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12 novembre 2016 6 12 /11 /novembre /2016 11:26
(foto di Maurizio Crispi)

(foto di Maurizio Crispi)

(Maurizio Crispi) Forse, in questi tempi moderni in cui viviamo - nei paesi occidentali almeno - nell'era dell'acqua corrente nelle case - tendiamo a considerare l'acqua (sia potabile sia corrente) come un'acquisizione scontata e quasi non ci accorgiamo più delle fontane, delle fontanelle e dei fontanili che un tempo punteggiavano i percorsi in campagna e che si ponevano come importanti "segnalibri" il territorio urbano.
Le fontane nelle cittadine e nelle città avevano un'importante funzione - così come i lavatoi pubblici di cui è ancora possibile le tracce in alcuni contesti (vedi ad esempio i lavatoi medievali di Cefalù) - sia per quanto riguardava l'approvvigiamento idrico per gli usi domestici sia per l'igiene personale, sia sul posto sia attraverso appositi collegamenti con i bagni pubblici.
L'acqua nell'antichità è stata sempre un patrimonio comune ed inviolabile. Ed era precisa dovere dei potenti, dei governanti e degli amministratori fare sempre in modo che il popolo avesse a disposizione l'acqua.

La Fontana di Palazzo Adriano, in Piazza Umberto I (foto di Maurizio Crispi)Anche nelle campagne l'acqua era libera e i percorsi seguiti dai contadini e dai pastori erano punteggiati di bevai e fontanili, spesso costruiti laddove vi fossero delle sorgive natuali le cui acque venivano poi convogliate e irregimentati per provvedere alle necessità - anche irrigue - di parti più consistenti del territorio.
Anche in questi casi, nulla era dovuto: ognuno prendeva ciò che gli serviva in modi "sostenibili", nè c'era alcuno che chiedesse balzelli e tasse sull'acqua, salvo che ciò non incidesse nella resa di "servizi" specifici, come era - ad esempio - nel caso delle cosiddette "torri d'acqua" di cui a Palermo esistono ancora numerosi pregevoli esemplari (e che sembrano non interessare più nessuno, mentre potrebbero essere valorizzati per la fruizione turistica o per la fruizione scolastica).
L'acqua apparteneva a quelle cose che nei paesi nordici attenevano ai cosidetti "commons" )ovvero i "beni comuni", sanciti sin dal Medievo), cioè a quelle parti di territorio "comuni" da cui ciascun cittadino attingeva ciò che gli serviva, come legna da ardere, piante commestibili, piccola cacciagione.

In più, nelle città - a partire dal Rinascimento - si prese la consuetudine di abbinare all'erogazione dell'acqua anche il gusto del Bello e la magnificenza filantropica degli aristocratici che, in un certo senso, donavano al Popolo, la magia delle acque: e nacquero così le grandi fontane scenografiche rinascimentali e di epoca successiva, così come i palazzi dei nobili e dei potenti erano dotati - ad arricchire le facciate che davano sulla pubblica strada - delle cosiddette "panche di via", grandi e artistiche panchine di pietra dove i viandanti e i servitori in attesa di chiamata potessero riposare o persino dormire.
Non dobbiamo dimenticare inoltre che le fontane, oltre ad una funzione pratica (erogazione dell'acqua per le più svariate esigenze), a quella scenografica ed estetica, ne avevano una decisamente ludica che era quella di consentire ai viandanti e al popolo di rinfrescarsi e di bagnarsi nei giorni di maggiore canicola. E così, nell'assolvere a questa funzione ludica, le fontane diventano anche luogo di socializzazione e di sollazzo.
Tutto questo erano le fontane.
Adesso nelle pubbliche fontane è proibito bagnarsi; l'acqua che scorre dai cannelli non è più potabile, perchè non è più acqua corrente "a perdere", ma riciclata di continuo.
Le fontanelle di acque pubbliche - non ve ne siete accorti? - stanno progressivamente scomparendo, perchè l'acqua erogata nelle case deve essere pagata e così diventa quasi obrobrioso, per chi chiede per la fornitura dell'acqua quello che è una sorta di "pizzo" legale, che ci siano punti di erogazione di acqua pubblica.
In relazione a queste considerazione voglio parlare di una fontana che mi sta molto a cuore.

La fontana di Palazzo Adriano (dettaglio) in Piazza Umberto I (foto di Maurizio Crispi)Si tratta della fontana di piazza Umberto I di Palazzo Adriano, resa celebre dal film di Tornatore "Nuovo Cinema Paradiso": é una fontana civica risalente al 1608 e che riporta sulle lapidi commemorative che la abbelliscono il nome degli amministratori che la fecero costruire.
A realizzare la fontana, dalla caratteristica forma ottagonale, furono i chiusesi Nicolò Gagliano e Vito Termini (1607) e il burgitano Vito Lo Domino (1684), che scolpì, in gusto barocco, un vaso con pigna.
Il bacino ottagonale della fontana è sempre pieno di acqua chiara e pulita, mentre sui due lati contrapposti si ergono due spallette ad edicola dalle quali sul lato esterno due cannelli di ottone sormontati ciascuno da una testa scultorea emettono due costanti getti di acqua potabile, sempre freschissima. L'acqua che fuoriesce da ciasxuna coppia di cannelli di ottone cade in un piccolo bacino muschioso e, poi, attraverso un passaggio tra le pietre scorre verso il bacino centrale: questi due transiti muschiosi sono abbelliti ed ingentiliti da crescite spontanee di capelvenere i cui cespi trovano qui un loro habitat ideale.
Ancora oggi la fontana della Piazza principale di Palazzo Adriano è una fontana vissuta e perfettamente integrata nel tessuto sociale della cittadina. Si trova quasi al centro della Piazza e rappresenta il punto d'incrocio dei percorsi che i cittadini affrontano nell'attraversare la piazza: è cosa comune vedere che, al passaggio, le persone si fermano per dissetarsi.
Ricordo che per mio padre quest'acqua che sgorgava dalla fontana era un mito, l'epitome della buona ed incontaminata acqua da bere. E mio padre, appena arrivato a Palazzo, nelle occasioni in cui andavamo d'estate a trovare i nonni che erano in villeggiatura lì nei mesi estivi, domiciliati in quella stessa casa che fu la casa d'infanzia del nostro avo, lo statista Francesco Crispi, andava a farsi grandi bevute da quella fontana e, con indomabile entusiasmo, spingeva anche a me a dissetarmi con quell'acqua as dir poco miracolosa.

Questa Fontana ha avuto il suo grande successo su scala mondiale con il film di Tornatore che utilizzò proprio la Piazza Umberto I per creare il cinema fulcro della sua storia, ma è anche al centro di una gara podistica che ormai da 9 anni si svolge a Palazzo Adriano e su e giù per i circostanti Monti Sicani (Trail dei Monti Sicani, promosso da ASD SportAction).
La Fontana di Palazzo Adriano in Piazza Umberto I (foto di Maurizio Crispi)In questa circostanza la Fontana è davvero - e naturalmente - al centro dell'attenzione, poiche il gonfiabile che segna il punto di partenza e la linea dell'arrivo si trova collocato proprio a pochi metri da essa.
Quindi è assolutamente naturale e logico che gli atleti al termine della loro fatica si dirigano alla fontana per rinfrescarsi ponendo la testa sotto i due getti d'acqua paralleli e per dissetarsi.
La fontana è democratica: il suo beneficio, quella miracolosa acqua fresca e chiara, non lo nega a nessuno. Tutti, davvero tutti, possono trarne profitto: la fontana è un'amica, sempre presente e disponibile a qualsiasi ora del giorno e della notte a dispensare il suo dono a vecchi e a giovani; in questo senso è anche senza tempo.
E quando la gara si è fatta nella stagione calda la fontana era lì con il suo provvido bacino d'acqua: gli atleti stanchi e accaldati allora si sedevano sul muretto e mettevano piedi e gambe a mollo per lenire i garretti stanchi.
Sì, in questa gara, il posto di ristoro finale c'è - come di prammatica - e gli atleti ci si fermano pure, ma la fontana con il suo dono è incomparabilmente più gradita ed è anche il luogo della socializzazione tra gli atleti a fine gara.
E le scene che si possono vedere tutt'attorno alla fontana sono una bella semplificazione della magia dell'acqua fresca, fluente di continuo e chioccolante: una magia che, al giorno d'oggi, abbiamo perso.
Chi costruisce ancora fontane come questa? Non fontane solo per l'estetica, intendo, ma fontane che possano essere fruite, con le quali si possa interagire.
Le fontane che creano socializzazione tra le persone e che elargiscono doni sono una delle cose che cominciano ad entrare nel territorio della nostalgia e del ricordo, salvo alcune felici eccezioni.
E il senso della perdita di qualcosa di prezioso lo si sente ancora di più se si ha modo di indugiare a lungo nei pressi di una fontana pubblica come è quella di Palazzo Adriano.

La magia dell'acqua pubblica e la fontana della piazza di Palazzo Adriano
La magia dell'acqua pubblica e la fontana della piazza di Palazzo Adriano
La magia dell'acqua pubblica e la fontana della piazza di Palazzo Adriano
La magia dell'acqua pubblica e la fontana della piazza di Palazzo Adriano
La magia dell'acqua pubblica e la fontana della piazza di Palazzo Adriano
La magia dell'acqua pubblica e la fontana della piazza di Palazzo Adriano
La magia dell'acqua pubblica e la fontana della piazza di Palazzo Adriano
La magia dell'acqua pubblica e la fontana della piazza di Palazzo Adriano
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7 novembre 2016 1 07 /11 /novembre /2016 08:13
L'Assenza

Ieri, domenica, mi sono ritrovato ad andare a piedi sino in centro città.

A dire il vero, avrei voluto andarci in bici, ma scendendo nel sottoscala per recuperare la bici che spesso ripongo lì, più che altro per pigrizia, per non dovere a prire e chiudere la porta del box (ma ritenendo che lì possa stare in assoluta sicurezza), ho scoperto che mi era stata rubata. No bici! al suo posto, uno spazio vuoto e quella curiosa sensazione di straniamento, quando ti accorgi che un oggetto che sei abituato a vedere in un certo contesto, è assente.

Un ultima passeggiata con mio fratelloNiente bici, dunque. Che fare?

Di prendere l’auto non se ne parlava.

Non sopporto di usarla per andare in centro.

E allora? Mezzo pubblico? No, per me poco pratico. Figuriamoci: non so nemmeno dove si acquistano i biglietti del bus.

A piedi, allora, con i buoni, vecchi “cavalli di San Pietro”. E mi sono incamminato. Sia all’andata, sia al ritorno mi sono ritrovato a pensare a tutte le volte che, dopo la morte della mamma, con mio fratello Salvatore siamo andati in centro città per una semplice passeggiata o per vedere un film. Io nei panni dello spingitore.

Grande nostalgia... e senso di vuoto.

Ma anche: mancanza delle scarne ma essenziali conversazioni che andavano avanti tra noi durante lo spingimento. C’è da chiedersi a volte se un disabile che è sospinto da uno spingitore abituale nella sua carrozzina sia realmente ed incontrovertibilmente dipendente dal suo spingitore. O se, piuttosto, non sia vero il contrario che, cioè, sia lo spingitore ad essere dipendente da colui che spinge.
 

Questa tesi sarebbe avvalorata dalle forti sensazioni di “manque” che avverte lo spingitore nel momento in cui è privato dalle vicissitudini della vita del suo sospinto.
Si tratterebbe, forse, del concretizzarsi d’una condizione di co-dipendenza, come nel caso di uno che sia monco delle braccia e che prenda a portare sulle sue spalle, nella realizzazione di un sodalizio di mutuo aiuto, uno che essendo monco degli arti inferiori, abbia invece la piena funzionalità degli arti superiori.

Bisogna riadattarsi a non poter essere più spingitore.
Il rovesciamento è che, mentre io pensavo di fare qualcosa per mio fratello, impossibilitato dalla nascita a camminare, era lui in verità che faceva qualcosa per me. Come, ad esempio, in tutte le circostane in cui stavo con lui nel soggiorno a leggere e a dormicchiare in poltrona, nelle domeniche pomeriggio, per non lasciarlo da solo - pensavo - e per dargli compagnia. In verità - io credo - che fosee lui con la sua presenza silenziosa e non richiedente a darmi compagnia e a non farmi sentire da solo.

Misteri buffi e, assieme, tragici della vita.

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4 novembre 2016 5 04 /11 /novembre /2016 10:59
Ozio Gastronomico a Palermo. Succede in Sicilia: come applicare al contrario la legge sull'abbattimento delle barriere architettoniche

(Maurizio Crispi) Apre in questi giorni a Palermo un nuovo locale che si chiama “Ozio gastronomico - La Materia Prima” per iniziativa di Dario Genova, un eclettico pizzaiolo panormita, considerato tra i più bravi in Sicilia, che si sta così lanciando in una nuova avventura, dopo il lancio di "Tondo", sempre a Palermo, in Piazza Ignazio Florio.
Ozio Gastronomico è ubicato in via Libertà, angolo via Francesco Paolo Di Blasi al posto del Wine Bar Oliver, con ingresso su via F.P. Di Blasi, al numero civico 2.
Non si vuole entrare in questa sede nel merito delle proposte gastronomiche sicuramente interessanti e raffinate del nuovo punto di ristorazione palermitano (e, per inciso, sembra che a Palermo, in un panorama di languente economia le uniche attività che - anche se per brevi stagioni - riescono a fiorire, siano quelle della ristorazione a tutti i i livelli dal semplice punto di vendita di cibo da strada, alle gelaterie alle pizzerie e ai ristoranti più raffinati, passando per i venditori di junk food), ma si vuole coglere l'occasione per dissertare su di un'altra questione, ben più cogente e che nulla ha a che fare con la ristorazione in sé.
Oliver, nell'approdare a questa location, aveva intrapreso lodevolmente dei lavori per abbattere le barriere architettoniche esistenti e per consentire l'ingresso, almeno nello spazio terrazzato esterno sopraelevato rispetto al piano stradale e al marciapiede, ai disabili in carrozzina (ed anche, ovviamente, delle mamme con passeggino per i propri infanti).
Io stesso, grazie a questo beneficio (e sappiamo quanto a Palermo i privati siano restii ad applicare le norme che regolamentano l'abbattimento delle barriere architettoniche) ci sono andato frequentemente a prendere un aperitivo assieme a mio fratello, disabile in carrozzina).
Tutto il lavoro fatto dal gestore di Oliver, in questo passaggio, è stato prontamente annullato, per ripristinare le condizioni originarie dello spazio terrazzato antistante.
Inizialmente, ignoravo che questi lavori di riaggiustamento fossero stati realizzati per creare le premesse di un nuovo locale pubblico al posto del precedente: pensavo, semplicemente, che un privato stesse facendo delle ristrutturazioni e delle modifiche al proprio spazio abitativo (e in questo caso la cancellazione della precedente rampa per disabili in carrozzina poteva ancora essere accettata). Ma grande è stata la mia sorpresa nel constatare che tutti questi lavori erano finalizzati all'avvio di un nuovo esercizio di ristorazione, quando ho visto collocate le targhe che ne annunciavano il nome.
A Palermo, può veramente capitare di tutto sino al paradosso di dover vederer che le norme sull'abbattimento delle barriere architettoniche vengano applicate all'incontrario e che, quindi, in un luogo adibito ad esercizio pubblico e, sotto questo profilo, già a norma (cosa peraltro a Palermo alquanto rara), si possa procedere ad una cancellazione delle preesistenti facilitazioni per disabili.
Tutto ciò è rivelatore di molta, molta, insensibilità e di assenza di political correctness, ma anche espressione di una forte social unfriendliness nei confronti delle categorie di cittadini disagiati e con difficoltà motorie.

Già questo semplice (ma non irrilevante) dettaglio, facendomi pensare alle molte battaglie combattute da mio fratello Salvatore Crispi proprio per l'applicazione delle norme sull'abbattimento delle barriere architettoniche, un movimento interiore di forte rifiuto.
E non credo che per quanto io non sia disabile, nemmeno per curiosità mi recherà mai in questo locale.
Non ci sono né scuse né scappatoie: fintantochè ci sono le barriere architettoniche, chi  indossa i panni del gestore di un un luogo pubblico, può fare spallucce e dire che "...sì, si dovrebbe fare qualcosa, ma come la mettiamo con i costi da affrontare?, ma che si spendano soldi per eliminare facilitazioni precedentemente esistenti - quasi fossero un inutile ingombro - questo è proprio il colmo e non ammette scusanti di alcun genere. Siamo di fronte ad un'attività che parte con un implicita (e nemmeno tanto)  dichiarazione di una volontà di esclusione dei disabili e di tutte le categorie di svantaggiati ed adulti "deboli" e "con difficoltà motorie".
E non me ne voglia Dario Genova per queste osservazioni che, frutto di un'amara e sconsolata riflessione, non vogliono essere dirette contro la sua attività e contro la sua periza di pizzaiolo, ma contro chi lo ha consigliato in questo percorso di ristrutturazione degli spazi operativi del suo nuovo esercizio.

Legge 9 gennaio 1989, n. 13 - Contributi per l'abbattimento delle barriere architettoniche negli edifici privati. Circolare regionale esplicativa. Per barriere architettoniche si intendono: a) gli ostacoli fisici che sono fonte di disagio per la mobilità di chiunque ed in particolare di coloro che, per qualsiasi causa, hanno una capacità motoria ridotta o impedita in forma permanente o temporanea; b) gli ostacoli che limitano o impediscono a chiunque la comoda e sicura utilizzazione di spazi, attrezzature o componenti; c) la mancanza di accorgimenti e segnalazioni che permettono l'orientamento e la riconoscibilità dei luoghi e delle fonti di pericolo per chiunque e in particolare per i non vedenti, per gli ipovedenti e per i sordi. Ciò premesso e partendo dal fondamentale presupposto che lo scopo principale, se non unico, della legge in oggetto. E' sostanzialmente il superamento e l'eliminazione delle barriere architettoniche negli edifici privatiî ovverosia fornire, in parte, i mezzi ai soggetti che presentano determinati requisiti per la realizzazione di tutte quelle opere o l'acquisto di quegli ausili che permettano loro di vivere la loro quotidianità nella maniera meno disagiata possibile sotto il profilo della mobilità in genere ed in particolare dell'accessibilità, adattabilità e fruibilità delle proprie abitazioni, si evidenziano di seguito i requisiti soggettivi ed oggettivi necessari ed indispensabili per l'accesso al contributo pubblico e le procedure da seguire nel procedimento amministrativo in parola.

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11 ottobre 2016 2 11 /10 /ottobre /2016 09:38
E poi non ne rimase nessuno

Della mia famiglia storica sono rimasto da solo e, poi, come nella storia dei Dieci piccoli Indiani, non ne rimase nessuno...
Mi chiedo qhalche volta: Perchè io? Perchè è toccato a me rimanere da solo a portare il fardello delle memorie familiari?

La mamma IreneUna domanda a cui sono destinato a non avere risposta.
Se potessi parlare con mia madre, lo chiederei a lei e, forse lei, con la ua saggezza saprebbe darmi una risposta soddisfacente.
Se punto lo sguardo al passato vedo la mia famiglia storica di cui sono rimasto l'ultimo rappresentante.
Se lo volgo al futuro vedo che ci soo i miei due figli, Francesco e Gabriel.
Non so se loro vorranno prendere questo carico, portarlo con sé e tramandarlo.
Spero di sì, ma non posso dirlo con certezza. Se lo faranno, sarà una loro decisione e lo faranno perchè sentiranno di farlo. Non so se questo accadra. Forse sì, forse no..
Ed è per questo che, proprio adesso, mi sento l'ultimo sopravvissuto.
Quando sei un sopravissuto, pensi - piuttosto - a tutto quello che non c'è stato e avrebbe potuto essere, a tutte le parole non dette, ai silenzi e alle incompensioni che adesso vorresti potere risolvere, ma non hai più gli interlocutori per poterlo fare.

L'altro giorno - mi ritrovavo al cimitero di Sant'Orsola per un evento luttuoso, la morte di un caro amico - e dopo la messa funebre e l'ultimo saluto, sono andato a visitare la sepoltura dei miei cari.
Mi sono seduto sulla lastra tombale con i loro nomi scritti in lettere di bronzo e lì sono stato fumando una sigaretta in compagnia della mamma, di Tatà e di tutti gli altri che lì giacciono.

Salvatore nel giorno del suo 65° compleanno. Le altre due foto sono state scattate in occasione del 90* compleanno della mamma.

Salvatore nel giorno del suo 65° compleanno. Le altre due foto sono state scattate in occasione del 90* compleanno della mamma.

Dieci poveri negretti
se ne andarono a mangiar:
uno fece indigestione,
solo nove ne restar.
Nove poveri negretti
fino a notte alta vegliar:
uno cadde addormentato,
otto soli ne restar.
Otto poveri negretti
se ne vanno a passeggiar:
uno, ahimè, è rimasto indietro,
solo sette ne restar.
Sette poveri negretti
legna andarono a spaccar:
un di lor s'infranse a mezzo,
e sei soli ne restar.
I sei poveri negretti
giocan con un alvear:
da una vespa uno fu punto,
solo cinque ne restar.
Cinque poveri negretti
un giudizio han da sbrigar:
un lo ferma il tribunale,
quattro soli ne restar.
Quattro poveri negretti
salpan verso l'alto mar:
uno un granchio se lo prende,
e tre soli ne restar.
I tre poveri negretti
allo zoo vollero andar:
uno l'orso ne abbrancò,
e due soli ne restar.
I due poveri negretti
stanno al sole per un po':
un si fuse come cera
e uno solo ne restò.
Solo, il povero negretto
in un bosco se ne andò:
ad un pino si impiccò,
e nessuno ne restò.

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7 ottobre 2016 5 07 /10 /ottobre /2016 08:10
(foto di Maurizio Crispi)

(foto di Maurizio Crispi)

Una volta c'erano l'abominevole uomo delle donne, oppure l'abominevole Jack the Ripper: personaggi che alimentavano le paure più profonde ed erano nell'immaginario collettivo.
Oggi, una volta perso il disincanto e svelato tuttociò che poteva essere svelato, sicché i margini per il perturbante si sono ristretti notevolmente, non cìè più nulla di abominevole che possa sorgere dal profondo di noi e perseguitarci nei sogni.
Nulla? Non, forse qualcosa sì. Nuove cose per lo più. Oggi vorrei concentrarmi sull'"abominevole" pubblicità condominiale da cui siamo perseguitati quotidianamente e che rappresenta un nostro incubo.
Lo stesso termine "pubblicità condominiale" ne connota le qualità abominevoli. Trattasi in altri termini di flyer (da quattro a otto facciate), in stampa policroma, che fanno la pubblicità ai prodotti in sconto venduti dai più diversi supermercati operanti in città, da CONAD a SIMPLY a IPERCOOP a TRONY etc etc.
"Condominiale" perchè è pubblicità destinata ai Condomini, e quindi il materiale stampato deve essere distribuito in quantità industriali.

Pubblicità condominiale (foto di Maurizio Crispi)Ogni giorno un esercito di "camminanti" forniti di zaino e di capaci trolley percorre in lungo e in largo le città e i paesi, infilando nei contenitori appositamente predisposti all'ingresso dei condomini e delle palazzine abitative quintali di questa roba.
Roba che peraltro nessuno legge o ritira, sicché per lungo tempo queste cassette risultano vieppiù intasate con festoni di carte colorate pendenti che ogni tanto - come accade sul fronte dei ghiacciai da cui imponenti pezzi si distaccano periodicamente per formare gli iceberg - si distaccano dalla massa pressante per cadere per terra e annegghiare il pubblico suolo di cartacce che mai vengono spazzate dai pulitori (rari) e che, più frequentemente, vengono portate a spasso dal vento.
Alcuni condomini hanno predisposto delle scritte dissuasive: "Questo condominio non accetta pubblicità condominiale", un semmi-esplicito invito a girare alla larga.
Altri subiscono passivamente l'invasione: in alcuni casi, le carte eccedenti vengono prese al volo dai padroni di cani a passeggio e utilizzate come presina e involto per gli escrementi sganciati dal loro fidato amico a quattro zampe (o, in caso di impellente ed improcrastinabile necessità anche per i propri in qualche anfratto oscuro, specie di prima mattina, quando non ci sono occhi indiscreti: ed è, per questa bisogna, carta di ottima consistenza, proprio perchè di pessima qualità).
Altri si improvvisano zelanti pulitori e periodicamente acciuffano tutta la mole di pubblicità condominiale accumulata nel contenitore per smaltirla nel cassonetto per la raccolta differenziata per la carta.
Ma é una fatica di Sisifo: non appena la buca per la pubblcità condominiale è stata restituita all'originario nitore e all'ebbrezza del vuoto, ecco che - quasi per incanto - torna ad essere piena da scoppiare, quasi che ci fossero zelanti distributori in agguato pronti a elargire i propri doni di carta di cui, peraltro, debbono sbarazzarsi prima del termine della propria giornata di lavoro, poichè il loro compenso è legato proprio alla quantità smaltita...
Timeo Danaos dona ferentes!
E' vero che la pubblicità è l'anima del commercio, ma questa pubblicità condominiale fatta porta a porta e con una simile insistenza è un vero abominio e che spreco poi!
Il nostro incubo notturno più ricorrente sta diventando quello di essere seppellito da una valanga di carta fatta di questi fogli di propaganda pubblcitaria.
Per non parlare del fatto che i costi di produzione e distribuzione di una simile enorme quantità di carta stampata li pagheremo comunque noi consumatori.
E quindi propongo una campagna per abolire l'abominevole pubblcità condominiale!

Le foto che corredano l'articolo sono di Maurizio Crispi

Le foto che corredano l'articolo sono di Maurizio Crispi

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16 settembre 2016 5 16 /09 /settembre /2016 08:58
Le cozze, a volte, ritornano

Cozza verace
giaci sull'asfalto,
svuotata e ridotta a mero guscio
dopo aver allietato con la tua polpa
il palato di qualche commensale

In qualche modo, in un lungo giro di tempo
tornerai al mare da cui era stata tratta
e, dopo infinite trasformazioni e passaggi,
sarai di nuovo cozza

Si sa, le cozze, a volte, ritornano...

Siamo tutti come questa cozza

Dalla polvere,
in un infinito ciclo di trasformazioni,
faremo ritorno

Le cozze, a volte, ritornano

(...) "Quando gli orsi si rimpinzano di salmoni sino a non poterne più e poi tornano nella foresta e vi lasciano i propri escrementi, lasciano alcuni isotopi marini nel sottobosco. L'azoto e il fosforo sono essenziali per la fotosintesi, perciò ogni volta che un aquila porta porta nel nido un pezzo di pesce per nutrire i suoi piccli e ne fa cadere una parte, fertilizza il terreno su cui crescono gli alberi"
(...) "E le balene, Lynn? Come può la foresta diventare parte di una balena?"
Riflettei per un momento (...), finché non mi imbattei nella traccia d un isotopo diretto verso la costa.
"Un giorno l'albero cade e imputridisce, gi isotopi sono riportati dalla pioggia nei fiumi" - qui mi concessi un gesto di vittoria mentale - "e raggiungono infine il mare dove nutriranno la successiva generazione di plancton". A quel punto non era difficile arrivare in fondo:le aringhe mangiano il plancton,le balene mangiano le aringhee il ciclo degli isotopi si chiude.

da Lynn Schooler, L'orso azzurro. Breve storia di una fotografia (Titolo originale: The Blue Bear), Ugo Guanda Editore, 2002, pp. 91-92

(Foto di Maurizio Crispi)

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8 settembre 2016 4 08 /09 /settembre /2016 08:50
Far morire di paura per prevenire. Strategia efficace, oppure no?

Sono già entrate in uso le nuove norme per la prevenzione del tabagismo. Tra i provvedimenti, figura anche l'introduzione di immagini "paurose" che accompagnino le scritte già in vigore da tempo che, ora vengono aumentate di dimensioni e reiterate più volte, laddove lo spazio lo consente.
In più, nel nuovo pacchetto di provvedimenti, verrà presto interrotta la produzione di sigarette in pacchetti da 10, allo scopo di scoraggiare i più giovani dall'acquistarle in format a loro più accessibili economicamente.
Ieri sono andato dal tabaccaio ad acquistare il mio approvvigionamento di tabacco per sigarette e ho trovato, appunto, questa novità. A me è toccato di trovarmi di fronte ad una foto a colori con la piccola bara bianca della misura adatta ad accogliere un neonato e davanti ad essa, posta su di un catafalco, una coppia aggrondata in dolente contemplazione, quei genitori che avevano continuato a fumare durante la gravidanza del loro pargolo. Accanto all'immagine la didascalia recita: "Il fumo può uccidere il bimbo nel grembo materno". Il tutto caratterizzato da quella che si potrebbe indubbiamente definire una "ridondanza" comunicativa.


Prevenzione del tabagismo. Nuova campagnaQuesto tipo di prevenzione, fondata sul terrorismo psicologico, in realtà funziona ben poco nei confronti dei fumatori più incalliti che possono facilmente attivare un meccanismo di non-percezione selettiva nei confronti di messaggi scritti e visuali che, in qualche modo, vogliano indurli a riflettere sui rischi cui si espongono o cui espongono altri. O che, in alternativa, possono ripiegare verso i pacchetti da 10 (finché saranno sul mercato), nei quali non è impresso alcun messaggio preventivo.
E ha aggiunto che, in parallelo, si sta attivando un merchandising di articoli del costo di poche lire che hanno la funzione di occultare i messaggi (del tipo di mascherine opache autoadesive o di portasigarette (che in questo frangente tornerebbero ad essere pienamente di moda).
E allora tutto questo sforzo è destinato ad avere successo?
Forse, soltanto nei confronti di una piccola fascia di fumatori "veterani" che sono entrati - per mutuare un termine caro agli AA (Alcolisti Anonimi") - nella fase della "contemplazione" della propria dipendenza, nella quale in modo ancora conflittuale si cominciano a porre nei piatti della bilancia, vantaggi e svantaggi della propria dipendenza, piaceri e dispiaceri, etc etc.
In questo caso le immagini e le frasi di terrore potrebbero avere un qualche effetto, ma il paradosso è che potrebbero avere anche un effetto opposto nel senso di rafforzare i meccanismi di negazione.

Si può tuttavia immaginare che, almeno nei confronti d'una categoria di persone, il messaggio possa avere effetto e dovrebbe trattarsi di chi - soprattutto i più giovani - si accostano alle abitudini tabagiche per la prima volta, insomma si tratterebbe dei "neofiti": in questo caso, l'esposizione a immagini e a slogan potrebbe avere un effetto dissuasivo.

La strada maestra della prevenzione del tabagismo (come di altre abitudini nocive) rimane però pur sempre quella dell'educazione alla salute, con un intervento capillare e continuativo nelle scuole, che abbia come baricentro i principi del rispetto del proprio corpo e della ricerca costante di un benessere psicofisico. Un intervento che dovrebbe essere mantenuto e potenziato e che può dare i suoi effetti soprattutto nel lungo termine, specie se condotto in maniera tale da portare i più giovani a trovare delle proprie risorse di pensiero autonome e a un empowerment decisionale, quando si tratta di dire a chi ti offre una sigaretta per la prima volta: "Grazie, no!".
Intervento che, nel caso dei minorenni, dovrebbe essere accompagnato dal rispetto estensivo della proibizione della vendita del tabacco ai minori di 18 anni, e nei confronti di tutti da un incremento del costo dei prodotti a base di tabacco, strategia applicata estensivamente in altri paesi d'Europa con discreti risultati, a condizione che si tenga d'occhio in parallelo il mercato illegale.

Far morire di paura per prevenire. Strategia efficace, oppure no?
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10 marzo 2016 4 10 /03 /marzo /2016 08:29
La Conquista delle Americhe -  Illustrazione di Theodor de Bry contenuta in “Breve relazione sulla distruzione delle Indie”.

La Conquista delle Americhe - Illustrazione di Theodor de Bry contenuta in “Breve relazione sulla distruzione delle Indie”.

“Costruivano forche in modo che i piedi sfiorassero appena la terra… e poi bruciavano vivi gli Indiani.”

Dal trattato "Breve Relazione sulla distruzione delle Indie

Si rimane stupefatti di fronte a certe prese di posizione.

L’altro giorno, uno (di cui non farò il nome), interpellato se avrebbe partecipato ad una certa gara podistica (di cui non dirò le coordinate), mi ha detto, accompagnando il suo dire con una mimica adeguata (che poi - rispetto alle parole - è davvero tutto): “No, non ci vado perché c’è brutta gente...”. E poi ha aggiunto: “E poi nella mia posizione non sarebbe opportuno...” [alludendo al suo ruolo di neo-collaboratore di un’altra parrocchia].

Francamente, sono rimasto trasecolato.

Ho replicato: “Ma il posto dove è organizzata questa gara è bello e mi piace andarci...”.

E lui: “Anche a me piace. Ma ci può pur sempre andare quando non c’é la gara in questione...

Fine del colloquio estemporaneo.

Secondo l'opinione del mio interlocutore, il gruppo rivale è dunque fatto di “gente brutta”... ma cosa vorrà poi dire quest’espressione? Che sono imbroglioni, truffatori, privi del benché minimo fair play, selvaggi, scortesi, incivili tagliatori di teste etc etc.?

Oppure, semplicemente, che non essendo parte di un gruppo sono automaticamente “nemici”?

Secondo punto emergente: se un evento è organizzato (o frequentato) da "gente brutta", non ci si va. Perché automaticamente chi definisce l’altro gruppo costituito da gente brutta si sente di appartenere automaticamente al gruppo della “bella” gente, dei “giusti”, degli “Umani”.

In definitiva, si tratta della permanenza (o del riaffiorare) di un tribale senso di appartenenza: “noi” siamo dalla parte del giusto, “noi” siamo la bella gente, "Noi, siamo OK".

Disgustoso... Tzevan Todorov ha scritto tanto su questo argomento: spiegando, alla luce di questi concetti, come furono possibili (e sono tuttora) efferati genocidi e sterminii di massa.

Se soltanto si ha un pizzico di intelligenza non è possibile accettare simili categorizzazioni.

Ma, dalle nostre parti, è così che va il Mondo.

C’è, per esempio, un altro organizzatore di eventi sportivi (nonché presidente di club sportivo) che ragiona esattamente in questo modo, stabilendo che ci sono delle gare organizzate da gruppi “ostili” a cui i suoi affiliati non debbono andare e, a questo scopo, facendo con loro dei “porta a porta” dissuasivi (se non addirittura rimborsando di tasca propria quote d’iscrizione già pagate).

Analoghe esperienze ho vissuto io stesso, anni fa, sul posto di lavoro, dove avendo io rifiutato di appartenere ad una sorta di “gruppo” (una specie di associazione di categoria con finalità formative e di approfondimenti tematici, ma di fatto con nemmeno tanto velate funzioni di “sindacato giallo”), e muovendomi io autonomamente, mi si mettevano di continuo i bastoni tra le ruote, si ostacolavano le mie iniziative perché non ero “amico” e, ancor peggio, nemmeno “amico degli amici”.

Con questa mentalità tribale, ancora adesso - nel XXI secolo - siamo continuamente chiamati a schierarci da una parte o dall'altra, con mezzucci odiosi e talvolta con trucchetti di bassa lega, giochi di parole, allusioni ed altri mezzi linguistici che tendono sempre a squalificare chi viene definito “diverso” da noi: e quale migliore espressione per compiere quest’azione diffatoria chiamando gli Altri “brutta gente”, espressione che implica anche un giudizio morale fortemente squalificante?

Siamo qui al cospetto del meccanismo basilare dei fondamentalismi (che non sono soltanto quelli religiosi), bensì propri di tutte le attitudini di pensiero che escludono i relativismi e i meticciati culturali, imponendo appartenenze e categorizzazioni ben definite, senza possibilità di mescolamenti e ri-mescolamenti continui.

Io mi oppongo a questo schema di pensiero e mi ci opporrò sempre con tutte le mie forze.

Voglio poter mantenere la mia libertà di pensiero e di scelta, anche se questo intento ha sicuramente un costo.
Voler mantenere questa libertà senza accettare ordini di scuderia o velate indicazioni potrebbe implicare l’ostracismo e il fatto di ritrovarsi solo, al di fuori dalla dimensione corroborante dell’appartenenza.

Il mio avo (il patriota e statista Francesco Crispi) ad un giornalista che lo intervistava e che voleva sapere qualcosa di lui disse semplicemente: “Io sono Francesco Crispi”.

Analogamente, in tutte le circostanze, io vorrò poter dire di me: “Io sono Maurizio Crispi”, senza lasciar mai definire la mia identità dall'appartenenza ad un gruppo e dall'essere parte del gregge.

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3 marzo 2016 4 03 /03 /marzo /2016 07:32
Di fronte all'infinito e all'indistinto

(Maurizio Crispi) Ci sono delle immagini che tu vuoi fotografare perché ti rimandano prepotentemente ad altre rappresentazioni (a loro volte derivanti da opere d'arte) depositate nei sedimenti della memoria.
In questo caso, non appena ho visto questa figura stagliarsi in lontananza contro lo sfondo marezzato del mare agitato dal vento che si andava facendo sempre più incalzante non ho potuto non pensare al famoso dipinto del pittore romantico tedesco Caspar David Friedrich e alla citatissima sua opera "Il viandante sul mare di nebbia".

Caspar David Friedrich, Il viandante sul mare di nebbia, 1818L'uomo da me avvistato è quasi nella stessa posa meditativa, e qui con una mano si puntella alla coscia destra, mentre lì (nel celebre dipinto) la mano del viandante regge un bastone da passeggio o un alpenstock.
Entrambi sembrano essersi fermati nel loro incedere di fronte ad una distesa che è - in entrambi i casi - un mare (liquida distesa o coltre di nebbia, fa lo stesso) che rappresenta un indubbio rimando all'infinito e sembrano rimanere titubanti e stupefatti di fronte all'immensità di questa distesa (dove, nel caso dell'acqua, lo sguardo si perde in lontananza, attratto dai confini incerti dell'orizzonte, mentre nel caso della coltre di nubi il mistero è in ciò che non si può vedere): e questa distesa rimanda alla meraviglia dell'incompiuto e di ciò che si cela al di là del limite sino a cui entrambi i viandanti hanno potuto camminare ancora al sicuro. Oltre vi è l'ignoto che, pur ominoso esercita una potente attrazione e, laddove si rimanga al di qua limite, attiva un potente e struggente sentimento di nostalgia.
Al di là della solida roccia su cui poggiano i piedi, si distende davanti ad entrambi - al camminatore e al viandante solitario - l'infinito con il suo fascino ma soprattutto con le sue incertezze. E il punto sino a cui i due uomini, camminatore solitario e viandante, sono giunti rappresenta a tutti gli effetti, più che un limite, una soglia: sta a ciascuno di loro, decidere se proseguire oltre (almeno tentarci), oppure fermarsi e rimanere solo con la nostalgia del non tentato.

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18 febbraio 2016 4 18 /02 /febbraio /2016 23:39
Non urinate e non fate urinare su quei vasi!

(Maurizio Crispi) La lotta tra padroni di cani e cittadini senza cani è costellata di mille episodi in cui i cittadini senza cani fanno la parte dei moralizzatori, considerando le deiezioni canine dei fenomeni esecrabili da combattere in ogni modo.
Di recente mi sono imbattuto in un cartello che stampato al computer cameggiava su di un grosso vaso ornamentale, posto assieme al suo gemello ai due lati dell'ingresso d'un esercizio commerciale di Capo d'Orlando.

Cosa dice il cartello, redatto con i toni di una perentoria diffida?

Eccone il testo: "Avviso ai padroni dei cani. Si prega di non far urinare i propri cani sui vasi circostanti nel rispetto della buona educazione e igene [con la "i" - quest'ultima chiosa vergata a mano]".
Il più delle volte questi avvisi sortiscono un dirompente effetto esilarante e l'effetto a cui darei più spontaneamente corso sarebbe quello di essere io stesso a contravvenire all'esortazione.
Tanto più comico questo invito, in quanto l'intolleranza è indirizzata al piscio canino, con quell'invito perentorio a non fare mingere i cani "sui vasi circostanti".
Invito pleonastico poiché, se mai ciò accade, i cani potrebbero urinare nelle vicinanze dei vasi con piante ornamentali e mai su di essi. Per farlo, attenendosi semanticamente all'uso della preposizione "su" e varianti, i cani dovrebbero salire sui vasi stessi (almeno per com'era scritto, io mi sono prefiguarato torme di cani che zompano sui vasi per pisciare su e dentro di essi, facendoli diventare a tutti gli effetti dei corpi recettori fognari.
Cosa impensabile, del resto, perché i vasi in oggetto sono alti circa un metro.
Forse, considerando l'abitudine dei cani maschi di marcare il territorio sarebbe stato più appropriato dire "addosso" per non ingenerare confusione.
Qualche buon samaritano, inoltre, ha ritenuto opportuno la "I" che mancava all'appello nella parola "Igiene" posta a conclusione del perentorio invito che suona anche come una rampogna da chi si sente vilipeso e offeso da quegli innocenti schizzi di urina.
Inoltre, esiste anche la possibilità che vi siano cani randagi in giro e come la mettiamo con loro, senza padroni a condurli diligentemente al guinzaglio?
I cani sono attirati a lasciare la propia urina -anche poche gocce soltanto - laddove vi siano tracce olfattive di precedenti passaggi.
E, quindi, è inevitabile che i cani di casa a passeggio, anche quelli animati dalle migliori intenzioni e - per così dire - civilizzati, trovandosi di passaggio, non possano resistere a quell'ineffabile istinto che li spinge a spargere in giro gocce del proprio piscio, ma mai in modo casuale e piuttosto sempre in maniera mirtata (le potremmo chiamare le loro - a somiglianza delle bombe intelliggenti - pisciate intelliggenti), dove hanno il sentore di precedenti passaggi canini, in modo tale da tessere con quegli ora invisibili interlocutori (tuttavia olfattivamente presenti) un muto dialogo.
"Anche io sono passato da qua!"
"Quando domani tu ripasserai da questo sito, potrai leggere la traccia del mio recente passaggio".
"Non ci siamo incontrati di persona ancora, ma ti sto lasciando tutte le informazioni necessarie su di me, così la prossima volta potrai riconoscermi".
I cani - è risaputo - vivono delle propie puzze e dei propri odori, ma anche noi umani che siano fatti dalla stessa matrice e che abbiamo ricevuto un analogo imprinting nel corso dei millenni, abbiamo tuttavia perso le nostre capacità olfattive e l'abilità di utilizzare gli odori e gli effluvi corporei come linguaggio e come strumento di comunicazione.
La civilizzazione è passata attraverso l'archiviazione degli odori corporei, che sono stati rubricati come disdicevoli, grazie all'introduzione da parte della nascente industria cosmetica dei profumi, delle lavande, delle lozioni che, inizialmente nati e usati a profusione per occultare le puzze e l'immondo fetore della sporcizia di cropi e di panni di rado lavati, hanno finito per diventare emblema della nostra raffinatezza o per essere usati come strumento di seduzione.
E ciò ha messo tra parentesi prima e poi fatto cadere nell'oblio la nostra natura essenzialmente animalesca.
Quindi,per rispondere all'estensore dell'avviso, purtroppo - io credo - non si possa far nulla per evitare quegli incresciosi episodi, salvo a bandire del tutto i cani dai centri storici e dalle zone abitate.
E che dire dei gatti randagi che lasciano le loro tracce di pipì cariche di ormoni e delle deiezioni (cacate?) degli uccelli - specie piccioni, ma oggi anche gabbiani - che oggi spesso e volentieri piovono dall'alto dei nostri cieli metropolitani?
Non abbiamo scampo da tutto questo salvo a volere procedere con tagli di forbici e colpi di penna per abolire del tutto il mondo naturale e vivere in una dimensione asettica di plastica, senza odori molesti.
Ma ricorderei anche che senza gli odori molesti in sottofondo non potremmo godere dei buoni odori, di quelli che ci fanno andare in solluchero o quelli che ci fanno andare in visibilio perché evocano in noi celestiali visioni o attivano desideri.

Un'ultima cosa: il titolo che è venuto fuori a posteriori mi è sembrato molto divertente, perché mi ha fatto pensare agli slogan elettorali d'un tempo urlati attraverso un megafono da una scassata Seicento (o vetture similari) che andava in giro per le strade delle città o delle campagna invitando a votare questo o quel candidato, sulla base del fatto che, in un'epoca ancora di dominante illitterazione, la ripetizione vocale ossessiva avrebbe finito con il piantare come chiodi quei nomi nei cervi degli elettori più spprovveduti.

Votate e fate votare Casimiro Catorcio!

Ma qui - per assonanza  e associativamente - sconfiniamo un altro tema che, eventualmente, potrà essere oggetto di un nuovo post.

Non urinate e non fate urinare su quei vasi!
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Come sono arrivato qui

DSC04695.jpegQuesta pagina è la nuova casa di due blog che alimentavo separatamente. E che erano rispettivamente: Frammenti. Appunti e pensieri sparsi da un diario di bordo e Pensieri sparsi. Riflessioni su temi vari, racconti e piccoli testi senza pretese.

Era diventato davvero troppo dispendioso in termini di tempi richiesti alimentarli entrambi, anche perchè nati per caso, mentre armeggiavo - ancora alle prime armi - per creare un blog, me li ero ritrovati ambedue, benchè la mia idea originaria fosse stata quella di averne uno solo. Infatti, non a caso, le loro intestazioni erano abbastanza simili: creatone uno - non ricordo quale dei due per primo - lo ho "perso" (per quanto strano ciò possa sembrare) e mi diedi alacremente da fare per ricrearne uno nuovo. Qualche tempo - nel frattempo ero divenuto più bravino - il blog perso me lo ritrovai).

Ohibò! - dissi a me stesso - E ora cosa ne faccio?

La risposta più logica sarebbe stata: Disattiviamolo!. E invece...

Mi dissi: li tengo tutti e due. E così feci. E' stato bello finchè è durato...

Ma giocare su due tavoli - e sempre con la stessa effcienza - è molto complicato, ancora di più quando i tavoli diventano tre e poi quattro e via discorrendo....

Con overblog ho trovato una "casa" che mi sembra sicuramente più soddisfacente e così, dopo molte esitazioni, mi sono deciso a fare il grande passo del trasloco, non senza un certo dispiacere, perchè il cambiamento induce sempre un po' di malinconia e qualche nostalgia.

E quindi ora eccomi qua.

E quello che ho fatto - ciò mi consola molto - rimane là e chiunque se ha la curiosità può andare a dargli un'occhiata.

 

Seguendo il link potete leggere il mio curriculum.

 

 


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