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12 gennaio 2022 3 12 /01 /gennaio /2022 09:27

Quello che segue è un mio ricordo di infanzia, originariamente pubblicato nella mia pagina Facebook, il 12 gennaio 2010, come "nota".

C'era una volta la memoria, e gli anziani col cappello che si incontravano la domenica nelle piazze. C'erano una volta le città e le piazze, dove bambini si raccoglieva la memoria degli anziani, e i tappi delle bottiglie sotto i tavolini.

(Beppe Sebaste, Oltretorrente, in Oggetti smarriti e altre apparizioni, Edizioni Laterza, 2009, p.103)

Tappi

La frase che ho riportato sopra è l'incipit della rievocazione nostalgica della Parma d'un tempo da parte di Bebbe Sebaste: e mi ha immediatatamente fatto ricordare un episodio della mia infanzia che voglio raccontare.

Quando ero piccolo, passavamo le nostre estati a Mondello, in una casa d'inizio secolo posta in una splendida posizione, all'inizio di Fossa del Gallo, sventuratamente poi venduta.

L'usanza era che di mattina si andasse tutti in spiaggia e che, invece, nel pomeriggio, dopo il riposo di prammatica, quando l'ora si faceva più fresca e calavano le prime ombre della sera, si facesse una passeggiata sino alla piazzetta del borgo marinaro, per sedersi al bar e prendere un gelato o una granita e soprattutto per chiacchierare.

La comitiva era sempre numerosa perchè c'erano anche molti dei miei cugini, con le cui famiglie dividevamo l'uso della casa.

I tavoli erano disposti su d'un impiantito di assi di legno che compensava la naturale pendenza del terreno.

Qui, il mio passatempo preferito di bambino molto irrequieto e sempre in movimento era quello di andare alla ricerca dei tappi delle bibite gassate sparsi per terra oppure cadute negli interstizi tra le assi.

Era una ricerca instancabile, la mia, e non mi peritavo di strisciare tra le gambe degli avventori o di calpestare loro i piedi pur di raggiungere una mia ambita preda.

E ogni volta tornavo da mia madre a mostrarle, pieno di orgoglio, una mia nuova conquista: "Mamma, mamma, guarda cosa ho trovato!"

Le mie grida di giubilo era ancora più forti se mi imbattevo in un tappo mai trovato prima.

Ero un testardo e, una volta iniziata la caccia al tappo, non volevo più separarmi dalle mie conquiste, quasi che fossero preziosissime monete d'oro.

Mia madre, sempre molto paziente e accogliente nei confronti delle mie bizzarrie bambinesche, mi diede  un grande sacco di plastica trasparente dove riporli.

E così la mia collezione cominciò a crescere, man mano che si estendevano i miei terreni di ricerca: anche la sabbia, per esempio, dava buoni frutti...

Poi, naturalmente, ci giocavo anche: li impilavo, li mettevo in fila, li raccoglievo per tipologia di marca e anche quelli senza alcun disegno avevano un valore, anche se li consideravo di rango decisamente inferiore.

Qualche volta li contavo, per stabilire a quanto ammontasse il mio patrimonio.

Insomma, ritenni di essere diventato quasi ricco quando sforarono i mille e quel sacco che mi aveva dato mia madre era ormai stracolmo...

Ad un certo punto, mia madre mi disse: "Ora, Maurizio, sei cresciuto. Non pensi che sia l'ora di sbarazzarti di tutti questi tappi?"

"Hai ragione, mamma! - risposi io.

E senza aggiungere altro me ne andai nella mia stanza.

Allora abitavamo al primo piano di una palazzina dietro la quale vi era un ampio giardino incolto con grandi alberi secolari e, subito sotto, dei corpi bassi dove avevamo una sorta di garage che fungeva anche da magazzino di sgombro.

La mia stanza si apriva proprio su questo lato interno, attraverso una porta-finestra che immetteva su di uno stretto balconcino.

Con molta determinazione, afferrai il sacco dei tappi, mi affacciai e lo lanciai con vigore insospettabile sul tetto del garage  sottostante.

All'impatto, il sacco esplose con un big plof e un gradevole effetto pirotecnico di tappi che si spargevano in tutte le direzioni.

Andai da mia madre: "Li ho buttati" - dissi.

"Dove?" - fece lei.

"Fuori dalla finestra", risposi con grande serietà.

E fu così che mi sbarazzai della mia preziosa collezione di tappi.

In verità, li buttai senza buttarli veramente, perchè ogni giorno mi affacciavo e li guardavo. Erano rimasti sotto il dominio del mio sguardo.

Nessuno li rimosse mai e lì rimasero finchè non rimanemmo ad abitare in quella casa.

Poi, non so.

Ogni tanto mi capita di pensarci e mi chiedo se, per caso, non siano ancora là.

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4 gennaio 2022 2 04 /01 /gennaio /2022 17:36
Irene Salatiello Crispi, la mia mamma (foto di Maurizio Crispi)

Nelle prime ore del 4 gennaio 2010 si è spenta la mamma.
Ha deciso di andarsene perché non voleva più essere di peso.
Poche ore prima di prendere il volo verso il Cielo, mi disse: "Maurizio, questa notte non voglio mettermi a letto. Rimarrò qui, seduta nella mia poltrona. Piuttosto portami la mia sveglia e caricala per le 5.00".
Io così feci. Portai la sveglia, la caricai e gliela misi accanto.
Poi, mi accomodai in una poltrona accanto. E mi appisolai.
Attorno all’una del nuovo giorno mi svegliai di colpo, per via dell’improvviso - innaturale - silenzio della stanza.
La mamma era immobile nella poltrona, così come l’avevo lasciata, ma non respirava piu.
Se n’era andata in pace e in silenzio. Così ho pensato, prima di essere travolto dalle emozioni.
Alle cinque del mattino la sveglia suonò imperiosa per ricordare a tutti noi che la vita continuava, anche senza di lei.
E il trillo di quella sveglia che risuonò tre ore dopo che lei ci aveva lasciato è stato indubbiamente uno dei suoi lasciti più importanti.
Oggi ricorre il 12° anniversario della sua dipartita e mi sembra ieri quando lei se ne è andata.
Dovunque si trovi, la sua anima, che continua a vivere nel ricordi di tutti coloro l’abbiano conosciuta, riposa in pace, assieme a mio padre e a mio fratello.

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9 dicembre 2021 4 09 /12 /dicembre /2021 10:19

Questo mi trovai a scrivere nel lontano 2009, stimolato da una foto carpita nel corso d'una mia paseggiata mattutina all'interno del Giardino Inglese di Palermo, a proposito dei lettori di giornali "in panchina".

In realtà, è bello sedersi in panchina a leggere un giornale o un libro, magari in un giorno di festa, quando non ci sono impegni e tutto si può svolgere in modo molto rilassato. Ma quella volta, quando vidi quel lettore di giornale seduto in panchina, provai un subitaneo moto di antipatia, a partire da ancora recenti ricordi della mia vita lavorativa.

E, si ci vaiu, ci vaiu pi liggirimi u' giurnali... (una domenica mattina, Giardino Inglese, Palermo)

E, si ci vaiu, ci vaiu pi liggirimi u' giurnali... (una domenica mattina, Giardino Inglese, Palermo)

Ogni volta che vedo uno che legge il giornale spaparanzato comodamente da qualche parte, non posso non pensare alla frase che commenta la foto, frase che ha una sua storia, piccola, ma edificante.
Ai tempi in cui ancora dirigevo un servizio per le tossicodipendenze cittadino, in applicazione delle norme vigenti si era creata una turnazione pre-festiva e festiva dei Ser.T cittadini (in numero di cinque), in modo tale che, nei fine-settimana e nelle altre festività ci fosse sempre un'Unità operativa disponibile, sia per situazioni nuove, non ancora attenzionate (per una preliminare accoglienza oppure per fornire semplicemente informazioni), sia per gestire utenti già in carico per la somministrazione di terapie con farmaci sostitutivi (degli oppiacei) le cui dosi giornaliere, sulla base della valutazione clinica del singolo soggetto non sarebbe stato prudente dare in affido.
Si poneva così la necessità di mettere in atto il trasferimento temporaneo all'unità operativa della città allo scopo di limitare al massimo gli affidamenti metadonici soprattutto a quei soggetti non motivati o, con un bisticcio di parole, non "affidabili".
Alla vigilia di un fine settimana telefonai al collega che dirigeva il Ser.T che avrebbe garantito quel turno per segnalargli il trasferimento di una serie di utenti, un gruppo più numeroso del solito sulla base delle mie valutazioni.
Quel collega si risentì parecchio. L'invio di utenti, infatti, comportava di norma un surplus di lavoro: identificazione dell'utente, trascrizione degli estremi del documento d'identità oltre che la somministrazione dei farmaci prescritti (con tutti i protocolli del caso, trattandosi di stupefacenti), a fronte d'una situazione che, probabilmente sarebbe stata di totale inazione.
Il collega, alquanto zotico e di poca cultura (mi rammarico nel dirlo), a sottolineare la sua scarsa disponibilità, pronunciò appunto questa frase lapidaria: "E, si ci vaiu, ci vaiu pi liggirimi u' giurnali...". Come a dire: "Non rompere. Lasciami fare la vita comoda...".
Questa frase che darebbe ragione agli strali di Ichino contro i nullafacenti - ed anche (e, di nuovo, mi duole dirlo) ai pesanti apprezzamenti del ministro Brunetta - in quanto espressione di una programmatica e premeditata volontà di non far nulla, pur essendo in servizio, mi è rimasta indelebilmente scolpita nella mente.
Ed è per questo che ogni volta che vedo uno che se ne sta placidamente a leggere il giornale non posso fare a meno di pensare a questa storiella, anche se - di per sè - la lettura del giornale comondamente seduti su di una panchina al centro di un'area verdeggiante non è da condannare, anzi potrebbe essere un'attività decisamente piacevole e meritata, tipo il riposo del giusto dopo una faticosa settimana di lavoro...

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22 novembre 2021 1 22 /11 /novembre /2021 11:43

  

Chiavi

L'altro giorno (era il 20 novembre), in campagna, ho smarrito il mazzo di chiavi con tutte le chiavi di pertinenza, annessi e connessi (porte di casa e magazzini, cancelli etc). Stavo andando ad aprire il cancello, quando mi sono fermato a strappare dell'erba infestante. Forse, per non aver le mani impacciate ho posato da qualche parte il mazzo di chiavi. Quando ho finito il mio lavoretto estemporaneo, avrei voluto riprendere ciò che stavo facendo, cioè andare ad aprire il cancello, ma niente! Nulla da fare! Il mazzo di chiavi era scomparso, apparentemente senza lasciare traccia.

Mi sono dato da fare, ricostruendo i miei movimenti ed i miei gesti. Ho rifatto i percorsi, guardando per terra.

Mi sentivo incapace di trovare una soluzione.

Delle chiavi, nessuna traccia, malgrado le ripetute ricognizioni.

Alla fine si è accesa una luce: ad un certo punto di questo estemporaneo indaffaramento, avevo raccolto delle frasche di ulivo e le avevo portate nel punto in cui, solitamente, faccio il falò.

E sono andato lì a cercare. Cerca che ti ricerca e, alla fine, dopo molto ravanare tra le frasche e la cenere, eccole lì le mie chiavi.

Puff puff pant pant!!! Se non le avessi trovate, ci sarebbe stato un grooooosso problema.

Houston, mayday, mayday!

Houston, qui abbiamo un problema!
Non posso portare fuori dal terreno, perchè non ho le chiavi per aprire i cancelli...

Quasi per coincidenza, Faccciabuco mi ha propr+osto un "ricordo", cioè una nota risalente al 22 novembre 2011, in cui si parla appunto di un mio mazzo di chiavi smarrito, apparentemente, e poi ritrovato, pubblicata con il titolo "Imperdonabili sbadataggini".

 

(22 novembre 2011) Tornavo a casa, dopo aver comprato il pane.

Ero ancora in tenuta sportiva: avevo finito di allenarmi proprio davanti al Forno.

Chiavi di casa, telefonino e soldi nel marsupio: ordinaria amministrazione.

Mi avvicino al cancello che mi fa entrare direttamente nel cortile (da dove posso entrare nel mio condominio da un portoncino posteriore).

Prendo le chiavi, ma poi mi accorgo dell'inutilità del gesto, perchè la serratura di questo cancello è difettosa, non scatta mai bene e dunque si può aprire con una leggera spinta, salvo quando chi lo ha aperto subito prima non abbia messo una particolare energia nel richiuderlo, facendo per una volta scattare la serratura.

Quindi, spingo il cancello per entrare e, con diligenza, lo richiudo.

Faccio il tragitto sino al portoncino che dà sulle scale.

Arrivo...

Rovisto nel marsupio alla ricerca delle chiavi.

Non ci sono.

Mannaggia! - penso tra me e me - Le ho dimenticate a casa! (cosa che accade spesso, invero).

Poi: No! Sono uscito con le chiavi, anzi le ho prese per aprire il cancello, ma poi non le usate... Ma dove sono allora?

Una lampadina si accende: Saranno cadute a terra dopo che le ho prese per aprire!

Mi avvio quindi verso l'uscita, scrutando a terra nel caso mi siano cadute di mano dopo aver varcato il fatidico cancello.

Niente lì, vado al cancello e lo spingo pe ruscire, ma fantozzianamente, poco prima lo avevo chiuso davvero ermeticamente: quindi sono bloccato dentro e non ho le chiavi per aprirlo.

Che fare?

Vedo una tizia che sta parcheggiando il motorino sul marciapiedi e intanto parla al cellulare. Attiro la sua attenzione, prigioniero come sono dietro le sbarre e le chiedo a gran voce di percorrere a ritroso il tratto di strada che avevo fatto io avvicinandomi al cancello, guardando se per terra ci sia un grosso mazzo di chiavi.

La tizia comincia solerte la sua perlustrazione... quasi osssessivamente devo dire: le manca solo una grossa lente d'ingrandimento e il cappello a doppia visiera di Sherlock Hoolmes e sarebbe perfetta nel ruolo che si è assunto, grazie alla mia sventura.

Si allontana e non ritorna più.

Ma dove caspita se ne è andata?

Intanto io penso: Ma dove siete finite, dannate chiavi?

Una lampadina si accende, all'improvviso: siccome non ho sentito nessun tonfo (se fossero cadute a terra, battendo sul duro avrebbe prodotto un tintinnio o qualcosa del genere), forse mi sono scivolate dentro il sacchetto del pane.

Lo sollevo per guardarci meglio e verificare così la mia teoria...

Di cosa mi accorgo, con grande disappunto?

Le chiavi le ho sempre tenuto in mano, con la stessa mano che reggeva la sportina.

Chiamo la tizia a gran voce: Grazie! Lei è stata davvero molto gentile. Ma le chiavi le ho ritrovate. Le ho sempre avute in mano e non me ne ero accorto.

E lei, di rimando, mi lancia uno sguardo più che eloquente che sembra dire: "Ma sei proprio un coglione"!

 

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12 novembre 2021 5 12 /11 /novembre /2021 09:58
Nuvole dopo la pioggia (foto di Maurizio Crispi)

Le nuvole dopo la pioggia intensa di ieri e di oggi si sono diradate.
Della coltre grigia e opprimente di nubi basse rimangono delle nuvole sfilacciate inframmezzate da ampi squarci di cielo libero. Si intravede anche, nella luce evanescente del giorno, un rossore di ultimo sole.
Le nuvole residue si muovono lievi e vaporose, sospinte da un lieve venticello.

Da piccolo, guardavo incantato questa traslazione: per me, allora, quelle nuvole erano ferme, mentre il movimento era dovuto alla rotazione della terra.
Questo pensiero (che adesso posso solo definire ingenuo e da sempliciotto) mi riempiva di meraviglia, ma il fatto di avere una percezione visiva della rotazione terrestre (per quanto illusoria) e di sentirla, mi causava un repentino senso di vertigine, dandomi anche l'acuta percezione della mia piccolezza di fronte alla vastità del cosmo.

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10 ottobre 2021 7 10 /10 /ottobre /2021 09:23
Una stanza transgenerazionale
Una stanza transgenerazionale
Una stanza transgenerazionale
Una stanza transgenerazionale
Una stanza transgenerazionale
Una stanza transgenerazionale
Una stanza transgenerazionale
Una stanza transgenerazionale
Una stanza transgenerazionale

Quella che si vede nella rassegna di immagini è la stanza dove attualmente uso il PC. La maggior parte dei mobili, compresa l’enorme scrivania, erano del nonno Giosuè (il nonno materno).
Nella nuova casa dove ci trasferimmo nel 1962 questa stanza con i mobili originari del nonno diventó lo studio di mio padre.
Alla sua morte, nel 1972, colonizzai questa stanza che all’inizio, fu per me oltre che luogo di studio anche di ascolto di musica e di letture.
Diventò specie di tana dove accoglievo anche i miei amici e dove anche consumai i miei primi amori giovanili, poichè era - in un certo senso - per mia volontà extra-territoriale rispetto al resto dell'appartamento.
Ci misi dei tappeti e nella stanza si entrava rigorosamente senza scarpe. La signora che veniva a fare le pulizie era bandita da essa: temevo le sue incursioni, oltre che per il rischio di rotture,  per il fatto che il suo spolverare e mettere ordine  potesse esitare in un'alterazione del mio disordine ordinato.  E, di conseguenza, mi occupavo personalmente delle pulizie necessarie.
La stanza stava sempre in penombra e con le luci accese (quelle che più o meno si vedono tuttora) accese anche di giorno.
In generale, ma questo vale anche per altre stanze evito di aprire troppo le serrande perchè l'esposizione troppo diretta ed insistente della luce del sole può danneggiare i libri.

Una stanza tutta per sé (foto di Maurizio Crispi)

Da laureato e specializzato in questa stessa stanza ricevetti i miei primi pazienti.

Quando mi trasferii nell’appartamento adiacente dove ebbi agio di differenziare gli spazi, questa stanza rimase per un po’ di tempo sotto-utilizzata, ma quando potevo venivo a starci perché ne avevo nostalgia: in fondo vi erano pur sempre contenuti tutti i libri di mio padre (a parte alcuni che mi ero portato nell'altro appartamente, come - ad esempio - alcune opere di Nietsche), quelli degli studi e della sua formazione.

Li, tra quelle quattro miura e parzialmente circondato da muraglie di legno e di carta,mi sentivo particolarmente in contatto con lui. Nell’altra casa arredai una stanza per adibirla a mio studio professionale, mentre le altre a poco a poco si riempirono di libri e di LP.
Lo studio di mio padre poi divenne - nel corso degli anni - l’ufficio di mio fratello Salvatore per la gestione e del Coordinamento H per la tutela dei diritti delle persone con disabilità della Regione Sicilia di cui lui era il Responsabile e la stanza si riempì a dismisura di grossi faldoni pieni di documenti. Alla sua morte, svuotai la stanza (con grande rammarico (perchè coloro che gli succedettero nel Coordinamento non volevo saperne nulla e mi lasciarono in asso).

E la ricolonizzai con le mie cose (libri soprattutto ma anche suppellettili varie), dal momento che il mio fulcro si era nuovamente spostato verso l’appartamento di origine (per i casi della vita). E, infine, ci misi anche il computer da tavolo, sicchè la stanza è oggi divenuta la mia stanza principale per la scrittura.

È una stanza strafogata di cose con reperti appartenenti a diverse ere "geologiche" e starci dentro mi dá molto conforto e soprattuto mi dona il senso della prospettiva.

Una stanza tutta per me, ma anche una "stanza piena di gente" poichè è un luogo transgenerazionale, echeggiante di voci e di ricordi.

Mi chiedo se ci sarà un transito ulteriore ad un'ulteriore generazione.

Non oso dare una risposta a questo quesito, ma quel che è certo, parlando in termini assolutamente generali, al giorno d'oggi si è perso completamente il senso di profondità della nostra storia personale e quello di appartenere ad una sequenza di generazioni.

La consapevolezza di ciò soltanto può dare contezza delle nostre origini e fornire risposte alla domanda "Chi siamo", soddisfacendo il nostro senso di identità.

Io, dai miei genitori sono stato addestrato a sentire fortemente il peso delle generazioni che mi hanno preceduto e a fare di tutto per preservarne la memoria.

Non so se i miei figli sapranno fare lo stesso.

Mi auguro che ciò possa accadere.

Ma - realisticamente - per quanto uno si prodighi - nei giovani di oggi - anche quelli con il migliore pedigree sono molto forti le tendenze centrifughe e soprattutto vi è la tendenza a viversi, negando la funzione della genitorialità e, di conseguenza, mancando di introiettarla efficacemente, sentendosi piuttosto il frutto di una sorta di auto-generazione.

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28 settembre 2021 2 28 /09 /settembre /2021 07:14
La mia maglia bucata

L’altro giorno una mia cugina mi ha fatto notare che sul fronte della T-shirt che indossavo c’era un buchetto.
E mi ha detto che sarebbe il caso di non metterla più. Ha aggiunto: “Vada per i jeans strappati e rammendati. Quelli vanno di moda e nessuno ci fa caso” (i miie jeans, logorati, in alcuni punti erano stati più volte rammendati).

Devo ammetterlo: il vestiario non è mai stato tra le mie priorità. Mia cugina si preoccupa, quando mi vede - secondo lei - trasandato e, se capita, mi redarguisce bonariamente.
Ormai la voce di spesa "vestiario" l’ho definitivamente accantonata e vivo soltanto di ciò che mi ritrovo a casa, comprese felpe e pantaloni che, negli ultimi anni, avevo comprato per mio fratello e rimasti praticamente nuovi.
Ma una T-shirt con il buco?
Di solito le maglie più logorate le riciclo per la notte oppure per il lavoro in campagna. E poi alla fine me ne sbarazzo.
Invece, questa in particolare ho continuato ad usarla come maglia “buona” malgrado i buchetti di cui sono consapevole.
Perché?
Ci ho riflettuto un po’ su.
Ecco la risposta. Per lungo tempo la mamma continuó a comprare gli indumenti per mio fratello e, quando lo faceva, per un criterio di equità comprava qualcosa per me. Non qualcosa di sostanziale, più che altro di valore simbolico. Poi smise, perché smise di andare per negozi, quando capì che questo tipo di cosa la stancava troppo.
E, quando lei me lo chiedeva, andavo io a comprare qualcosa per mio fratello. Mentre lei, come fanno spesso le persone anziane, smise di aggiornare il suo guardaroba (peraltro piuttosto fornito).
Ecco, questa T-shirt, di un bel Verdone scuro, con delle scritte sul davanti, fu uno degli ultimi capi di vestiario che lei mi compró.
Forse, proprio per questo, continuo a considerarlo come un indumento “buono”, malgrado i buchetti. Per lo stesso motivo continuo ad usare il sopra di un pigiama di flanella che mia madre acquistò per me, quando andai a stare a Milano per la specializzazione: di fatto è tuttora uno dei miei preferiti.
È così che vanno le cose, per me.
Giusto o sbagliato che sia.
Nel social dove ho postato queste considerazioni ho avuto delle rassicurazioni e trovato dei sostanziali incoraggiamenti.
Non sono solo, e saperlo è tanto.

Possiamo dire che noi amanti delle vecchie maglie con i buchetti, ma ancora buone - si potrebbe dire "vintage" -, siamo degli incorregibili giurassici, veri e propri dinosauri in via di estinzione in una cultura non cultura che privilegia il ricambio velocissimo di oggetti (e, purtroppo, anche persone) e l'usa-e-getta. E succederà che "quando fra tremila ci ritroveranno fossilizzati, gli archeologi si chiederanno perchè indossavamo vecchie maglie bucate 😂" (il virgolettato è un commento della mia amica AR, riportato da FB).

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4 settembre 2021 6 04 /09 /settembre /2021 07:13

Questa nota l'ho scritta nell'agosto del 2013.  Molto calzante ed appropriato quel testo, perchè in questo momento sta passando su Palermo una forte perturbazione con tuoni, lampi ed acquazzone.Il finale apre la via alla speranza.

Bomba d'acqua a Palermo (foto di Maurizio Crispi)

Bomba d'acqua a Palermo (foto di Maurizio Crispi)

Tuoni e fulmini,
vento e pioggia

Buio come fossero le sette di sera

Il grande temporale avanza

Gabbiani volano alti
a stormo
allontanandosi dal fronte di nubi verdastre
che avanzano da Est

Saette solcano il cielo cupo
e si sente il rumoreggiare continuo
del tuono,
come quello di mille carri da guerra
trainati da destrieri al galoppo,
in folle corsa
su strade selciate di pietra

I soliti piccioni sono scomparsi quasi del tutto
per rintanarsi in luoghi sicuri,
al riparo e guardinghi

Anch'io sono fuggito via
alle prime avvisaglie
per cercare riparo
sentendo le narici
invase dal buon odore
di polvere bagnata

Ma poi
il temporale
è scampato velocemente
lasciando soltanto
una quieta pioggia
quella buona,
che viene assorbita dalla terra

Non si è verificata,
per questa volta,
l'apocalisse

 

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25 agosto 2021 3 25 /08 /agosto /2021 07:08

Ecco cosa ho sognato l'altra notte.

Partecipavo ad un consesso di colleghi dell'azienda sanitaria e comunicavo che dovevo prendere un giorno di congedo straordinario per andare a presentare una richiesta di congedo straordinario per la partecipazione ad un corso di aggiornamento.
Farraginoso e assurdo.
Quindi, mi occorrevano: un giorno di congedo straordinario per presentare la domanda, più tre giorni di congedo straordinario per la partecipazione alcorso.
In tutto quattro giorni consecutivi.
La mia comunicazione suscitava un coro umanime di proteste.
"Crispi, sei sempre il solito!"
Mi sono svegliato stranito.
Un sogno decisamente bizzarro ed insolito.
Svegliandomi ho googlato "Maurizio Crispi psichiatra".
Poca roba, qualche riferimento a libri e a note biografiche correlate.
Il mio nome compariva anche in un elenco pubblico dell'Azienda sanitaria, al tempo in cui in ero ancora in servizio, con le indicazioni dei compensi attribuiti ai dirigenti medici.
Nel sogno compariva il mio primario del tempo, LV: era con lui che discutevo di questa mia richiesta di congedo straordinario, mentre ci spostavamo in auto da qualche parte.

_______________________________________

A Lampedusa, in occasione della prima edizione delle "Settimane psichiatriche lampedusane" (forse 1989)

Il sogno mi ha portato a ricordare una questione che riguarda il mio rapporto con il tempo, quando iniziai a lavorare presso l'Unità sanitaria locale, vincolato ad un orario di servizio.

Del lavoro avevo avuto sino a prima una concezione libertaria e dinamica. I miei modelli erano stati papà e mamma.

Papà era sempre in movimento per via del lavoro, si spostava, viaggiava, non sembrava avesse il vincolo del posto fisso, della stanza e della scrivania. Il suo vero studio professionale, quello in cui si raccoglieva a scrivere era a casa. La mamma insegnava: ovviamente, aveva il vincolo della presenza e dell'orario da rispettare. Ma la sua aveva tutta l'aria di essere una missione nobile e disinteressata. Non l'ho mai sentita lamentarsi di qualcosa. Era sempre gioiosa di fare quello che faceva.

Anche per papà, il lavoro collimava con una forte passione che sentiva dentro di sè. La sua missione era creare cultura e diffonderla attraverso la pagina scritta. Quindi eventuali vincoli, la necessità di fare turni, sbarcare il lunario, assicurare una presenza, erodere il suo tempo libero non erano cose che lo preoccupassero più di tanto.

Per entrambi, per mamma e papà, vi era una forte coincidenza tra identità, senso del Sé e attività professionale. Ed anche una forte coincidenza tra tempo per Sé e tempo lavorativo. Ma d'altronde, entrambi nati nel 1918, appartengono tutti e due alla "vecchia guardia" di quelle persone fortemente vincolate ad una etica professionale e assolutamente non scolfitta dalla Cultura del narcisimo (descritta da Chiristopher Lasch nel suo fondamentale saggio), imperante in Europa a partire dalla fine degli anni Settanta ed espressione della società affluente e del benessere.

Quando entrai in servizio, con un incarico temporaneo, nella USL (a quel tempo la 61), come esperienze lavorative avevo al mio attivo soltanto il breve periodo nell'esercito come sottotenente medico di complemento (e quel periodo lo avevo vissuto come una vacanza ed anche come una moratoria rispetto ai futuri impegni professionali) e i tirocini ospedalieri. Mi ero abituato ad un regime di grande libertà e di duttilità del mio tempo.

Quindi, quando presi servizio in USL fu un vero trauma psichico dovermi confrontare con un orario di lavoro rigido e con una serie di altre limitazioni, come ad esempio quella discendente dal dover chiedere un permesso a qualcuno in carica per andare in ferie e per assentarmi per giustificati motivi.

Sentii questo, in particolare, come un vero e proprio "furto del tempo", a cui dovevo inevitabilmente soggiacere in cambio di uno stipendio.

Questa sgradevole sensazione rimase per tutto il tempo che fui in servizio presso la USL e poi la ASL, con tutte le vicissitudini correlate. Mi sentivo limitato, in qualche modo, impossibilitato a volare libero.

E ciò, benchè mi sentissi realizzato, perchè facevo esattamente ciò che mi piaceva fare. E in questo mi sentivo, ovviamente, un fortunato.

Tuttavia trovai degli escamotage, come quello di architettare molti modi diversi per sottrarmi all'impegno temporale continuativo.

E, quindi, tutte le volte che era possibile andavo a donare il sangue (il che comportava l'intera giornata libera dal lavoro), oppure sceglievo spesso di partecipare a convegni, congressi, seminari, corsi di aggiornamento, proprio in virtù del fatto di poter usufruire dei relativi giorni di congedo straordinario, Ecco dove mi pare di ritrovare la radice del sogno raccontato sopra. Anche i giorni di ferie preferivo utilizzarli in modo spezzettato, così da avere molteplici possibilità di "fuga", anxzichè essere costretto ad un unico blocco continuativo di vacanze (che anch'esso pesava come una costrizione), tipo "ferie aziendali".

Insomma, ogni scusa era buona. Ma naturalmente compensavo questa necessità escapista con la mia dedizione al lavoro, con la passione che vi immettevo, almeno sino quando non rimasi fortemente deluso dall'organizzazione istituzionale: una disillusione che attenuò il mio slancio, di molto.

Ciò che mi fiaccava, soprattutto, era il fatto di dovermi barcamenare continuamente a gestire il rapporto con persone (colleghi) mediocri e con altri che, invece, asservivano la loro presenza in servizio ad una spietata lotta per il potere, con l'uso di mezzi il più delle volte sleali per avere la meglio e il sopravvento.

Fui contento quando maturarono per me i parametri per poter andare in pensione: soltanto allora sentii di essere ritornato ad essere il padrone del mio tempo (ma sempre in modo relativo perchè i vincoli e i lacciuoli che la vita ci pone davanti sono molteplici) e capitano della mia nave. 

 

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4 agosto 2021 3 04 /08 /agosto /2021 06:04

Ecco due vecchi miei scritti, piuttosto dissacranti: ricordo che mi ero divertito molto a scrivere queste due piccole storie.

Vestito da campana

    

Capitolo1 - Travestito da campana

 

Oggi ho deciso di andare in giro travestito da campana
con un bel batacchio bronzeo che oscilla avanti ed indietro,
possente,
mentre cammino

Volevo andare tutto ignudo a fare la mia corsa

Ma siccome non si può,
perché a veder uno tutto nudo
i benpensanti si scandalizzano
farsi campana è un’ottima pensata
per chi voglia andare in giro
ignudo e con tutti i suoi attributi di fuori,
un travestimento discreto e poco appariscente

Sfido chiunque a riconoscermi così mascherato:
del tutto in incognito,
posso tenere il mio batacchio bene a vista,
tanto tutti pensano che esso sia
quello d’una surreale campana deambulante,

quasi un personaggio gogoliano!

Suona il campanello alla porta: qualcuno va ad aprire
Nessuno!
Sembra che non ci sia nessuno…
Chi ha bussato allora?
Qualcuno in vena di far scherzi?
Nooo!
Ma via!
Sono sempre io travestito da campanello
con il batacchino
tutto di fuori

A campane e a campanelli, da sempre,
sono concesse simili libertà,
quella d’esporre il proprio batacchio
a sole, vento ed intemperie

Agli umani invece è concessa la libertà
di camminare con il batacchio pendente
solo lontano, molto lontano, da sguardi indiscreti,
mantenendosi entro i confini del proprio spazio privato…

Salvo ad andare in luoghi consacrati ai non tessili,
ma non sempre ciò è possibile

Allora, proprio per questo oggi
ho voluto farmi campana


(Palermo, il 21.12.2005)

 

  

Vestito da campana

Capitolo 2 - Correndo vestito da campana, ho fatto - ahimè - più tardi del prevosto

Un bel dì, freddo e tempestoso
correvo con lumachesco impeto,
anche quel dì da campana vestito

Siccome l'aere
era freddo e pungente,
per la bisogna
avevo indosso
un vestitino
adatto ad una campana
molto carampana
qual’ero io per l'appunto,
di buona lana e rustica fattura;
per intenderci:
cucito all'uncinetto,
come quelli delle nonne
nel buon tempo antico

Era un bel vestitino in due pezzi:
la parte di sopra a mantella
ben scampanata
come si conviene
ad una distinta campana
anche se un po’ scapigliata
ed una inferiore, lunga e stretta,
a far da rivestimento
al mio bronzeo batacchio

Così, campanavestito
correvo
con lento piede
lungo il litorale
con allegrezza
scampanando
di quando in quando
dindon dindon dindon
perchè non riesco mai a rinunciare
alla mia campanara vocazione
dindon dindon dindon
in verità emettendo
solo miseri suoni ovattati
dindon dindon dindon
perchè lo spesso involucro di tessuto
castrava il potere risuonante
dindon dindon dindon
limpido e profondo delle mie superfici
dindon dindon dindon
percosse invano dall'alacre batacchio
dindon dindon dindon

Corri  che stracorri,
il cielo s’è fatto scuro
e già
in un batter d’occhio
(…o di campana?)
volgeva al tramonto

La coltre di nubi corruscata
ed il mare percorso da minacciose increspature
rendevano l'ora
ancora più cupa e fosca

Tardi, troppo tardi
son arrivato all'appuntamento convenuto,
e - grosso guaio -
ho fatto ben più tardi del prevosto
il quale spazientito
m’ha lasciato in asso
nella torre campanaria
senza nemmeno la compagnia
del mastro campanaro ad accudirmi
per ritirarsi nella sua dimora
ben al calduccio del focolare
a consumare il prelibato desinare
ammannito dalla fida perpetua
(dove c’è un prevosto
c’è sempre una fida perpetua
ad accudirlo);
era questo il menu del giorno
destinato alla sua pancia robusta:
squisite uova del prevosto
con l'accompagnamento di squisita insalata
pure preparata alla maniera del prevosto,
con in più - dulcis in fundo -
un delicato piattino
d'ancinagghie di pollo,
ben note ai più
anche come “il boccone del previte”,
dunque del prevosto

Sempre nei panni della ben tornita campana
son rimasto a bocca asciutta
a lamentarmi e maledire la mia sorte,
mentre l’inedia spegneva il vigore del batacchio:
anche se una panciuta campana,
forte della sua bronzea tempra
mai dovrebbe sentire i morsi della fame

Morale della favola:
quando ci si fa campana,
pur scampanando ed essendo annunciati
da ritmici rintocchi
s’arriva al traguardo
sempre più tardi del prevosto
ed il proverbio dice:
chi tardi arriva male alloggia...
per trovare che tutte le squisitezze
se l’è già pappate il prevosto
senza aver nemmeno la gioia
di poter ramazzare le briciole
del lauto pasto

Siccome sono pervicace,
non per questo
una prossima volta
rinuncerò a vestirmi
da campana

Poi semplicemente dirò:
ho fatto più tardi del prevosto!!!
Amen e così sia!

 

(Palermo, il 29.01,2006)
 

 

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Come sono arrivato qui

DSC04695.jpegQuesta pagina è la nuova casa di due blog che alimentavo separatamente. E che erano rispettivamente: Frammenti. Appunti e pensieri sparsi da un diario di bordo e Pensieri sparsi. Riflessioni su temi vari, racconti e piccoli testi senza pretese.

Era diventato davvero troppo dispendioso in termini di tempi richiesti alimentarli entrambi, anche perchè nati per caso, mentre armeggiavo - ancora alle prime armi - per creare un blog, me li ero ritrovati ambedue, benchè la mia idea originaria fosse stata quella di averne uno solo. Infatti, non a caso, le loro intestazioni erano abbastanza simili: creatone uno - non ricordo quale dei due per primo - lo ho "perso" (per quanto strano ciò possa sembrare) e mi diedi alacremente da fare per ricrearne uno nuovo. Qualche tempo - nel frattempo ero divenuto più bravino - il blog perso me lo ritrovai).

Ohibò! - dissi a me stesso - E ora cosa ne faccio?

La risposta più logica sarebbe stata: Disattiviamolo!. E invece...

Mi dissi: li tengo tutti e due. E così feci. E' stato bello finchè è durato...

Ma giocare su due tavoli - e sempre con la stessa effcienza - è molto complicato, ancora di più quando i tavoli diventano tre e poi quattro e via discorrendo....

Con overblog ho trovato una "casa" che mi sembra sicuramente più soddisfacente e così, dopo molte esitazioni, mi sono deciso a fare il grande passo del trasloco, non senza un certo dispiacere, perchè il cambiamento induce sempre un po' di malinconia e qualche nostalgia.

E quindi ora eccomi qua.

E quello che ho fatto - ciò mi consola molto - rimane là e chiunque se ha la curiosità può andare a dargli un'occhiata.

 

Seguendo il link potete leggere il mio curriculum.

 

 


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