Overblog
Segui questo blog Administration + Create my blog
5 marzo 2022 6 05 /03 /marzo /2022 16:27

Siamo in perenne emergenza
Era Covid
Adesso è Ucraina
Sempre a confrontarci con il Male assoluto
C’è sempre la necessità
di trovare il Male,
creando opposizioni dialettiche
nette e precise,
senza una possibile sintesi
Nascono delle narrazioni
Il vilain Putin contro il popolo ucraino
La grande Russia va a rotoli
L’Ucraina è devastata
I media rinvigoriti
hanno carne fresca
da dissezionare
Noi siamo gli spettatori
che assistono ai combattimenti
tra gladiatori al Colosseo,
messi in atto da un imperatore pazzo
che mette in scena la sua follia
e il suo delirio
Gli spettatori, asfissiati

dalla quotidina retorica
sono parte integrante
dell’evento di lotta
Noi, in un rassicurante altrove,
ma sino a quando?

Mi sento sperduto

Non voglio fare parte dello spettacolo

(www.ilmessaggero.it) Un'immagine iconica di questi giorni tristi

(www.ilmessaggero.it) Un'immagine iconica di questi giorni tristi

This is a sad and dangerous time in history. I am especially sad to know that we - Americans, have played such a significant role in this chapter of world history - world crisis. In 2014 our government supported and encouraged the overthrow of the Ukranian government who was at the time sympathetic to Russia. Now, the current administration has done everything to encourage and enable the Russian regime to take down the current Ukrainian government and install a Russian puppet. Biden shit down domestic energy production driving up energy costs on the false basis of “saving the planet”. Driving up the price of all energy and financing Russia’s invasion of Ukraine.

Michael Donorovich

Ieri Covid, oggi Ucraina

Ieri Covid, oggi Ucraina

Condividi post
Repost0
16 febbraio 2022 3 16 /02 /febbraio /2022 11:22
Cacca di cane spiaccicata da una ruota (foto di Maurizio Crispi)

Oggi, quando sono uscito a fare passeggiate i cani, c’era uno spazzino (oggi dicesi operatore ecologico) che insolitamente spazzava la via. Di questi tempi, nella zona dove abito, forse perchè si avvicina il tempo delle elezioni amministrative, c'è tutto un insolito fervore di pulizie.
Lo spazzino mi ha riservato uno sguardo occhiuto e malevolo. Forse ha pensato che io fossi il tipo di padrone di cani che abbandona in giro la merda delle sue bestioline.
Manco a farlo apposta La Flash si è accovacciata per azionare nel modo più consono il suo torchio addominale… e l’ha fatta proprio sotto gli occhi e il naso dello spazzino, che si è fatto vieppiù occhiuto e sospettoso.
Considerando le delittuose azioni (ed omissioni) di molti proprietari di cani, tutti quelli che hanno dei cani al passeggio sono dei potenziali criminali e come tali vengono guardati (sino a prova contraria...).
Io, proprio per questo motivo, mi sono esibito - a suo beneficio - in una plateale performance di nettoyage della merda appena deposta è ancora fumante…
Ed è così che è andata.
Poi, più avanti, nel corso della passeggiata, mi sono imbattuto in una stratosferica cacata (ovviamente di cane), appena spiaccicata dalla ruota d'una moto. L'impronta del copertone vi era rimasta ben impressa.

Già, perchè sono tanti i padroni di cani sprezzanti che non raccolgono la lacacca dei propri cani oppure - il che esprime una forma di sprezzo ancora maggiore - la raccolgono nell'apposito sacchetto per poi lasciare il sacchetto pieno e ben chiuso per terra.

Condividi post
Repost0
16 febbraio 2022 3 16 /02 /febbraio /2022 10:36

(Wiki Dixit) Pittima è il termine con cui in passato veniva definita, particolarmente nelle repubbliche marinare di Venezia e Genova, ma anche a Napoli, una persona pagata dai creditori per seguire costantemente i loro debitori. Era una sorta di esattore che aveva come compito quello di ricordare a costoro che dovevano saldare il debito contratto.
La pittima poteva gridare a gran voce per mettere in imbarazzo il debitore, e il suo costante pedinamento era volto a sfiancarlo così che si decidesse a saldare il debito, la cui riscossione gli poteva fruttare una percentuale più o meno congrua.
La pittima vestiva di rosso, affinché tutti sapessero che il perseguitato dalla pittima era un debitore moroso.

In particolare nella Serenissima Repubblica di Venezia la figura della pittima era reclutata tra gli emarginati e i disagiati che fruivano di una sorta di assistenza sociale del Doge costituita da mense pubbliche e ostelli a loro riservati. Questi assistiti dovevano però rendersi disponibili a richiesta delle istituzioni per fare la pittima: il debitore pedinato non poteva nuocere a queste figure istituzionali pena la condanna. Il credito doveva essere difeso come il buon nome della maggiore repubblica commerciale dell'epoca.
Pittima è divenuto in seguito sinonimo di persona insistente che si lamenta sempre (ma anche, quindi, in termini speculativi, di percentuale).

In lingua veneta, la frase genericamente più utilizzata per definire pittima una persona è: "Ti xe proprio na pittima!" (Sei proprio uno che si lamenta di continuo per nulla), equivalente di "T'ê pròpio 'na pìtima!", in lingua genovese. Il termine è usato ugualmente in dialetto fiorentino e compare comunque tra le voci del dizionario italiano Garzanti, che ne dà la definizione di "una persona noiosa, che si lamenta in continuazione di piccole cose".
Il dizionario Treccani ne dà lo stesso significato[1], dando l'etimologia (lat. tardo epithĕma, dal gr. ἐπίϑεμα, propr. «ciò che è posto sopra») e specificandone il significato originale di "impacco a scopo terapeutico", da cui è derivato il significato di "persona fastidiosa"; viene suggerito il paragone con la parola "impiastro".

Fabrizio De André ha intitolato una canzone dell'album Creuza de mä, appunto, "A' pittima" (La pittima).
Anche Zucchero, nel brano "13 buone ragioni" contenuto in Black Cat, accenna alla "pittima del reame", riferendosi con ironia alla sua ex-moglie.

Wikipedia

travestimento carnevalesco: la pittima

Quando ero piccolo, ma molto piccolo, mi esibivo spesso in lamentazioni e tragediazioni, e talvolta esclamavo, in toni melodrammatici, "Sono una povera vittima [incompresa e vilipesa]!".
Spesso questi miei alti lai venivano emessi in consessi familiari, più o meno numerosi (e, retrospettivamente, direi che erano un modo per attirare l'attenzione su di me). La mamma allora diceva: "Ma tu, Maurizietto, non sei una povera vittima, ma una PITTIMA!" E giù a sghignazzare. E, soprattutto, erano gli altri presenti che se la ridevano di gusto. 
Io ero disorientato all'inizio, oscillando tra il compiacimento e la sensazione oscura di essere il destinatario di una beffa, sino a quando la mamma non mi spiegò il significato del termine, dicendomi che veniva attribuito in passato ad uno che con le sue lamentazioni sta tutto il tempo ad affliggere altrui, a dargli il tormento insomma, come un tafano che, senza tregua, cerca di pungere le terga di un cavallo o di un asino e che, quando si attacca, raramente la smette se non quando ha raggiunto il suo scopo.
Ero permaloso, allora, quando ero piccolo: e rapidamente imparai a non fare più la vittima e, soprattutto, a non dichiararlo platealmente davanti a tutti, per evitare, appunto, che mi venisse rigirata la frittata,
trasformandomi da vittima in pittima.
La mamma era molto brava a farmi riflettere sulle parole, d'altra parte, ed era ciò che faceva abitualmente da insegnante.
Anche il mio uso della parola "vittima", allora, era del resto improprio, come imparai successivamente.
Anche oggi, in tempo di Covid si abusa - ritengo della parola "vittima", preferendola al più asettico termine di "morti per Covid", quando vengono date le notizie del computo giornaliero dei morti, dei positivi e dei guariti.
Cosa ci dice un dizionario qualsiasi sul termine vittima"?
Ecco qui:

vittima
/vìt·ti·ma/
sostantivo femminile
1. Animale o essere umano che, nei riti di alcune religioni pagane, viene consacrato alla divinità e ucciso nel sacrificio.
"immolare la v."
2. ESTENS. Chi perde la vita in una sciagura o calamità: le v. del terremoto; morire v. di un'epidemia, della droga; le v. della strada, della montagna.


Ancora oggi si parla di vittime per Covid, sì, mentre sarebbe il caso di normalizzare queste morti, mettendole sullo stesso piano di altre morti dovuti ad altre malattie che affliggono il genere umano. Dopo più di due anni, infatti, dando per assodato che il Sars-Cov-2 non se ne andrà tanto facilmente, ma rimarrà con noi per un periodo imprecisato, occorrerebbe smetterla di considerare tutto ciò che vi è correlato come un'emergenza e fare dei passi verso la normalizzazione.
Continuare a parlare di "vittime" anziché di morti fa la differenza, in quanto il termine "vittima" è maggiormente esposto ad inflessioni linguistiche di tipo connotativo, anziché esprimere un semplice - e più neutrale - significato denotativo.
Coloro che continuano a parlare di "vittime" sono dei tragediatori che inducono coloro che ascoltano quello che viene da essi spacciato come un Verbo a reagire con comportamenti cupi, preoccupati e aggrondati. In altri termini avvelenano la loro vita con i piagnistei e le lamentazioni, impersonando il ruolo di vere e proprie "pittime". Ed io ritengo che i comunicatori dei media siano, sempre di più in questi giorni, in cui avremmo bisogno di ottimismo, di spiragli di luce e di aria fresca, dei tragediatori e dei predicatori di sventura, insomma delle autentiche "pittime".

Ho voluto fare per pura curiosità una ricerca su internet per approfondire il significato del termine "pittima" e ho trovato una bella storia che è davvero molto calzante con quanto ho appena affermato e che ho messo in cima al posta in forma di epigrafe (citazione).

Pensate un po'!

La mamma mi diceva sempre dell'importanza di partire sempre dai significati delle parole, offerti dal dizionario in modo da poter sempre utilizzare il linguaggio in maniera precisa e competente.
A partire da questa storia lontana di vittima versus pittima ho sempre cercato di seguire il suo suggerimento e, quando mi ritrovo davanti ad una parola usata in modo controverso oppure improprio, voglio sempre controllare. E mi rendo conto di non saperne mai abbastanza!

In più, indagare  sullo spessore e sulla la ricchezza di significati e di radici storiche di certe parole apre a volte nuove prospettive epistemologiche.

Condividi post
Repost0
9 febbraio 2022 3 09 /02 /febbraio /2022 12:15
Monopattini elettrici, di cui uno abbattuto (foto di Maurizio Crispi)

Un tempo esistevano i monopattini a spinta
Ve li ricordate?
In questi tempi di Covid
e monopattini elettrici
che sfrecciano per le vie e sui marciapiedi,
creando non pochi problemi,
nessuno forse ci pensa più

Erano belli quei monopattini a spinta
Io, per esempio, da piccolo
ne avevo uno tutto di legno
E mi piaceva tantissimo
Poi, per un breve periodo,
vennero di moda
quelli pieghevoli e trasportabili
Bellissimi!
Eravamo all'inizio del primo decennio
del nuovo secolo
Ne comprai uno per me e uno per mio figlio
Oltre che pieghevoli, erano telescopici
per cui un unico formato
soddisfaceva tutti
Fatti in lega leggera,
erano anche facilmente trasportabili
Presi ad usarli per accompagnare mio figlio a scuola
ciascuno sul suo monopattino
Era una bella fatica,
eppure - come tutte le cose che,
per usarle, bisogna sudare -
dava soddisfazione e tonificava
Mio figlio non ne fu mai
un grande entusiasta
Troppa fatica per lui, troppo sudore
I due monopattini caddero presto in disuso
forse sono ancora lì nel mio garage
tra le cose vecchie del tempo che fu

 

Oggi mi sono rivisto,
con commozione

C'era un papà in monopattino a spinta
che arrancava
e accanto a lui una bimbetta,

alta quanto un soldo di cacio,
sul suo monopattino piccolino
e zainetto in spalle
La bimba era proprio piccina
Eppure, seguiva con meticolosità
le indicazioni di papà
E anche lei arrancava,
ma non demordeva
Ci metteva tutto il suo orgoglio
e sono sicuro che fosse fiera
di questa grande prova
che stava facendo
assieme al suo babbo
Ah! E dirò anche
che ambedue erano dotati
di caschetto protettivo
per viaggiare in sicurezza
Si fa così per insegnare ai propri figli
un modo diverso di muoversi nella città
Dandogli una bici (senza pedalata assistita)
o un monopattino a spinta
non certamente i trabiccoli elettrici
di questa nostra epoca

 

Nella foto di Maurizio Crispi, due monopattini elettrici abbandonati, di cui uno abbatté (o è stato abbattuto)
Palermo, 9 febbraio 2022

Condividi post
Repost0
19 gennaio 2022 3 19 /01 /gennaio /2022 19:32
Natale è andato via (foto di Maurizio Crispi)

Gennaio volge al termine, ormai
Come sempre, sta volando via veloce,

come le renne del Natale
Se i mesi passano, tuttavia,  la pandemia resta

Ed è questo il terzo inverno del nostro scontento
Sembra ormai così lontano il tempo
in cui a febbraio 2020 si cominciava a parlare
di casi di un'infezione respiratoria nella lontana Cina
Molti hanno pensato che la cosa non li riguardava
Epppure il virus era già tra noi,
girava silenzioso ed invisibile
Poi, hanno cominciato a manifestarsi
i primi casi, da noi, in Europa
e nel resto del mondo
E, ancora, alcuni pensavano:
non sarà nulla di più d'una banale influenza!
Eppure gli ospedali erano sempre di più intasati
e la gente moriva, spesso da sola e senza alcun conforto
da parte dei viventi
E' passata la prima onda
Poi è arrivata la seconda
e poi la terza che si è manifestata
quando già erano disponibili i vaccini
Decremento dei casi, grande euforia,
cuorcontenti e tutti giù per terra
Ed è arrivata la quarta ondata,
che è quella che stiamo vivendo adesso,
malgrado i  vaccini
Anche i vaxinati si infettano
(pensiero che era stato respinto dagli euforici del vaccino)
e si ammalano
(anche se forse in maniera più lieve)

Ma anche i covidati non sono immuni dalla recidiva
Siamo stati afflitti da una ridda di varianti,
una appresso all'altra,
ed altre forse se ne annunciano
meno aggressive, più aggressive,
più letali, meno letali
non si sa
Tutto e il contrario di tutto
Si procede a tentoni
Il fatto vero è che, quando andammo al primo lockdown,
pensammo che sarebbe stata una cosa di poco tempo
e, invece, siamo ancora qui
Ne avremo per molto tempo ancora?
Non si sa!
Intanto, siamo afflitti da ben altri problemi
che ci arrivano addosso come treni espresso
senza che nessuno faccia nulla per arginarli
come il pazzesco rincaro delle bollette delle utenze
o del costo della vita
o il promesso rincaro del canone RAI
e, non ultimo fatto di cui preoccuparsi, per noi italiani
un'elezione problematica del nuovo Presidente

Vorrei scendere da questo autobus che comincia a starmi stretto,
ma penso che dovrò viaggiarci ancora a lungo

E sono sempre in tanti, in troppi,
a morire
per Covid e non per Covid,

amici cari
punti di riferimento negli anni passati
Scompaiono per sempre,
lasciando solo un ricordo

Persone che sino ad ieri c'erano
e che oggi, quando ti svegli al mattino,
scopri che non ci sono più

E allora per cacciare via la tristezza
lanciamoci tutti in una conga
longa longa e,alla fine,
stremati, tutti giù per terra

per non pensarci proprio più

Il topo mattacchione... Potrebbe essere l'idea per una favoletta morale di Esopo in tempi di Covid

Il topo mattacchione... Potrebbe essere l'idea per una favoletta morale di Esopo in tempi di Covid

Condividi post
Repost0
3 gennaio 2022 1 03 /01 /gennaio /2022 17:46
Ricevuta Don Ciccio_5 gennaio 1984

Nella tasca di un giaccone che tengo in campagna ho trovato un pezzo di carta accartocciato.
Con molta lentezza, per evitare che si sbriciolasse, lo ho dispiegato.
Cos’era?
Nientemeno che la ricevuta di un pasto per due, consumato nella tipica trattoria Don Ciccio di Bagheria, nel lontano 5 gennaio 1984.
Esaminiamo quanto vi è scritto, voce per voce

Pane …….£1000
Primo……£4400
Carne…£10.500
Vino……….£800
Liquori….£1000
Servizio..£1000
Totale..£23.500

 

Sono rimasto stupefatto.
É che ormai non ci pensiamo più!
Quanto abbiamo perso nel corso degli anni!
Quei soldi pagati per un pasto completo in trattoria per due, corrisponderebbero oggi a poco più di 10 euro, giusto per pagarsi una pizza e una mezza birra…
Avevamo tutto e non lo sapevamo…

Condividi post
Repost0
21 dicembre 2021 2 21 /12 /dicembre /2021 09:23
Una possibile filosofia di vita, espressa da un anonimo graffitaro

“Fa che la tua vita sia un sogno, non che i sogni siano la tua vita”

Graffito anonimo a Ficuzza (Palermo), 2011

La frase, rinvenuta su di una tavola di rozze assi, consumate dalle intemperie, a Ficuzza, nei pressi della Reggia Borbonica, la intesi così: "Vivi la tua vita e rendila bella come se fosse un sogno, ma evita che siano i sogni (cioè, le illusioni e le fantasie) a dominare la tua vita...".
Cioè, in altri termini, vi ritrovai l'esortazione a stare sempre con i piedi bene ancorati a terra.
Trovai che fosse una frase con una sua intrinseca validità se consideriamo il termine "sogno" - come è utilizzato nel contesto - equivalente di aspirazione, desiderio o anche fantasticheria ad occhi aperti.

Meno vera, invece, se ci limitiamo a ridurre il termine "sogno" a ciò che accade in termini di onirismo notturno.
Non sempre i sogni che ci porta Morfeo sono belli e desiderabili...
A volte, sono spaventosi incubi che ci fanno risvegliare ansimanti.

Condividi post
Repost0
20 dicembre 2021 1 20 /12 /dicembre /2021 09:00

Una mia nota diaristica di 10 e più anni addietro tuttora attualissima. Anzi, le cose vanno persino peggio.

parcheggio abusivo in area disabili

(19 dicembre 2010) Vorrei vivere in una città normale

In una città dove gli automobilisti non ti suonino inferociti con il clacson, alle tue spalle, appena il semaforo cambia dal rosso al verde

 In una città dove automobilisti e moto si fermino, se stai attraversando sulle strisce pedonali.

In una città dove i marciapiedi siano una parte della strada dove i pedoni possano comodamente camminare, conversando amabilmente - se lo desiderano - e non delle strisce calpestabili larghe meno di 50 centimetri (sulle quali è proibitivo procedere affiancati, come si desiderebbe), perchè la sede stradale è stata ampliata per consentire il parcheggio delle auto.

In una città dove camminare in bici non debba significare giocarsi la vita e la salute a causa degli automobilisti distratti e prepotenti.

In una città dove i marciapiedi non si trasformino in piste su cui le motociclette e i motorini sfrecciano a tutto gas per by-passare gli ingorghi e i pedoni devono scansarsi, quasi non fosse loro diritto camminare con traquillità sui percorsi a loro riservati.

In una città dove abbondino isole pedonali e strade vietate alle auto.

Vorrei vivere in una città in cui i marciapiedi e i piazzali non diventino delle discariche a cielo aperto.

In una città dove i taxi non parcheggino nelle zone di sosta riservate alle auto dei disabili.

In una città dove gli scivoli dei marciapiedi per consentire l'attraversamento a disabili in carrozzina, a mamme con passeggino e ad anziani dal passo incerto non siano occupati sistematicamente da auto parcheggiate in modi corsari.

Vorrei vivere in una città in cui prevalgano le regole della gentilezza e della convivialità, a scapito della giungla della prevaricazione e dell'asserzione spudorata del proprio sé.

In una città dove non si debbano sentire gli altri urlare le proprie conversazioni private nel telefonino, mentre sono in mezzo alla gente, e dove non ci siano automobilisti distratti sempre alle prese con il proprio cellulare, messaggerie, conversazioni e altro.

In una città con meno maxi-schermi HD in bar pub e ristoranti vari per offrire l'immancabile calcio in anticipi e posticipi, dirette e differite, solo di calcio, calcio, calcio...

In una città dove auto blu e mezzi di polizia non approfittino del loro status per prevaricare altri cittadini, laddove non ce ne sia bisogno.

In una città in cui anche l'auto della Polizia si fermi ad attendere al semaforo, se non ci sono urgenze di servizio.

In una città in cui non si debba sentire di continuo l'urlo lacerante delle sirene e degli antifurto con sensori regolati al minimo, sicchè scattano per un nonnulla, e i loro responsabili se ne fregano, se i loro dispositivi assordano il resto del mondo.

Vorrei vivere in una città in cui tutti non chiedano solo ed esclusivamente il rispetto dei propri diritti, ma assolvano anche ai propri doveri e rispettino le norme, in modo spontaneo e non perchè debbano temere sanzioni e punizioni.

In una città che sia ridente, gentile e armonica.

In una città in cui, anche nelle più banali, manifestazioni sia coltivato il gusto del bello.

In un città in cui molti, se non tutti, si sentano responsabili.

In una città dove alcuni cittadini, incrociandosi e guardandosi con occhi mesti, nella tempesta di nubi di gas di scarico e colpi di clacson, di ingiurie e grida partoriti da animi sovraeccitati non debbano dirsi con un'alzata di spalle rassegnata: "Palermo è una città che fa schifo!"

Voglio poter sperare, sempre, che un altro mondo è possibile.

 

Condividi post
Repost0
18 dicembre 2021 6 18 /12 /dicembre /2021 12:48
Alice Miller, La persecuzione del bambino, Boringhieri, 1987

Durante gli anni della mia formazione (non quella da psichiatra, ma piuttosto quella successiva da psicoterapeuta) mi imbattei in un saggio estremamente interessante, scritto dalla psicoanalista svizzera Alice Miller, che lessi con avidità.
Il volume, pubblicato da Boringhieri nel 1987 e che vide poi successive riedizioni, era intitolato "La persecuzione del bambino. Le radici della violenza". La sua traduzione arrivava in Italia non molto più tardi della pubblicazione in lingua originale, nel 1980.
In questo saggio, la Miller partiva da un excursus storico sul tema della "pedagogia nera" che per vari motivi si trovò ad essere imperante nei sistemi educativi intra ed extrafamiliari tra la fine del Settecento e tutto l'Ottocento, nella maggior parte dei paesi europei con un suo nucleo pulsante ed irradiante nei paesi anglofoni e di lingua tedesca: metodi fondati sulla coercizione dei giovani, sulla loro mortificazione e, in sostanza, sulla persecuzione di ogni elemento vitale. Tali metodi educativi "neri" avevano delle clamorose ricadute: basti pensare - a titolo di esempio - alla figura del padre del Presidente Schreber (che diventò poi uno dei casi clinici freudiani), rinomato (o, forse, si dovrebbe dire "famigerato") pedagogista del tempo che arrivava persino a progettare specifici dispositivi (tipo tutori) per insegnare ai propri figli le più corrette posture nei diversi contesti e le cui metodologie educative vennero successivamente esaminate nel saggio di Morton Schatzmann, La famiglia che uccide. Un contributo psicoanalitico alla discussione sul caso Schreber (originariamente pubblicato da Feltrinelli  negli anni Ottanta del secolo scorso) per mostrare come il loro impiego potesse avere degli effetti devastanti nella crescita degli individui che vi erano esposti.
Si chiedeva la Miller, inoltre, se fosse possibile parlare - al tempo in cui scriveva il suo saggio - di una pedagogia "bianca", finalmente libera dal veleno di quei metodi tanto afflittivi oppure se non fosse vero piuttosto il contrario che cioè, dietro a metodi pedagogici illuminati e non coercitivi, potessero nascondersi - per fare improvvisa irruzione - quei metodi nefasti, apparentemente superati.
In, effetti, la Miller mostrava come ciò potesse avvenire e indicava anche come in educatori moderni, apparentementi irreprensibili, potessero nascondersi fantasmi del passato e cascami educativi, fondati proprio su quei metodi educativi "neri".
La seconda parte del volume della Miller era dedicata a degli studi di "psicoanalisi applicata" proprio per mostrare come l'esposizione ai medodi della pedagogia nera avesse potuto determinare profonde deformazioni della personalità di tre personaggi e cioè Christiane F. (l'autrice del libro autobiografico Noi, i ragazzi dello zoo di Berlino), Adolph Hitler e il criminale degli anni Sessanta Jurgen Bartsch, assassino e seviziatore di bambini, forgiandone il destino.
La tesi finale della Miller è che, malgrado le intenzioni dichiarate siano difformi, al tempo in cui scriveva le sue considerazioni - e io credo a tutt'oggi - nei sistemi educativi (da quello familiare a quello scolastico) vengano messi in atto dei metodi "neri" mascherati, allo scopo di piegare la caparbietà e l'impetuosità vitale del bambino e piegarlo alle esigenze degli adulti. Avverte la Miller che quest'azione educativa (e quella occulta risulta essere ancora più insidiosa) può portare nel lungo termine i bambini che vi sono esposti (specie nella loro transizione ad individui adulti) alla necessità di riempire con esperienze abnormi il vuoto lasciato dalla rimozione delle emozioni e dalla perdita dell'identità (che spostandoci ad altro ambito viene perfettamente delineata nel celebre concept album dei Pink Floyd, The Wall e nel film di Alan Parker che ad esso fu ispirato).
Lessi il saggi della Miller con una forte partecipazione emotiva dal momento che mi sembrò di rinvenire numerose tracce di quella "pedagogia nera" in certi input educativi che io stesso avevo ricevuto da bambino. Ad esempio, la nonna paterna quando dicevo delle frasi sconvenienti, esortava mia madre a pungermi la lingua con uno spillo, qualora avessi ripetuto quelle parole (e mia madre che era di ampie vedute mai si adeguò fortunatamente a quest'invito). Oppure, citerò qui anche il caso di una mia prozia che, tutta vestita in nero (rimasta vedova, non aveva più smesso il lutto), mi inseguiva per casa con un ago in mano con il quale avrebbe voluto pungermi perchè avevo fatto una monelleria.
Per non parlare di un'esperienza al tempo delle elementari che frequentai in una celebre scuola gesuitica di Palermo, in cui - quando andavo in quarta elementare, se mi sovviene la memoria - mi venne comminata la punizione di scrivere sul quaderno per 500 volte la frase "Non si parla in classe": compito da eseguire a casa e che io, vergognatissimo e determinato a tenere nascosta l'onta a tutti i costi ai miei genitori, portai a termine nascosto sotto il letto e fuori dalla vista.

Adesso che siamo nel XXI secolo parrebbe che siamo tutti di vedute abbastanza liberali e avanzate in fatto di educazione: ma non bisogna mai essere troppo ottimisti, anche quando i nostri figli sono in mani pedagogiche affidabili. L'insidia della "pedagogia nera" può sempre saltare fuori come un jack-in-the-box beffardo e sbeffeggiante (ma anche minaccioso, in definitiva), in modo tale da vanificare l'effetto dei metodi educativi che si dichiarano più moderni e più rispettosi dell'identità dei nostri piccoli.

Non devo parlare

Ed ecco che adesso - a dimostrazione  di ciò - accennerò brevemente a ciò che è successo in ambito scolastico a mio figlio Gabriel che ha poco più di otto anni.
L'altro giorno è uscito da scuola con un razzo di carta, ricavato da un foglio di quaderno a quadrettoni e me lo ha dato.
Ho visto che, sul foglio, c'erano scritte delle frasi e l'ho disteso, allora, per guardare meglio.
Ho constatato che vi era stata scritta più volte la stessa frase che faceva così "Non devo parlare". La frase riempiva per intero le due facciate del foglio ed era stata riprodotta ben 42 volte. Non c'era dubbio che a Gabriel fosse stato chiesto di scrivere questa frase, perchè si era distratto durante l'ora di lezione, magari dicendo qualcosa al compagno più vicino.
Mi sono chiesto ovviamente cosa potesse mai significare un'ingiunzione così decontestualizzata: un bambino a scuola, solitamente, lo si invita a parlare, ad esprimersi, a raccontare le proprie emozioni. Una frase di questo tipo da scrivere iterativamente come punizione mi è sembrata mortificante ed afflittiva, proprio perchè agli antipodi di un corretto approccio educativo. Lasciando perdere ogni valutazione sulla "bontà" del metodo, sarebbe stato meglio e più appropriato fare scrivere, ad esempio, "Non devo parlare con i miei compagni durante la lezione" oppure "Non devo distrubare la lezione". Chiedere ad un bimbo di mettersi a scrivere iterativamente una frase "punitiva" sul quaderno, mentre gli altri compagni continuano a seguire la lezione, è una misura costrittiva ed estraniante, pari a quella - che si adottava un tempo - di far mettere colui che disturbava la lezione in corso in piedi dietro la lavagna.
Comunque, mio figlio non sembrava particolarmente turbato del fatto accaduto, ma indubbiamente - trasformando il foglio della punizione in razzetto da far volare - aveva sentito l'esigenza di compiere un gesto apotropaico, eliminando  - ho pensato - l'aspetto "intossicante" della punizione comminata.
La mia reazione - in ogni caso - è stata fortemente emotiva, perchè - immediatamente - mi ha riportato indietro a quella mia esperienza scolastica di cui ho detto, dandomi la misura quanto potesse incongrua una simile punizione più di cinquant'anni dopo ed in un contesto che non è quello gesuitico, ma che si pone la mission di rispettare il più possibile la personalità in formazione dei bambini che gli sono stati affidati.
L'episodio accaduto è una riprova ulteriore della tesi della Miller secondo cui cascami della pedagogia "nera" sono sempre lì e possono sempre riafforare anche da parte dei più insospettabili, come una forma di "ritorno all'antico" o di recupero di esperienze precoci cui si sia stati sottoposti da bambini (con meccanismi che, in taluni casi, come possono essere delle situazioni di stress o di confusione, possono innestarsi quasi a corto circuito, in modo del tutto irriflessivo e secondo una via di minore resistenza).
Già, non bisogna dimenticare che tutti coloro che fanno il mestiere dell'educatore/insegnante sono stati bambini a loro volta e che, dunque, portano dentro di sé, profondamente iscritte, tracce dei metodi pedagogici cui sono stati sottoposti.
La memoria del passato tende sempre a riafforare e ad infiltrarsi nel presente, nei modi più inattesi.
Per scongiurare queste imbarazzanti epifanie occorre sempre vigilare: eventi-spia, come quello in cui è incappato mio figlio, possono pur sempre verificarsi e bisogna poter porre rimedio. Non sono fatti gravissimi in sé, ma tuttavia, riconoscerli impone una riflessione ed una discussione franca ed aperta.

E, credo che il saggio della Miller, sempre attuale, possa aiutarci a trovare delle importanti coordinate di riferimento.

 

Condividi post
Repost0
9 dicembre 2021 4 09 /12 /dicembre /2021 10:19

Questo mi trovai a scrivere nel lontano 2009, stimolato da una foto carpita nel corso d'una mia paseggiata mattutina all'interno del Giardino Inglese di Palermo, a proposito dei lettori di giornali "in panchina".

In realtà, è bello sedersi in panchina a leggere un giornale o un libro, magari in un giorno di festa, quando non ci sono impegni e tutto si può svolgere in modo molto rilassato. Ma quella volta, quando vidi quel lettore di giornale seduto in panchina, provai un subitaneo moto di antipatia, a partire da ancora recenti ricordi della mia vita lavorativa.

E, si ci vaiu, ci vaiu pi liggirimi u' giurnali... (una domenica mattina, Giardino Inglese, Palermo)

E, si ci vaiu, ci vaiu pi liggirimi u' giurnali... (una domenica mattina, Giardino Inglese, Palermo)

Ogni volta che vedo uno che legge il giornale spaparanzato comodamente da qualche parte, non posso non pensare alla frase che commenta la foto, frase che ha una sua storia, piccola, ma edificante.
Ai tempi in cui ancora dirigevo un servizio per le tossicodipendenze cittadino, in applicazione delle norme vigenti si era creata una turnazione pre-festiva e festiva dei Ser.T cittadini (in numero di cinque), in modo tale che, nei fine-settimana e nelle altre festività ci fosse sempre un'Unità operativa disponibile, sia per situazioni nuove, non ancora attenzionate (per una preliminare accoglienza oppure per fornire semplicemente informazioni), sia per gestire utenti già in carico per la somministrazione di terapie con farmaci sostitutivi (degli oppiacei) le cui dosi giornaliere, sulla base della valutazione clinica del singolo soggetto non sarebbe stato prudente dare in affido.
Si poneva così la necessità di mettere in atto il trasferimento temporaneo all'unità operativa della città allo scopo di limitare al massimo gli affidamenti metadonici soprattutto a quei soggetti non motivati o, con un bisticcio di parole, non "affidabili".
Alla vigilia di un fine settimana telefonai al collega che dirigeva il Ser.T che avrebbe garantito quel turno per segnalargli il trasferimento di una serie di utenti, un gruppo più numeroso del solito sulla base delle mie valutazioni.
Quel collega si risentì parecchio. L'invio di utenti, infatti, comportava di norma un surplus di lavoro: identificazione dell'utente, trascrizione degli estremi del documento d'identità oltre che la somministrazione dei farmaci prescritti (con tutti i protocolli del caso, trattandosi di stupefacenti), a fronte d'una situazione che, probabilmente sarebbe stata di totale inazione.
Il collega, alquanto zotico e di poca cultura (mi rammarico nel dirlo), a sottolineare la sua scarsa disponibilità, pronunciò appunto questa frase lapidaria: "E, si ci vaiu, ci vaiu pi liggirimi u' giurnali...". Come a dire: "Non rompere. Lasciami fare la vita comoda...".
Questa frase che darebbe ragione agli strali di Ichino contro i nullafacenti - ed anche (e, di nuovo, mi duole dirlo) ai pesanti apprezzamenti del ministro Brunetta - in quanto espressione di una programmatica e premeditata volontà di non far nulla, pur essendo in servizio, mi è rimasta indelebilmente scolpita nella mente.
Ed è per questo che ogni volta che vedo uno che se ne sta placidamente a leggere il giornale non posso fare a meno di pensare a questa storiella, anche se - di per sè - la lettura del giornale comondamente seduti su di una panchina al centro di un'area verdeggiante non è da condannare, anzi potrebbe essere un'attività decisamente piacevole e meritata, tipo il riposo del giusto dopo una faticosa settimana di lavoro...

Condividi post
Repost0

Mi Presento

  • : Frammenti e pensieri sparsi
  • : Una raccolta di recensioni cinematografiche, di approfondimenti sulle letture fatte, note diaristiche e sogni, reportage e viaggi
  • Contatti

Profilo

  • Frammenti e Pensieri Sparsi

Testo Libero

Ricerca

Come sono arrivato qui

DSC04695.jpegQuesta pagina è la nuova casa di due blog che alimentavo separatamente. E che erano rispettivamente: Frammenti. Appunti e pensieri sparsi da un diario di bordo e Pensieri sparsi. Riflessioni su temi vari, racconti e piccoli testi senza pretese.

Era diventato davvero troppo dispendioso in termini di tempi richiesti alimentarli entrambi, anche perchè nati per caso, mentre armeggiavo - ancora alle prime armi - per creare un blog, me li ero ritrovati ambedue, benchè la mia idea originaria fosse stata quella di averne uno solo. Infatti, non a caso, le loro intestazioni erano abbastanza simili: creatone uno - non ricordo quale dei due per primo - lo ho "perso" (per quanto strano ciò possa sembrare) e mi diedi alacremente da fare per ricrearne uno nuovo. Qualche tempo - nel frattempo ero divenuto più bravino - il blog perso me lo ritrovai).

Ohibò! - dissi a me stesso - E ora cosa ne faccio?

La risposta più logica sarebbe stata: Disattiviamolo!. E invece...

Mi dissi: li tengo tutti e due. E così feci. E' stato bello finchè è durato...

Ma giocare su due tavoli - e sempre con la stessa effcienza - è molto complicato, ancora di più quando i tavoli diventano tre e poi quattro e via discorrendo....

Con overblog ho trovato una "casa" che mi sembra sicuramente più soddisfacente e così, dopo molte esitazioni, mi sono deciso a fare il grande passo del trasloco, non senza un certo dispiacere, perchè il cambiamento induce sempre un po' di malinconia e qualche nostalgia.

E quindi ora eccomi qua.

E quello che ho fatto - ciò mi consola molto - rimane là e chiunque se ha la curiosità può andare a dargli un'occhiata.

 

Seguendo il link potete leggere il mio curriculum.

 

 


frammenti-e-pensieri-sparsi.over-blog.it-Google pagerank and Worth