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6 ottobre 2013 7 06 /10 /ottobre /2013 06:36

(Elena Cifali) So per certo che su internet la maggioranza delle persone non legge oltre il 7 rigo. 
Bene, sarò sintetica: siamo nella merda, stiamo sprofondando e non ce ne curiamo!
Adesso che avete letto queste poche righe e che il messaggio vi è arrivato posso dilungarmi, per il diletto di chi vuol sapere cosa in realtà voglio dire.

Tutti bravi questi Italiani! Ci vorrebbe un applauso per ognuno di noi !
Ci lamentiamo di tutto e di tutti e, intanto, attorno a noi le cose, cose e situazioni continuano ad avere il loro corso.
Gli eventi ci sfuggono di mano e, come diceva sempre quel genio di mia nonna con la sua saggezza antica: “Mentre il dottore se la pensa il malato crepa”
Il dispiacere che ogni essere umano, ancora dotato di senso dell'umanità, di fronte alla tragedia che si è consumata nel Mare di Lampedusa è incredibile.
Questi non sono i primi morti e purtroppo non saranno neppure gli ultimi.
Mi colpisce il fatto che mentre tanti Italiani scappano dall'Italia, perchè sull'orlo della crisi economica/sociale/politica/culturale/educazionale, altri, ben più sfortunati di noi cercano disperatamente di arrivare nella nostra stessa Terra per rimanerci o per usarla come trampolino di lancio verso l'Europa. 
Allora è vero? Al peggio non c'è mai fine ?
La soluzione non può essere trovata da ed in Italia.
Il popolo italiano, malamente governato non riuscirebbe mai a trovare una soluzione che impedisca a questa gente di avventurarsi e sventurarsi. La "non guerra" è l'unica soluzione possibile. 
E, seppure la mia sembra una affermazione scontata e banale, è quanto di più difficile si possa realizzare.

Colpisce che nel nostro secolo, un secolo in cui la scienza e la tecnologia stanno toccando momenti altissimi, i popoli si facciano ancora la guerra come nei millenni scorsi quando le comunicazioni e le civiltà erano a dir poco primitive. 
Siamo forse rimasti dei primitivi che giocano con tablet e pc, dormendo beati su cumuli di immondizia e con le bombe atomiche sotto al letto?

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19 settembre 2013 4 19 /09 /settembre /2013 08:07

Riflessioni panchinali. Panchine per vivere e panchine per morire(Maurizio Crispi) Le panchine, di quando in quando, suscitano le mie riflessioni. Alcune di esse sono inevitabilmente ripetitive, ma attraverso la ripetizione si consolida il panchina-pensiero.
Noto che le panchine sono sempre molto utilizzate, anche ai nostri giorni in cui dominano la fretta e l'accelerazione.
Sarà forse perchè le panchine offrono una seduta gratuita, pressocché dovunque. Ma questo elemeto "strumentale" è solo un comune denominatore "minimo" che non aiuta a spiegare l'universalità della panchina.
Le panchine servono a rendere vivibili le città e mi sembrano barbari i luoghi in cui le panchine per ragioni di ordine pubblico (o di pubblica decenza) sono state abolite.
Come mi sembrano barbari quei paesi che, volutamente, rendono le panchine scomoda, proprio allo scopo di evitare su di esse il bivacco degli homeless.
Ma, ovviamente, le panchine non fanno parte solamente dell'arredo urbano, perchè le si possono trovare dovunque, anche fuori dai centri abitati: sulla curva di una strada, ai piedi di un albero fronzuto, la cui ombra densa é resa più fresca dal chiocchiolio di una fontana, su di un punto prominente che consente da seduti la vista su di un bel paesaggio, sulla riva del mare.
La panchina nasce da un bisogno universale che è quello di fornire una seduta al viandante che si trovi a passare da quel luogo o alla persona che vive in quel luogo e che esce di casa a fare due passi, avendo come metà quella panchina e non un'altra: in un certo senso, le panchine - in tutte le loro varianti - rappresentano il grado zero dell'ospitalità che è l'ospitalità stessa del luogo: é come se, in parte, fossero in parte espressione del genius loci.

E non ci vuole molto per allestire una panchina rudimentale: è sufficiente un muretto basso, oppure una trave di legno che venga poggiata tra due grosse pietre ed ecco realizzata con un minimo di spesa una panchina.

 

A partire dalla prima rudimentale panchina, soltanto dopo nella storia dell'Uomo sono sopravvenute esigenze estetiche e si è fatto strada il bisogno di abbellire la panchina, variando i materiali di costruzione, anche se una panchina dovrebbe essere costruita in modo da poter durare nel corso del tempo e da resistere al logorio degli elementi atmosferici e soprattutto in modo da essere comoda e confortevole.
 

 

Ci si siede su di una panchina per riposare.
Per leggere il giornale.
Per leggere un libro.
Per ascoltare la musica o per suonare uno strumento musicale.
 

 

Ci siede su di una panchina per conversare e magari uno degli interlocutori se ne sta in piedi davanti al suo interlocutore seduto.
Ci siede in panchina per fumare indolentemente una sigarete o per farsi una buona pipata.
Le coppie si siedono sulle panchine per abbracciarsi o per baciarsi o semplicemente per starsene accanto mano nella mano (vedi i famosi disegni di Peynet, ad esempio).
Ci siede su di una panchina per fare merenda, per consumare il lunch nella pausa-lavoro oppure per gustarsi in santa pace un bel gelato.
Ci siede in panchina per allattare il proprio bimbo oppure per cambiargli il pannolino.

Ci si stravacca su di una panchina per bere in solitaria, oppure per smaltire la sbornia e per finire addormentati in un profondo sonno etilico, per risvegliarsi solo alle prime luci dell'alba.



Riflessioni panchinali. Panchine per vivere e panchine per morireLa panchina può diventare un punto di incontro, chiassoso e festoso.
Oppure un luogo di meditazione e di riflessioni.
Ci si siede sulle panchine per piangere sconsolati e per smaltire il proprio dolore.
Qualche volta per sentire dentro di noi la nostalgia e il peso della malinconia.
 

 

Ci siede su di una panchina per utilizzarla come vettore temporale e, cavalcandola, fare escursioni nel passato da cui veniamo, facilitati dal fatto che la seduta su di essa ci impone immediatamente l'immersione in un tempo lento, in cui il presente si dilata o si fa immobile.
Qualcuno si siede in panchina e muore lì, confortato dal vento, dal fruscio delle foglie e dal cinguettio degli uccelli. Qualche volta uno scoiattolo si incuriosce e viene a visitare il vistatore immobile come una statua.
 

 

E, qualche volta, sulle panchine siedono statue di bronzo o di pietra che raffigurano persone morte da lungo tempo e uno si può sedere in loro compagnia e con loro conversare amabilmente.

Ci siede in panchina per fare un bel sonnellino e, magari, quando Morfeo comincia ad averla vinta, si scivola lentamente in una posizione più consona, ma c'è chi anche vi si sdraia direttamente, utilizzando il proprio zaino come cuscinetto, come anche qualcuno si leva le scarpe per stare più comodo, ed ecco che la panchina si tramuta rapidamente in un letto a cielo aperto, un giaciglio che ha per tetto il blu e le nuvole e la chioma degli alberi di giorno e la volta stellata di notte.

 

 

Ci siede in panchina soprattutto per stare, per fermarsi, per contemplare.
E, quando uno ha imparato a conoscere bene le panchine, anche in assenza di una panchina reale, può sedersi su di una panchina virtuale, costruita nella sua mente.
Oppure può fare riferimento ad una panchina metafisica, la Panchina delle Panchine, per così dire, che racchiuda in sè l'essenza e il concentrato di tutte le panchine del mondo.
E quando si sta seduti su di una panchina sembra di essere in uno spazio diverso e in un tempo più lento di quello degli altri che si affannano e che sono tiranneggiati dalla velocità.
 

 

La panchina in un certo senso è il simbolo dello slow time e, nello stesso tempo, può essere utilizzata per intessere l'elogio dell'ozio.
Riflessioni panchinali. Panchine per vivere e panchine per morireLe panchine, che si ritrovano pressocché identiche dovunque nel mondo e che sono dunque un oggetto "universale", ci ricordano delle nostre origini e ci fanno guardare al nostro passato, al nostro presente, e al nostro futuro in una maniera diversa.
Ci suggeriscono che un modo diverso di vivere è possibile e che si può pur sempre tornare ad una maniera semplice di condurre le nostre vite.
La panchina è uno strumento forte e potente "contro il logorio della vita moderna".
E dunque le panchine vanno protette e rispettate.
Guai a quei barbari che le distruggono, siano essi i vandali improvvisati che scaturiscono dalle febbri alcooliche e drogate del sabato sera, siano i distruttori "legittimi" che si annidano nelle pieghe delle più disparate amministrazioni comunali.


La civiltà d'una nazione si vede dallo stato di salute in cui versano le sue panchine.

 

 

Nelle foto (di Maurizio Crispi): panchine di Villa Trabia a Palermo.

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1 settembre 2013 7 01 /09 /settembre /2013 17:38

L'ora del lunch nei posti di lavoro. Modi diversi di intendere la pausa di lavoroNella City londinese all'ora del lunch è frequente vedere - specie nelle belle giornate - gli spazi pubblici e i parchi di cui la City stessa è disseminata - affollarsi dei tanti che dagli uffici in cui lavorano escono per mangiare un boccone sulle panchine o comodamente seduti in relax su prati, di solito puliti e privi del tutto delle deiezioni canine e di altre schifezze che, invece, sono un frequente arredo dei giardini nostrani.

E se non ci sono parchi e giardinetti a portata di mano, ci sono sempre delle comode panchine disponibili.
Molti optano per questa soluzione: ma non solo perchè é la più economica perchè si può mangiare ciò che si è portato da casa o che si è acquistato nel più vicino supermercato (se un impiegato dovesse consumare il lunch in un qualsiasi locale sperperebbe rapidamente il suo stipendio), ma è anche una soluzione amata dai più perchè si sta in luoghi ameni, a contatto con la natura (una natura "assomesticata" e metropolitana, ma sempre Natura) . 

Alcuni - dicevamo - portano dei sandwich da casa. 
Altri comprano qualcosa nelle rivendite di cibo da asporto o nei Supermarket
Altri comprano della frutta.
Tutti si godono il sole, soprattutto nelle belle giornate.
Altri optano per la soluzione del "desk-lunch", ciò rimangono a mangiare con ciò che hanno portato da casa o che hanno comprato alla proprio postazione di lavoro.
L'ora del lunch nei posti di lavoro. Modi diversi di intendere la pausa di lavoroCi sono quelli che non mangiano e che preferiscono utilizzare il lunch break per fare dell'attività sportiva: ad esempio, ci sono infiniti gruppi di runner del lunchtime.
Ci sono altri che, invece, più pigraccioli, si distendono sui prati per farsi una bella dormita.
Si respira un'aria rilassata e di piacevole condivisione.

Per quanto ognuno se ne stia nel proprio spazio, senza mai invadere quello del proprio vicino con una politeness tipicamente british.
Da noi, in Itala, nulla di tutto questo, perchè sotto questo profilo gli Italiani sono molto più conformisti e sono restii ad abbandonare la soluzione del lunch al bar oppure nel ristorantino convenzionato che accetta i buoni pasto, ma soprattutto perchè non esiste proprio la cultura dell'uso "cortese" e environment friendly" dei luoghi communi e degli spazi pubblici.
Andare a sedersi in una panchina a consumare la propria merendina o a distendersi su di un prato a prendere il sole o a fare un sonnellino, in Italia, verrebbe guardato dai più come una cosa da "sfigati" e non confacente con il formalismo vigente sui luoghi di lavoro nostrani.

Per non dire che, da noi, molti - soprattutto nelle piccole città - per l'ora di pranzo (se è appena possibile) preferiscono di gran lunga fare un salto a casa.
Come si dice: "Casa, dolce casa!".

 

 

Le foto (di Maurizio Crispi) sono state scattate nei giardinetti adiacenti alla Cattedrale di Saint Paul, propro durante la pausa pranzo, in un giorno di tardo agosto.

 

 

pausa pranzo british 02

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22 agosto 2013 4 22 /08 /agosto /2013 10:19

Lo scempio dei luoghi pubblici in Italia: si origina da un difetto delle Istituzioni pubbliche o da un defiict culturale dei cittadini?(Maurizio Crispi) Alcuni giorni fa sono rimasto colpito da una serie di foto, pubblicate nella bacheca del profilo Facebook della mia amica Elena Cifali.
Le foto sono un accorato reportàge per immagine sullo scempio e sul degrado della pineta di Nicolosi che è (o almneo) dovrebbe essere un luogo per tutti, un luogo da mantenere pulito e in perfette condizioni di uso perché tutti i cittadini se ne possano avvalere.

Elena ha commentato le foto con toni agguerriti, proponendosi di inoltrare - assieme ad altri cittadini della cittadina etnea in cui vive - una petizione al Sindaco di Nicolosi, perchè tutto ciò debba finire.

Le foto presentano, in modo impietoso, un orrendo scempio!
Ma, prima di intraprendere qualsiasi passo, occorrerebbe interrogarsi su alcune questioni che riguardano ciò che ci si attende dalle istituzioni e ciò che è invece di competenza dei singoli cittadini.

Nel generale pervertimento "istituzionale" della nostra società, segnalato da Ivan Illich: vedi ciò che scrive nel suo "testamento" spirituale dal titolo "I fiumi a nord del futuro. Testamento raccolto da David Cayley (Quodlibet, 2013), secondo cui - detto molto in sintesi - l'uomo occidentale ha perso il senso della responsabilità e della libera scelta, a partire dalla istituzionalizzazione del "samaritanesimo".
E, a causa di ciò, vi sono istituzioni preposte a svolgere una miriade di compiti che prima erano appannaggio dei cittadini, e tutto sulla base del "senso del dovere" e dell"obbligo".
E' chiaro che in questo modo nulla funziona più, come dovrebbe, perchè ciascun individuo non sente più alcuna responsabilità nei confronti della comunità cui appartiene, perchè "...tanto c'è qualcuno pagato appositamente che possa occuparsi di questa o talaltra cosa!".
Un tempo, quando era forte il senso della comunità (ma anche oggi nelle società tradizionali) ognuno si sente coinvolto intutto ciò che concerne non solo la comunità delle relazioni tra i singoli, ma anche il rapporto con i luoghi.

Laddove le comunicazioni dipendono dalla buona efficienza di un unico sentiero tutti coloro che vi passano si sentono in dovere di provvedere alla sua minuta manutenzione, qua rimuovendo una pietra caduta dal fianco della montagna, là rimuovendo un tronco caduto.

Quindi, per rispondere ad Elena e al suo più che giustificato cruccio, non bisogna lamentarsi solo delle Istituzioni che, presuntivamente, non fanno ciò che dovrebbero.

Anche se facessero tutto ciò che va fatto, si arriverebbe egualmente a degrado e all'incuria da lei segnalati.
Il problema in Italia è molto più avvertibile, tuttavia, che in altri paesi europei che hanno un'importante tradizione del senso civico (perchè forse non sonoo stati troppo contaggiati dalla "secolarizzazione" e dalla "istituzionalizzazione" del samaritanesimo.


Il problema vero, in Italia, sono le "persone" e la loro totale mancanza di senso civico e, soprattutto, di un sentimento per ciò che non appartiene a loro in quanto privati cittadini, ma che è della comunità (e ricordiamoci anche che in Italia non vi è stata alcuna preesistente tradizione delle cosiddette "terre comuni", i cosidetti "commons" nei paesi anglofoni).

Forse, in Italia, solo tra due o tre generazioni di serrati programmi educativi nelle scuole si potrà arrivare a vedere qualcosa, l'inizio di un cambiamento, auspicabilmente.
 

 

Sì, in casi come quelli segnalati da Elena, è giusto coinvolgere il Sindaco e le autorità preposte, ma ricordiamoci dell'altra faccia delle medaglia.
Che ci siano delle persone sensibili, è una fortuna, ma se le cose non si affrontano sotto il profilo educativo su larga scala, si sarà sempre punto e daccapo,
perché se uno - per dire - è un genitore sensibile a queste tematiche, sara capace di educare i propri figli in questa direzione, a dispetto delle nefaste influenze mediatiche? Ma se non lo si è? Come avverrà mai la diffusione di una differente attitudine culturale e, nel caso specifico, nei confronti dell'ambientei?

E a non essere capace lo è - purtroppo - la maggioranza dei cosiddetti "cittadini".
Bisogna cominciare dalle scuole, ma non con cose teoriche: facendo in modo di coinvolgere i bambini in azioni praitiche e trasmettendo al tempo stesso i "principi" di rispetto dell'ambiente e delle cose comuni.
Se si procede in questa direzione, in modo serrato ed instancabile, allora saranno gli stessi bambini, futuri cittadini di domani, a divenire - con l'esempio - "educatori" dei propri genitori...
Se non si rompe la "trasmissione" generazionale delle regole dell'inciviltà e dello sprezzo per la cosa pubblica, attivando in primo luogo che siamo noi i veri colpevoli e che è nostra la responsabilità (senza tirare in ballo istituzioni che non svolgono i propri compiti) non si otterrà mai alcun risultato sensibile, né ci sarà riscatto.

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15 agosto 2013 4 15 /08 /agosto /2013 17:48

Dove sarò? Dove andrò tra dieci o vent'anni?Da dove veniamo?
Dove andiamo?
Questi sono gli interrogativi maggiori che ci portiamo per tutta la vita.
E poi...

Cosa farò?
Dove sarò?
Quando eravamo piccoli, spesso chiedevo alla mamma di aiutarmi a fare il calcolo dell'età che avrei avuto nel 2000, quando saremmo transitati - udite, udite! - in un nuovo secolo.
Forse potevo avere 5 0 6 anni ed eravamo dunque attorno al 1955.
Però erano gli anni del "progresso" e delle ultime "conquiste"...
Si apriva - ad infiammare anche la fantasia dei bambini che ascoltavano i discorsi degli adulti - la prospettiva della "conquista" dello spazio e tanto risalto veniva dato alle prime imprese spaziali, come quella compiuta dalla cagnetta Laika, mandata dai Russi in orbita attorno alla terra (povera la cagnetta, però!).

E la mamma, paziente, mi diceva che ne avrei avuti 51 e mio fratello 53.

Io nemmeno potevo capire cosa questa cifra potesse significare, se non il fatto che sarei stato molto, molto vecchio, ben più grande di quanto non mi apparisse mio padre al tempo in cui ponevo questa domanda.
Mi sembrava che dovesse trascorrere un tempo incommensurabile, ma ero anche molto eccitato al pensiero che avrei vissuto a cavallo di due secoli.
Per così dire non vedevo l'ora... Mi sono dovuto rassegnare tuttavia alla lentezza con cui scorreva il tempo.
E poi, quando il gran giorno è arrivato, mi è sembrato tutto quasi banale: ero un uomo di 51 anni!
E con questo? Cosa c'era poi di tanto speciale?

Specie nel momento in cui riconoscevo dentro di me rimpianti e nostalgie.
Specie quando mi rendevo conto che il tempo si faceva stretto ed angusto, che scorreva sempre più accelerato, come un fiume verso le ineluttabili rapide.
Ma la domanda: "Dove sarò tra 10 anni? O tra 20?" Si fa molto più stringente, se tu hai raggiunto già un età sopra ai sessanta e se hai già visto molti morire di malattia o di vecchiaia.
Allora, se ti poni questa domanda, puoi immaginarti scenari cupi, una progressiva ed inarrestabile perdita delle tue forze, il deterioramento fisico e forse anche il deterioramento mentale.
Ma questo accade solo se si è vena di alimentare pensieri negativi.
Se invece ti lasci dominare da un pensiero positivo, allora puoi immaginare che ti attendono molti giorni che cominciano con il sole e con il cielo azzurro, giorni di appagamento e di soddisfazione.
E che non tanto importante "dove" sarai, quanto piuttosto con "chi" sarai.
E se potrai dispensare affetto e riceverne dalle persone che ti sono care.

E, soprattutto, quando hai dei figli, allora tu puoi immaginare che il mondo e la vita continueranno per te attraverso di loro.
E quindi, in definitiva, non importa dare una risposta alla domanda "Dove sarò tra 20 anni?".
In fondo, anche se non lo so per certo per me, so che sarò dove saranno loro.
E quando giungi a questa conclusione, ciò significa soltanto che stai guardando verso una radiosa aurora, anche se procedi a piccoli passi (ma sempre più velocemente, in termini soggettivi) verso la fine della tua vita di uomo.

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31 luglio 2013 3 31 /07 /luglio /2013 13:36

E poi la merda chi la raccoglie?

 

 

Nella foto, proveniente da Notiziario 360, si può vedere un bell'esempio di spreco di denaro pubblico e di ostentazione del privilegio: l'onorevole D'Alema che, sotto scorta, porta a passeggio il proprio cane.
Spero in un mondo migliore, in cui chi fa politica accetti di vivere come una persona normale, affrontando con coraggio anche gli oneri (e i rischi) connessi ad una carica politica.
Forse, se questi politici (o, sarebbe meglio dire, politicanti che trasformano il loro fare politica in odioso privilegio), potrebbero essere migliori se dovessero affrontare la vita soli, senza tutte quelle truci scorte e scolte che, a me, fanno tanto pensare ai "Bravi" di Don Rodrigo di manzoniana memoria.
Legittima domanda, in riferimento alla foto che fa da spunto a queste breve riflessione: Chissà la merda chi la raccoglie? Domanda più che legittima, visto che - secondo le ordinanze sindacali dei diversi Comuni d'Italia ad un normale cittadino a passeggio con il suo cane è richiesto di rimuovere gli escrementi del suo amico a quattro zampe.
Risposta: quello, dato il contesto, non è un problema che riguardi il personaggio in effige nella foto, così come qualsiasi altro politico che, sotto scorta, porti a passeggio il suo cane: i politici non vivono vite normali, ma fanno di tutto per potere imprimere ad ogni atto della propria vita - anche privato -  il privilegio del proprio rango.
Forse, nel caso specifico, la merda sarà lasciata sul posto, a beneficio delle suole dei passanti, dei normali cittadini. Oppure saranno gli agenti di scorta a rimuoverla: ma forse no, perchè altrimenti scatterebbero delle rivendicazioni sindacali.
Invece, vorremmo vedere dei politici che abbiano il coraggio di essere "normali". Come accade in paesi europei di ben altra tradizione democratica, in cui i politici vanno al lavoro in bici e si fermano, strada facendo, a dialogare molto alla mano con i cittadini e stringono le mani senza che ci sia la vigilanza delle guardie del corpo.

Ed essere normali significa in primo luogo abbattere qualsiasi forma di privilegio e trasformarsi nei primi servitori di tutti e, quindi, pronti e disponibili a fare qualsiasi cosa facciano - nelle loro di vite di merda - i normali cittadini.
Soltanto così, forse, coloro che ci governano potrebbero meritare il nostro rispetto.

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22 luglio 2013 1 22 /07 /luglio /2013 20:37

 

Similitudini e differenze(Maurizio Crispi) Ogni tanto anche qui a Londra si vedono cose come dalle nostre parti, come - ad esempio - un cestino della spazzatura di un parco pubblico intasato di rifiuti e tanti "resti" sparsi per terra: e, quindi, un Siculo come me si sente autorizzato a tirare delle conclusioni (con un giustificatorio - e assolutorio - "In fondo, siamo tutti eguali") e un bel sospiro di sollievo.
Ma - come si può osservare - i rifiuti non sono stati buttati, indiscriminatamente e con incuria, qua e là sul prato, ma riposti tutti dentro l'apposito dustbin o nelle sue immediate vicinanze.
Alcuni sacchetti e altri resti (bottiglie vuote, per esempio) giacevano per terra, perché dentro non c'era più posto.
Siamo di Lunedì mattina, dopo una domenica di Luglio di caldo e di sole che ha spinto molti Eastender a riversarsi in tutti i giardinetti pubblici disponibili, chi a leggere, chi a dormire, chi a prendere il sole, chi a bere una birra con gli amici e, in alcuni casi, alcuni intenti in riunioni familiari tri-generazionali di 15-20 persone.
Il giardinetto che si vede nella foto è stato utilizzato intensamente anche il sabato, altrettanto caldo.
E, quindi, la quantità di "detriti" accatastati alla fine del week-end è stata cospicua.
Ma qual'è la differenza rispetto a ciò che accade dalle nostre parti?
Che qui tutti i rifiuti entro la giornata di Lunedì verranno sollecitamente rimossi.
E, quindi, se inizialmente, ho tirato un sospiro di sollievo nel vedere questi cumuli di rifiuti, ho riflettuto comunque - subito dopo - di essere proprio su di un altro pianeta.
Non c'è niente da fare, temo...
Purtroppo, siamo sempre di molti passi indietro.

Similitudini e differenze

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21 luglio 2013 7 21 /07 /luglio /2013 10:58

(Maurizio Crispi) Camminando lungo Narrow Street, nella zona di Limehouse Basin (East London), zona un tempo malfamata, ma oggi "alla moda", ci si potrà imbattere in un ristorante londinese "chic" (naturalmente italiano), che con l'autorevolezza della sua "sciccheria" si presenta come "La Figa" - Pizzeria Restaurant.

 Il locale che si presenta come chic, porta un nome che è di pessimo gustoso e, secondo i parametri della buona educazione, anche volgare.
Per quanto l'esprit dei tempi sia orientato verso un abbattimento di qualsiasi senso estetico e con idici di tolleranza sempre più laschi nei confronti di tutto ciò che un tempo sarebbe stato ritenuto "offensivo", la volgarità rimane pur sempre contraria ad un'auspicata raffinatezza di modi e linguistica.
Chiamare il ristorante "La Figa" non sposta di molto il concetto (o la rappresentazione) che con questa parola si introduce: sarebbe come intitolare un ristorante con il nome (che sarebbe di pessimo gusto per i Britoni) "The Cunt"...
Oppure, spostandoci sul suolo italiano, sarebbe come chiamare un locale pubblico "Lo Sticchio" oppure "Il Pacchio": insomma, tutto ciò sempre all'insegna di una totale mancanza di buon gusto e di senso della decenza.
Dato il tono che il Ristorante si dà (a giudicare dal suo sito web), restano alquanto misteriose le ragioni che hanno spinto i suoi proprietari a battezzarlo in questo modo.
Due ipotesi diverse e diametralmente opposte mi si affacciano alla mente.
La prima è questa: nell'idea originaria di qualche pubblicitario interpellato su di un nome di successo italian style, forse c'è stata all'insaputa degli stessi committenti, una voglia di sbeffeggiare e di mettere in ridicolo, scegliendo questa denominazione e spacciandola per una di sicuro successo.
Oppure, seconda ipotesi, il nome è stato scelto a bella posta da un Italiano, consapevole che nessun Britone sarebbe stato in grado di dare la giusta tradizione della parola, interpretandola soltanto come una motto che conferisce al luogo un marchio molto italiano oppure che allude ad una "specialità" della Casa.
Seguendo l'una o l'altro ipotesi, non c' è alcuna differenza nel risultato finale: questo marchio non fa onore a noi Italiani all'estero, perchè rischia di farci passare (una volta che è tramontato definitivamente l'icona dell'Italian Style raffinato ed elegante, come i soliti "maiali", assatanati di sesso, a più non posso sboccati e fescenninici, nonché maestri nell'uso delle parole "cochon".

(Dal sito Web) La Figa, where fine italian cuisine, quality, service and ambience meet.
n our bright and colourful Italian restaurant you can enjoy fresh pasta, famous pizzas, seafood and assorted cuts of prime meat dishes.
You can enjoy your meal al fresco in the Mosaic piazza or enjoy the view from the spacious interior and gaze out at the azzure blue fountain.
A full restaurant menu is available for lunch and dinner with daily specials - please see our menus and wine lists pages.

(26.09.2018) In tempo recentissimi, attraverso un mio interlocutore sui social ho scoperto che il fondatore di questo locale era un turco-cipriota che aveva anche dato vita ad un altro locale di ristorazione sempre in Canary Wharf, ma più spostato in direzione del Tower Bridge con il nome altrettanto evocativo (e dissacrante di "Il Bordello". Questo Turco-Cipriota, in tempi recenti, mi ha detto il mio interlocutore si è suicidato, impiccandosi.
C'è da chiedersi se ci sia una connessione tra questa vocazione a percorrere un filone tanto monotematico nella denominazione dei suoi locali e questo suicidio ci possa essere una connessione.

"La Figa" è stata rilevata da un altro Turco-cipriota. Il mio interlocutore - che ci lavora - ha tenuto a precisare che il locale è molto bello ma che le cucine sono infestate da "migliaia" di topi (o, dato il contesto, da migliaia di "tope").

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17 luglio 2013 3 17 /07 /luglio /2013 17:34

La moltitudine e il formicaio(Maurizio Crispi) Londra è una grande metropoli, ma se si vive in una zona residenziale tranquilla non ci si fa caso.
Si può immaginare di essere in una piccola città dai ritmi abbastanza lenti, con le strade semivuote in alcune ore delle giornata, radi passanti, pochi veicoli a motore e, magari, a seconda della zona, in un luogo dalle connotazioni etniche.
E ci si abitua presto al continuo sfrecciare degli aerei di linea in avvicinamento o a quelli che decollano dagli aeroporti più vicini a Londra.
Poi, se ti capita di salire su di un mezzo pubblico in ora di punta (le cosiddette rush hour), quest'impressione di rilassatezza e della compostezza del ritmo di vita lenta, si disfà immediatamente.
Ti trovi a confronto con la mirade, con la moltitudine...
Centinaia e centinaia di persone riversate fuori dai treni della metropolitana, in trasferimento verso un'altra linea di superficie per raggiungere il proprio posto di lavoro oppure per farne ritorno, persone che convergono come una marea dagli outskirt e dalle cittadine satellite e che, poi, allo scadere delle ore lavorative vi fanno ritorno, in un continuo ed incessante movimento di flusso-riflusso, residenti che si incrociano per raggiungere posti di lavoro, magari allocati all'opposto del luogo di lavoro, Eastender che si incrociano con Westender, e così via.

E sono centinaia di persone che si ingorgano negli stretti passaggi, costrette sovente a segnare il passo, come i podisti al momento della partenza di una di quelle maratone che annoverano partenti con cifre a 4 zeri.
E tutti sono diligentemente irregimentati, chiusi nel proprio mondo e nella propria individualità. Seri, imperturbabili e dal volto imperscrutabile, con la musica nelle orecchie, con lo sguardo perso nel vuoto, con gli occhi calati dentro un giornale o un libro.
Nessuno si spazientisce, nessuno cerca di essere più svelto degli altri: nella quieta compostezza di tutti, c'è evidente l'accettazione della consapevolezza di far parte di una moltitudine, del formicaio e, nei momenti di maggiore ingorgo, sono lì tutti a segnare il passo, come una formazione di soldati in marcia che, arrivati contro un muro o un qualsiasi ostacolo, continuano a segnare il passo fino a che qualcuno al comando non dia l'ordine di fermarsi.

In fondo, quelli che decidono di andare al lavoro pedalando sulla propria bici oppure correndo, portandosi sullo spalle uno zainetto con il ricambio e tutto quello che gli occorre per la giornata, sono quelli che barattano con il costo di una fatica fisica addizionale (ma benefica) l'obbligo di far parte del formicaio e che esprimono in qualche misura una scelta a favore della propria individualità.
 

 

Essere nel formicaio provoca in me un senso di spaesamento e di discomforto: soprattutto perchè mi ritrovo a pensare che in una città grande come Palermo (ma non grandissima, tuttavia nell'ordine di oltre 500.000 abitanti) può sempre capitare di imbattersi in qualcuno che ti riconosce e da cui sei riconosciuto, mentre qui nella grande metropoli - a Londra come in qualsiasi altra metropoli del mondo - rimani un Signor Nessuno, non ci sarà mai un conoscente o un amico che ti venga incontro per salutarti avendoti riconosciuto (nemmeno la più ottimistica previsione potrà mai essere soddisfatta e mostrando dunque di sapere chi sei e cosa fai, attribuendoti dunque un'identità.
 

 

In questo senso, la moltitudine affacendata provoca in me una sensazione di spaesamento e una reazione fobica, dalla quale mi difendo, osservando tutti gli altri che invece mi appaiono anestetizzati, automizzati, in qualche misura.
Penso allora che sarebbe meglio essere in un deserto senza nessuna presenza umana che in una folla di migliaia di cui i singoli individui sono tasselli anonimi, monadi incomunicabili.

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15 luglio 2013 1 15 /07 /luglio /2013 09:33

Libri e segreti(Maurizio Crispi) Tornando a casa dopo un'assenza, trovo, inaspettatamente, tante persone e una grande confusione
A quanto pare, un elettricista sta lavorando all'impianto elettrico

Cado dalle nuvole

Chiedo cosa stia succedendo e mi dicono che, a causa di un problema urgente si sono dovuti avviare questi lavori
Tutto è sottosopra. I mobili sono stati spostati. I libri rimossi. Tutte le miserie e i vezzi di una vita trascorsa in questa casa sono stati impietosamente messi a nudo, mentre degli strati archeologici e dimenticati sono riemersi
Mi sembra che tutto abbia un aspetto diverso
Tutte le persone intervenute (alcune che non vedo da tempo) sono sedute e chiacchierano amabilmente
I libri rimossi dalle scaffalature sono stati accatastati sul balcone
Mi precipito fuori, gridando e sbraitando
"Ma come è possibile? Cosa avete fatto? I miei poveri libri! Sta per iniziare a piovere! Aiutatemi a portarli dentro casa! Si rovineranno!"
Ma nessuno si muove
Ed io comincio ad affannarmi, ma assieme ai libri ci sono anche delle cianfrusaglie delle quali non ricordavo l'esistenza che attraggono la mia attenzione (diventando dei veri e propri "reperti", ognuno dei quali ha una sua storia da ricostruire) e che mi distolgono da quello che sento essere il mio compito primario che è quello di mettere in salvo i miei amati libri
Tra i libri ci sono anche delle cose vecchissime, tra le quali degli enormi volumi rilegati con annate intere della rivista "Epoca" e "Arianna" che i miei compravano regolarmente e che, all'inizio del nuovo anno, facevano rilegare, ma poi - per problemi di spazio - smisero. E ricordo che quegli enormi volumi io adoravo sfogliarli, soffermandomi ad odorare il misto ineffabile di odori della carta patinata e della colla da rilegatoria
Ma ora - nella vita vera - quei volumi sono giù in garage.
Sia come sia, a poco a poco, riesco a mettere i libri al sicuro, anche se l'ingombro è davvero tanto ed è tutto sottosopra
E intanto continuano i lavori da parte degli operai, mentre gli invasori proseguono nelle loro amabili conversazioni: il tutto in una dimensione di allegro caos che però non genera alcuna stella danzante

Più avanti sto seguendo una seduta di psicoterapia che vede un bimbo piuttosto piccolo come paziente. Io sono presente come uditore, mentre due giovani psicoterapeute in formazione conducono la sedute
Presente anche, comodamente sdraiato di tre quarti su di un lettino da psicoanalisi nello stile di quello usato da Freud, anche il mio analista e didatta,  Francesco Corrao.
Io sono seduto un po' alla periferia della stanza e, sopra la mia testa, incombe una piccola scaffalatura di libri
Con il capo rovesciato verso l'alto vado prendendo questo o quel libro, ma poi non riesco a metterli al loro posto e, mentre maldestramente, tentavo di ricollocare i volumi al proprio posto mi sentivo puntato addosso lo sguardo di Corrao

Un'angoscia che mi riporta ai tempi della mia analisi personale, quando stavo seduto nel salottino adiacente alla stanza della terapia e osservavo quella quantità incredibile di volumi, ordinatamente collocati in una libreria che andava dal pavimento al tetto: ricordo che, durante l'attesa che a volte si portraeva per interminabili minuti, stavo a guardare il dorso di tutti quei volumi, cercando di leggerne il titolo: avrei voluto alzarmi e prenderne qualcuno in mano, per sfogliarlo e carpirne i segreti, ma non lo feci mai. Questa semplice azione rimase per tutta la durata dell'analisi al livello di semplice e bruciante desiderio
Una volta vidi sporgere dalle pagine di una rivista un foglio che recava scritte delle frasi  vergate a mano, e pensai che un/a paziente che mi aveva preceduto avesse voluto lasciare un proprio "messaggio nella bottiglia", ma quest'azione puramente immaginata mi sembrò allora una "profanazione" di uno spazio quasi sacrale e, in seduta, nemmeno ne parlai.

In un'altra parte del sogno, un mio segreto compromettente sta per essere rilevato
Ho fatto dei passi falsi e ho lasciato dietro di me tracce ed indizi
Ho in mano una busta dal contenuto compromettente e vorrei liberarmene
Penso di andare in Polizia o dai Carabinieri a denunciare che ho ricevuto questa busta in un ufficio postale in cui sono esplose delle bombe e che, pertanto, temo che anche dentro il plico che mi è stato consegnato possa esserci del materiale esplosivo
Ma, poi, penso di essere del tutto fuori di testa
Rifletto bene al fatto che, dovunque io vada, poi aprirebbero la busta per verificare se la mia teoria sia vera, per poi ricondurre tutto il materiale all'interno a me
E la frittata sarebbe fatta. Sarei per sempre compromesso. Io steso probabilmente sarei considerato un pericoloso terrorista
Che fare?

Dopo aver fatto questo sogno (o questi sogni) ho pensato a me, quando ero piccolo, ai miei genitori.
Penso che i genitori di rado parlino con i propri figlio.

Loro, il più delle volte, sono chiamati ad agire, a fare delle cose, cercando di comportarsi nella maniera che sia il più possibile giusta.

Non ricordo di aver fatto mai dei discorsi particolarmente profondi con uno o con l'altro dei miei genitori, nell'età della ragione.

Mi ricordo di cose fatte assieme, questo sì, oppure di cose mancate, di momenti in cui ci sono stati un allontanamento e la creazione di una distanza.
Per una parte della nostra vita siamo impegnati a distanziarci e a differenziarci dai nostri genitori.
Per esempio, quando ero ragazzino non sopportavo che dovessi venire identificato come il "figlio di Ciccio Crispi".
Volevo essere identificato per quello che ero e, tuttavia, non conoscevo quale fosse la strada per diventare un'entità autonoma, conquistando una mia identità differenziata, unica, originale.
Spinti da questo bisogno di differenzaizione ci allontaniamo e, poi, va a finire che ci siamo allontanati così tanto che una nuova convergenza su basi diverse è impossibile, finche i nostri genitori sono in vita.

Poi, quando non ci sono più, delle convergenze inaspettamente si verificano: noi, in qualche modo, diventiamo loro.

Ma loro non ci sono più: e non è più possibile parlare con loro, intavolando un discorso, se non in una maniera puramente immaginaria.

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DSC04695.jpegQuesta pagina è la nuova casa di due blog che alimentavo separatamente. E che erano rispettivamente: Frammenti. Appunti e pensieri sparsi da un diario di bordo e Pensieri sparsi. Riflessioni su temi vari, racconti e piccoli testi senza pretese.

Era diventato davvero troppo dispendioso in termini di tempi richiesti alimentarli entrambi, anche perchè nati per caso, mentre armeggiavo - ancora alle prime armi - per creare un blog, me li ero ritrovati ambedue, benchè la mia idea originaria fosse stata quella di averne uno solo. Infatti, non a caso, le loro intestazioni erano abbastanza simili: creatone uno - non ricordo quale dei due per primo - lo ho "perso" (per quanto strano ciò possa sembrare) e mi diedi alacremente da fare per ricrearne uno nuovo. Qualche tempo - nel frattempo ero divenuto più bravino - il blog perso me lo ritrovai).

Ohibò! - dissi a me stesso - E ora cosa ne faccio?

La risposta più logica sarebbe stata: Disattiviamolo!. E invece...

Mi dissi: li tengo tutti e due. E così feci. E' stato bello finchè è durato...

Ma giocare su due tavoli - e sempre con la stessa effcienza - è molto complicato, ancora di più quando i tavoli diventano tre e poi quattro e via discorrendo....

Con overblog ho trovato una "casa" che mi sembra sicuramente più soddisfacente e così, dopo molte esitazioni, mi sono deciso a fare il grande passo del trasloco, non senza un certo dispiacere, perchè il cambiamento induce sempre un po' di malinconia e qualche nostalgia.

E quindi ora eccomi qua.

E quello che ho fatto - ciò mi consola molto - rimane là e chiunque se ha la curiosità può andare a dargli un'occhiata.

 

Seguendo il link potete leggere il mio curriculum.

 

 


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