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25 agosto 2018 6 25 /08 /agosto /2018 09:48
Fire Squad. Incubo di Fuoco (Only the Brave), USA, 2017

Nessuno come gli Americani riesce a realizzare degli ottimi film per celebrare personaggi eroici o "eroi" della vita quotidiana, cioè coloro che hanno puntato alto per realizzare il proprio sogno.
Sono ben pochi i cineasti europei che riescono a realizzare simili film, non vuotamente celebrativi, che rendono omaggio a persone che si sono distinte nel proprio campo specifico, sino al punto di dare la propria vita per una causa in cui credevano fermamente oppure per portare fino in fondo il proprio dovere oppure semplicemente colti da circostanze avverse nello svolgimento dei propri compiti.
Ovviamente questo è solo uno dei filoni del cinema USA, poichè qui i cineasti sono in genere maestri nell'affabulazione e nella trasposizione cinematografica di fatti realmente accaduti.
Gli esempi di "cinema degli eroi" nella cinematografia USA sono infiniti, basti pensare - per fare un paio di esempi - al film che racconta le vicende dei Vigili del Fuoco intrappolati tra le macerie dopo il crollo della seconda delle due Torri gemelle, oppure a quello che narra la storia vera di tre commilitoni che, congedatisi dall'esercito dopo il loro servizio in uno dei recenti scenari di guerra medio-orientali, trovandosi a compiere un viaggio di svago in Europa, si trovano a sventare un attentato terroristico su di un treno a lunga percorrenza sul quale si trovavano a viaggiare.

Questo "Fire Squad. Incubo  di Fuoco" (titolo originale: Only the Brave), uscito nel 2017 per la regia di Joseph Kosinsky, racconta la storia vera dei Granite Mountain Hotshots, la prima squadra anticendi boschivi di un corpo di Vigili del Fuoco municipali dell'omonima cittadina, promossi al rango di "hotshot", cioè di quegli addetti altamenti specializzati che vanno a lottare sul campo direttamente contro il fronte degli incendi boschivi, eventualmente con l'utilizzo della tecnica dei "controfuochi".
Il film racconta senza inutili retoriche la loro storia, dalla costituzione della squadra, attraverso la loro quotidiana attività, sino al tragico epilogo dovuto alla concomitanza di circostanze avverse, non certamente alla loro temerarietà o ad una qualche loro negligenza, nello scenario dell'incendio boschivo di Yarnell Hill. Della squadra di  20 valenti spegnitori, sopravvisse soltanto uno (per circostanze fortuite) e questo sopravvissuto, Brendan McDonough di 21 anni, diventerà l'infaticabile custode della loro memoria e di un mausoleo arboreo che diviene il luogo della rimembranza e del pellegrinaggio dei familiari.
Il film, come tutti quelli tratti da storie vere, si conclude con una rassegna fotografica dei personaggi veri: e ciò serve a radicare ancora di più il fim nella realtà e renderlo uno strumento di omaggio "alla memoria".

Un tempo, nella cinematografia, venivano celebrati con esempi di "cinema-verità" gli eroi di guerra (anche se con luci ed ombre): si veda ad esempio il problematico esempio del film di Clint Eastwood, sul vero ruolo del manipolo di soldati che piantarono la bandeira USA su di un colle di Iwo Jima.
Soprattutto, al giorno d'oggi, quando in molti luoghi (troppi) si combattono delle guerre bastarde, non possono più esserci eroi da celebrare in cui tutti si possano identificare, proprio perchè i soldati inviati a combattere in questi scenari di guerrre liquide, non combattono più per una causa giusta, per quanto insensata, come si poteva pensare al tempo della II Guerra Mondiale.
Non ci sono più eroi nelle guerre moderne, ma solo "bastardi senza gloria" che si trovano a combattere, a uccidere e ad essere uccisi, solo per futili motivi, oppure per menzogne coe sono state proprinate loro, oppure ancora per la paga che ricevono), per citare il titolo di un film di Quentin Tarantino.
Ed ecco la necessità di celebrare gli eroi della vita quotidiana, esempi di dedizione e di aderenza al proprio impegno sino alle più estreme conseguenze.

 

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10 luglio 2018 2 10 /07 /luglio /2018 09:33
Panchine vuote, panchine abitate e panchine in compagnia

Le panchine vuote e le panchine abitate sono ai due poli di un'intera gamma di possibilità.

A volte sono semplicemente vuote, come in attesa.

A volte sono occupate da uccelli che vengono a becchettare le briciole lasciati dalle merende di precedenti passaggi umani.

A volte attorno a certe panchine ci sono delle tracce che indicano il passaggio di un precedente ospite, come una bottigla di birra vuota, oppure i resti di una sigaretta fumata senza fretta.

Altre volte i loro ospiti sono extracomunitari alla ricerca di riposo, di frescura e il più delle volte in solitudine, come se fossero in attesa di qualcosa che per loro non arriva quasi mai.

Oppure, vi si possono scorgere ospiti dormienti, accasciati, abbandonati, ignari di tutto ciò che è loro attorno, come se lo stare sulla panchina li ponesse in una dimensione extratemporale ed extraspaziale, quasi in una bolla sospesa, che per loro - dormienti e sognanti - può diventare una sorta di treno dei desideri che li conduce ai luoghi da cui sono partiti e che consente loro di ricomporrre affetti spezzati.

Poi ci sono le panchine occupate da chi se ne sta in solituddine ad osservare e ad ascoltare altri che sono, invece, in gruppo e festosi.

E poi ci sono quelle in cui si accomodano per brevi istanti coppie solitarie, anziani assieme da una vita, che se ne stanno in silenzio, vicini uno all'altro, muti, ma intenti in quella che sembra essere una silenziosa conversazione, intensa e vibrante.

Queste ultime sono le panchine che preferisco, e invece molte di quelle che ho descritto mi mettono malinconia.

Ma in ogni caso le panchine, anche attraverso le assenze e il vuoto, sono capaci di raccontare delle storie.

Tutte le foto sono di Maurizio Crispi
Tutte le foto sono di Maurizio Crispi
Tutte le foto sono di Maurizio Crispi
Tutte le foto sono di Maurizio Crispi
Tutte le foto sono di Maurizio Crispi

Tutte le foto sono di Maurizio Crispi

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9 luglio 2018 1 09 /07 /luglio /2018 07:41
Tracce. Quelle dei Cristiani vastasi sono fatte di monnezza

Un cartello è stato esposto a Mondello (la nota e frequentata spiaggia di Palermo), nei pressi de "L'ombelico del Mondo": vuole rappresentare una piccola "storia" targata WWF contro i "Cristiani vastasi" che insozzano ed inquinano, e offrire lo spunto per una meditazione sostanzialmente malinconica.
Le tracce dei "Cristiani", nel senso lato di "human being", maleducati e incuranti, sono purtroppo fatte di monnezza... Sembra non esserci scampo a questo male anche da parte di coloro che si commuovono davanti alle specie in pericolo di estinzione e che ne contemplano la bellezza.

Bisognerebbe, invece, imparare a fare ciascuno la propria parte. Invece di aspettarsi che un servizio comunale provveda alle pulizie (il che che ci lascia un implicito lasciapassare a lasciare sporcizia al nostro passaggio, una sorta di giustificazione morale), bisognerebbe esercitarsi quotidianamente negli elementari doveri civici.

Pensate: se ciascuno di noi, ogni giorno, si chinasse a raccattare da terra una bottiglia di vetro abbandonata, un pezzo di carta, un giornale appollottolato (o qualsiasi altra cosa), le nostre città sarebbero più pulite.

In fondo siamo direttamente responsabili dell'incuria e dell'abbandono: dovremmo imparare che tutto ciò ci riguarda e cha siamo noi personalmente ad avere la possibilità di fare pendere l'ago della bilancia verso un mondo più pulito e sostenibile.

Io, personalmente, mi sforzo di farlo: così come raccatto da terra la cacca del mio cane, così , con un minimo sforzo, durante le mie uscite quotidiane a piedi non manco di raccogliere la monnezza da terra. E per fortuna i cestini della spazzatura non mancano e in questo periodo vengono svuotati abbastanza sollecitamente.

Dobbiamo invertire la tendenza e tornare ad una società in cui ciascuno si senta personalmente responsabile della tutela del bene comune.

Anche qualcun'altro ha scritto di questa locandina: brevi considerazioni con il titolo "Noi Palermitani".

Ecco di seguito il link

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29 aprile 2018 7 29 /04 /aprile /2018 09:33
Prugna, per gli amici Secca, il bassotto a ruote di Rita Butrico (PA)

Oggi ho visto per la prima volta un cane a ruote andare a passeggio con la sua padrona.

Era un simpatico bassottino e aveva le zampe posteriori imbracate in uno speciale supporto, fornito di rotelle.

Il bassottino camminava spedito e arzillo.

Ho scoperto pochi giorni dopo che il bassottino ha cinque anni e che il suo problema consistente in una paresi e in una perdita di sensibilità dipende da un'ernia discale.

La sua padrona Rita (che tra l'altro si occupa disabili( mi ha detto che il suo nome è Prugna, che poi per gli amici diventa "Secca".

Questo tipo di ausilio che può essere utilizzato anche per le zampe anteriori viene costruito appositamente, cane per cane, poichè deve potersi adattare perfettamente alle caratteristiche del cane e alle dimensioni (peso e altezza da terra)

Quella delle ruote da applicare mediante apposita imbracatura al treno anteriore o posteriore del cane è una soluzione splendida per risolvere i problemi motori o articolari dei nostri amici a quattro zampe e per dar loro la possiblità di continuare a fare le loro passeggiate (o il loro lavoro) in autonomia, senza doversi trascinare penosamente.

In passato queste soluzioni "tecniche" non erano così facilmente disponibili e uno, solo se dotato di ingegno sufficente, se le doveva inventare.

Ma oggi è certamente più facile consentire ai nostri amici di vivere in felicità, anche quando le difficoltà neuromotorie che si manifestano in loro decreterebbero anzitempo - in natura - la loro fine.

A pensarci bene i "cani a ruote" sono degli animali disabili (ovvero portatori di handicap della propria motilità) o devono imparare, grazie ai marchingegni che gli uomini forniscono loro, ad essere dei "diversabili", come oggi si dice più correttamente.

Quando parliamo di barriere architettoniche, riflettiamo su questo punto: l'abbattimento di tutti gli ostacoli è per tutti, anche per i nostri amici animali.

Come diceva mio fratello Salvatore Crispi tutti i cittadini (non solo chi è disabile dalla nascita) possono trarre vantaggio dal fatto di vivere in un contesto "normale", senza barriere architettoniche in cui disabili con difficoltà motorie, anziani con ridotta capacità deambulatoria, future mamme (o mamme con passeggino) e cani con difficoltà neuromotorie, non vedenti e non udenti, ma proprio tutti, possano muoversi a proprio agio senza ostacoli e senza rischi.

La foto di Prugna è di Rita Butrico.

Il cane a ruote: anche per gli amici cani diversabili bisogna abbattere le barriere architettoniche
Il cane a ruote: anche per gli amici cani diversabili bisogna abbattere le barriere architettoniche
Il cane a ruote: anche per gli amici cani diversabili bisogna abbattere le barriere architettoniche
Il cane a ruote: anche per gli amici cani diversabili bisogna abbattere le barriere architettoniche
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9 marzo 2018 5 09 /03 /marzo /2018 11:41
Pinguini

Un tempo Villa Sperlinga, il piccolo parco cittadino di Palermo a pochi passi da casa mia, era il mio dominio incontrastato per le le passeggiate mattutine con il mio cane.
Di mattina presto (bei tempi!), c'ero soltanto io e scorrazzavo in lungo e in largo, correvo, saltavo, gioiovo e mi fermavo persino a fare ginnastica sulle panchine di pietra. Qualche volta arrivava la mia amica Sofia e scambiavamo quattro chiacchiere serene e poi ciascuno proseguiva per la sua strada.
Poi, da un giorno all'altro, è arrivato un branco di pinguini che ha colonizzato la Villa, proprio in quella fascia oraria e ne ha preso quasi esclusivo possesso.
I pinguini di Villa Sperlinga, ebbene sì!
Si muovono a piccoli passi dondolanti, con i piedi sporti di lato a papera, e tengono saldamente il controllo del centro della villa sicché non è più possibile seguire delle traiettorie libere in giro per il giardino...
Non ci si puà avvicinare alla tribù dei pinguini, poichè - come per incantesimo - ci si troverebbe ad essere immediatamente trasformati in pinguini che ciondolano e dondolano, attorniati da un piccolo manipolo di canpinguini che lì seguono in questi piccoli e goffi spostamenti, seguiti da fasi di totale immobilità.
La tribù dei pinguini è ovviamente guidata da un capotribù, la cui livrea nera è sormontata da una cresta di fitto piumaggio bianco...
Un pinguino insolito, ma tant'é.
Il capo pinguino dispensa ai canpinguini che lo attorniano cibo e premi di cui è sempre riccamente fornito
Oltre ai canpinguinim ci sono molti canpinguini fantasma ... essi appartengono al regno dell'invisibile, ma se si fa attenzione si potrà scorgere l'aria tremare lievemente al loro passaggio, come quando la calura estiva che promana dal suolo rende indistinti i contorni di ciò che si trova nella distanza.
Ogni mattina, dunque, percorro il perimetro della Villa e posso soltanto contemplare in distanza la pinguinesca tribù i cui componenti come tanti soldatini si muovono tutti all'unisono, come un manipolo di buffi soldatini...
Poi, al termine delle loro pinguinesce evoluzioni si ritirano con lento piede sino ad un vicino luogo di ristoro, dove hanno una loro esclusiva mangiatoia e, quindi, sino al mattino successivo, scompaiono...
Presenti all'appello, fanno adunanza sono con qualsiasi tempo, in ogni stagione... per loro la Villa Sperlinga è tutto.
Mi chiedo se un giorno potrò scorrazzare nuovamente in assoluta libertà nello spazio aperto della villa, soprattutto percorrendola nelle sue diagonali. Mi sovvengo a pensare con nostalgia a quella libertà di vagare che ora mi è stata sottratta.
Per adesso quegli spazi mi sono preclusi: per quanto riguarda me, non ho alcun desiderio di trasformarmi anch'io in un pinguinesco pinguino.
Ma sono pessimista: credo che per me l'età d'oro di Villa Sperlinga non tornerà più.

Nella caligine del primo mattino
ho visto pinguini felici
muoversi in branco
nella iridescenza violetta della plumbagine in fiore

(luglio 2018)

I pinguini sono sempre lì, ogni santo giorno, anche ad Agosto

Anche nel Solleone

Amo i pinguini di Villa Sperlinga

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11 gennaio 2018 4 11 /01 /gennaio /2018 08:27
Maria Attanasio, Dall'Atlante agli Appennini, Orecchio Acerbo, 2008 (con le illustrazioni di Francesco Chiacchio)

Dall'Atlante agli Appennini (di Maria Attanasio, con le splendide illustrazioni di Francesco Chiacchio), pubblicato nel 2008, è una storia della modernità, nel senso che ha come protagonista il giovanissimo Youssef che, lasciando il piccolo villaggio in cui è nato sui monti dell'Atlante, intraprende un viaggio della speranza - lungo, avventuroso, pieno di incognite e di inceppi - verso l'Italia del Nord per ricongiungersi con la madre lontana dalla quale da tempo non ha più ricevuto notizie.

Il titolo del racconto riecheggia il celebre racconto di Edmondo De Amicis, Dagli Appennini alle Ande, il racconto mensile di Maggio, contenuto nel libro Cuore (pubblicato per la prima volta nella sua interezza nel 1886): diversi sono i luoghi di partenza e di arrivo; diversa l'epoca; diversi i nomi dei personaggi. Ma in fondo il succo della storia è il medesimo.

Ed è anche una storia "edificante" nel senso deamicisiano, in quanto dovrebbe aiutarci a riflettere e far riflettere che, in fondo, nulla è cambiato dai tempi in cui De Amicis ambientava le sue storie, cioè quelli dell'Italia post-risorgimentale.
Allora, negli anni intermedi tra l'Unità d'Italia e l'inizio del Novecento (e forse anche dopo) erano gli Italiani ad andare via alla ricerca di una vita migliore, imbarcandosi sui bastimenti e talvolta sottoponendosi a procedure ne a situazioni di sfruttamento simili a quelle dei moderni migranti.
Questo libro è utile perchè può aiutare a risvegliare coscienze sopite e puà serivre a riesumare antiche memorie di quando eravamo noi, italiani ed europei, ad essere migranti con il nostro carico di speranze e di sogni di una vita migliore.
E' un libro sul presente, sulla diversità e l'emarginazione che chiedono di essere integrate, ma anche per la memoria, oltre che di ferma denuncia nei confronti di chi, senza cuore - ora come nel nostro passato lontano - sfuttta i migranti.

Sicuramente, per il suo elevato potenziale educativo, questo volume andrebbe fatto leggere nelle scuole (cosa che, in effetti, viene fatta, poichè è stato pubblicato da Orecchio Acerbo che si occupa di editoria scolastica), ma soprattutto a taluni dei nostri politici (o meglio gli pseudo-politici) che presumono di sapere molto, ma che in realtà sono ignoranti e digiuni di cultura e di conoscenza della storia (oppure se sanno mentono o fanno finta di non sapere o di non conoscere le lezioni della Storia).

(nota editoriale nel risguardo di copertina) Un ragazzino, poco più di un bambino. La madre lontana, a lavorare in un paese straniero. Qualche saluto dai parenti di ritorno, poche lettere, poi neppure più quelle. E poi la decisione di imbarcarsi per andare a cercarla in quel paese lontano. La fame, il freddo, la paura. Per giungere però, col fiato sospeso, all'atteso lieto fine. Titolo, trama, personaggi, tutto è esplicito e diretto riferimento a Dagli Appennini alle Ande. Ma Marco è diventato Youssef, il suo paese non è ai piedi dell'Appennino ligure ma dell'Atlante marocchino, l'Eldorado non si chiama Argentina ma Italia. Da una delle più interessanti scrittrici siciliane dei nostri giorni, la trasposizione contemporanea di uno dei più noti racconti di Edmondo De Amicis. Romanzo d'avventura e al tempo stesso lirica e dolente partecipazione sia alle sventure dell'emigrazione, sia al dramma della separazione di madre e figlio, Dall'Atlante agli Appennini è anche ferma e radicale denuncia di chi tutto questo sfrutta. Senza Cuore. Alla sua quarta ristampa, una nuova edizione del nostro libro più adottato nelle scuole.

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2 gennaio 2018 2 02 /01 /gennaio /2018 08:43
Emilio Salgari, Le Meraviglie del Duemila

Quando ero piccolo (ad occhio e croce prima dei miei dieci anni e negli anni immediatamente successivi) mi capitava spesso di chiedermi e di chiedere come sarebbe stato il mondo al passaggio del secolo e dopo.
Spesso conversavo di questo con mio fratello, di due anni più grandi di me.
Gli dicevo, tra le altre cose: "Non vedo l'ora che arrivi quel momento".
Eravamo del resto nel dopoguerra, un periodo di grandi attese, di ricostruzioni, di speranze illimitate in un futuro migliore e di straordinari progressi tecnologici.
Tutto lasciava intendere che il XXI secolo che ci attendeva sarebbe stato straordinario e ricco di promesse.
Ma, a distanza di anni, ora che ci avviciniamo velocemente alla fine del primo quinto del XXI secolo devo dire che quelli erano sogni ingenui. Nulla di quanto atteso si è verificato. E' rimasto tutto bloccato.
Il periodo più lungo di pace nella storia dell'uomo: una menzogna.
La libertà e la tutela dei diritti: un'altra menzogna, poichè viviamo in regimi dittatoriali mascherati da democrazia e di paternalismo.
Il progresso tecnologico si è fermato. Non si è verificato il sogno di un benessere universale.
Semmai è cresciuta a dismisura la ricchezza di una minima percentuale della popolazione del globo, a scapito di un progressivo impoverimento delle grandi masse.
Ci sono sicuramente più fame e più povertà. E, insensibilmente, quelli che stavano bene e benino dal punto di vista economico, stanno sempre peggio e si avvicinano alla fascia di povertà, anche se nominalmente il loro reddito è ancora nella fascia media.
Da piccolo, imbevuto com'ero delle storie futuristiche di Verne e di alcuni trai i romanzi di Salgari (come Le Meraviglie del Duemila, considerato il romanzo capostitpite della proto-fantascienza italiana), ero sicuramente un ingenuotto,  come più tardi continuai ad esserlo perso tra i meandri della Science Fiction tecnologica e futuristica.
Oggi, forse ad ogni giro di boa dell'anno trascorso e nel passaggio al nuovo anno, già vecchio prima di nascere, non ci resta che piangere.
Nulla di nuovo sotto il sole, nessuna speranza.
Possiamo dire che, se ci siamo ancora, tanto basta.

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1 gennaio 2018 1 01 /01 /gennaio /2018 08:35
Botti di capodanno

La vigilia del nuovo anno è stata sempre tradizionalmente il momento dei botti e degli effetti pirotecnici. Botti, tonfi, spari, tuoni, girandole e castagnole, chi più ne ha, più ne metta. Attorno a quest'usanza ruota un'economia lecita di fabricanti e fornitori e, naturalmente, tutto un parallelo mercato illegale che è in grado di fare avere agli amanti del genere, specialità fuori dalle righe (si veda - a questo riguardo - il racconto bonariamente satirico di Stephen King, Fuochi d'artificio ubriachi, contenuto nell'Antologia Il Bazar dei brutti sogni, pubblicata nel 2017).
Usanza pericolosa che sovente si trasforma in orgia piroclastica, da sempre: in questa frenesia qualcuno ci lascia una mano, qualcun altro un occhio, qualcuno può anche morire o rimanere gravemente menomato o storpio.
Al passaggio dell'anno, dormivo saporitamente, quando - ad un tratto - ho cominciato a fare un sogno in cui pioveva a dirotto ed io dall'interno di una casa sentivo il rumore di secchiate d'acqua infrangersi sull'asfalto e di altri effetti sonori tambureggianti.

Un sogno fastidioso, ho pensato, mentre in contemporanea cominciavo a risvegliarmi e ad aprire gli occhi. Tuttavia, ancora nel dormiveglia, per un attimo, ho continuato a pensare che stesse piovendo.
Mi sono alzato, ho sbirciato fuori dalla finestra: niente pioggia.
Ma il rumore persisteva.
Con uno sprazzo di ritrovata lucidità ho capito allora che si trattava dei botti di fine anno, i tanto agognati e liberatori botti, di cui la mattina successiva, scendendo per strada si vedono le sacre reliquie (involucri colorati e quant'altro), oltre a sentire nell'aria un vago sentore di polvere pirica.
Mi sono rimesso a letto e mentre mi riaddormentavo, cullato dal persistere di tonfi, botti, gragnuole, picchiettare che solo dopo oltre venti minuti andarono a poco a poco a scemare (anche se questa coda di topo sonora era a tratti bruscamente interrotta da qualche ritardatario impenitente), pensai questo.
Visto che ormai - per motivi di sicurezza, timore di attentati ed altro - i botti privati saranno sempre più sorvegliati e regolamentati, se non addirittura vietati (mentre rimarranno solo quelli istituzionali, in grande stile), perchè non proporre un'inversione di tendenza e ritornare, anche in questo campo, per così dire al "bio", inaugurando la stagione del bio-botto, sicuramente biosostenibile e non troppo inquinante (a parte qualche blanda emissione di metano)?

 

Joseph Pujol, dit Le Petomane

Seguendo questo filone di pensiero, che ne direste dell'idea di ingaggiare a fine anno intere batterie di scorregiatori professionisti che possano allietare i consessi umani desiderosi di far festa con le loro trombe e trombette anali? Magari creando anche dei corpi di ballo di scorreggiatori/trici che si muovano e peteggino all'unisono, volteggiando e sgambettando, come le famose Rockettes del Radio City Music Hall di Manhattan (New York)? Oppure potremmo immaginare intere batterie di scorreggiatori collegati a canne d'organo, così da potere avere solenni concerti di fine d'anno oppure leziosi refrain ripetuti all'infinito, come nella deliziosa scena di Captain Underwear, in cui il Direttore d'orchestra comanda un'intero schieramento di spernacchiatori che, all'uopo, utilizzano speciali cuscini ad aria che viene spremuta fuori attraverso un sottile beccuccio medianti sapienti movimenti delle chiappe.
Potrebbe essere un'innovazione davvero interessante e, in questo modo, sarebbe anche assicurata la gioia di avere i botti tutto l'anno, poichè queste coorti di scorreggiatori dovranno pur allenarsi di tanto in tanto, magari non giornalmente (con quale gioia - e che puzza!), ma solo in occasione delle feste comandate. E, utilizando una tale bio-tecnica, oltre al botto, si potrebbe avere nel caso degli scorreggiatori più intraprendenti, anche la fiammata di sicuro effetto scenografico.
Si potrebbero indire, con l'occasione, delle gare di selezione tra gli aspiranti performer del peto di fine anno e si creerebbe così, nel corso del tempo, una nuova professione emergente per i più talentuosi. Ricordiamoci che Joseph Pujol, universalmente noto come il Petomane, fece del suo straordinario talento naturale un'arte vera e propria, ma anche una fonte di reddito non indifferente.


 

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24 dicembre 2017 7 24 /12 /dicembre /2017 18:36

Dov'è più la magia del Natale? A meno che uno non creda nell'avvento, in senso profondamente religioso, il significato della festa della Natività, con tutte le successive contaminazioni e la comparsa dell'iconico Babbo Natale (o Santa Klaus o San Nicola) si è attutito ed è stato divorato letteralmente da una spietata commercializzazione che lo hanno reso più che altro in un potlach, nel quale tutti si gettano in una vertiginosa contrapposizione di doni.
Ed anche il Natale come evento nel quale i nuclei familiari allargati si ritrovano assieme in un momento di scambievole affetto e di solidarietà si è attenuato.
Ci sono quelli che lo interpretano come una sorta di replica anticipata del Capodanno, sostituendo pazze feste che si protraggono sino alle prime luci dell'alba alla partecipazione della Messa di Mezzanotte, anche se, ovviamente, la fascia dei credenti rispetta questa tradizione, sostenuta da un forte convinzione e dall'attesa messianica che si concretizza un anno dopo l'altr, benchè il rispetto della tradizione e del suo forte simbolismo tenda ad affievolirsi, poichè è sempre più diffusa la tendenza ad anticiparne l'orario tra le 21.00 e le 22.00, per motivi di "praticità"..
Ci sono quelli che se ne vanno alla ricerca di luoghi esotici e per questi il Natale è più che un altro una scusa per elargirsi il regalo di un viaggio.
E ci sono quelli che vorrebbero mettere tra parentesi l'intero periodo delle festività natalizie (dalla festa dell'Ascensione all'Epifania) e farsi un lungo sonno letargico e autistico, via dalla pazza folla.
Come in tante altre cose, quando ero piccolo, al Natale ci credevo e ho continuato a volerci credere, per anni, nell'adultità. Questi molteplici significati per me si sono spenti, ora. Non alimento più dentro di me alcuna illusione, in merito.
E, semplicemente, cerco di ignorare questa frenesia che sembra prendere tutti in un'orgia di gioia finta o acriticamente data per scontata.
Il Natale come viene festeggiato oggi è più che altro un costrutto che si mantiene, soprattutto, in questa scala, per le esigenze del commercio e del business.
E che dire poi, a completare il quadro delle disillusioni, degli Alberi di Natale posti nelle pubbliche piazze dalle Amministrazioni comunali rubati o dei doni predisposti per i bambini degenti di un reparto di pediatria vilmente rubati nel cuore della notte? E' questo il Natale?
Oppure quello del furore dei botti allo scoccare della mezzanotte, quando ci scappano anche spari da vere armi da fuoco, con la conseguenza di incauti che hanno deciso di trascorrere gli ultimi minuti prima di mezzanotte e subito dopo seduti su di una panchina cittadina?
E' questo il Natale?
Sotto questo profilo quelli che credono nel "santo" Natale per motivi di fede sono, a mio avviso, dei privilegiati: per loro non c'è alcun velo di Maya che nasconde la vacuità e l'insulsaggine; poichè ciò che conta per essi è del Natale il senso profondamente religioso.
Ma forse, in maniera laica ma pur sempre rispettabile, bisognerebbe recuperare il senso del Natale come giro di boa del nostro ciclico, il momento in cui convergono - come ha insegnato Dickens nella sua celebre storia "A Christmas Carol", il passato, il presente e il futuro, quello in cui si possono stendere provvisori bilanci delle nostre esistenze.

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19 dicembre 2017 2 19 /12 /dicembre /2017 07:44
Barriere (foto di Maurizio Crispi)

(Maurizio Crispi) Certe cose, certi scorci, certi dettagli sono lì proprio per farsi fotografare.
Se hai la macchina in mano, ti viene naturale farlo.
Quasi che quel pezzo di realtà ti obbligasse a riprenderlo.
Perchè ciò accade?
Forse, perchè ha - in sé inscritta - una storia.
Una storia - o molte storie - che esistegià da prima oppure che si attiva nel momento dell'incontro tra quel pezzo di reale e il potenziale fotografo.
Infatti, se per caso non hai la macchina fotografica con te, registri quell'immagine nella tua mente e te la porti a casa.
Poi, sicuramente ne scriverai, raccontandoci su una storia.
Ognuno da quello stesso dettaglio (o anche può trattarsi di una veduta più ampia) può raccontare una diversa storia.
In ciò consiste il dinamismo dell'incontro che genera, variando i termini, racconti diversi e non sovrapponibili. E, ovviamente, le storie che le stesse immagini fotografate da operatori diversi divergono per via delle scelte di taglio scelte, per caso o per necessità, dal singolo fotografo. O per gusto personale.
Ma c'è da dire che il più delle volte il fotografo è condotto quasi da quel dettagli, volente o nolente, a decidere un certo taglio, perchè in quel modo lui (o lei) vede già una storia latente che grida per essere cantata.
L'avere la macchina fotografica in mano conferisce un potere, che è quello di poter generare storie, anche se senza l'uso delle parole, storie contenute in immagini di grande respiro oppure (ancora più intrigante, questo) in singoli dettagli, estrapolati da un contesto.

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Mi Presento

  • : Frammenti e pensieri sparsi
  • : Una raccolta di recensioni cinematografiche, di approfondimenti sulle letture fatte, note diaristiche e sogni, reportage e viaggi
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DSC04695.jpegQuesta pagina è la nuova casa di due blog che alimentavo separatamente. E che erano rispettivamente: Frammenti. Appunti e pensieri sparsi da un diario di bordo e Pensieri sparsi. Riflessioni su temi vari, racconti e piccoli testi senza pretese.

Era diventato davvero troppo dispendioso in termini di tempi richiesti alimentarli entrambi, anche perchè nati per caso, mentre armeggiavo - ancora alle prime armi - per creare un blog, me li ero ritrovati ambedue, benchè la mia idea originaria fosse stata quella di averne uno solo. Infatti, non a caso, le loro intestazioni erano abbastanza simili: creatone uno - non ricordo quale dei due per primo - lo ho "perso" (per quanto strano ciò possa sembrare) e mi diedi alacremente da fare per ricrearne uno nuovo. Qualche tempo - nel frattempo ero divenuto più bravino - il blog perso me lo ritrovai).

Ohibò! - dissi a me stesso - E ora cosa ne faccio?

La risposta più logica sarebbe stata: Disattiviamolo!. E invece...

Mi dissi: li tengo tutti e due. E così feci. E' stato bello finchè è durato...

Ma giocare su due tavoli - e sempre con la stessa effcienza - è molto complicato, ancora di più quando i tavoli diventano tre e poi quattro e via discorrendo....

Con overblog ho trovato una "casa" che mi sembra sicuramente più soddisfacente e così, dopo molte esitazioni, mi sono deciso a fare il grande passo del trasloco, non senza un certo dispiacere, perchè il cambiamento induce sempre un po' di malinconia e qualche nostalgia.

E quindi ora eccomi qua.

E quello che ho fatto - ciò mi consola molto - rimane là e chiunque se ha la curiosità può andare a dargli un'occhiata.

 

Seguendo il link potete leggere il mio curriculum.

 

 


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