Scrivo delle parole
sul risguardo di copertina di un libro
e, già mentre le scrivo,
i caratteri si fanno sbiaditi
e vengono dilavati via
dall’acqua dell’alluvione
che già s’è infiltrata
per ogni dove
Non so se il proprietario del libro
riceverà mai il mio messaggio
Strane forme nelle nuvole
si formano
e si scompongono
di continuo
Ho visto un cavalluccio marino
tramutarsi in ippogrifo e destriero alato
per dissolversi in un attimo
Poi, una poiana maestosa
ha preso il volo, fischiando,
e s’é dileguata subito dopo
Sono all'interno d'una strana casa verticale
Tutto è oltremodo ripido
Qualsiasi spostamento mi procura le vertigini
Si tratta di scendere lungo una ripida scaletta con delle alzate fuori norma, con lo spazio dove poggiare il piede molto stretto
Ci si addentra (o meglio si scende) in una vasta sala ad anfiteatro ad assetto verticale
[e - lo dico qui come inciso - mi sono ricordato di quando, nel corso del mio viaggio in Messico, mi ritrovai a visitare la Piramide dell’Indovino, a Uxmal. La giornata era umida e piovosa. Tutto era grigio e da lontano vedevo i turisti che si arrampicavano su per la ripidissima scalinata, sorreggendosi ad una grossa catena che fungeva da appiglio e da sicura, come se stessero percorrendo una Ferrata. Mi vennero le vertigini solo a guardarli, soprattutto quelli arrivati alla sommità che parevano esili figurette in balia del vento e della pioggia: e mi rifiutai di compiere quell’ascensione]
In questo frangente, c’è anche Gabriel con me, ma presto - preso come sono a dovermi confrontare con il mio terrore cieco - lo perdo di vista
Rimango paralizzato su uno dei primi gradini della discesa
Non riesco a muovere il passo successivo e rimango, tremolante, a guardare il vuoto sotto di me che mi vuole inghiottire, famelico No, no, no!
Non posso! NO! NON VOGLIO!
Comincio ad arretrare, ansimante, in preda ad un'incontrollabile fame d'aria, con la fronte imperlata di sudore freddo
Sia come sia, riesco a cambiare direzione e, volgendo le spalle all’abisso, ritorno indietro, emergendo attraverso una specie di botola in uno spazio relativamente piano e senza precipizi di sorta
Traggo un grande sospiro di sollievo
E Gabriel?
Non c’è! Oh deus!
È rimasto là sotto!
Provo a chiamarlo, ma la mia voce è flebile, priva di forza
Si tratta di andar via, al più presto possibile, da questo posto folle
Immagino che, ovunque, vi possano essere trappole e trabocchetti
che possono ricondurmi a confrontarmi con il vuoto e con l’abisso
Gli abitanti della casa
mi guardano con sufficienza
e con commiserazione
perché non ho superato la loro prova ordalica
Alla fine Gabriel arriva,
fresco e pettinato
(ma lui ha fatto climbing e non ha paura del vuoto)
E ci incamminiamo per fare ritorno a casa
Dobbiamo viaggiare con la Metro e, dunque, scendiamo sottoterra per prendere il primo treno utile
E viaggiamo, viaggiamo
Il treno sfreccia silenzioso
Supera stazioni illuminate,
con le pareti dipinte con colori sgargianti,
alcune deserte,
altre affollate di gente in attesa
E poi arriva il momento di scendere
Risaliamo le scale,
attraversiamo atrii grandiosi,
camminiamo lungo interminabili corridoi
Poi mi giro, guardo, cerco
Gabriel non c’è più
Ero immerso nei miei pensieri
e mi ero dimenticato di tenerlo d’occhio
Che fare?
Penso di chiamarlo con il telefono
Armeggio con il mio, facendo una serie di errori, lancio chiamate a destinatari sconosciuti, per poi accorgermi che il suo telefono ce l’ho io
Gabriel l’aveva infilato nella tasca laterale della mia bisaccia (senza però dirmi niente)
Non so che fare
Magari me ne starò fermo ad aspettarlo, confidando nel fatto che lui possa ritornare indietro e raggiungermi
Poi, mentre sto elucubrando, mi giro e Gabriel è lì con me!
Pensavo che ti fossi perso!, gli dico
E lui: No, papà, no! Sono stato con te tutto il tempo!
Riprendiamo il viaggio verso casa e abbandoniamo lo spazio chiuso della Metro per venire alla luce
Dove siamo?
Non ne ho idea alcuna!
Non riesco ad orientarmi!
Effetto di derealizzazione e spaesamento
Mi guardo attorno e vedo che ci ritroviamo nel bel mezzo di un’immensa area portuale, dove grandi bastimenti attraccano di continuo e altri partono
E’ difficile procedere perché tutti gli spazi sono ingombri di catene enormi e di grosse gomene e, inoltre, giganteschi muletti entrano ed escono di continuo dal ventre delle navi, spingendo grossi carichi di mercanzie, autotreni e pesanti container
Poi, all’improvviso, intravedo la sagoma familiare di Monte Pellegrino e allora grido di giubilo: Allora, siamo a casa! E vaiiiiiii!
Si tratta soltanto di trovare una via di uscita da questo scalo portuale così caotico
Spero che riusciremo a farcela,
prima o poi
Dove si colloca la linea di demarcazione tra una struttura difensiva utile, proprio perché posta in alto, ed un luogo tanto remoto e fuori dai sentieri più comunemente battuti, da trasformarsi in...
Madangad is a fort in the Nashik region of Maharashtra, India in the Kalsubai range. Unlike Alang Fort, the top of the fort is a relatively small and tilted plateau. On the fort, there are a cave ...
Questo sogno risale ad una decina di anni addietro.
Pubblicato come nota su Facebook, mai trascritto qui nel blog.
Lo faccio adesso.
E' un sogno che fa parte della serie dei "viaggi impossibili" o dei "viaggi con impedimento"
Vivo una realtà perturbante
É un mondo in cui esistono dei parassiti simbionti che hanno forma di sottili serpenti neri che si attaccano alle carni di un ospite, a sua insaputa, e poi penetrano all’interno del suo corpo per colonizzarlo.
Quando arrivano al suo cervello, ci si annidano dentro e ne prendono il controllo, relegando la mente dell’ospite (ciò che ne rimane) in un angolo e sopprimendone le funzioni.
L’Io e la volontà dell’ospite parassitato non possono più esprimersi e rimangono costretti in uno stato latente - semi-larvale - sino ad estinguersi
Terribile, no?
Niente di nuovo: sono cose che accadono nei romanzi e nei film di fantascienza…
Ma questo accadeva nel mio sogno
In particolare, mi accorgevo con la coda dell’occhio che qualcosa di nero si agitava dietro la mia testa e, con apprensione, comprendevo di essere stato attaccato da uno di questi esseri
Cercavo di divincolarmi
Allungavo la mano per staccare il verme dalle mie carni prima che penetrasse all'interno della mia teca cranica, senza riuscirci
E mi svegliavo di colpo, ancora convinto della piena realtà di ciò che avevo appena sognato
Sogno o son desto?
Aiutooooooo!
Dirò qui che il giorno prima ero andato a farmi visitare dall’otorinolatingoiatra, che sulla base di ciò che gli ho detto mi ha sottoposto ad una visita delle corde vocale e del laringe. Per far ciò si è avvalso delle fibre ottiche, per avere una visualizzazione più netta
Ha preso un cavetto nero, apparentemente mente di gomma all’esterno, elastico e flessibile e me lo ha infilato nel naso, facendolo scorrere sino a farlo arrivare all’inizio della laringe.
Memore della pratica dei tamponi al tempo del Covid avevo immaginato che questa penetrazione sarebbe risultata dolorosa
Ed invece, no!
Niente del genere!
Eppure non sono riuscito ad evitare la sensazione fastidiosa di sentirmi invaso
Forse è questa, nell’immediato, l’origine del vermicello nero che mi attacca subdolamente ed entra nella mia testa
Anche se, ovviamente, non tutto si risolve con una semplice spiegazione prosaica, poiché i nudi fatti della vita quotidiana si incrostano subito di significati profondi e archetipici
Il 13 settembre 2014 scrissi questa breve nota, mettendo assieme un riferimento a delle statistiche (forse dal mio blog dove in un solo giorno avevo avuto oltre tremila visite) e un sogno in cui compariva mio fratello.
Mi chiesi allora e mi chiedo tuttora cosa accucchiassero assieme le statistiche e il sogno riportato...
C'era mio fratello e ci sarebbe stato ancora per pochi mesi.
Forse, intendevo sottolineare che la preoccupazione per le statistiche avesse un valore decisamente secondario e che invece sarebbe stato meglio nutrire di cose, ma soprattutto di attenzioni, coloro che mi circondavano
L'ossessione per le statistiche
in ascesa piramidale verso l'alto
in picchiata verso il basso
le montagne russe, insomma
Preferisco lo steady state del plateau
E dove mettiamo l'emozione di trovare
un bel giorno che hai avuto un picco
di oltre tremila pagine aperte
nell'arco delle 24 ore
Un emozione che paghi poi con l'altra,
quella di renderti conto
che la condizione abituale
è un'interminabile e monotona pianura
dove nulla accade
e dove il picco più alto è un filo d'erba
Questa notte ho sognato
Rientravo a casa dopo una lunga assenza
e facevo un'ispezione per verificare
che tutto fosse a posto
Bon ero solo
Infatti, poi ci mettevamo seduti
attorno ad un tavola per mangiare
Tata Tatiba vicino a me
ognuno di noi con un bel piatto
di spaghetti fumanti davanti
Mangiavamo e conversavamo
Ed io accalorato nella discussione
dimenticavo di far mangiare mio fratello
che mi guardava con disapprovazione
I suoi spaghetti
quando, alla fine, cercavo di prenderne una forchettata
per porre rimedio alla disattenzione
erano induriti,
come trasformati in un ammasso pietroso
E qui il sogno finiva.
Ma mi chiedo ancora:
cosa c'entrano le statistiche con questo sognare?
Anche questa volta
gran parte del sogno
s’e dileguata
Ero al termine d’un viaggio
e avrei dovuto imbarcarmi
su d’un bastimento:
non era ancora ormeggiato alla banchina
ma- pur senza vederlo -
immaginavo che più che una nave da crociera
fosse un enorme transatlantico
(lo sapevo con matematica certezza),
imponente come il Titanic
oppure come alcune navi moderne
che hanno l’aspetto di case galleggianti
(Acqua di polpo! Acqua di polpo!
e ci sarebbe stato anche il Capitano Nemo?)
Ma ancora la nave non c’era
Io attendevo che attraccasse
anche se ancora non se ne vedeva traccia,
neppure un ricciolo di fumo all’orizzonte
Ero arrivato in largo anticipo
(sulla base del vecchio adagio
secondo cui “chi tardi arriva,
male alloggia”),
oppure era il bastimento
a fare ritardo
Ma nessuno dava notizie aggiornate,
nessuno possedeva informazioni fresche
e, quindi, tutti aspettavano,
ma nessuno sembrava particolarmente preoccupato ciò,
mostrando piuttosto di vivere il momento
con allegrezza sincera e spensierata
La folla s’ingrossava sempre di più
come un’onda
Guardando verso lo spazio aperto
dell’oceano,
al di là delle costruzioni portuali e dei moli,
si potevano scorgere enormi marosi
gonfiarsi e poi frangersi
Uno spettacolo di bellezza terribile e, al tempo stesso, orrida
Come avrebbe fatto il bastimento
ad entrare in porto?
E, in ogni caso, ci aspettavo un viaggio periglioso!
Ero con amici, altri compagni di viaggio,
che rimangono senza un volto,
avviluppati nel cono d’ombra
della mia memoria
Passeggiando inquieto
in su e in giù
scorgevo un’allegra comitiva
seduta ai tavoli d’un bar
con vista panoramica sul mare
Erano almeno una dozzina
quei commensali
Parevano ignari dell’attesa,
erano immersi in vivace conversazione,
con l’aria di divertirsi un mondo,
ridanciani, occhi vispi e gote arrossate
In questo gruppo riconosco
la mamma,
la zia Mariannù,
mio fratello,
ma c’è anche l’amica d’un tempo
All’inizio, penso di non farmi vedere,
standomene nascosto nella folla
ad osservarli
Non vorrei perdere la mia autonomia
ed essere risucchiato nella compagnia
ciarliera e spensierata
Poi m’impongo uno sforzo
Potrebbe essere l’occasione unica,
dopo tanto tempo che non li vedo,
di salutare i miei cari estinti
Mi avvicino
Sono qua anch’io!, dico
A quanto pare saremo tutti nella stessa barca!, aggiungo,
nell’Arca che tutti ci conterrà
Li saluto tutti, uno per uno,
con solennità un po’ impacciata
Cingo il collo della mamma con un braccio,
esibendomi in un goffo ed inusitato
tentativo di abbraccio
Sono contento di quest’incontro,
ma farfugliando delle scuse
mi allontano subito dopo
Mi sento a disagio a stare troppo tempo con loro
Nssuno di quelli
se ne da per inteso
e tutti continuano
la loro conversazione,
ciarlieri e allegri
Intanto continua l’attesa del bastimento
che mai arriva,
assediato da onde gigantesche
Ed io confinato qui,
sovraccaricato di pensieri tristi,
al termine del mio viaggio
in quello che mi pare
un porto delle anime
Non posso che pensare
che quando verrà il mio momento
le anime di coloro che non sono più
vi si daranno convegno,
in questo porto delle anime,
per accogliermi e accompagnarmi
nella traversata che ci attende
nel Mistero più insondabile
Di questi tempi non mi risveglio più con la capacità di ricordare sogni magnifici e sontuosi, la cui stesura richiede un tempo interminabile.
Mi sovvengono piuttosto sparuti brandelli, unici sopravvissuti d’un arazzo ben più ampio: e di questi devo accontentarmi
In questo sogno c’era mio fratello e tutto il senso della storia era quello di dotarlo di una serie di dispositivi che gli consentissero di vivere come in una “casa intelligente”, tale da poter essere del tutto autonomo malgrado le sue difficoltà motorie
Il progetto era interessante e molto articolato: tuttavia, mi rendevo conto che, pur nelle migliori intenzioni, qualcosa era sempre destinato a non funzionare e che anche i meccanismi più raffinati, supportati da AI o IA che dir si voglia erano destinati a fallire e a presentare degli inciampi, cosicché era sempre necessario che qualcuno - normalmente abile - fosse presente in veste di supervisore per sopperire al fallimento delle macchine
Quindi, questa casa intelligente era pur sempre soltanto un pallido surrogato
Mi rendevo conto che anche i più moderni dispositivi non avrebbero mai potuto regalare a mio fratello una maggiore forma di autonomia
Ricordavo nella fattispecie un dettaglio del sogno in cui mio fratello aveva indosso una sorta di imbracatura per stare in piedi da solo, guidata da un’intelligenza artificiale e connessa mediante microchip al suo stesso cervello
Era imbardato in modo a dir poco grottesco e, vedendolo così, pensavo che mai avrei potuto lasciarlo a sbrigarsela da solo (e non perché nel profondo della mia mente io sia un luddista anti-progresso e anti-modernizzazione)
E' un sogno di molti anni fa, mai trascritto in questo blog
Subito dopo annotai in calce, il 10 settembre 2012 alle ore 4,42, come segue:
"Forse questo sogno, mi ha preparato alla visita ad Auschwitz-Birkenau che mi attendeva poche ore dopo"
Cammino in un campo, portando una pianta ornamentale in un grosso vaso
Sono con altri e stiamo andando alla ricerca di pecore smarrite. C'è un grande capannone e gli altri vanno a guardarci dentro: appare in un pessimo stato di conservazione. Il legno delle pareti è marcito, il soffitto sfondato
Io continuo ad inoltrarmi per quel terreno, fino ad incrociare una strada sabbiosa che si estende da un lato e dall'altro a perdita d'occhio
Poso la pianta per riposare e vedo che sprofonda dentro un grosso buco (di cui non mi ero accorto del tutto, forse perché era schermato da un leggero cannucciato ricoperto di foglie)
Cerco di tirarla fuori, ma si è incastrata e temo che, forzando troppo, finisca per rompersi
Chiamo gli altri in aiuto e, intanto, guardando meglio, mi accorgo che lungo la strada - ad intervalli regolari di meno di 15 metri - sono scavati in fila regolare gli stessi identici buchi, probabilmente ottenuti con l'ausilio d'un imponente mezzo meccanico
Sono allarmato
Penso che qualcuno voglia chiudere completamente l'accesso alla strada, recintandola con un'alta barriera o un muro invalicabile
Chiamo gli altri a squarciagola, ma non mi sentono
Sono rimasto solo
Intanto, vedo giungere da lontano una grande quantità di furgoni della Polizia con i lampeggianti blu accesi: camminano a passo d'uomo, preceduti da centinaia di agenti in tuta antisommossa, armati di manganelli e con le visiere dei caschi abbassati
Sospingono davanti a sé, quasi fossero un branco di pecore spaventate, altre centinaia di persone in abiti civili, il frutto del loro perlustramento
Capisco che è ormai troppo tardi per fuggire e mi rassegno ad essere catturato anch'io.
Attimi gorgoglianti
anziché fuggenti
Il grande nulla incalza
Oye como va
Psico-esploratori intrepidi,
nocchieri dello spazio profondo
danno aria alla mente
prima di esser dissolti
in un guizzo di fiamma
e la loro missione
s’è così compiuta
Ed io?
Ed io?
Dove son io?
Forse, anch’io nocchiero del nulla,
improbabile psiconauta
alloggiato su d’una nuvola vaporosa
a forma di eterea nave
viaggio
alla ricerca di altre schegge di memoria
e del tempo perduto
Navigo a vista
nei territori sperduti
in attesa dell’ultimo fiato
e del bagliore del fuoco
purificatore
Maurizio Crispi
Sono in un centro commerciale
Non riesco mai ad arrivare ai reparti di vendita
Cammino e cammino, sempre per lunghi corridoi spogli, rivestiti di piastrelle bianche o grigie
Non incrocio mai alcuno
Ogni tanto devo poggiare i piedi su di una pedana di acciaio, lievemente basculante
e rimanervi sopra sino a quando una spia rossa non si accende con un bip
Si tratta di un dispositivo per misurare i parametri vitali dei passeggeri/visitatori
ed anche per rilevare la funzionalità cardiaca con un ECG istantaneo.
Ad ogni passaggio il dispositivo sputa una strisciata di carta con tutti i risultati
Una luce verde si accende con un doppio bip quando la stampata è pronta
Penso che i gestori del centro commerciale abbiano molto a cuore la salute dei propri clienti
Sento all’improvviso la necessità di andare in bagno e, dopo molto camminare, intravedo l’insegna con i soliti simboli universali
Quando arrivo nei pressi dei servizi da me agognati c’è il solito dispositivo da superare, dalla cui slot al doppio bip (e accensione di luce verde) prendo la stampata e me la ficco in tasca
Sarà ottima da usare come carta igienica!, penso
E quindi imbocco una stretta fuga di gradini che scende sotto il livello del suolo
Bagni pubblici un po’ disagiati!, rifletto, mentre supero ogni singolo gradino con una certa fatica, poiché le alzate sono spropositamente alte e strette
Quando arrivo dabbasso c’è una numerosa e variegata folla già in coda per l’utilizzo dell’unica latrina (sì, è quello che mi pare di capire!) e il fetore dell’aria ristagnante è abominevole tra afrore dei corpi accalcati e le inevitabili scorregge silenziose
Pur storcendo il naso mi dispongo pertanto ad una paziente attesa
Peccato non aver con me una mascherina!
Sarebbe proprio ciò he ci vuole!
E, del resto, quali alternative ci sono, se non aspettare?
Ero con molte altre persone
Non so per quale motivo fossimo assieme
Ci muovevamo in armonia e silenzio
in un posto antico
Una vetusta dimora
fatta di grandi ambienti,
vasti saloni, giardini e serre
Tutto, però, era invaso dall’acqua
e, quindi, nel passare
da uno spazio all’altro
andavamo a guado
oppure talvolta nuotavamo
quando la profondità si faceva maggiore
L’acqua era limpida e trasparente
Il movimento dei corpi
provocava senza tregua
sciacquii e gorgoglii
ed anche sgocciolii
E sempre si sentiva
in sottofondo
il mormorio dell’acqua che scorreva
nelle condotte
e quello più cupo dei getti di acqua
che si riversavano veementi
nelle vasche e nelle stanze
Piccole onde concentriche
si formavano di continuo,
si propagavano,
sbattevano contro le pareti,
ritornavano,
s’intersecavano,
e tutto ciò in una persistente, soffusa,
armonia di suoni
Ci muovevamo e vivevamo
in una casa d’acqua
d’ineffabile bellezza e pace,
ma anche di profondo mistero
Mi ricordai allora della mia visita
al Qanat gesuitico basso della mia città
e ritrovai le sensazioni
di misterioso fascino che mi pervasero, mentre a guado percorrevo
il condotto sotterraneo
alla luce delle sole lampade frontali
E mi venne in mente con nitidezza anche quella volta in cui, a Venezia, mi ritrovai nel bel mezzo di un’acqua alta mai vista e, insofferente delle passerelle di legno sovraffollate, mi levai le scarpe, mi arrotolai i pantaloni sino a sopra il ginocchio e cominciai a camminare a guado, scattando dal basso foto suggestive e inedite ai visitatori incolonnati sui camminamenti di tavole di legno
Ed anche mi sovvenne la visita,
in anni successivi, ai bagni termali di Budapest ed erano, in particolare, i Bagni Gellérrt
Anche quell’edificio era, in definitiva,
una casa da acqua di incomparabile bellezza e di pace, rasserenante per lo spirito
La locuzione salus per aquam o sanitas per aquam (o per aquas) in latino significa salute per mezzo dell'acqua . Vi si riferisce comunemente come suo acronimo (da cui l'uso anche in maiuscolo: SPA)
I Bagni Gellért (in ungherese Gellért gyógyfürdő) sono un complesso termale che si trova nella parte Buda di Budapest, capitale dell' Ungheria. Costruiti tra il 1912 e il 1918 in stile Art Nou...
Era diventato davvero troppo dispendioso in termini di tempi richiesti alimentarli entrambi, anche perchè nati per caso, mentre
armeggiavo - ancora alle prime armi - per creare un blog, me li ero ritrovati ambedue, benchè la mia idea originaria fosse stata quella di averne uno solo. Infatti, non a caso, le loro
intestazioni erano abbastanza simili: creatone uno - non ricordo quale dei due per primo - lo ho "perso" (per quanto strano ciò possa sembrare) e mi diedi alacremente da fare per ricrearne uno
nuovo. Qualche tempo - nel frattempo ero divenuto più bravino - il blog perso me lo ritrovai).
Ohibò! - dissi a me stesso - E ora cosa ne faccio?
La risposta più logica sarebbe stata: Disattiviamolo!. E invece...
Mi dissi: li tengo tutti e due. E così feci. E' stato bello finchè è durato...
Ma giocare su due tavoli - e sempre con la stessa effcienza - è molto complicato, ancora di più quando i tavoli diventano tre e
poi quattro e via discorrendo....
Con overblog ho trovato una "casa" che mi sembra sicuramente più soddisfacente e così, dopo molte esitazioni, mi sono deciso a
fare il grande passo del trasloco, non senza un certo dispiacere, perchè il cambiamento induce sempre un po' di malinconia e qualche nostalgia.
E quindi ora eccomi qua.
E quello che ho fatto - ciò mi consola molto - rimane là e chiunque se ha la curiosità può andare a dargli un'occhiata.