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19 aprile 2016 2 19 /04 /aprile /2016 19:43
Non sono più Silver Surfer

Cammino all’alba
in solitudine
lungo vie deserte

Attraversando il piccolo parco vicino casa
cè la pace
c’è l’aria fresca e pulita del primo mattino,
mentre s'intrecciano le voci degli uccelli,
tutte diverse, a formare un piccolo mosaico sonoro

E’ un equilibrio dinamico, in continua trasformazione,
un dispositivo caleidoscopico che incanta la mente

Poi, spostandomi ancora,
raggiungo la via principale
dove scorre il traffico mattutino

Una moto passa con un rombo fastidioso,
si sente l’ansimare pesante dei bus,
carichi dei lavoratori più precoci
Insidiose polveri sottili cominciano a levarsi

Come accade ogni mattina,
incrocio una camminatrice, elegante e profumata:
passa di lì sempre allo stesso orario, facendomi da segnatempo
La saluto al passaggio: “Buongiorno!”,
ma lei mi ignora

Altri passano, volti ormai a me noti,
ma pur sempre persone sconosciute
Cosa fanno?
Chi sono?
Cosa pensano?
Dove vanno?

Nel sogno di questa notte, qualcuno arrivava
all'improvviso
e, come una furia, cercava di scaraventare il mio PC a terra,
io mio opponevo,
e, alla fine, la mia postazione di lavoro era salva,
una colluttazione senza spargimento di sangue.
Ma per quanto tempo ancora?

Poi, mi spostavo altrove

Ed ero in una casa, a più piani,
dov'era in corso una festa sfrenata,
ma nessuno mi prendeva in considerazione:
ero condannato all'invisibilità sociale
Cercavo di farmi notare,
di far sentire la mia voce,
di ricevere attenzioni,
ma nulla accadeva
Sino a che comprendevo:
per essere accettato da quella comunità festaiola
dovevo buffoneggiare,
coprendomi di ridicolo
E così ho fatto: funzionava davvero!
Ma poi, dopo un po’,
quando io stesso cominciavo a divertirmi,
ecco che un crampo doloroso alla gamba
mi ha costretto ad interrompere

Ed è rimasto solo il rammarico
per una cosa bella finita anzitempo:
con la scoperta che, spesso,
dietro l’odio si nasconde l’amore
Poi, poi, cos'è veramente l'amore?

Silver Surfer al femminile

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12 marzo 2016 6 12 /03 /marzo /2016 18:44
(Sarajevo, 1997, in occasione di una trasferta sportiva "per la pace" - Foto di Maurizio Crispi)
(Sarajevo, 1997, in occasione di una trasferta sportiva "per la pace" - Foto di Maurizio Crispi)
(Sarajevo, 1997, in occasione di una trasferta sportiva "per la pace" - Foto di Maurizio Crispi)
(Sarajevo, 1997, in occasione di una trasferta sportiva "per la pace" - Foto di Maurizio Crispi)
(Sarajevo, 1997, in occasione di una trasferta sportiva "per la pace" - Foto di Maurizio Crispi)
(Sarajevo, 1997, in occasione di una trasferta sportiva "per la pace" - Foto di Maurizio Crispi)
(Sarajevo, 1997, in occasione di una trasferta sportiva "per la pace" - Foto di Maurizio Crispi)

(Sarajevo, 1997, in occasione di una trasferta sportiva "per la pace" - Foto di Maurizio Crispi)

Un viaggio surreale in una periferia urbana dove si sta svolgendo un evento podistico.

Potrebbe trattarsi anche di un’immensa area adibita raffineria e ad attività petrolchimiche.

Sono sovrastato da enormi tralicci metallici, da ponteggi svettanti, da passerelle di lamierino che passano da una struttura all’altra, e da ciminiere alte e fumiganti.

Ma potrebbe anche essere la versione moderna di una prigione di Piranesi.

Ci sono anche - confuse in questo magma di ruggine e acciaio - delle modeste case di abitazione, muri di mattoni sbrecciati, comignoli, tetti sbilenchi rivestiti di eternit ondulato e, in alcuni casi, di tegole riciclate.

Mi muovo di continuo alla ricerca dell’inquadratura migliore per scattare delle foto.

Sono in attesa del passaggio dei runner: la loro strada non è agevole, costellata com’é di enormi chiazze di morchia nero-grigia e di distese di acqua di condensa, ampie come piccoli laghi e di detriti di ogni genere.

Nel frattempo, la mia attenzione è sollecitata da una specifica inquadratura, l’angolo di un tetto di coppi, sovrastato da un camino svettante e sullo sfondo crudeli tralicci di acciaio.

Ma non mi riesce di scattare la foto, prima perché non riesco a mettere a fuoco, poi perché si interpongono tra me e il mio soggetto, automezzi in transito e passanti.

Infine, arriva Uno in moto carico di attrezzature fotografiche e mi si ferma proprio davanti, occludendo il mio campo di ripresa.

Quando si accorge che sto per fotografare e che con la sua presenza mi disturba, scende dal suo motociclo e viene a sedersi accanto a me, su di un muretto di cemento polveroso da dove io, acquattato, cercavo di ottenere una migliore inquadratura dal basso.

Parliamo.

Gli chiedo se è un fotografo: “No”, mi risponde.

Gli chiedo come si chiami: “Simon Negro”, replica.

Quanti anni hai?

Sono vecchio. Più vecchio di quanto tu possa pensare...”, mi dice con una risata, per quanto tuttavia egli abbia un’aspetto decisamente giovanile.

Dai, dimmi quanti anni hai” - lo blandisco - “Se me lo dici di farò vedere, numeri alla mano, che rispetto a me sei veramente giovane”.

E lui ride di nuovo di buon gusto.

Nulla più.

 

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29 settembre 2015 2 29 /09 /settembre /2015 12:10
Il Cane, la Capra e il Leone, in un impasto onirico
Il Cane, la Capra e il Leone, in un impasto onirico
Il Cane, la Capra e il Leone, in un impasto onirico
Il Cane, la Capra e il Leone, in un impasto onirico
Il Cane, la Capra e il Leone, in un impasto onirico

Qualcuno ha lasciato aperta la saracinesca del mio garage: il leone mio ospite è uscito fuori e nessuno riesce più ad acchiapparlo.

Come farò? Non è un cane e non risponde al mio richiamo: e non è mica facile acciuffarlo per la collottola per ridurlo alla ragione. In meno d’una frazione di secondo potrebbe sferrarti una zampata micidiale con quei suoi possenti artigli.

Sì, nel mio garage tengo non solo il cane, ma anche una capra e questo leone.

La capra è venuta dopo il cane e ha sostituito le pecorelle di Tarling Street che si erano trasferite numerose e che, successivamente, si sono adattate a stare nei sottotetti.

Poi, siccome Frida non era soddisfatta della compagnia della capra che era sempre mugugnosa, poco cordiale e sempre intenta a ruminare, è arrivato il leoncino. E Frida è stata felice di averlo come ospite: presto lo ha adottato.

Il leone, ora é cresciuto a dismisura.

Però, soltanto ora che è scappato, mi sono reso conto che, da quando è arrivato, non gli avevo mai dato da mangiare.

Se è cresciuto e non è deperito, si sarà arrangiato da solo: forse avrà mangiato topi o scarafaggi.

Una volta quando ero bambino mi diedero una tartaruga terrestre. Grande fu la mia meraviglia nel tenere tra le mani questo essere rettiliano: dopo averla d io, per consiglio della mamma, la portai nel garage della casa di allora, umido e odoroso sempre di terra bagnata, perché alle sue spalle c’era un grande giardino selvatico. Mi dissero di tenerla là per l’inverno perché presto sarebbe caduta in letargo e, in funzione di ciò, si sarebbe cercata un anfratto tranquillo. Ed io, fiducioso, non le portai mai da mangiare, se non di tanto in tanto qualche foglia di lattuga. Ogni tanto andavo a trovarla e provavo a vitalizzala, dandole colpetti con uno stecco. Ma lei non si muoveva mai. Finché, con il sopraggiungere della primavera, andai a guardare meglio nel suo anfratto e la tartaruga era morta. Tutt’attorno a lei dominava un odore dolciastro di decomposizione che si mescolava a quello della terra umida e dello strato di foglie cadute. Ricordo che questa morte fu per me una grande delusione. Mi sentii tradito in qualche misura ed anche in colpa (al pensiero che non avevo fatto le cose per bene).

Ma il mio leone è ora un possente esemplare adulto, con i muscoli che guizzano sotto la pelle quando si muove ed una folta criniera fulva, e zanne possenti che si vedono, bianco giallastre quando ruggisce.

Come farò a catturarlo e a riportarlo dentro il garage?

E sì che gliel’avevo detto a tutti quanti: “Non aprite quella porta! E, se l’aprite, ricordatevi di chiuderla per benino subito dopo!”

Ma nessuno sta mai ad ascoltarmi.

C’è una festa nel cortile di casa. Ormai nel mio condominio e in quello di fronte ci abitano solo musulmani.

Posso vedere tutto bene dal mio vertice di osservazione: adesso io abito nel grande attico in cima al palazzo, le cui terrazze ampie e digradanti a scaloni come i Giardini di Babilonia, si sono trasformate in una foresta lussureggiante.

Forse il leone si sarà nascosto tra le piante della mia foresta.

E, di notte, in questo periodo che è quello del Ramadan si banchetta e si festeggia.

Dall’alto, sporgendomi oltre la ringhiera, posso vedere che tutte le luci sono accese, dentro gli appartamenti, e sembra che nessuno accenni soltanto a voler andare a dormire.

Si sentono risate e conversazioni sommessi, tintinnii di stoviglie e di posate.

Dal cielo, pendono festoni di corde a cui sono attaccate decine di bambini che cercano di dare la scalata al cielo per raggiungere un immaginario albero di cuccagna.

Sono un po’ preoccupato per loro: temo che qualcuno possa cadere e farsi del male.

Chiamerò the Catcher in the Rye. Sono certo che lui potrà aiutarmi.

Cosa dovrò fare prima di tutto? Aiutare i bambini ed impedire che cadano dabbasso? Oppure cercare il leone e riportarlo giù nel garage per impedire che faccia del male a qualcuno? Oppure occuparmi di Frida e della capra che sono rimaste entrambe giù in garage in attesa fiduciosa del loro pasto?

Che dilemma in insormontabile!

Sì, sì! Chiamerò the Catcher in the Rye. Lui saprà ben consigliarmi!

Nelle foto: I leoni rutelliani di Palermo (bronzi) e il monumento al Leone Morente a Lucerna (marmo)

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28 settembre 2015 1 28 /09 /settembre /2015 06:49
(foto di Maurizio Crispi)
(foto di Maurizio Crispi)

(foto di Maurizio Crispi)

Sono stato assunto come bus driver. Mi reco sul posto di lavoro. Entro all’interno d’una grande casamatta, poco sviluppata verticalmente verso l’alto, ma con degli intricati sviluppi sottoterra.

Dopo aver percorso interminabili rampe in discesa mi ritrovo in un’enorme spazio vuoto: solo qualche panca allineata lungo le pareti e per il resto nulla: non c’è traccia di autobus o di altri dispositivi similari. Guardo, esploro anfratti, ma non c’è anima viva. Nessuno a cui chiedere informazioni. Mi avventuro per una scala a chiocciola che sprofonda nel sottosuolo, attorcendosi su se stessa. Mi pare che, seguendo questa via, potrei arrivare a certi macchinari di lucente acciaio che ho visto baluginare molte decine di metri più in basso. Ma , dopo poco, mi rendo conto che la strada è sbarrata da un’impenetrabile inferriata. E con me non ho nemmeno una lima.

Ritorno nell'immenso stanzone di prima. Questa volta c’è un uomo con addosso un’unifome stazzonata e un berretto con la visiera un po’ sulle ventitré. Quando mi avvicino, avverto che emana un sentore di vestiti non lavati da lungo tempo, di sudore e di tabacco a poco prezzo. Stancamente, mi chiede se io non sia tra i nuovi assunti.

Al mio assenso, mi dice: “E’ inutile che cerchi degli autobus o dei tram qui! Sì, questa era un tempo il Terminal delle autolinee, ma ora non più. Tutto il lavoro si svolge a distanza per mezzo di autobus-droni. Tutto il lavoro viene svolto per mezzo di uno schermo e con una consolle che consente di lanciare i comandi fondamentali”.

E, mentre mi fornisce queste spiegazioni, digitando delle lettere su di un piccolo tastierino e cliccando su invio, dispiega un enorme schermo. Mi spiega che stando seduto alla mia consolle, potrò teleguidare gli autobus con una panoramica totale sul fronte della direzione di marcia, oppure modificando opportunamente l’angolo di ripresa, a seconda delle necessità. E così dicendo preme altri tasti e lo schermo si segmenta in tanti diversi riquadri che danno una panoramica a 360° della situazione attorno all’automezzo-drone che dovrei telecomandare.

Son un po’ turbato, anche perché dovrò iniziare questo lavoro senza alcun tirocinio preliminare, ma procedendo per prova ed errore.

Ed intanto macino le parole che mi ha detto in coda, prima di congedarsi, l’uomo in uniforme. “Ormai, il sistema dei trasporti pubblici mondiale - ha soggiunto - sia che si tratti di bus, treni, aerei, navi è del tutto automatizzato e, con questi dispositivi di comando e controllo a distanza, i guidatori virtuali possono essere dislocati anche a centinaia - se non a migliaia di chilometri di distanza -; è un po’ come il meccanismo di funzionamento dei call center odierni, in cui di fatto non c’è mai un responsabile che sia reperibile o identificabile in quanto tale”.

E cosa succede in caso di guasti o di incidenti?” - ho replicato.

Intervengono sul posto delle squadre - pure automatizzate - di manutentori o di soccorritori. - ha replicato l’uomo in uniforme (e se fosse stato anche lui un drone? o un ologramma?) - E’ chiaro che con questo sistema possono aversi tra i trasportati - cioè gli utenti ultimi del servizio -, in caso di incidente, morti e feriti. Ma ai gestori nulla viene addebitato: si tratta soltanto di effetti collaterali di un sistema la cui mission principale è l’abbattimento dei costi. Via, mettiti al lavoro, non farti troppi problemi e vedrai che tutto andrà liscio come l’olio”.

Insomma, spero di farcela.

Ma, a differenza che nella vita reale, nel caso di incidenti, provocati da un qualsiasi errore del manovratore a distanza , sarà sufficiente premere un bottone e fare un rapido rewind, sicuro e indolore (per l'operatore).

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1 luglio 2015 3 01 /07 /luglio /2015 05:58
Tatà e la festa sul monte

Siamo sulla cima di una montagna, dove tra le ultime balze - prima di arrivare in vetta - si forma un piccolo spiazzo.

Siamo arrivati a piedi portando tutte le nostre masserizie e i nostri generi di conforto, alloggiati in grandi cesti da picnic: c'è tanta roba da mangiare e non mancano le bevande, compresi dei grandi thermos di the e caffé.

E approfittando di questo spiazzo assolutamente panoramico, con una vista mozzafiato sulla valle sottostante, ci siamo sistemati, allestendo un gazebo e disponendo ad arte anche degli ombrelloni, tavoli e sedie.

Il vento soffia incessante, il sole splende e, con il suo calore, stempera l'aria frizzante.

Dobbiamo festeggiare un evento: ed è per questo che siamo saliti sin sulla cima della montagna.

Finalmente, alla fine del laborioso allestimento, possiamo ammirare la'opera compiuta: tavoli addobbati con ogni sorta di leccornia ebevande di ogni tipo: dalla Coca Cola, al vino alla birra, ai thermos pieni di caffé e di the.

Seguendo la strada che ascende a stretti tornanti tutti, amici e parenti convocati, cominciano a radunarsi.

Ma Salvatore è grumpy, fa il burbero-scontroso.

E allora tutti d'improvviso se ne vanno, prima ancora che la festa cominci.

Vedendo la mia delusione, Tatarone si ammorbisce e viene a più miti consigli, aprendosi al sorriso. Forse non tutto è perso: il party si farà, malgrado tutto.Mi sporgo dalla balaustra che cinge la terrazza e che portege dal cadere nel vuoto sottostante, alla ricerca della carovana degli ospiti in marcia verso valle.

Li avvisto dall'alto mentre stanno ormai scomparendo alla vista, prima di imboccare l'ultimo tornante e faccio grandi cenni con le braccia: "Dove state andando? Tornate, tornate, amici!".

Mi vedono, fortunatamente, e riprendono a percorrere faticosamente la strada in salità che li riporterà a noi!

Evviva, la festa si farà!!!

 

Ho fatto questo sogno qualche tempo addietro. E Salvatore l'aveva letto: rivelava questo suo modo di essere, al tempo stesso riservato e scontroso da una parte, e conciliante dall'altro.

Succedeva spesso che di fronte alle mie iniziative "sociali" brontolasse, ma poi finiva con l'accettarle e con il trarne piacere.

Un sogno che a suo tempo mi parve enigmatico e che, riguardandolo adesso alla luce degli eventi, sembra quasi profetico.

Come se, in tale sogno, vi fosse in nuce la rappresentazione d'un ultimo congedo, che non è avvenuto nella realtà, ma che è stato sostituito da un saluto che tanti gli hanno tributato e dalle testimonianze su di lui che si sono succedute, come è accaduto a Palazzo delle Aquile il 30 giugno 2015, in occasione della “Tavola rotonda sulla legge 328/2000″, organizzata dall’ufficio di presidenza del Consiglio comunale in collaborazione con ASAEL (Associazione siciliana amministratori enti locali), che ha preso lo spunto dalla presentazione del saggio di Salvatore Migliore, dal titolo “Sistema integrato di interventi e di servizi sociali: un progetto per garantire la qualità della vita”, volume che si apre con un'introduzione scritta da Salvatore Crispi, appunto.

Salvatore era stato invitato a far parte del cast dei relatori: non è stato presente materialmente, ma lo è stato in spirito ed è stato commovente sentirele parole su di lui enunciate dal Presidente del Consiglio Comunale Salvatore Orlando e dall'autore del volume, che nei confronti di Salvatore aveva un rapporto pluriennale di stima ed affetto.

Tatà e la festa sul monte
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19 maggio 2015 2 19 /05 /maggio /2015 05:55
Partouze porno-chic nelle segrete stanze
Partouze porno-chic nelle segrete stanze
Partouze porno-chic nelle segrete stanze

In una grande casa, semi-abbandonata si svolge una festa molto speciale.
Non so come io sia arrivato lì, né chi mi abbia invitato.
Gli ambienti vetusti e decorati di arazzi e tende di raso polverose, illuminate fiocamente da candele accesese a centinaia, sono pieni di grappoli di gente.
In una stanza centrale è in corso un party con un buffet ricco e variegatodisposto su di iun lungo tavolo e tutti mangiano di buona lena, con avidità quasi che il cibo offerto con liberalità, dovesse essere il loro ultimo pasto, divorando panini imbottiti, bruschette condite in modi svariati e trangugiando calici di vino.
Molte le donne discinte,vestite in abiti fancy e porno chic,o in intimo aggressivo che mette in mostra più che nascondere.
Si percepisce nell’aria una corrente elettrica sottile, una crescente eccitazione.
In un altro ambiente, al suono della musica - scatenati ritmi esotico-rock -, mentre occasionalmente vengono avviati effetti fumogeni, su di una pedana sopraelevata molti danzano,improvvisando gruppi sensuali in cui si sprecano movimenti guizzanti che simulano l’accoppiamento e dove si formano sandwich umani che mettono in scena ritualmente copule a tre e a quattro.
Sul palco che sovrasta la pedana e fornito di quattro pali, con un grande specchio alle spalle per accrescere il senso di profondità donne più ardite improvvisano forme di pole- e lap-dance, attorniate da ballerini semi-nudi: e ben presto si formano dei gruppetti al centro dei quali la donna-trascinatrice, in ginocchio al centro dispensa pompini generosi ingoiando lo sperma, mentre in altri casi la sborra di eiaculazioni fuori tempo per via dell’eccesso di eccitazione rende scivoloso il pavimento.
Si fomano presto raggruppamenti di coppie che scivolano via in stanze private, in cui questi trasgressori edulcorati celebrano i loro riti trasgressivi, lontano da occhi indiscreti.
Alti che amano l’esibizionismo spinto continuano a muoversi e a copulare oralmente sul palco e sulla pedana, dove - quando l'atmosfera si è scaldata al punto giusto - a forza di braccia viene portato un grande - anzi, enorme - sommier dove i gruppi che si sono formati (due donne e tre uomini in tutto) si spostano per continuare la loro copula sotto gli occhi di tutti, a volte parzialmente oscurati in maniera suggestiva dall’effetto nebbia.
Ed è un intreccio di posizioni e di scambi, di cambi di posizioni, di pompini multipli, di ripetizioni, di ricariche facilitate da vigorosi pompini rinvigorenti e di nuove sborrate che sono accompagnate da applausi e da grida di giubilo, emesse dalle lady subito dopo i gemiti dell’orgasmo.
Io salgo e scendo le scale, entro nei locali semibui: dovunque coppie che copulano:nel buio mi distendo attorno ad una coppia, strizzo un seno, ma la donna mi dice: “Io non gioco con i single”.
Proseguendo nel mio giro dantesco, entro in un locale isolato da un altro- semibuio - per mezzo di una lunga grata metallica a maglie larghe: sento dei gemiti e, strizzando gli occhi, mi accorgo che all’interno ci sono delle coppie che copulano.

Mi avvicino alla grata, quando mi accorgo che una donna di cui intravedo il biancore delle carni e l’opulenza del seno, viene sospinta dal suo partner verso di me: mi afferra il cazzo con dita febbrili e comincia a succhiarlo. Ed io vengo urlando dal piacere.
Poi, continua a succhiarlo fino a farlo tornare duro e farmi venire di nuovo, con un raddoppio di urla di piacere, quasi sino alla svenimento.
Con il cazzo ancora gocciolante - e a questo punto non c’è più bisogno di chiudermi la patta -continuo ad aggirarmi per le stanze segrete.
Alcune sono chiuse a chiave, ma dall'interno si sentono arrivare gemiti protratti e risate.
Altre sono aperte, immerse nella semi-oscurità e si possono intravedere figure copulanti.
Presto il cazzo mi si fa duro di nuovo e procedo con il suo ingombro pulsante teso in alto come se fossi un vessillifero con il suo stendardo.
Mi sento insoddisfatto,e avverto l’urgenza di un vero accoppiamento.
C‘è nella mia mente uno stato quasi febbrile che si manifesta come un diffuso formicolio elettrico sottopelle.
E ritorno così nella grande sala al cui centro - sino a poco prima - era andato in scena l’accoppiamento multiplo, spettacolare ed eccitante.
Ci sono alcune figure ai margini del grande sommier che ancora non è stato rimosso.
Alcuni si baciano; in altri casi, una donna si è inginocchiata e succhia quietamente il cazzo del suo partner e di colui che gli sta accanto.
Mi si accostano, provenienti da un altro ambiente - ma è come se fossero sorte dal nulla o dalla nebbia che ancora serpeggia nella grande stanza rendendola fumosa - due donne formose, in intimo nero porno-chic e guepiére e una delle due, dal grande seno e con la fica totalmente depilata che vedo occhieggiare come un fiore dalla spaccatura di slip grandi quanto un francobollo, prendendomi il cazzo nella sua mano, mi sussurra nell’orecchio che lei e la sua amica desiderano accoppiarsi con uno stallone sul grande sommier al centro del palco e, così dicendo,comincia a muoversi in quella direzione e a strattonarmi il cazzo per condurmi con sé.
Non mi faccio pregare e, facendomi a ridosso delle due, pur essendo ancora tenuto per il cazzo come un cane al guinzaglio, comincio a palpeggiare entrambe, pregustando i momenti che verranno.
Dissolvenza…

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18 maggio 2015 1 18 /05 /maggio /2015 06:07
Il vecchio Leone torna a ruggire

Sono alle prese con un esercizio ginnico.

Devo arrampicarmi su per una pertica di cinque metri, come facevo con molta prestanza ai tempi della scuola (ero uno dei migliori e riuscivo anche a salire a forza di braccia con le gambe a squadra).

Ma i tempi sono cambiati, sento il mio corpo pesante e i muscoli poco reattivi.

Ciò che prima era facile come bere un bicchier d'acqua, ora s'è trasformato in un'impresa difficile e rischiosa

A fatica, mentre ogni parte del mio corpo urla di dolore, riesco a sollevarmi centimetro dopo centimetro, fino ad arrivare alla cima.

Una grande conquista per me, ma nessuno mi ha visto.

Mentre compio quest'impresa vedo che c'è un armo (è un quattro di coppia) pronto ad andare con i remi tesi indietro per abbracciare l'acqua con una prima spinta.

Ed io non faccio parte dell'equipaggio.

Avverto una vibrazione di rammarico dentro di me.

Vorrei gridare: "Aspettatemi!", ma la voce mi manca: ho sprecato tutte le mie forze (risibili) per arrampicarmi lungo la pertica.

E dall'alto della coffa che ho faticosamente raggiunto guardo l'imbarcazione che, con bracciate vigorose e coordinate, si allontana, facendosi sempre più piccola, per finire inghiottita dall'orizzonte lontano.

Una voce fuori campo sussurra che avrei dovuto dirlo prima, se avessi avuto intenzione di partecipare all'impresa e che tutti avevano pensato che non fossi interessato, visto il mio silenzio persistente e sprezzante.

Il corpo con gli anni cambia: e, alla fine, senza nemmeno essercene resi conto ci ritroviamo diversi da quelli che eravamo stati, altre persone, con altre capacità, con diversi limiti, con una diversa morfologia, senza più la sensazione di una capacità illimitata, avendo perso la sensazione di potersi espandere a dismisura, avendo invece soltanto uno spazio ristretto a disposizione, uno spazio a volte non più grande di una piccola gabbia.

Ma qualche volta, anche se fiaccato, il vecchio leone ritorna a ruggire

Il vecchio Leone torna a ruggire
Il vecchio Leone torna a ruggire
Il vecchio Leone torna a ruggire

Un insolito metodo di pesca tipico delle culture dello Shi Lanka. Le foto realizzate a Koggala, sono lo specchio di come l’uomo, in base al territorio ed alle sue risorse, possa pescare in maniera veramente sostenibile.

La pesca con la pertica, chiamata in inglese stilt fishing, è praticata all’alba e al tramonto, i pescatori sono seduti su di un trespolo o pertica in legno, a pochi cm dall’acqua. I pali che vengono piantati in acqua rimangono un “patrimonio familiare” che viene tramandato di generazione in generazione.

Appollaiati su questi pali, i pescatori catturano sardine, aringhe e piccoli sgombri che la mattina vengono poi portati al mercato del pesce.

Le canne da pesca, semplici bastoni di bambolo, sono dotati di una lenza che riporta l’amo, a cui i pescatori innescano vermi di sabbia raccolti sul luogo di pesca.

Il palo portante è fissato sul fondo del mare e quasi in cima c’è una barra trasversale, chiamata Petta, su cui i pescatori si siedono.

L’equilibrio precario fa si che il pescatore con una mano trattenga la canna e con l’altra si appoggi al palo per evitare di cadere in acqua.

E' una tradizione di pesca che tende a deperire, purtroppo.

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10 marzo 2015 2 10 /03 /marzo /2015 06:58
Cosa ci faccio qui?

Dove sono?

Boh, non so!

Forse all'edicola di cui sono cliente, dove trovo una montagna di cose messe da parte per me?

Già, è proprio così: il luogo mi è familiare.Ora ci siamo: è proprio la mia edicola di Palermo.

Ma nel grosso mucchio che trovo pronto per me, alcune delle riviste e degli albi a fumetti non ricordo di averli mai richiesti.

Ed ora che me ne faccio di tutta questa roba?La rifiuto o la accetto?

Se la rifiuto, la signora Egerina si offenderà con me e non vorrà più tenermi da parte le cose. Se l'accetto, farò la parte di quello che accetta acriticamente qualsiasi cosa e che può esser egabbato in ogni momento.

Insomma, mi trovo a lottare tra Scilla e Cariddi!

Intanto, ad accrescere la mia confusione, mi accorgo che fuori mi aspetta Frida tenuta al guinzaglio da una mia antica amica, che sembra essere emersa dalla nebbie del tempo.

Che ci fa lì? Cosa vorrà?, mi chiedo.

E poi messa lì con santa pazienza a far da balia a Frida...

Questa presenza m'infastidisce.

E anche adesso non sono da meno nel comportarmi in manera villana.

Me ne vado senza aspettarla, utilizzando un'uscita secondaria del negozio.

E riesco a sgusciare via con successo.

Sono a casa di un amico, in una mansarda stretta e lunga.

Conversiamo.

Un piacevole intermezzo:ma non ricorda di cosa si sia parlato.

Discorsi di café, probabilmente.

Arriva l'amica di prima, quella che ho lasciato in modo tanto scortese in mezzo alla strada, sempre con il cane.

Ma proprio non molla!

Fa il broncio ed è offesa con me.

Me ne vado in tronco, irritato, e la lascio in compagnia del mio amico, sperando che facciano amicizia e che se la intendano.

Frida rimane con loro.

Anche lei, poi!

Io da solo marcio lunga una strada, con attitudine del pellegrino che è sempre in cammino, senza avere mai un luogo dove fermarsi.

Ultreia, ultreia!

[da un sogno]

Cosa ci faccio qui?

In his later paintings, Edward Hopper sought to express the experience of seeing and perceiving the world by treating light in such a way that it almost becomes a material object. His emphasis on light, the dissolution of material objects, and his ability to visualize an internal reality received its ultimate expression in Sun in an Empty Room, one of his last pictures.

Hopper had the rare gift of being able to perceive reality as a whole in the forms of the outside world, of actually seeing the truth. In his intuitive perception the objects of the world confronted him with a vitality of their own. Thus, it was not only justifiable but also necessary for Hopper to hold to the empirical forms of the world. They were his starting point, his goal, as well as the means of his art, the unique qualities of which will continue to question any form of abstractionism.

In his mature works, Hopper moved from a relatively objective, almost impersonal way of viewing the world, to a very emotional one. This emotionalism did not manifest itself in his brushwork as it did, for example, in Vincent van Gogh. Hopper's application of paint in his mature works became at times almost ascetic in its thinness, while his drawing of forms was sharp and controlled.

www.edwardhopper.net

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23 febbraio 2015 1 23 /02 /febbraio /2015 05:32

Tra il Martello di Dio e l'Incudine della Città onirica

Quella che si stende davanti ai miei occhi é una città fantastica di minareti e di pinnacoli sottili ideati dal più ardito degli architetti ed eretti a sfidare la forza di gravità

E un aereo enorme si avvicina e manovra malaccortamente, portandosi nella sua planata sempre più in basso proprio sulla città.

Il pilota cerca di riportarlo in quota e l'ala di sinistra comincia a sollevarsi.

Lo schianto, però, sembra inevitabile, anche perchè l'aereo è davvero enorme, tale da occludere del tutto la vista dell'orizzonte con la sua massa: in confronto la città che sembrava così ardita sembra essere stata costruita da Lillipuziani.

E, in proporzione, gli arditi minareti e le torri possenti sembrano meno che miseri stuzzicadenti e spilli lucenti.

Io sono lì tra il mastodontico aereo e la città di Lilliputh, io stesso lillipuziano.

Cerco scampo, ma non ve n'è alcuno.

Che ci faccio lì?

Non lo so.

Vorrei avvisare qualcuno del pericolo imminente, ma sono bloccato da un'inspiegabile paralisi che mi impedisce di muovermi e che sigilla la mia voce, all'infuori di mugolii senza senso.

Mi sento tra il martello di Dio e l'incudine della città onirica. 

Poi, il miracolo.C'è sempre qualcosa di prodigioso che accade nei sogni. 

Il Tempo si arresta e tutto rimane bloccato in una fantastica composizione.

Il gigantesco aereo argenteo sospeso sulla città, in un'impossibile angolatura.

La città minuscola e fantastica, dove ancora miracolosamente nessuna struttura è ancora crollata, benchè il contatto tra alcuni segmenti dell'aereo e le più ardite archittetture sià già avvenuto.

Tutto rimane sospeso, in un attimo che si fa eternità. 

La salvezza rimane nella sospensione del Tempo: e per quanto tempo durerà questo istante fermo, dilatato all'infinito?

Non lo so e non voglio saperlo.

Mi basta sapere che c'è la sospensione prima dell'esecuzione del verdetto.

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21 gennaio 2015 3 21 /01 /gennaio /2015 06:30

In viaggio. L'ultima spiaggia e il pettirosso

E' una spiaggia, grande e dorata, dalla sabbia fine, lo scenario d'inizio: e ci arrivo con la mia cagnetta - ormai un po' attempata - Frida.

Ho con me diversi libri (di cui alcuni sono pesanti volumi, cataloghi di mostre che ho visitato nel corso del mio viaggio) e la mia preoccupazione primaria é che non si bagnino nè si sporchino.
E' stato un viaggio o sono un pellegrino?

Questo non so dirlo.

Ma è possibile che sia reduce da un lungo spostamento a piedi.

Frida fa la pazzariella e decido di lasciarla legata vicino alle mie cose e ai mie libri e ad una pesante borsa che mi sono trascinato appresso tutto il tempo.
Qualcuno si lamenta di questa mia decisione: "Ma come sotto il sole! La povera cagnetta morrà di insolazione!"

Spiego il mio pensiero a quegli amici pseudo-samaritani che rimangono senza volto, nel mio ricordo, e che ho raggiunto sulla sabbia: la scelta di non liberare i cani in queste situazioni é una questione di rispetto nei confronti degli altri frequentatori della spiaggia. il cane lasciato libero di fare ciò che vuole andrebbe a ad annusare le loro cose, metterebbe le zampe sui teli da mare, e se dovesse entrasse in mare, all'uscita spruzzerebbe tutti di acqua salsa cercando di strizzarsi la pelliccia, per non parlare del cattivo odore che emette il pelame del cane bagnato.

E, quindi al guinzaglio...

Posseggo, ta l'altro, tra i miei paraphernalia un dispositivo tecnologico per portare il cane al guinzaglios enza sforzo.

Ma non saprei descriverlo nei dettaglio, nella parte terminale possiedono un piccolo pistoncino che consente d incastrarlo in possibili appigli e che, nello stesso, serve ad ammortizzare gli strattoni troppo violenti.

Frida si agita e tira il guinzaglio che s'impiglia di continuo tra i libri che lho lasciato vicino a lei: i libri cadono e si imbrattano tutti di sabbia fine e leggere e le pagine sisgualciscono

Legge di Murphy all'opera!

Poi decido di andare e m'incammino lasciando temporaneamente la Frida con i miei amici.

Sono su un autobus che fa il giro lungo dell'Addaura, adesso.

Ma in realtà non so, non ne ho nessuna certezza.
Mi sembra di riconoscere dei luoghi, ma nello stesso tempo guardo le case e gli scorci sfilare sotto il mio sguardo con una sensazione di totale estraneità.

Il mio piano è quello di arrivare a casa, prendere l'auto e tornare a prendere Frida e tutte le mie cose che ho lasciato scompostamente sparse sulla sabbia assolata. Un piano farraginoso, ma - evidentemente - ho scartato l'ipotesi di far salire Frida sull'autobus assieme a me.

Ci sono a bordo due bulletti, un ragazzo ed una ragazza, bassi e tarchiati, lei con i capelli pisciati color topo, lui altrettanto insignificante e con il profilo da roditore, ambedue orribili e incapaci di suscitare la benché minima simpatia, ma solo repulsione e fastidio.

Entrambi cominciano a fumare, inondando il bus di nuvole di fumo azzurrini e puzzolente: io e gli altri passeggeri facciamo finta di ignorare, senza abbozzare.

Poi, uno più intraprendete si alza e cerca di aprire al massimo una dei finestrini scorrevoli in alto per arieggiare.

Ma i due non colgono i messaggi e continuano a fumare, strafottenti, inondando il bus di ulteriori nuvole miasmatiche.

Arriva un controllore, alla sosta successiva, assieme a un poliziotto: i due comunicano ai due (che, nel frattempo, però continuano a fumare con indifferenza insolente) che sono in arresto (ma non per il fumo, a quanto pare, ma per un reato precedentemente commesso per il quale erano ricercati) e che alla prossima sosta dovranno scendere per andare alla stazione di polizia per le formalità di rito.

Tutti i passeggeri esalano dei visibili sospiri di sollievo per il fatto che in breve saranno liberati dall'autorità costituita da una da una tale seccatura.

Finalmente scendo dall'autobus e sono in una località che mi pare sconosciuta, ma é il centro d'una città antica, adornata di grandi edifici barocchi, che mi sono familiari ma a cui, nello stesso tempo, non riesco a dare un nome.

C'è un vecchio che indugia all'ombra del vasto porticato di un vecchio palazzo nobiliare, appoggiato ad un bastone nodoso.

Gli chiedo informazioni, ma non mi sa dare risposte: anche lui pare disorientato.

Mi dice tuttavia che potrei chiedere qualcosa alla Baronessa,  una donna molto anziana che ha sempre vissuto qui e che sa tutto di tutti e che, certamente, potrà rispondere alle mie domande.

Soltanto, mi avverte il mio interlocutore, dovrò tenere presente che è un po' svanita e che per ottenere le mie risposte dovrò evitare di parlare direttamente a lei, rivolgendo le mie domande esclusivamente al pettirosso che se ne sta sempre poggiato sulla sua spalla quasi fosse un trespolo.

La donna è un oracolo, come scoprirò in seguito, semi-cieca ed incapace di vedere le cose nella realtà, anche se il suo sguardo penetra oltre il velo di Maya.

E il pettirosso sulla sua spalle cinguetta le risposte.

E' il suo interprete.

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DSC04695.jpegQuesta pagina è la nuova casa di due blog che alimentavo separatamente. E che erano rispettivamente: Frammenti. Appunti e pensieri sparsi da un diario di bordo e Pensieri sparsi. Riflessioni su temi vari, racconti e piccoli testi senza pretese.

Era diventato davvero troppo dispendioso in termini di tempi richiesti alimentarli entrambi, anche perchè nati per caso, mentre armeggiavo - ancora alle prime armi - per creare un blog, me li ero ritrovati ambedue, benchè la mia idea originaria fosse stata quella di averne uno solo. Infatti, non a caso, le loro intestazioni erano abbastanza simili: creatone uno - non ricordo quale dei due per primo - lo ho "perso" (per quanto strano ciò possa sembrare) e mi diedi alacremente da fare per ricrearne uno nuovo. Qualche tempo - nel frattempo ero divenuto più bravino - il blog perso me lo ritrovai).

Ohibò! - dissi a me stesso - E ora cosa ne faccio?

La risposta più logica sarebbe stata: Disattiviamolo!. E invece...

Mi dissi: li tengo tutti e due. E così feci. E' stato bello finchè è durato...

Ma giocare su due tavoli - e sempre con la stessa effcienza - è molto complicato, ancora di più quando i tavoli diventano tre e poi quattro e via discorrendo....

Con overblog ho trovato una "casa" che mi sembra sicuramente più soddisfacente e così, dopo molte esitazioni, mi sono deciso a fare il grande passo del trasloco, non senza un certo dispiacere, perchè il cambiamento induce sempre un po' di malinconia e qualche nostalgia.

E quindi ora eccomi qua.

E quello che ho fatto - ciò mi consola molto - rimane là e chiunque se ha la curiosità può andare a dargli un'occhiata.

 

Seguendo il link potete leggere il mio curriculum.

 

 


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