino del claustrum di cui accennavo prima: più stavo in quella stanza più mi veniva difficile uscirne fuori. Pensavo: Qui ho tutto ciò che mi serve, perché mai dovrei fare la fatica di uscire?
Ma quella fu soltanto una fase transitoria.
Poi, uscii di nuovo a riveder le stelle, per riecheggiare il verso dantesco.
Ma l'attrazione del claustrum è sempre potente (affascinante ed insidiosa assieme). E come non ricordare qui il bellissimo saggio di Elvio Fachinelli, Claustrofilia (Adelphi, 1983)?
Giorni vuoti la casa vuota una sepoltura improvvisata in mezzo ai cipressi messi a dimora anni prima per onorare un altro amico a quattro zampe pietre su pietre terra alla terra una piccola lapide ...
Piazzetta di borgata
e alberi rivestiti di verde tenero
e siliquastri risplendenti
di gemme amaranto
e, per loro, il manto di smeraldo
non è ancora arrivato
Tempo lento
C'è una giostrina
ferma e silenziosa
E c'è anche una mini-ruota
dotata di navicelle-mazinga
che oscillano lievi,
ma non ci sono bambini
e mancano voci, giochi e risa
Panchine numerose,
anch'esse vuote
molte di loro
quasi del tutto sommerse
dalla crescita selvaggia
di erbe infestanti
Solo dalla spalliera di una
emerge una testa rivestita di candidi capelli,
talmente immobile
da far pensare ad una statua
E, al margine, si vede il memento
d'un transito cruento,
un palo della luce
con un mazzo di fiori di plastica e una foto sbiadita
Dovunque,
incarti vuoti,
fogli di giornale gualciti e sporchi,
resti di frettolosi picnic
che ispirano una vena sottile di malinconica assenza
Il sole primaverile
picchia forte
Il vento fa incurvare
gli steli d'erba
E, nell'ombra, si avverte
una traccia del freddo dell'inverno
che ancora indugia
Sono preso da un greve torpore,
le palpebre pesanti
mi si chiudono
e vorrei lasciarmi sprofondare
nel letto invitante
d'erba smeraldina e foglie morte
e sentire l'odore della terra
ancora umida di pioggia
La tentazione è forte
Ma lo so...
Non devo
Seguendo quest'impulso
potrei anche scivolare in un pozzo di solitudine,
o in una prigione labirintica,
o in una Chernobyl della mente
o in una fredda cripta di cemento
E allora volgo le spalle
all'incanto della piazzetta
e m'incammino a lenti passi
per andare
altrove
Oltre
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Questo scritto l'ho recuperato da una vecchia galleria fotografica su Facebook (Aprile 2013), di cui era il commento.
In quelle foto c'era mio fratello, ed anche Frida, allora nel pieno delle forze.
Testo e galleria fotografica sono il ricordo di uno dei tanti momenti che condividevo con mio fratello: lo accompagnavo alle sue riunioni e poi me ne stavo a vagabondare nei dintorni, senza meta.
Raccogliendo pensieri ed immagini.
Quando ero piccolo... Ogni volta che vedevo Monte Cuccio con la sua singolare cima puntuta, la mia fantasia si infiammava sempre... E dicevo sempre: "Mamma, mamma, guarda c'è il vulcano". E la ...
Una con i capelli turchini
come la fatina di Pinocchio
attraversa la strada,
svagata
Uno con barba e capelli da nazareno
cammina con lo sguardo sognante
immerso in chi sa quali salvifici pensieri
Una scura con i capelli afro scolorati
e raccolti in un tuppo enorme, torreggiante,
con improbabili estensioni alla vita incede di sbieco come una chioccia
senza i suoi pulcini però
Ecco, non c'è due senza tre
Strani incontri
Strangers things
stranger days
Ogni tanto si cammina svagati per le strade e capita di osservare - senza che l'occhio ricerchi alcuna particolarità - delle stranezze tematiche che - chi sa perchè - ti colpiscono e ti rimangono impresse.
A volte, é stupefacente il fatto che alcune percezioni, unite da un tema comune, si presentino a grappolo, quasi che esse fossero già nella tua mente, prima ancora che nella realtà.
Riemergono poi nel ricordo, secondo quella particolare costellazione e ti viene voglia di lasciarne una traccia...
Giorni vuoti
la casa vuota
una sepoltura improvvisata
in mezzo ai cipressi messi a dimora anni prima
per onorare un altro amico a quattro zampe
pietre su pietre
terra alla terra
una piccola lapide
la ciotola con i biscottini preferiti
e una pallina per i giochi
Frida è rimasta lì in campagna
Negli ultimi tempi,
quando andavamo,
poi voleva rimanere
Se ne stava immobile vicino alla casa
a guardarmi
Ero costretto a trascinarla in auto
Era come se quello fosse stato da sempre stato il suo posto designato
e ora e là
cotenta, io voglio immaginare,
perché sta riposando in pace
mai io andrò sempre a trovarla
come non smetterò mai di chiamarla Frida! Frida!
Andiamo, è tempo di andare!
Ma per una volta, in verità, è stata lei a dirmi,
senza parole, E’ tempo di andare!
per ricordarmi che il tempo dei commiati
arriva sempre, inesorabile,
per tutti
quando solo ombre saremo
Il posto dove ora giace in pace. Soffia il vento. Stormiscono le fronde e si vede in lontananza il mare. E' proprio un luogo di pace. Ma qui tornerò a lavorare ancora per sistemare meglio questa sepoltura improvvisato. Forse, porrò anche una piccola lastra di marmo con su inciso il nome di Frida e l'arco della sua vita. Forse, vicino alla piccola lapide, metterò ad ardere una piccola fiammella di cera. Con Gabriel, verremo di sicuro a portare dei fiorellini per salutarla ancora e ancora...
Nubi plumbee
gravano sulla città al risveglio
pioggia gelida e raffiche di vento
ombrelli che si schiantano
monnezza alla deriva nelle pozze di acqua piovana
foglie secche e oggetti di plastica sparsi
lungo i marciapiedi
quasi fossero stati lanciati ad arte
da netturbini burloni o forse dispettosi
gatti morti, abbandonati da giorni,
si guardano attorno con occhi ciechi,
le cornee opacate e il pelo arruffato
Poi, dopo tanto travaglio e tormento,
si affaccia il sole e scampoli di cielo si aprono nell’azzurro
Il povero gatto, morto sin dal 22 dicembre 2018, ancora giace senza pace e senza sepoltura: siamo al 6 gennaio 2019, e il servizio competente non si è ancora attivato per la sua rimozione, malgrado le numerose segnalazioni da parte dei cittadini residenti e persino da parte dei Vigili Urbani.
Forse quelli dell'azienda preposta aspettano che quel cadaverino sia totalmente mummificato o, meglio ancora, trasformato in polvere, così potranno recitare, quando interverranno troppo tardivamente, parole di requiem: "Polvere alla polvere...".
Aggiornamento sul mio profilo FB del 7 gennaio
Occhio che non vede, cuore che non duole.
In questo casa è l'occhio del Sindaco di Palermo, a non vedere il corpicino di un gatto ucciso per strada già da prima di Natale e lasciato lì, per strada, malgrado le numerose segnalazioni da parte dei cittadini residenti.
La RAP di Palermo (RAP S.p.A. – Risorse Ambiente Palermo) si disinteressa: il povero gatto è lì su quel marciapiede almeno dal 22 dicembre 2018. Anzi, prima era sotto il bordo di quel marciapiedi, parzialmente nascosto da un auto posteggiasta: qualche anima gentile si è premurata di issare il corpicino senza vita sul marciapiedi per evitare che venisse scempiato dalle ruote delle auto in manovra alla ricercha di parcheggio.
Siamo in via Lombardia, una delle vie di una delle residenziali della Palermo chic. A solo pochi metri di distanza c'è l'abitazione del Sindaco di Palermo che si vanta di essere alla guida di una città europea, capitale della cultura e dell'accoglienza, oltre che della solidarietà verso i migranti.
Eppure a meno di trenta metri, proprio al di là della strada e del numero civico in cui è domiciliato, c'è quel corpicino morto che ristagna, sempre più spelacchiato e grigio, mentre all'inizio aveva una folta pellicciotta bianconera.
Sono delle piccole note stonate, queste.
E i Vigili urbani che stazionano davanti alla casa del Primo cittadino non mi vengano a dire che loro hanno assolto il loro compito chiamando la linea telefonica dedicata della RAP, per segnalare il caso e chiedendo una pronta rimozione.
E che pertanto la responsabilità della non-rimozione è di quell'ufficio.
Il solito scaricabarile di competenze e di responsabilità, insomma.
Dicono che, a cavallo del passaggio tra il vecchio e il nuovo anno, la RAP sia in agitazione e che non garantisce più i minimi servizi indispensabili: verissimo, a giudicare dei cumuli di monniezza che si stanno accumulando ogniddove, con buona pace della rsaccolta differenziata.
Il fatto è che, come ho già detto altrove, è che quando tutto è burocratizzato e le competenze sono distribuite in maniera rigida a singoli enti pubblici o privati, il cittadino qualunque viene privato della possibilità di attivarsi autonomamente per risolvere i piccoli problemi oltraggiosi della quotidianità.
In questo caso, si è privati dunque della possibilità di attivarsi personalmente, per rimuovere questo animale morto dal luogo in cui giace, armandosi di pala, sacco della spazzatura e - ovviamente - guanti protettivi. Se un cittadino facesse questa lodevole azione (io ci ho pensato, sì, di attivarmi in prima persona) dove dovrebbe poi portare il cadaverino? Non rischierebbe forse di essere ripreso per aver compiuto un'azione illecita e che non gli compete, poichè esiste un'Azienda addetta a tale bisogna? E se, ad esempio, lo portasse in campagna per seppellirlo nella terra o sotto le pietre non rischierebbe forse di essere sanzionato per inquinamento ambientale?
Ma per tornare al punto, Sono appunto queste le cose, apparentemente piccole omissioni e negligenze, a non farci onore e e ad offuscare tutti gli sforzi di rendere Palermo una città migliore e i riconoscimenti che la nostra città riceve, come testimonia il bellissimo e documentato articolo uscito su L?Espresso, nell'ultimo numero dell'anno.
Oggi, 4 gennaio 2019, il gatto è ancora lì.
5 gennaio 2019
Il gatto continua a giacere sul marciapiedi sempre più spelacchiato e tristanzuolo
Al 7 gennaio 2019, la situazione è scandolasamente immutata.
E, alla fine, ...tra il l'8 e il 9 gennaio il corpicino è stato finalmente rimosso e il marciapiedi è ritornato libero da quell'inquitante e triste presenza...
Era diventato davvero troppo dispendioso in termini di tempi richiesti alimentarli entrambi, anche perchè nati per caso, mentre
armeggiavo - ancora alle prime armi - per creare un blog, me li ero ritrovati ambedue, benchè la mia idea originaria fosse stata quella di averne uno solo. Infatti, non a caso, le loro
intestazioni erano abbastanza simili: creatone uno - non ricordo quale dei due per primo - lo ho "perso" (per quanto strano ciò possa sembrare) e mi diedi alacremente da fare per ricrearne uno
nuovo. Qualche tempo - nel frattempo ero divenuto più bravino - il blog perso me lo ritrovai).
Ohibò! - dissi a me stesso - E ora cosa ne faccio?
La risposta più logica sarebbe stata: Disattiviamolo!. E invece...
Mi dissi: li tengo tutti e due. E così feci. E' stato bello finchè è durato...
Ma giocare su due tavoli - e sempre con la stessa effcienza - è molto complicato, ancora di più quando i tavoli diventano tre e
poi quattro e via discorrendo....
Con overblog ho trovato una "casa" che mi sembra sicuramente più soddisfacente e così, dopo molte esitazioni, mi sono deciso a
fare il grande passo del trasloco, non senza un certo dispiacere, perchè il cambiamento induce sempre un po' di malinconia e qualche nostalgia.
E quindi ora eccomi qua.
E quello che ho fatto - ciò mi consola molto - rimane là e chiunque se ha la curiosità può andare a dargli un'occhiata.