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20 dicembre 2019 5 20 /12 /dicembre /2019 11:43

Cammino reggendo in mano un’asta telescopica, del tipo di quelle per farsi i selfie, ma questa è davvero enorme e si estende sino all’altezza di diversi piani da terra.
Mi sento, a dire il vero, come l’Ispettore Gadget dei cartoni (personaggio che, di fatto, non è umano ma un robot con fattezze umane o, quanto meno, è un ibrido).
Cammino e intanto riprendo con il mio dispositivo gli scenari che si aprono man mano a volo d’uccello.
Mio figlio mi chiede cosa io stia facendo.
Una ripresa panoramica - rispondo io.

Ovvio...
E si impone una domanda a questo punto.
La tecnologia moderna con tutti i suoi ineffabili gadget ci rende più liberi?
O forse più schiavi?
Io propendo per il secondo corno del dilemma.
Siamo circondati di cose, di oggetti, di gadget appunto, di cui potremmo fare benissimo a meno. Siamo stati condizionati a pensare e a sentire che tutta questa miriade di oggetti siano per noi indispensabili.
Si tratta di cose che apparentemente migliorano la qualità della vita, ma di fatto la peggiorano e la complicano.
Ci rendono schiavi e soprattutto facilmente controllabili e manipolabili.
Bisognerebbe ritornare alla semplicità delle origini, ricordandoci sempre - come massima di vita - del famoso slogan “Il consumismo ti consuma”.

Rimangono esemplari Thoreau e la sua apologia di una vita trascorsa al riparo di una capanna nei boschi, lontano da tutte le suggestioni della modernità e dal caos della grande città.

Palermo, 7 dicembre 2019

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20 dicembre 2019 5 20 /12 /dicembre /2019 11:15

In navigazione
Verso dove?
E' una crociera costiera a Napoli e dintorni
ed è tutto diverso, però
La montagna si erge minacciosa,
scavata in profondi anfratti
aggettanti sul mare
le case dovunque, arrampicate sulla roccia
come un gregge di stambecchi,
ognuna in bilico su di una base minuscola
Lo stato delle strade pessimo
Un reticolo di viuzze tortuose e in salita
Penso: cosa accadrebbe se il vulcano incombente
si risvegliasse all'improvviso?
E se la terra si spaccase e dalle fratture
cominciassero a sgorgare lava, lapilli e ceneri ardenti?
Come fare ad evacuare la popolazione?
Come fare a far giungere i primi soccorsi

 

Eppure, tutto è di una bellezza selvaggia, quasi irreale
Posso osservare i minimi dettagli della città caotica
che si stagliano con prepotenza sullo scenario naturale,

due mondi contigui, eppure profondamente scissi
 

Luna a spicchio

Poi, mi ritrovo a camminare su di una strada di notte
Una luna mezza mangiata domina il cielo
Non riconosco la strada,
eppure so di averla percorsa miliardi di volte
Tutto mi è nuovo
il paesaggio scorre lento e ipnotico
L’asfalto si srotola sotto le ruote
il vento romba nelle mie orecchie
e le raffiche a tratti scuotono la mia macchina
che sembra trasformarsi in un fuscello
La mia traiettoria oscilla pericolosamente

 

 

La mia mente è addormentata
ma una parte di essa lavora in pilota automatico,
per quanto precario ed incerto
Dove sono?
Dove sto andando?
Vorrei mettermi a dormire,
risucchiato in un sonno profondo e ristoratore

 

E la luna smangiata continua a navigare nel cielo
impassibile

 

Palermo, 17 novembre 2019

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16 dicembre 2019 1 16 /12 /dicembre /2019 06:57

Sento di aver l'assoluto bisogno di un limone.
Sono per strada, a torso nudo e con un paio di pantaloni sbuffanti, bianchi, con il cavallo basso, come si usa in oriente (mi manca il termine specifico per nominarli correttamente).

Sono anche a piedi scalzi, come se fossi un cultore dellamarcia a piedi scalzi oppure un penitente.
Non so dove mi trovo, né dove vado.
Vado avanti, cammino e cammino, e sento crescere dentro di me il desiderio di un buon limone succoso,  quando - ad un tratto - vedo un grande cancello che si apre su di un giardino lussureggiante, pieno all'inverosimile di alberi da frutto.

Il cancello è spalancato: quasi un invito ad addentrarsi all'interno: cosa che faccio immediatamente, senza esitazione alcuna.
E cosa vedono i miei occhi? Ma proprio un albero di limone, da cui rami pende un unico frutto voluminoso con la scorza verde-gialla. Sembra perfetto, anche se si presenta parzialmente scorciato, come se qualcuno avesse sentito la necessità di scorzette della buccia per farsi un Martini, oppure - che so - un’acqua canarino, con la famosa ricetta della nonna per curare il mal di pancia e l’acidità di stomaco, tanto per dire.
E’ proprio quello di cui ho bisogno: grosso e succoso.
Non c’è nessuno in vista e dalla grande casa, immersa nella verzura, non si scorgono segni di vita.
Mi avvicino alla pianta e colgo il frutto, con decisione: sto per andarmene, ma scorgo un’ombra dietro il vetro di una delle grandi vetrate panoramiche.
Capisco di essere stato scoperto e, anziché darmela a gambe levate, mi prostro per terra con la faccia nella polvere e le braccia protese davanti a me con il limone stretto tra le dita come in offerta.
Una postura penitenziale, è la mia, quasi fosse al cospetto di un terribile Dio punitore.
Recito come un mantra che ero lì di passaggio, che non sono un ladro e che avevo sentito l’improvvisa necessità di dissetarmi con quel limone.
Penso che il dichiarare con molta semplicità ciò che avevo fatto potrà valermi il perdono e persino il dono del limone.
Si avvicina un bambino e si ferma davanti alle mie mani distese in avanti, quasi sfiorandole con la punta dei suoi piedi pure nudi. Di lui, del bambino, posso vedere solo i piedi: non oso guardare in alto.
Mi osserva a lungo, poi si china, afferra il limone e torna nella casa.
Io rimango disteso nella polvere per qualche istante.
Poi mi rimetto in piedi con grande fatica, perché mi sento tutto rattrappito e me ne vado a passi stanchi, ripensando a quel limone che non avevo potuto gustare.
L'ho potuto contemplare, soppesare nella mano e sentirne l'aroma.
E poi mi è stato giustamente sottratto poichè era un frutto rubato, non meritato.

Ho solo potuto sperimentare una versione inedita ed istantanea del supplizio di Tantalo.
E sono di nuovo sulla strada, con la nostalgia di quel frutto appena colto che non ho potuto gustare.


Palermo, 4 dicembre 2019

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13 novembre 2019 3 13 /11 /novembre /2019 11:16
Foto di Maurizio Crispi

Torno a casa dopo una lunga assenza.
L’appartamento è vuoto.
Mio fratello non è casa
Ci sono dei cambiamenti strutturali
Una delle stanze si apre su di un enorme terrazza, delle dimensioni - a dir poco - di un campo di calcio, dotata anche di piante arboree di alto fusto che lungo il lato più lontano formano quasi una densa parete di verzura.
Nella terrazza sono parcheggiate delle automobili.
Sono alquanto meravigliato: del fatto che le autovetture siano arrivate sin qui, parecchi piani più in alto rispetto al livello stradale. Eppure non ricordavo che ci fosse mai stata in questo stabile una rampa percorribile dalle autovetture.
Penso che mio fratello, durante la mia assenza, abbia fatto in modo di poter arrivare sin dentro casa con la sua autovettura, per ridurre al minimo i disagi dovuti alla sua disabilità.
Ma quella che dovrebbe essere l’auto di mio fratello non è la sua macchina. C’è qualcosa di sbagliato nella sua tipologia e nel suo stato.
E’ piuttosto una berlina scassatissima e sbilenca (marca sconosciuta, ma delle dimensioni di una volvo station wagon antico stile), come se avesse subito numerosi incidenti, oltre ad essere evidentemente reduce di una pessima manutenzione e logorata da anni di incuria.
Penso che il badante di mio fratello possa aver trascurato il suo lavoro durante la mia assenza.
Ma anche le altre automobili presenti - di dimensioni più modeste e anch’esse, per me, di marca sconosciuta  - sembrano essere in uno stato di totale abbandono.

Bici abbandonata (Foto di Maurizio Crispi)

Entro in auto e verifico che le chiavi sono inserite nel cruscotto.
Metto in moto per verificare che la batteria non sia scarica. Grazie a dio il motore si accende anche se solo al secondo tentativo: innesto la marcia e provo a fare dei piccoli spostamenti avanti ed indietro per verificare che tutto sia a posto. L’auto va anche se si sentono degli strani rumori di sferragliamento.
C’è anche uno scooter, pure in stato di abbandono, poggiato sul cavalletto laterale. Provo a spostarlo per far posto alla macchina, ma il supporto si rompe e lo scooter cade di fianco, con un clangore metallico.
In casa non c’è nessuno.
Osservo i libri disposti in file ordinate, in doppie o triplici file. Trasbordanti dovunque. Alcuni a mucchi disordinati sul pavimento, sul davanzale delle finestre, su tutti i mobili.
Alcuni non li riconosco, altri sì. Mi sono familiari.
Li prendo in mano e ne sfoglio alcuni. Li soppeso tra le mani, sento tra i polpastrelli la consistenza della carta, alcuni li apro e ci infilo il naso dentro per aspirarne l’odore.
Sono da solo, ma i libri mi fanno sentire a casa.
Penso che non arriverà più nessuno.
Cosa farò in questa desolazione?
Mi devo adattare a questa vita tra i relitti di quello che sembra un naufragio avvenuto tanto tempo prima.
Alla deriva sulla zattera della Medusa.

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11 novembre 2019 1 11 /11 /novembre /2019 06:01

Questa notte ho fatto un sogno in cui compariva mio figlio Francesco.
Ero in campagna a fare, come al solito, dei lavoretti.
Avevo impastato il cemento ed mi ero inerpicato lungo un pendio scosceso con una caldarella piena di impasto.
Ho fatto ciò che dovevo fare e sono ritornato per riempire di nuovo la caldarella.
E dove avevo lasciato l’impasto c’era Francesco che si era messo a lavorare anche lui con quel cemento: un attimo prima ero da solo ed ecco che adesso c’era mio figlio.
O almeno ci aveva tentato, seppure con grande zelo.
Infatti, l’impasto era praticamente finito: lui aveva fatto un lavoro a largo raggio, mettendo il cemento dovunque, ma non in maniera sostanziale ed efficace per legare veramente in modo permanente le pietre.
Francesco mi guardava e mi sorrideva.
Non era il Francesco adulto di oggi, ma il Francesco bambino, quando aveva cinque o sei anni.
Da un lato ero contento che, così, senza preavviso, fosse venuto e mi avesse aiutato, ma dall’altro irritato perché quell’impasto di cemento era stato praticamente sprecato.
Ma non diedi a vedere la mia irritazione. Sarebbe stato un peccato sciupare con il mio stupido perfezionismo un momento che era di per sé molto bello.
E quindi sorridevo a mia volt, ricambiando il suo sguardo di contentezza.
Dopo, raccattavo quel poco cemento ancora morbido che era rimasto e cercavo di perfzionare il lavoro che avevo sviluppato Francesco, ma con scarso successo, perchè come è noto è fatica sprecata costruire su di un muro che è nato storto.
Poi il sogno si protraeva con molti altri eventi che si sono persi nell’oblio (9 novembre 2019)

Una volta, in effetti, Francesco è venuto in campagna con me e mi ha aiutato a preparare il cemento. Gli avevo parlato di questi lavoretti che facevo ed era stato molto interessato. Dopo aver preparato l'impasto, gli ho assegnato un lavoro relativamente semplice per impararare a maneggiare la cazzuola e farsi l’occhio.
Fui davvero contento quella volta. Tanti anni prima, quando aveva da poco finito il Liceo, Francesco venne in campagna con il suo amico e, ambedue, mi hanno aiutato a trasportare delle pietre "manische" da un punto ad un altro, più vicino alla casa, dove stavo innalzando un muretto a secco. Quel lavoro non ebbe durata lunga, perchè dopo appena mezzora entrambi si stancarono e si ritirarono in casa a riposare.
Peccato che questa esperienza del cemento non si sia ripetuta più.
In tempi recenti, siamo andati con Gabriel ad Altavilla e, per passare il tempo, anche con lui ho preparato il cemento: poi l’abbiamo utilizzato per fare un lavoretto molto semplice in cui non occorreva eccessiva perizia per disporre il cemento. Gabriel di quel lavoro fatto assieme è stato davvero molto contento.

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4 settembre 2019 3 04 /09 /settembre /2019 08:40
The Secret - August Rodin

Un uomo e una donna,
in piedi
al centro di una piana spoglia,
al crepuscolo

 

Si accostano, come riconoscendosi all'improvviso,
e s'avvinghiano in un abbraccio appassionato,

come fossero i personaggi d'una statua di Rodin

Si baciano a lungo
in un tempo che si fa eterno
e in cui sembrano fondersi l'uno nell'altro

Accanto a loro
sta una figura immobile,
avvolta sino ai piedi
in un lungo saio grigiastro,
la testa coperta da un ampio cappuccio
e il volto in ombra
Parrebbe una statua di sale
minacciosa

 

Ha piovuto

 

Nell'aria si diffonde un intenso odore
di terra bagnata
di foglie secche,
e, nello sfondo olfattivo,
s'avverte anche un lieve sentore ammoniacale

 

Questa è la storia,
un infinito ritorno

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27 agosto 2019 2 27 /08 /agosto /2019 05:47

Ogni tanto tra me e me mi lamento del fatto che non riesco a ricordarmi dei sogni che si sono succeduti durante la notte (come è ben noto, si sogna sempre. il sognare è parte integrante dell'architettura del sonno), se non per piccoli frammenti e vaghe impressioni.
altre volte, invece arrivano a pioggia e il loro ricordo è vivido e lussureggiante.
In questi casi mi affretto sempre a trascriverli, perchè so bene che - in poco tempo - di essi non rimarrà alcuna traccia nella mia memoria.
Quando mi capita di rileggerli a distanza di tempo, ne rimango sorpreso, al punto da chiedermi: "
Sono stato io il sognatore, oppure qualcun altro?".
Questa è davvero una buona domanda: "
Chi è davvero il sognatore dei sogni che sogniamo?".
Come anche questa: "
I sogni sono un prodotto della nostra mente, oppure ci arrivano da qualche parte?".
Una volta lessi un racconto di science fiction, in cui uno scienzato cercava di scoprire l'origine delle barzelette, a partire dallo studio di alcune ricorrenze tematiche e faceva ciò con l'aiuto di un potente computer (potrei anche sbagliare su alcuni dettagli, perchè il racconto l'ho letto tanto tempo fa). Alla fine giungeva la risposta, incredibile: le barzelette erano il prodotto di una mente aliena che le inculcava in noi umani per studiare le nostre reazioni ad esse, come se fossimo delle cavie di laboratorio in una grande bolla protetta in cui essi alieni conducono il loro esperimento (l'intero pianeta). Nel momento in cui questa verità veniva divulgata, il genere umano intero perdeva la capacità di ridere per le barzelette  e i motti di spirito, poichè gli alieni avevano abbandonato il loro terreno di sperimentazione, cioè noi umani.
Insomma, con questa divagazione sono andato lontano.

Ma torniamo ai sogni: questa volta in rapida sequenza, a distanza di pochi giorni, ne ho ricordato due. Li ho messi assieme, perchè assieme liho trascritti.
Sono di soggetto diverso e spaziano in tempi e in luoghi diversi (anche se èovvio che nel mondo onirico il tempo e le coordinate spaziali hanno parametri diversi).
Di contenuto tanto diverso che mi iviene da dire: "
Dall'Alpi alle Piramidi, dal Manzanarre al Reno", oppure "Dagli Appennini alle Ande".
Mi sono divertito a trascriverli, anche perchè nel processo di elaborazione secondaria sono riemersi (o emersi) molti dettagli che erano rimasti sotto traccia.

 

Il primo
Sono in un luogo di campeggio-avventura: sembrerebbe quello oggi viene chiamato un Parco-avventura.
C'è un rifugio rustico al termine del percorso e, per raggiungerlo, occorre seguire un corso d'acqua largo e vorticoso
Io cammino lungo la sponda, ma qualcuno mi dice che bisogna camminare nell'acqua gelida, proprio al centro del corso d'acqua dov'è tesa in senso longitudinale alla corrente una cima a cui si deve stare attaccati per non essere trascinati via dall'impeto dell'acqua che scorre.
Vedo che molti vanno a guado immersi, a volte, sino alle spalle.
Mi dicono anche che, se non si procede in questo modo, non si verrà ammessi all'ostello
Ma io non me do per inteso e cammino lungo la riva.
E, infine, mi ritrovo nel rifugio-ostello:dove sono stato accolto malgrado la mia disobbedienza.
C'è un grande stanzone dove siamo tutti alloggiati.
Ci sono molte difficoltà.
Io ho con me un grande orso (e non si tratta di un generico orso archetipico, ma di un vero orso bruno, il grizzly nordmaericano) e dei cani esuberanti.
L'orso mi ubbidisce, ma non ho idea di come possa reagire, davanti a persone che non conosce e che possano manifestare nei suoi confronti reazioni di timore o compiere gesti avventati.
I cani sono due.
E bisogna fare in modo che essi, giocando, non vadano a disturbare l'orso
Di conseguenza, colloco l'orso, tutto impacchettato in una grossa catena.in una buca nel terreno che funge da tana.
I due cani li lego pure a guinzaglio corto in due posti diversi e ben lontani dall'orso, per levare loro ogni tentazione dal lanciarsi in approcci ludici all'orso..

Ci sono molti attorno a me, viventi e defunti: è come se in questo rifugio si fosse creata, per imperscrutabili ragioni, una stratificazione di viventi e di morti, una folla plurigenerazionale. Ma nessuno di loro lo riconosco con certezza.
Nella mia mente febbricitante sorgono le rappresentazioni dei pericoli da evitare.
Per certo, i cani che non devono interferire con l'orso. L'orso per quanto avvinto in catene potrebbe sbranarli.
Gli umani, altrettanto, non devono avvicinarsi all'orso
Ci sono percorsi e traiettorie possibili da tenere sotto controllo
Potrebbe succedere di tutto e io devo impedire che qualcuno possa farsi del male.

Il passaggio della notte è dunque laborioso a causa delle mie incessant ipreoccupazioni relative all'orso in catene e all'esuberanza dei due cani. Rimango praticamente insonne.
Al mattino, uno dei due cani si è trasformato: con mia sorpresa, constato che da piccolo che era è diventato di grossa taglia, enorme: alano fuori misura, insomma una specie di cavallo.
Mi domando quanti chili di carne dovrò dargli ogni giorno per mantenerlo.

Per alimentare l'orso, penso, non dovrebbero esserci problemi perchè potrei quanto meno fornirlo regolarmente di marmellata di arance (si sa che la marmellata di arance è il cibo preferito del Paddington Bear) e di vasetti di miele (l'ambita e sempre agognata preda di Winnie The Pooh).

 

Due notti dopo è arrivato il secondo sogno
Qui sostenevo di nuovo gli esami di maturità
Avremmo dovuto essere esaminati a piccoli gruppi in una stanza chiusa, senza testimoni o auditori
Durante l'attesa mi chiedevo come avrei fatto a superare la prova, visto che non avevo studiato e che, addirittura, non conoscevo quali fossero le materie d'esame.
Allo sconforto subentrava la fiducia nella mia capacità di arrangiarmi e di improvvisare, pilotando la discussione verso territori a me noti.
Entravo nella stanza con un manipolo di esaminandi, e alcuni di essi erano miei vecchi compagni di liceo.
La situazione assumeva una connotazione vagamente orientale, niente tavolii e sedie, ma soltanto tatami sui quali accovacciarsi o assumere una postura semidistesa.
Gli arredi erano essenziali (a parte i tatami) e tutto d'un insostenibile bianco.
Uno degli esaminandi parlava in tedesco e io, volenteroso, traducevo le sue parole all'esaminatore che non aveva capito una mazza.
Anzi , le parole tradotte mi servivano da trampolino di lancio per citare un libro letto di recente dal titolo "Er ist wieder da" (Lui è tornato) e da qui mi lanciavo in una prolissa recensione del libro e del film che ne è stato tratto.
Osservavo, però, che l'attenzione degli esaminatori andava scemando mentre io parlavo.
Sinchè, ad un certo punto, girando la testa, mi rendevo conto che alle mie spalle era stata imbadita una tavola con coppe di cristallo scintillanti e con ogni sorta di pietanze invitanti disposte in grandi guantiere, per non parlare di alzatine piene di frutti di ogni genere.
L'esame era finito, dunque, e così tutti quanti esaminatori ed esaminati ci accingiamo ad un lussureggiante banchetto, abbandonandoci ad una lieta atmosfera agapicarsazione agapica e a conversazioni leggere, inframmezzate da rumori di mandibole in funzione e schiocchi di lingua.

 

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19 giugno 2019 3 19 /06 /giugno /2019 08:27

Luce abbacinante
nel pieno del pomeriggio
Aria calda e asciutta

Saremo presto al giorno più lungo

E subito l’anno
volgerà al declino,
mentre l’estate darà i suoi frutti

Non cedo alla lusinga della luce piena e forte

Mi chiudo piuttosto nella fresca ombra di casa

Non voglio neppure guardarla,
questa luce,
che mi fa strizzare gli occhi
e fa male all’anima,
né espormi al fiato caldo del sole
Ciò che più voglio
è stare  nella semioscurità della stanza
come una talpa
ma con i miei libri accanto
a leggere,
leggere,
dormire,
sognare

 

E ho sognato che correvo,
correvo all’infinito
con leggerezza sublime
ad ampie falcate
e, ad ogni passo,
un interminabile tempo di volo

Trasportavo una grossa pietra tondeggiante
sotto il braccio
Era ben pesante:
eppure non mi appesantiva nel mio andare
E volando nella corsa
giungevo a quella che sentivo essere
la mia destinazione,
il  liscio mare di oro fuso
nel quale in un ultimo empito
dall’aggettante dirupo
mi lanciavo
sempre stringendo a me
quel fardello pietroso

 

E poi l’oblio

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11 marzo 2019 1 11 /03 /marzo /2019 06:22

Tempo addietro, avendo raccolto una ghianda ai piedi di una quercia possente, provai a farla germogliare. La curai, ottenni il germoglio e quindi quando era piccolo e tenero lo misi in vaso. Anche se hai seguito questa procedura altre volte, quando ti riesce di nuovo, provi sempre un senso di grande meraviglia: è come vivere in prima persona la storia meravigliosa, raccontata da Jean Giono a proposito di Elzéard Bouffier, ovvero dell'uomo che piantava gli alberi.
Molto tempo prima avevo fatto la stessa cosa con una ghianda di leccio e l'operazione era andata a buon fine.
Anche questa volta si sviluppò una piantina e, dopo, un anno circa, quando la stagione fu favorevole, la misi a dimora.

Il virgulto tuttavia non sopportò la stagione calda e si essiccò, con mio grande dispiacere. E me ne dimenticai.

Dopo circa un anno, passato l'inverno, ecco all'improvviso spuntare dalla terra, un germoglio tenero di foglie: era quella piantina che, rimasta quiescente sottoterra, adesso si risvegliava e riprendeva la crescita della sua parte aerea.

Ancora oggi va crescendo lentamente, ma ad ogni stagione che passa acquista maggiore vigore.

L'altra notte ho fatto un sogno che la riguardava.

Foto di maurizio Crispi. La piccola quercia tenace

Ero di fronte a questo virgulto e ne osservavo le gemme turgide pronte a dar vita ad un nuovo sviluppo fogliare e pensavo all'improvviso di averla piantata troppo vicino alla casa e ad alcuni ulivi. "Quando questa quercia - pensavo nel sogno - sarà diventata grande e fronzuta, darà fastidio agli ulivi e metterà a repentaglio la casa stessa".

E, allora, sempre muovendomi nel sogno, la recidevo con un paio di cesoie. Di lì a poco la pianta si riformava, quasi per miracolo.

E io la tagliavo ancora.

E lei ricresceva.

Io tagliavo.

E lei ricresceva.

In un loop infinito. Una specie di braccio di ferro tra me e lei.

Mi diceva: "E' inutile che mi tagli. E' questo il posto che tu hai scelto per me. Ed è questo il posto dove continuerò a crescere. Tu mi hai fatto nascere e tu non potrai mai più levarmi la vita".

E il sogno finiva qui.


Ci sono certe piante arboree che sono davvero eterne, come gli ulivi o i carrubbi. Anche se la parte aerea di queste piante viene devastata da una catastrofe, da un evento atmoferico imprevisto o dalla mano dell'uomo, esse risorgono dalle ceppaie che spesso sono molto pià vaste della parte fuori dalla superficie [e come racconta Stefano Mancuso in uno dei suoi più recenti libri, La pianta del Mondo], le ceppaie spesso continuano a vivere perchè il loro impianto radicale serve alla vita di altre piante arboree vicino]. E la quercia appartiene, appunto, a questa categoria di piante.
 

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19 dicembre 2018 3 19 /12 /dicembre /2018 07:21

C'è un incendio che si sta formando
Eppure non faccio nulla per spegnerlo
Mi sposto da un angolo all'altro di una casa che non conosco, in cerca
quando ho finalmente recuperato un secchio pieno
lo svuoto sulle fiamme guizzanti, ma senza convinzione
come se del fuoco che arde non mi importasse nulla
ignizione che si tramuto in agnizione,
anzi lo guardo come se fosse parte del mio Io più profondo
Intanto, se alzo lo sguardo, vedo la volta del cielo nero,
e il firrmamento di stelle trapuntate,
alcune pulsanti
Barbaglio di braci che arriva a me
dopo aver viaggiato nello spazio cosmico per milioni di anni luce
e quelle stelle che pulsano così brillanti forse non esistono più,
le loro fornaci si sono estinte
o sono implose
o si sono trasformate in un freddo ammasso di rocce morte
Eppure portano a me un messaggio di luce
Ed è allora ben poca cosa, in confronto all'enormità dell'Universo,
il tappeto di fiammelle guizzanti ai miei piedi

Il tempo delle fiamme del desiderio si è estinto da tempo
come quelle stelle ormai morte di cui ancora vedo la luce accattivante

E poi, dopo gli ultimi fuochi, rimarrà soltanto una luce nera ed insondabile

Il fuoco delle stelle
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Come sono arrivato qui

DSC04695.jpegQuesta pagina è la nuova casa di due blog che alimentavo separatamente. E che erano rispettivamente: Frammenti. Appunti e pensieri sparsi da un diario di bordo e Pensieri sparsi. Riflessioni su temi vari, racconti e piccoli testi senza pretese.

Era diventato davvero troppo dispendioso in termini di tempi richiesti alimentarli entrambi, anche perchè nati per caso, mentre armeggiavo - ancora alle prime armi - per creare un blog, me li ero ritrovati ambedue, benchè la mia idea originaria fosse stata quella di averne uno solo. Infatti, non a caso, le loro intestazioni erano abbastanza simili: creatone uno - non ricordo quale dei due per primo - lo ho "perso" (per quanto strano ciò possa sembrare) e mi diedi alacremente da fare per ricrearne uno nuovo. Qualche tempo - nel frattempo ero divenuto più bravino - il blog perso me lo ritrovai).

Ohibò! - dissi a me stesso - E ora cosa ne faccio?

La risposta più logica sarebbe stata: Disattiviamolo!. E invece...

Mi dissi: li tengo tutti e due. E così feci. E' stato bello finchè è durato...

Ma giocare su due tavoli - e sempre con la stessa effcienza - è molto complicato, ancora di più quando i tavoli diventano tre e poi quattro e via discorrendo....

Con overblog ho trovato una "casa" che mi sembra sicuramente più soddisfacente e così, dopo molte esitazioni, mi sono deciso a fare il grande passo del trasloco, non senza un certo dispiacere, perchè il cambiamento induce sempre un po' di malinconia e qualche nostalgia.

E quindi ora eccomi qua.

E quello che ho fatto - ciò mi consola molto - rimane là e chiunque se ha la curiosità può andare a dargli un'occhiata.

 

Seguendo il link potete leggere il mio curriculum.

 

 


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