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29 marzo 2016 2 29 /03 /marzo /2016 22:37
Quello storico viaggio in Cina
Quello storico viaggio in Cina
Quello storico viaggio in Cina
Quello storico viaggio in Cina
Quello storico viaggio in Cina
Quello storico viaggio in Cina
Quello storico viaggio in Cina
Quello storico viaggio in Cina
Quello storico viaggio in Cina
Quello storico viaggio in Cina
Quello storico viaggio in Cina
Quello storico viaggio in Cina
Quello storico viaggio in Cina
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Quello storico viaggio in Cina
Quello storico viaggio in Cina
Quello storico viaggio in Cina
Quello storico viaggio in Cina
Quello storico viaggio in Cina

Tra la fine di Marzo e l'inizio di Aprile 1979, quando da pochissimo erano state aperte le frontiere della Cina al turismo internazionale, una comitiva (una delle prime ad essere organizzata partì da Palermo alla volta della Cina. Della comitiva facevano parte la mamma, zio Aldo (il fratello della mamma) e zia Bice (la moglie di quest'ultimo), una loro amica che poi divenne anche amica di mamma, Mariuccia Sirchia e Gianliborio Mazzola (figlio di una collega di scuola della mamma). Forse faceva parte del gruppo anche il mio vecchio professore d'Italiano del Liceo, Sebastiano Bavetta, che a quel tempo doveva essere ormai anzianissimo.
Io e mio fratello convicemmo la mamma a partire: in fondo dalla morte di papà non era ancora mai partita e ci sembrava che l'occasione sarebbe stata davvero unica.
Ci riuscimmo alla fine, smontando molti dei suoi sensi di colpa a lasciarci soli e a fare una deroga a quelli che riteneva fossero dei doveri imprescindibili, specie dopo la morte di nostro padre.
Le dicemmo che ce la saremmo cavata: e lei, ovviamente, predispose tutto con molta puntualità, organizzando perfino - di concerto con la collaboratirce domestica di allora - il menu giornaliero, sicchè ci fosse la certezza inoppugnabile che non saremmo morti di fame.
Io, a quel tempo, avevo da poco concluso il mio servizio militare e vivevo ancora in una condizione di scarso impegno lavorativo e di attesa, con tantissimo tempo libero da occupare nei modi più diversi.
Fu una bella esperienza per la mamma (e per noi che la sera ci davamo ai bagordi organizzando cenettine con Gianfranco e gli altri cugini e loro amici.
Quel viaggio fu un viaggio da veri pioneri nella misteriosa Cina di Mao che, ancora non post-maoista, aveva aperto le porte all'Occidente ma soltanto a comitive guidate e controllabili, grazie all'impiego di guide ufficiali cinesi, affiancate sempre da un occhiuto uomo del regime che controllava strettamente la guida e ciò che diceva ai visitatori e quello che veniva detto loro nel corso di occasionale conversazioni (controllore di regime che aveva anche il compito di limitare il più possibile i contatti tra i viaggiatori e la popolazione locale)..
Visitarono Pechino, Shangai, Nanchino, forse andarono anche sulla Grande Muraglia.
Si fotografarono ripetutamente in classiche foto di gruppo nelle diverse Piazze del Popolo.
Andarono a visitare anche un ospedale di Shangai dove si operano pazienti con malattie tumorali utilizzando come metodo di anestesia l'agopuntura, e di questo furono meravigliati.
Ritornaro raccontando alla fine meraviglie di ciò che avevano visto.
E, per la mamma, questo viaggio rimase impresso come evento memorabile.
E furono davvero tra i primi ad essere in Cina: vero e proprio manipolo di precursori.
Ho trovato di recente un blocchetto di foto a colori (ma un po' sbiadite, quasi ad accrescere l'effetto nostalgia) relative a quel viaggio, mentre mettevo ordine in un cassetto, assieme ad altri ricordi di famiglia, non solo fotografici.

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6 febbraio 2016 6 06 /02 /febbraio /2016 15:46
Tatà mio compagno di transferte sportive

Dopo la morte della mamma, Tatà era sovente mio (o nostro) compagno di spostamenti a seguire le diverse gare in giro per la Sicilia.
Levatacce la mattina, partenza di buon ora.
Poi, lui con molta pazienza e tutto osservando con uno sguardo benevolo e non privo di un pizzico di ironia, aspettava che le sequenze sportive fossero finite.
A volte si intratteneva leggiucchiando il giornale, sistemato alla meno pegggio ad un tavolo traballante di bar.
E, finalmente, si arrivava al momento delle premiazioni: che di solito fotografavo più che altro per dovere, mai per piacere, e che spesso e volentieri diserto.
Era a questo punto che, il più delle volte, andavamo a mangiare un boccone.
Lui non era molto felice di questo, perché - spartano com'era - avrebbe preferito non mangiare del tutto.
Ma, pur brontolando, accettava la mia iniziativa per non scontentarmi.
E, d'altra parte, non mancava mai un bel bicchierozzo di vino che lo faceva stare contento e al quale non diceva mai di no.
E, a punteggiare la giornata, c'era di quando in quando, l'immancabile fumatina.
Quando tornavamo a casa, a fine giornata, non mancava mai di dirmi:"Grazie!".

E queste immagini vengono dalla partecipazione, in qualità di fotografo, al Cofano Trail 2015 (8 febbraio). Guardano ora queste immagini, chi l'avrebbe detto che di lì a poco più di quattro mesi, Tatà ci avrebbe lasciato?

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2 gennaio 2016 6 02 /01 /gennaio /2016 00:25
Capodanno con la neve Palermo, un anno fa: l'ultimo con Tatà
Capodanno con la neve Palermo, un anno fa: l'ultimo con Tatà
Capodanno con la neve Palermo, un anno fa: l'ultimo con Tatà
Capodanno con la neve Palermo, un anno fa: l'ultimo con Tatà
Capodanno con la neve Palermo, un anno fa: l'ultimo con Tatà
Capodanno con la neve Palermo, un anno fa: l'ultimo con Tatà
Capodanno con la neve Palermo, un anno fa: l'ultimo con Tatà
Capodanno con la neve Palermo, un anno fa: l'ultimo con Tatà
Capodanno con la neve Palermo, un anno fa: l'ultimo con Tatà
Capodanno con la neve Palermo, un anno fa: l'ultimo con Tatà
Capodanno con la neve Palermo, un anno fa: l'ultimo con Tatà
Capodanno con la neve Palermo, un anno fa: l'ultimo con Tatà
Capodanno con la neve Palermo, un anno fa: l'ultimo con Tatà
Capodanno con la neve Palermo, un anno fa: l'ultimo con Tatà

Esattamente un anno fa, alla vigilia di Capodanno, a Palermo, ha nevicato e faceva un freddo intenso (ma non troppo, se no non ci sarebbe stata la neve).
La città e i monti circostanti si sono ricoperti di una coltre bianca e il traffico è andato in tilt.
Molti che avevano prenotato, alla vigilia, veglioni in luogni attorno alla città, hanno dovuto rinunciare o sono rimasti bloccati in itinere perchè la maggior partede delle strade erano rimaste bloccate dalla neve.
Noi siamo andati tutti ad Altavilla dove la neve caduta di fresco ci ha regalato un'insolita cartolina.

Ce ne siamo stati chiusi in casa, godendo del tepore benefico che si sprigionava dal camino e dalla stufa a legna.

Andando via, abbiamo comprato dal pastore che alloggia in un casolare vicino, tuma e ricotta fresche, appena fatte (e c'eranoanche gli agnellini appena nati, ancora malfermi sulle gambe: una tenerezza!)

Tornati in città, la sera, siamo stati a casa, la sera, avvolti da coltri di indumenti per contrastare il freddo intenso e pervasivo.

Abbiamo cenato assieme e abbiamo brindato molto prima di mezzanotte.

E poi ci siamo tutti ritirati a letto al calduccio delle coperte.

Un freddo e bianco Capodanno, quasi da manuale.

E' stato l'ultimo Capodanno che ho passato assieme a Tatà.

Andato via lui, è come se non fosse rimasto nulla.

Soltanto dei bei ricordi

Per quest'anno lo spirito del Natale e del Capodanno non è arrivato...

O, almeno, non è arrivato nello stesso modo.

Speriamo bene nel prossimo anno.

Di seguito, ciò che scrissi, a commento delle foto pubblicate sul mio profilo FB.

L'ultimo giorno dell'anno è stato di tregenda dal punto di vista delle condizioni meteo.
Vento furioso, freddo, poco sopra lo zero, nevischio, grandine, e neve bella e buona.
Insolite condizioni per i Palermitani che di rado vedono nevicare sopra la propria città, più di sovente solo sui monti circostanti (ma anche in questo caso, non più di una volta all'anno).
Ma questa volta la situazione è stata seria e ha trovato tutti impreparati: incollonamenti di auto ed ingorghi a tutto spiano
Non parliamo poi del ghiaccio insidioso che si è formato a notte, quando la temperatura è scesa sotto lo zero e tanti sono rimasti bloccati in auto, senza poter raggiungere la meta destinata di veglie e cenoni.
AA Piano Aci c'è stata per noi l'occasiobe di vedere uno spettacoo insolito, con tutte le montagne alle spalle imbiancate alle nostre spalle.
Tuttavia nel cielo basso e grigio ogni tanto si apriva uno squarcio e si faceva largo sia pure per pochi attimi soltanto un raggio di sole.
Asserragliati in casa abbiamo goduto come non mai del calorino sprigionato dalle fiamme del camino e della stufa a legna.
Siamo però tornati presto, perchè temevamo di trovare ghiaccio se la temperaura si fosse improvvisamente abbassata ulteriormente, ma fortunatamente così non è stato.
Sulla strada del ritorno ci siamo fermati a guardare da vicino le pecorelle al pascolo e il pastore, vedendo che c'era Gabriel, ci ha invitato ad andare verso il piccolo casale da loro occuoato per vedere gli agnellini.
E in effetti ce n'erano tanti tra cui due piccoli piccoli, ancora malfermi sulle gambe e tutti tremanti, dei quali uno aveva pendente dalla pancia uno spezzone di cordone ombelicale insaguinato. Il pastore ci ha detto che i due piccoletti erano venuti al mondo non più di mezzora prima.
Con l'occasione, abbiamo comprato una forma da un chilo di tuma, fatta la mattina.
E' stata una bella ed insolita sorpresa. degna della giornata e dello scenario natalizio tutto imbiancato.
La sera abbiamo cenato assieme io, Maureen, Raul e Salvatore, molto semplicemente e rabbrividendo un po' dal freddo (la casa di Palermo è senza riscaldamento).
Invece, del consueto cotechino con lenticche, abbiamo mangiato una zuppa di legumi "alla ligure" e, assieme, un po' di cotechino.
Non è mancato un po' dell'immancabile sfincione festivo e naturalmente un assaggio dell'ottimo formaggio che avevamo acquistato prima direttamente dai pastori.
Non parliamo del fatto che abbiamo "goduto" del discorso inaugurale del Presidente della Repubblica: le solite parole vuote e scarsamente comprensibili ad una persona di cultura medio bassa, ma per pochi attimi è stata l'occasione per stare "a tu per tu" con il presidente e per offrirgli anche (perché no?) un boccone.

Poi a nanna presto, al calduccio.

Il giorno dopo, capo dell'anno nuovo, non c'era più così freddo, ma - in compenso - soffiava a raffiche poderose il vento, che già di notte aveva fatto numerosi danni danni. Molte le piante abbattute e strappate.
Il vento era stato talmente furioso da spostare qua e là, erraticamente, interi sacchi della spazzatura, con tutto il loro contenuto.
Invece, proprio a causa del maltempo che aveva imperversato nella notte, impedendo ai festanti di riversarsi nelle strade, scarsissimi i segni dei giochi di fuoco di cui solitamente si vedono in strada involucri e macerie residuali.

E poi si va oltre, con una documentazione per immagini che riguarda i primi giorni del nostro nuovo anno, con la documentazione della nostra permanenza a Palermo nei primi giorni del nuovo anno (inizio e fine della galleria fotografica con le immagini delle nostre due gite familiari ad Altavilla (Piano Aci), in condizioni climatiche totalmente differenti.

Ultimo giorno dell'anno: Piano Aci Experience with the snow

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30 ottobre 2015 5 30 /10 /ottobre /2015 00:30
(da noi a me)
(da noi a me)
(da noi a me)
(da noi a me)
(da noi a me)
(da noi a me)
(da noi a me)
(da noi a me)
(da noi a me)
(da noi a me)

(da noi a me)

Niente, solo la pioggia che cade triste

Ed è solo uno sgocciolìo quieto.

L’ora è tarda, la casa vuota

Armadi traboccanti di vecchi indumenti, carte e carpette, libri polverosi vecchi di tre generazioni

Tutto da rivedere e da soppesare

In un cassetto, una lettera che mi scrisse mia madre, molti anni fa, quando ancora non esistevano i cellulari, lettera a cui forse non risposi mai

Un piccolo folder con foto in formato piccolo e piccolissimo che formano una piccola carrellata sulla storia familiare, raccolte da mia madre e poi dimenticate in un fondo di cassetto

Mio fratello che, dalle foto, mi guarda con il suo sguardo fiero, a volte spaventato, di quando era piccolo e poi adolescente.
Nelle sue foto di adolescente, c’è spesso tristezza nel suo volto allungato A volte, però, fierezza e fiducia Ricordo che, a volte, da adolescente, mi chiudevo in bagno e lì, in solitudine, piangevo e singhiozzavo per mio fratello, pregando silenziosamente perché un miracolo gli rendesse la salute e la capacità di camminare

Foto di famiglia, come si usava un tempo, tutti in tiro, nel giorno della prima comunione e della cresima, Salvatore nel punto focale del gruppo, un po’ emozionato

Mio fratello, attorniato dal suo gruppo di amici ridenti che lo omaggiavano spesso di foto spassose per strappargli un sorriso

Mio padre in uniforme da ufficiale e in divisa da campo, con la bustina che si usava allora

Ancora mio padre, magrissimo (perchè aveva patito la fame), appena tornato dal campo di prigionia, ma già attivo e laborioso, che cammina a passo svelto lungo via Ruggero Settimo, dando l’impressione di uno che ha molto da fare e molti sogni che gli frullano per la testa

Io, in foto tessera, vestito da da ufficiale e con la barba

Le mie continue trasformazioni camaleontiche Barba sì, barba no Baffi sì, baffi no, Capello lungo hippieggiante, nel tempo giusto per farlo, oppure capello corto stile nazi o ancora rapato a zero Io, con aria meditativa Io, con atteggiamento da guerrigliero Io, palestrato

Noi, da piccoli, sulla spiaggia, per me mio fratello era un eguale, anche se non poteva fare le stesse cose che facevo io, e quei giorni sulla spiaggia di Mondello, giorni assolati con le merende di pane e uva erano splendidi

Ogni cassetto che si apre è una capsula del tempo che riserva inattese sorprese e riporta indietro con whoosh che a volte mi lascia stordito

Continuo a sentirmi un sopravvissuto in quelle stanze che sembrano popolate di fantasmi e non ancora risorte a nuova vita

Once upon a time... Nel passato ci sono le favole e i drammi Il futuro ci attende con il ripetersi di vecchi copioni, anche se a volte ce ne sono di nuovi ed inaspettati. Ed qui che sta tutta la meraviglia

E’ strano che io parli del futuro, quando il mio tempo si fa stretto, quando c’è sempre margine e meno strada da percorrere, meno storie da scrivere, e quando l’apertura di sempre nuove e sorprendenti capsule del tempo mi risucchia indietro con prepotenza

In definitiva, chi sono io? Dove vado? Cosa faccio? Cosa ci faccio qui?

 

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29 ottobre 2015 4 29 /10 /ottobre /2015 07:08
La famiglia dei Gattoni
(da un mio post precedente - 2013) [...] Prima che arrivassero i miei cugini dalla Sardegna (e da allora avemmo la capanna assieme a loro) era consuetudine cercare dei co-locatari, per dividere la spesa. Fu così che la mamma, un anno, fece ritorno dagli uffici della Società (era sua l'incombenza di occuparsi di queste faccende), annunciando che nella prossima stagione avremmo diviso la capanna con la famiglia Gattoni.
Quando sentii questa notizia, fui eccitatissimo dalla novità, ma non dissi nulla a nessuno, pur iniziando a fantasticare attorno a questi misteriosi "gattoni".
Poi, nel corso del tempo, ci furono sicuramente durante le conversazioni tra gli adulti numerosi accenni alla famiglia dei "gattoni". E, di quando in quando, capitava anche che la mamma e mio padre si interrogassero su come sarebbero stati questi "gattoni" come compagni di capanna. 
Io orecchiavo le loro conversazioni e questi accenni facevano vieppiù galoppare la mia fantasia. Sia come sia, arrivò il tempo dell'inaugurazione della stagione balneare e, con armi e bagagli, andammo al mare per la prima volta. 
A quel tempo dovevo avere quattro o cinque anni. La mamma mi raccontava spesso che appena arrivato, anziché cominciare a fare i miei giochi preferiti, io cominciai a cercare e a guardare in giro, instancabilmente. Entravo ed usciva dalla capanna, guardavo nei piccoli spazi dietro la cabina, sbirciavo da ogni parte, spostavo le sdraio addossate alle pareti e rimestavo in giro, mostrando una delusione via via crescente. 
Ad un certo la mamma mi chiese: "Ma cosa stai cercando, Maurizietto?" 
Ed io le risposi: "Ma..., mamma, mi avevi detto che quest'anno ci sarebbero stati i gattoni. Ed io non vedo nessun gattone!". 
E, naturalmente, a questa mia risposta fece segue l'immancabile coro di risate da parte degli adulti presenti.

 

Le cose che capitano da piccoli si ammantano di una patina che li rende “mitici”, a volte prima ancora che accadano (nelle attese e nelle aspettative); ma può anche succedere che anche gli eventi attesi vengano caricati e, per così dire, trasfigurati dall’apporto di elementi fantastici (o fantasticati).
Inoltre, può anche entrare in gioco la ripetuta narrazione ad agire come potente volano propulsore per far sì che un evento in sé piccolo possa entrare a far parte della propria mitologia di ricordi.
Raccontando a posteriori di questa circostanza, potrei anche aggiungere che, se a quel tempo mi fosse stata letta (o avessi letto) la storia di Alice nel Paese delle Meraviglie, avrei magari potuto immaginare di ritrovarmi davanti ad un’intera progenie di gatti del Cheshire. .. pronti a far parte delle celebrazione del mio non-compleanno (che cade appunto nei mesi estivi) e che però non avrei mai potuto vedere, poiché - a parte un ghigno incorporeo - in linea di massima il loro corpo rimane sempre invisibile.
Proprio di recente, mi sono imbattuto in una vera famiglia di “gattoni” pluri-generazionale, mentre correvo per i viali di Villa Trabia.
Non ho potuto fare a meno di far loro (ai “gattoni”) un piccolo servizio fotografico che mi ha rimandato con il pensiero e con le emozioni alla mitica famiglia “Gattoni” della mia infanzia.

 

 

 

 

La famiglia dei Gattoni
La famiglia dei Gattoni
La famiglia dei Gattoni
La famiglia dei Gattoni
La famiglia dei Gattoni
La famiglia dei Gattoni
La famiglia dei Gattoni
La famiglia dei Gattoni

I Gattoni di Villa Trabia

More Gattoni di Villa Trabia

Il loro luogo sicuro è il recinto di una vecchia serra di cui sopravvive soltanto il basamento in arenaria

E i più timidi (nonché i più piccini) se ne stanno all'interno per uscire a sbirciare ciò che accade fuori solo di tanto in tanto. Ma la curiosità è - come sempre - più forte della paura

Il buco nel muro che per i più giovani dei Gattoni rappresenta l'interfaccia tra il claustrum del loro nido e il vasto mondo al di fuori

Gattone acrobatico che non ha nulla da invidiare a Philippe Petit...

Gattone terragnolo

Le didascalie alle foto

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10 ottobre 2015 6 10 /10 /ottobre /2015 07:07
Le sedute odontoiatriche non sono mai rose e fiori ( specie se l'inconscio ci mette lo zampino...)
Le sedute odontoiatriche non sono mai rose e fiori ( specie se l'inconscio ci mette lo zampino...)
Le sedute odontoiatriche non sono mai rose e fiori ( specie se l'inconscio ci mette lo zampino...)
Le sedute odontoiatriche non sono mai rose e fiori ( specie se l'inconscio ci mette lo zampino...)
Le sedute odontoiatriche non sono mai rose e fiori ( specie se l'inconscio ci mette lo zampino...)

Il mio rapporto con il Dentista, inteso come figura archetipica, è stato sempre problematico.

In passato, specialmente.

Più volte ho abbandonato il campo, perché ne ero spaventato e, per lungo tempo, evitavo successivamente di frequentare gli Studi dentistici.

Ma, per necessità di cose, ho sempre dovuto riprendere, sempre alla ricerca del mio Dentista ideale. Detto tra parentesi; nella mia prossima vita voglio nascere con un corredo già precostituito di denti denervati al titanio.

Anni addietro, quando ero proprio all’inizio del mio percorso di psicoanalisi, andai dal Dentista di allora. E questo andare era sempre accompagnato da una notevole ambivalenza e da una grande sofferenza interiore: mai che fosse una passeggiata. In quella seduta, ci fu qualcosa che mi turbò. Forse fu la procedura dell’anestesia, forse fu un odore di disinfettante più forte del solito: fatto sta che cominciai a sudare freddo, ad avvertire una sensazione di nausea, e ad avere il polso piccolo e frequente.

Io dal dentista, in sala d'attesa. La mia espressione non è una delle più feliciSi dovettero temporaneamente fermare le successive fasi estrattive: ed io - per evitare il collasso - dovetti stare a lungo con la testa tra le gambe.

Per quella volta me ne andai con un nulla di fatto (o forse l’operazione si fece egualmente, adesso non ricordo): ma, in ogni caso, quell'esperienza mi lasciò con un forte senso di disfatta e di incapacità. La sensazione di non “essere forte” in circostanze che richiedevano una dose in più di coraggio e di capacità di sopportazione del dolore.

L’indomani affrontai la mia seduta di psicoanalisi con il rimpianto ed insuperabile Francesco Corrao, nel corso della quale vennero fuori degli aspetti interessanti.

Il giorno che precedeva la seduta estrattiva mi ero trovato a guardare alcune sequenze del film di Joseph Losey (1972) che racconta L’assassinio di Trotsky, (avvenuto come è noto nel 1940, in Messico, dove il rivoluzionario russo si era ritirato in esilio)

Rimasi particolarmente sconvolto dall’immagine cruenta dell’attentato che portò Trotsky alla morte: come è noto, il suo sicario (presentatosi inizialmente come amico e rivoluzionario espatriato), dopo aver ottenuto la sua fiducia, lo colpì in piena testa con una piccozza. E il film nella sua sequenza clou presentava proprio questo evento, in tutto il suo realismo (piccozza piantata al centro della fronte, sangue rutilante che sgorgava dalla ferita profonda etc).

Io, turbato da una simile visione, avevo immediatamente cambiato canale, non intenzionato in alcun modo ad espormi ad ulteriori sofferenze.

Le immagini perturbanti - con tutto il loro potere intatto - furono immediatamente rimosse, ma riemersero il giorno dopo nel corso della seduta odontoiatrica, senza che me ne rendessi conto: vennero recuperate soltanto nel corso della seduta di psicoanalisi.

In sostanza, mi ritrovai a sperimentare un vero e proprio attacco di panico, in cui la figura del dentista e quella del sicario di Trotsky si congiungevano e in cui gli attrezzi da lavoro odontoiatrico e la piccozza dell’assassino si equivalevano. Il Dentista si trasforma da figura benevola in personaggio sadico, violento e crudele, come un padre divoratore dei suoi figli: e, alle spalle del sicario inviato ad uccidere in modo barbaro Trotsky, come punto di congiunzione, si staglia - altrettanto inquietante il sadico dentista, impersonato da Laurence Olivier che, nei panni del criminale nazista Szell dagli azzurri occhi di ghiaccio (conosciuto - tra le sue vittime dei lager - come l'"Angelo bianco") tortura con i suoi ferri del mestiere di odontoiatra Babe, il “maratoneta” (interpretato da un giovanissimo Dustin Hoffmann), ponendogli insistentemente ed ossessivamente la domanda “E’ sicuro?” (vedi la sequenza clou del film e leggi un mio precedente post, del 2009, dal titolo, “Il Maratoneta": un vero film cult da rivisitare, di tanto in tanto”).

Recentemente, proprio pochi giorni fa, lo stesso fenomeno si stava verificando nuovamente, mentre ero sotto le mani benevole e sapienti del mio amico Pippo. Questa volta il trigger è stato un odore di sostanze chimiche più intenso del solito: e subito dopo si è presentata quell’immagine (Trostsky con la piccozza piantata nella testa). E mentre ciò avveniva, ho avvertito i primi sintomi d’un incombente attacco di panico.

Questa volta, tuttavia, approfittando della pausa necessaria perché l’anestetico locale facesse effetto, ho detto a Pippo ciò che stava succedendo, riconnettendolo a quanto era già accaduto in passato. E ci siamo, ovviamente, fatti quattro risate: ma ciò è stato sufficiente per depotenziare i sintomi e per levare alla rappresentazione la sua forza maligna.

In fondo, la resistenza mentale alle situazioni di stress dipende dalla capacità di tenere sotto controllo il ritorno perturbante del rimosso oppure, semplicemente, dalla piena consapevolezza di ciò che sta accadendo dentro di noi. Ovviamente, se io non fossi passato attraverso l’esperienza della psicoanalisi non avrei raggiunto mai questa capacità di prendere le distanze dagli eventi perturbanti, per poterli esaminare e dire: “Ecco, questo è quello che sta succedendo”.

Immagini archetitpiche perturbanti riemergono spesso nei momenti di maggiore stress e, bisogna averne contezza, per poterle dominare.

E questo è uno dei pilastri su cui si fonda, sicuramente, un buon livello di resilienza.

La sequenza cluo nel film "Il Maratoneta": "E' sicuro?"

The Aaasination of Trotskij (1972, Joseph Losey), the full film

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9 ottobre 2015 5 09 /10 /ottobre /2015 01:28
Essere - da sopravvissuto - il custode dei ricordi
Essere - da sopravvissuto - il custode dei ricordi
Essere - da sopravvissuto - il custode dei ricordi
Essere - da sopravvissuto - il custode dei ricordi
Essere - da sopravvissuto - il custode dei ricordi
Essere - da sopravvissuto - il custode dei ricordi
Essere - da sopravvissuto - il custode dei ricordi
Essere - da sopravvissuto - il custode dei ricordi
Essere - da sopravvissuto - il custode dei ricordi
Essere - da sopravvissuto - il custode dei ricordi

Il 4 ottobre è appena trascorso con tutto il suo carico di ricordi.
E' un giorno che rappresenta da sempre per la mia famiglia una ricorrenza molto speciale.
Infatti, assieme festeggiavamo il Compleanno di Salvatore (nato il 4 ottobre del 1947), l'Onomastico di nostro padre (San Francesco d'Assisi) e l'Anniversario di matrimonio dei nostri genitori.

Si è aggiunto nel tempo anche l'onomastico di mio figlio Francesco e, adesso, 1/3 della festa di onomastico di Gabriel (che, nominato al completo, è Gabriel Francis Luca).
La mamma voleva che sempre ci ricordassimo delle ricorrenze (a me ricordava sempre, per fare un esempio, quando cadevano l'onomastico o il compleanno di Tatà. Me lo preannunciava con qualche giorno di anticipo, dicendomi: "Ricordati di tuo fratello") e che a loro dessimo il giusto valore.
Da un certo momento, quando ha cominciato ad essere stanca delle complicazioni e desiderosa di non essere al centro dell'attenzione (ma anche "di non voler arrecare disturbo a chicchessia"), lei era solita preannunciare, quando si avvicinava una data che la riguardasse: "Quest'anno non voglio che facciate niente per me!".
Ma, noi, avendo bene interiorizzato la sua lezione, procedevamo egualmente, malgrado il suo avvertimento dissuasivo.
E così è stato, in occasione del suo 90° compleanno, quando - er iniziativa delle mie cugine più grande - abbiamo organizzato a sua insaputa una piccola festa familiare, in cui ci siamo ritrovati tutti assieme, con la presenza speciale anche della cugina Giorgia che vive a Roma.

Le foto che aprono questo piccolo post "di famiglia" sono appunto un ricordo di quella circostanza. Tra l'altro, in quella circostanza, la mamma che solitamente cercava di evitare in ogni modo di essere fotografato, comprendosi il volto con le mani o con una rivista (o un libro) appena vedeva il mio obiettivo puntato su di lei, mi lascio fare.
E fu così che ebbi modo di raccolgiere alcune bele immagini di lei nei suoi ultimi splendidi anni, assieme a Salvatore anche.
Guardando queste foto - e le altre che scattai in quell'occasione, qui non pubblicate -, mi sento solo: certo, oggi ci sono i miei due figli, c'è Maureen. 
Ma loro - la famiglia in cui sono cresciuto - non ci sono più.
Sono andati via e con loro é finito un intero mondo di abitudini e di piccoli riti quotidiani, di voci e di conversazioni, di presenze e di assenze: in un attimo, specie dopo la scomparsa di Tatà, quasi tutto ciò che si svolgeva nel quotidiano in routine e pratiche che avevano i loro perché ha cessato di essere.
E, senza i riti quotidiani, ci si sente come una nave che ha perso i suoi ancoraggi, ma anche i suoi strumenti di rotta e di navigazione.
Fa parte delle vicissitudini umane che solo uno tra molti sia destinato a vivere nella parte del sopravvissuto
Io sono un sopravvissuto.
Chi rimane, deve ricordare costantemente chi non c'è più.
Occorre lasciare sempre aperta una porta al flusso dei ricordi, mantenendo in vita in questo modo le persone care che sono venute a mancare e che ci mancano.
E' nostro compito tenere la stanza dei ricordi costantemente aperta, arieggiata, festosa, piena di colori e di suoni.

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25 settembre 2015 5 25 /09 /settembre /2015 06:19
L'ultimo miglio dello spingitore
L'ultimo miglio dello spingitore

(Maurizio Crispi) Una volta, un maratoneta, si afflosciò a terra, morto sul colpo, davanti al traguardo di una 42,195 km. Cadde di botto, come un uccello in volo che avesse esaurito tutta la sua energia vitale. Io ero lì, arrivai poco dopo il fatto, ma il personale del Pronto intervento era già arrivato, e il corpo ancora caldo era stato rimoso, ma un'atmosfera di mestizia pervadeva la zona degli arrivi, cosa quanto mai insolita e, ovviamente, la cerimonia delle premiazioni e il pasta party finale erano stati minimizzati e fatti in punta di piedi. Tutti erano rimasti storditi da quell'evento inaspettato.

In fondo, la maratona e le altre corse sulle lunghissime distanze si possono considerare un po' come metafora della vita: e in ciascuna vita c'è quell'ultimo traguardo da raggiungere, quella soglia da varcare. E una di queste soglie sarà anche l'ultima, quella definitiva.

Quindi, ciascuno di noi deve confrontarsi con quelle centinaia di metri che ci saranno da percorrere prima di arrivare al fatidico appuntamento: a volte si percorrono in movimento, altre volte da fermi, perchè si è bloccati a letto da una malattia debilitante.

Ma si tratta pur sempre d'un ultimo tratto di strada.

Il "miglio", quello che nel romanzo di Stephen King, è il "Miglio Verde", cioè la distanza di poche centinaia di metri che separano il braccio della Morte di un penitenziario americano dalla camera dell'esecuzione con la sedia elettrica.

Ciascuno di noi - nell'accostarsi al trapasso - deve percorrere quell'ultimo miglio: più volte, qualche volta da accompagnatore, talaltra da spingitore, altre volte da condannato.

Sono graziati soltanto coloro che muoiono d'una morte istantanea - o semi-istantanea - come è accaduto a mio padre, deceduto in un disastro aereo.

Un botto e una fiammata, forse un'esplosione, non so: e ho sempre voluto pensare che la sua fine sia stata questione di un attimo, senza che gli fosse nemmeno dato il tempo di capire ciò che stesse accadendo.

Ma anche in questo caso, è ben difficile dire se non ci sia stato quell'ultimo percorso prima di giungere a varcare la soglia dell'ineffabile e dell'indicibile.

Ma lasciamo la questione in sospeso.

Con Tatà, quell'ultimo miglio lo abbiamo vissuto in pieno: camminavamo, come sempre nella nostra vita abbiamo fatto, io nel ruolo di spingitore e lui da spinto, poiché - anche se Tatà era attivissimo, forse ben più di me, perchè divorato da una forte passione interiore che gli dava l'energia necessaria per portare avanti le sue cause per la difesa dei diritti dei diversabili - oggettivamente nelle nostre uscite era questo il nostro ruolo reciproco.

E nel brevissimo percorso dalla pizzeria vicino casa al cancello del giardinetto d'ingresso del condominio di Via Lombardia si è consumato il nostro ultimo miglio.

Dico il "nostro", perchè eravamo assieme.

Io, spingendo, ho vissuto la tragedia di quegli ultimi momenti, ho visto la sua lotta per ghermire un ultimo fiato per alleggerire il peso che gli opprimeva cuore e polmoni che, d'improvviso, si erano fatti stretti.

Ho visto il suo boccheggiare alla ricerca d'un ultimo anelito di vita; la sua lotta nel tentativo di articolare parole che non sono mai potute uscire.

E, alla fine, la testa e il busto reclinati in avanti, senza più alcuna reattività.

E io, dietro di lui, ho cercato di soccorrere, di alleviare, di capire, di cogliere quelle ultime parole, di somministrare il farmaco che in ospedale ci avevano dato per portarlo sempre con noi e per somministrarlo in simili frangenti.

La Spada di Damocle che incombeva si è liberata dal suo fragile supporto ed è precipitata crudele, falciando una vita.

E consegnato la sua immobilità che però era attività ed energia nella mollezza della Morte da cui non c'è ritorno.

Ecco, quell'ultimo miglio è (e rimarrà) per me indelebile.

Ogni volta che percorro quella strada, ogni volta che da via Principe di Paternò svolto a destra per imboccare via Lombardia, ogni volta che mi avvicino all'ingresso del nostro condominio, non posso fare a meno di rivivere istante per istante, metro per metro quell'ultimo nostro miglio.

Io spingitore, Tatà spinto.
Come tante volte siamo stati nella nostra vita: ogni tanto parlavamo, io mi fermavo e mi accostavo a lui per sentire meglio ciò che mi diceva e poi riprendevo a camminare, replicando con altre parole e continuando nei nostri ragionamenti.
Qualche volta lui che sempre sorvegliava le asperità del terreno davanti mi diceva di stare attento, "Accura!" era la sua esortazione, perchè temeva la ruota si potesse bloccare e la carrozzina ribaltarsi in avanti, come talvolta in passato ci era capitato (una volta anche con corsa immediata al Pronto soccorso, per far dare dei punti)

Quest'ultima volta ho accostato il mio orecchio alla sua bocca, ma mi sono giunti suoni inarticolati: un addio forse, o una richiesta di aiuto, o una parola d'affetto.

Mentre il suo Pneuma volava via nel Cielo.

Ancora una volta, ciao Tatà! Spero di essere stato per te un buon fratello, anche se non sempre ci siamo capiti a fondo, ma è stata la mamma a tenerci sempre uniti, anche nei momenti di incomprensione.

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10 settembre 2015 4 10 /09 /settembre /2015 06:21
Il bronzeo leone rutelliano e un leone zodiacale si incontrano

Sotto gli artigli del bronzeo leone rutelliano, a guardia della statua equestre di Garibaldi, all'interno del piccolo omonimo giardino posto di fronte al Giardino Inglese.
E' uno scontro tra il possente leone bronzeo e un Leone zodiacale: chi avrà la meglio?
Quando ero piccolo, passavo ore intere a giocare con questo leone ruggente, visto che con la mamma venivamo di frequente in questo giardino, molto vicino alla vecchia sede della Scuola Media Alberigo Gentili, dove lei insegnava.

In una recente visita, mi sono seduto ai piedi del leone bronzeo per scattare un paio di foto e sono stato travolto da una marea di ricordi di quando io piccolino giocavo a rimpiattino con il gigantesco leone, nascondendo in un grosso cespuglio di piante di aloe, allora molto più rigoglioso e ricco di anfratti ombrosi, e balzandone fuori per improvvisare temibili agguati.
Il leone di bronzo, allora, mi pareva ancora più gigantesco e imponenti.

Qualche volta, sotto l'occhio attento della mamma, provavo anche ad arrampicarmi sul suo dorso.
 

Il bronzeo leone rutelliano e un leone zodiacale si incontrano
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25 luglio 2015 6 25 /07 /luglio /2015 05:16
Marcellino Pane e Vino. Forse il mio primo film al cinemaMarcellino Pane e Vino. Forse il mio primo film al cinemaMarcellino Pane e Vino. Forse il mio primo film al cinema
Marcellino Pane e Vino. Forse il mio primo film al cinema

Marcellino Pane e Vino (diretto dall'ungherese Ladislao Vajda), uscì nel 1955 nelle sale cinematografiche.

Ricordo che allora non avevamo ancora la TV (i primi apparecchi televisivi avrebbero avuto una diffusione di massa più tardi in occasione dei Giochi Olimpici di Roma nel 1960).

Di tanto in tanto la mamma o il papà ci portavano al cinema: e questo era dunque l'unico approccio possibile con la cinematografia.

Forse, considerando l'anno di uscita, Marcellino Pane e Vino fu il mio primo film: per così dire il mio battesimo del fuoco cinematografico..

Mi ci accompagnò la mamma: non ricordo se quella volta ci fosse anche mio fratello e nemmeno se ci fossero altre adulti e miei coetanei.

Dal film fui molto colpito, tanto che ancora oggi quando ne rivedo alcune scene topiche ora da adulto, piango tuttora come un vitello. 

Le emozioni di allora furono facilitate, allora, probabilmente da una totale identificazione con il protagonista della storia: pablito Calvo all'epoca in cui venne scelto come attore-protagonista, aveva 6 anni, esattamente gli anni che avevo io quando fui portato al cinema. E anche adesso, nel vedere le sequenze topiche del film, devo dire che mi sembra di vedere me stesso bambino: un film a grande impatto, dunque.

Ma non ricordo che tornati a casa dopo il film con la mamma ci siamo soffermati a parlare di emozioni o comunque di qualcosa che vi fosse in qualche misura correlato (ma quando ero piccoli, i discorsi sulle emozioni non erano quasi mai percorsi).

Le emozioni scaturiscono (a rivedere le sue scene ancora fresche a distanza di oltre 60 anni) dal fatto che la storia è raccontata in toni lievi, senza mai calcare la mano su eventi sovrannaturali, e anzi con un certo piglio realista.
Una narrazione scarna ed essenziale, arricchita (e non depauperatoa) dall'uso del bianconero che rende più profondi ed intensi gli aspetti della vicenda metaforici ed allegorici (come il numero quasi magico dei dodici fraticelli del convento che adottano il bambino esposto, cui viene dato in battesimo il nome di "Marcellino" perché è stato trovato proprio nel giorno dedicato a San Marcellino).
Dopo aver visto il film, la mamma mi regalò anche il libro da cui il film era stato tratto.

(da Wikipedia) Marcellino pane e vino (Marcelino pan y vino) è un film del 1955 diretto da Ladislao Vajda, presentato in concorso all'8º Festival di Cannes.
Il protagonista del film, Pablito Calvo, all'epoca aveva solo sei anni.
Nel 1958 il protagonista del film Pablito Calvo recitò in un film con Totò che sin dal titolo richiamava al film spagnolo (Totò e Marcellino, diretto da Antonio Musu).
Al protagonista del film è dedicata la canzone omonima che sarà interpretata negli anni della sua maggiore fama da Gigliola Cinquetti, memore, come lei stessa disse, delle emozioni che il film le procurò quando, bambina di otto, nove anni, lo vide per la prima volta.
Nel 2011, l'album che contiene tale canzone, Gigliola per i più piccini, è stato ripubblicato in formato CD da Warner Music Italia per l'etichetta Rhino Records (EAN 5052498572953).

Il film è tratto dal romanzo di José María Sánchez Silva "Marcelino Pan Y Vino".

Nel giorno di San Marcellino, in Spagna, un frate francescano si reca in paese per andare a visitare una bambina gravemente malata, mentre tutto il paese sta salendo la collina per andare al convento sulla tomba di San Marcellino; il frate inizia a raccontare la storia del convento e di Marcellino. Finita la sanguinosa guerra combattuta tra francesi e spagnoli, tre frati francescani chiedono al sindaco, Don Emilio, di poter riassestare il vecchio castello per riadattarlo a convento; il sindaco dà il consenso e tutta la popolazione aiuta i tre frati nell'intento. Dopo poco tempo il convento è costruito ed inaugurato.
Una mattina però, il frate portinaio trova alla porta un cestino con dentro un neonato che piange, poiché ha fame e sete; i frati lo battezzano e gli danno il nome di Marcellino, poiché è il giorno di San Marcellino. I frati vorrebbero affidarlo a qualche famiglia, ma nessuno è in grado di mantenere un altro figlio, viste le condizioni di miseria in cui viveva la popolazione spagnola. Marcellino diventa un bambino di cinque anni robusto e forte e tratta tutti e dodici i frati come dodici padri, ma sente molto la mancanza di una figura materna, infatti fa ai frati molte domande sulle mamme.
Portato da un fraticello alla fiera paesana, distrugge la fiera; così il nuovo sindaco, da sempre contrario all'opera di bene fatta da Don Emilio, emette uno sfratto ai danni dei frati. Un giorno Marcellino, disubbidendo a frate Tommaso (chiamato da Marcellino "Fra Pappina"), trova un crocifisso, vedendo che è molto magro immagina che abbia fame e decide di portargli da mangiare e da bere: il crocifisso si anima per ricevere il pasto offerto e gli rivolge anche la parola; avendo trovato nella fretta solo pane e vino, lo dà a Gesù, che lo soprannomina Marcellino Pane e Vino.
Pochi giorni prima dello sfratto Marcellino va a parlare con Gesù delle mamme, ed esprime il desiderio di vedere la sua mamma e dopo anche la Madonna, al che Gesù fa morire Marcellino e lo manda in cielo a conoscere i genitori. Frate Tommaso che aveva visto il miracolo chiama tutti i frati al cospetto del Signore a vedere Gesù che scende dalla croce per far morire (resuscitare) Marcellino per poi risalirvi.
Tutta la gente del paese corre a vedere il miracolo e ogni anno la popolazione si reca sulla tomba di Marcellino Pane e Vino in segno di rispetto.

Alcune sequenze tratte da "marcellino Pane e Vino", con la canzone di Gigliola Cinquetti

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DSC04695.jpegQuesta pagina è la nuova casa di due blog che alimentavo separatamente. E che erano rispettivamente: Frammenti. Appunti e pensieri sparsi da un diario di bordo e Pensieri sparsi. Riflessioni su temi vari, racconti e piccoli testi senza pretese.

Era diventato davvero troppo dispendioso in termini di tempi richiesti alimentarli entrambi, anche perchè nati per caso, mentre armeggiavo - ancora alle prime armi - per creare un blog, me li ero ritrovati ambedue, benchè la mia idea originaria fosse stata quella di averne uno solo. Infatti, non a caso, le loro intestazioni erano abbastanza simili: creatone uno - non ricordo quale dei due per primo - lo ho "perso" (per quanto strano ciò possa sembrare) e mi diedi alacremente da fare per ricrearne uno nuovo. Qualche tempo - nel frattempo ero divenuto più bravino - il blog perso me lo ritrovai).

Ohibò! - dissi a me stesso - E ora cosa ne faccio?

La risposta più logica sarebbe stata: Disattiviamolo!. E invece...

Mi dissi: li tengo tutti e due. E così feci. E' stato bello finchè è durato...

Ma giocare su due tavoli - e sempre con la stessa effcienza - è molto complicato, ancora di più quando i tavoli diventano tre e poi quattro e via discorrendo....

Con overblog ho trovato una "casa" che mi sembra sicuramente più soddisfacente e così, dopo molte esitazioni, mi sono deciso a fare il grande passo del trasloco, non senza un certo dispiacere, perchè il cambiamento induce sempre un po' di malinconia e qualche nostalgia.

E quindi ora eccomi qua.

E quello che ho fatto - ciò mi consola molto - rimane là e chiunque se ha la curiosità può andare a dargli un'occhiata.

 

Seguendo il link potete leggere il mio curriculum.

 

 


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