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18 agosto 2022 4 18 /08 /agosto /2022 10:09

Il 18 agosto 2010, mentre facevo una passeggiata antelucana con il mio cane, camminando lungo Villa Sperlinga sopraggiunsi sul teatro di un gravissimo incidente d'auto da poco accaduto.Un giovane alla guida di una piccola monovolume rossa era morto sul colpo dopo che, per un errore di manovra (o per un improvviso perdita di controllo), la sua auto lanciata a folle velocità si era schiantata sulle auto parcheggiate a fianco del giardino pubblico.
La giovane vittima era già stata portata via: rimanevano soltanto i rottami dell'auto in attesa che i Vigili Urbani compissero i loro accertamenti.

Rimasi fortemente impressionato da ciò che vidi e la mia mente si spostò velocemente, con un rapidissimo back-rewind, a quando appena diciottenne (quindi, credo che fosse nell'autunno del 1967, quindi con un balzo indietro di più di quaranta anni, ero stato io ad incorrere in un grave incidente con la moto: un incidente che avrebbe potuto essere letale, ma la sorte aveva decretato che io, invece, dovessi vivere. Finii in ospedale, però, dove il giorno successivo subii un intervento in sala operatoria per le suture delle ferite lacero contse che avevo riportato.

E ricordai anche che, nel 1991, cercando di rimemorare alcune sensazioni che erano rimaste fortemente impresse dentro di me in quelle circostanze, avevo scritto alcune frasi, una mia "nota di diario" come amo dire, parlando di ciò che butto giù di tanto in tanto.

Di seguito, il testo scritto nel 1991 (recuperato dalle "note" di Facebook) e la breve notizia, scarna, presumibilmente ricavata da un comunicato d'agenzia su quell'incidente così perturbante di cui ebbi modo di osservare ciò che rimaneva.

 

Cattedrale di silenzio

(1991, pensando all'autunno del 1967)

 

Distesa di silenzio oscuro

Lontano, al di là della vasta cattedrale di tenebre

ammiccano minute luci pulsanti

assiepate

gialle arancione bianche rosse

Separatezza senza nostalgia

Lieve

galleggio nel buio

inondato dalla meraviglia

e dalle vibrazioni di una pace

mai conosciuta prima

 

Solitudine che non pesa

 

Poi, di botto,

il tumulto delle voci

stridore di freni

la sirena lontana di un'ambulanza

(o il clacson di un'auto premuto a cappella?)

lacera il cielo

come un urlo di dolore

 

(2022) Scrissi tutto questo per esprimere le mie sensazioni: appena subito l'impatto (ero volato sul tettuccio di un'auto parcheggiata sulla quale mi ero schiantato), rimasi lì con questa sensazione fluttuante di pace profonda e di silenzio. EEra sera quando accadde l'incidente, vedevo le luci della via, ma mi sembravano lontanissime come se mi fossi allontanato a dismisura. E assieme alla pace, c'era un silenzio profondo. Mi sono chiesto più volte se queste sensazioni non siano state l'equivalente di un'epserienza di quasi-morte. Poi, però, sono tornato indietro: trovai la forza di scivolare giù dal tettuccio dell'auto e di mettermi in piedi. Però, di lì a poco fui travolto da sensazioni di violento dolore, senza potere capire la causa. Era tutto il corpo che mi faceva male. E soprattutto, malgrado le ferite che poi furono evidenziate non c'era sangue. Ce n'era soltanto una macchiolina, più piccola di una lenticchia, sui pantaloni.
Fui caricato in macchina dallo stesso investitore (colui che tagliandomi la strada aveva provocato l'incidente) e fui trasportato subito al Pronto Soccorso di Villa Sofia.
Durante il trasporto, mi contorcevo dal dolore: alla fine del breve viaggio mi ritrovai con la testa e il busto al posto dei piedi e piedi e gambe sul sedile. C'era un unico (giovane) medico presente. Mi visito. Scoperse le ferite lacero-contuse e voleva subito suturare. Ed io mi opposi. Gli dissi che volevo che, prima di ogni cosa, arrivasse mio padre. Il medico, vedendo la mia ferma opposizione, si rassegno ad attendere. E, in effetti, quando mio padre arrivò, dopo una breve discussione e considerando la delicatezza dell'intervento di sutura, io venni ricoverato per essere suturato il giorno successivo in sala operatoria e sotto anestesia.
Oggi le cose sarebbero andate diversamente, io sarei rimasto sul posto in attesa dell'arrivo dell'ambulanza del 118 e sarei stato soccorso in maniera meno "garibaldina", ma allora si usava così. Oggi, però sarei rimasto a lungo in attesa dell'arrivo di un'ambulanza, come è capitato al ragazzo deceduto nell'incidente del 2010.
E' andata bene, ero senza casco, perchè allora non si usava; non subii un trauma cranico (a parte il forte shock), ma avrei potuto riportare una grave frattura del bacino. Il medico che ebbe a visitarmi (non quello del Pronto Soccorso), mi disse che mi era andata bene perchè ero giovane e le mie ossa erano ancora molto elastiche.

Incidente d'auto 1991, Villa Sperlinga, Palermo

Ma torniamo al 2010. Ho scritto "Cattedrale di silenzio" quasi vent'anni fa (in calce alla pagina c'è scritto: 6 gennaio 1991), sforzandomi di ricordare le sensazioni sperimentate più di venti anni prima, quando incorsi in un grave incidente con la moto, dal quale per fortuna - e miracolosamente, malgrado la violenza dell'impatto - uscii indenne.

Le riprendo oggi per pura causalità e le presento qui, lievemente trasformate in modo più conforme con il mio modo di scrivere attuale (e qui mi riferisco al 2010).

Un ragazzo di vent'anni, L.A., è morto la notte scorsa a Palermo in un incidente stradale verificatosi in via Piemonte, all'altezza di Villa Sperlinga. La monovolume rossa, su cui viaggiava in compagnia di un'altra persona, si è schiantata contro un suv parcheggiato lungo il marciapiedi che costeggia la villa. L'urto è stato di una violenza tale da spostare il suv di diversi metri. Oltre ai Vigili urbani e al 118 sono intervenuti anche i Vigili del Fuoco per tagliare le lamiere e liberare i due occupanti della vettura. Il ferito è stato soccorso e trasportato nel più vicino nosocomio per tutte le cure del caso.

"L'ambulanza del 118 è arrivata in piazza Unità d'Italia 16 minuti dopo che ho telefonato, segnalando l'incidente. E' un ritardo incomprensibile dato che erano le 4 della notte e per strada non c'era nessuno. I genitori del povero ragazzo che è morto devono saperlo". E' lo sfogo di Giovanna Marano, svegliata nella notte dal boato provocato dallo schianto. "Dopo il boato - dice Marano, segretaria siciliana della Fiom-Cgil - mi sono affacciata al balcone, dal quarto piano ho visto l'auto in fiamme. Ho subito avvertito il 118, mentre il ragazzo tunisino che lavora dal fioraio è intervenuto gettando acqua sul radiatore. Nel giro di pochi minuti sono arrivate 5 auto della polizia e due mezzi dei vigili del fuoco. L'ambulanza del 118 è arrivata 16 minuti dopo". Sull'incidente indaga la polizia municipale.

 

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30 giugno 2022 4 30 /06 /giugno /2022 07:04

Scritto il 30 giugno 2012 e pubblicato sul mio profilo Facebook. Inedito su questo blog. L'ho recuperato attraverso l'algoritmo di Facebook che giornalmente propone dei "ricordi". Questo breve scritto propone ancora una volta una riflessione sulla prossemica e sulla "giusta" distanza nelle interazioni umane.

Pinguini prossemici (fonte: web)

Come si può stabilire il limite in cui la relazione tra due persone si tramuta in indifferenza?

Questa è una domanda capitale, perchè proprio su questo terreno si giocano madornali fratture ed incomprensioni, visto che esiste un margine di intolleranza diverso per quanto riguarda la prossimità (e l'intimità) in ciascuno dei partner implicati in una relazione.

Spesso, la soglia di suscettibilità di uno è bassissima, mentre quella dell'altro può essere molto più alta. Naturalmente, sono possibili tutta una serie di gradazioni intermedie che rendono estremamente varie le interazioni e le possibili soluzioni.

Si tratta di qualcosa che ha, in qualche modo, a vedere con la "Prossemica", ovvero la scienza degli "spazi personali" fondata e descritta dall'antropologo inglese Edward T. Hall secondo la quale per ciascun individuo esiste una diversa distanza "minima" per l'interazione con il nostro prossimo. Ad esempio, ci sono alcuni che per parlare ed interagire in generale hanno bisogno di stare a pochi centimetri di distanza dall'altro, mentre ci sono quelli che stabiliscono un confine ideale tra sé e il mondo molto distante dal proprio confine corporeo (e che, di conseguenza, mal tollerano che l'Altro si accosti a pochi centimetri di distanza dal suo volto per parlargli). L'interazione tra due individui siffatti diventa estremamente difficile, perchè - per prova ed errore - come nel caso dei famosi "Ricci  [o Porcospini] di Schopenhauer" i due che interagiscono devono trovare la distanza di comunicazione ottimale, né troppo vicino e nemmeno troppo lontano.

 

I ricci, quando sentono freddo, cercano di avvicinarsi il più possibile l'uno all'altro, si cercano, si stringono, si abbracciano per accumulare calore. All’inizio stanno bene, ma a poco a poco, cominciano ad accorgersi del dolore provocato dagli aculei dell’altro sulla pelle (dolore che prende il sopravvento sul beneficio del calore) e cercano di allontanarsi. Ma appena fanno ciò, sentono di nuovo freddo e allora si riavvicinano, cercando di sopportare il dolore che si infliggono con gli aculei. Ma di nuovo si feriscono e si ristaccano. Poi sentono di nuovo freddo e si riabbracciano: ripetono più volte questi tentativi, sballottati avanti e indietro tra i due mali, finchè ad un certo punto non trovano la distanza ottimale e per non sentire  troppo freddo e per non farsi troppo male con i rispettivi aculei.

 

La distanza ottimale per l'interazione è il frutto di una negoziazione che, per la sua natura, è duttile e sempre mutevole... nel senso che il punto in cui si colloca l'interfaccia varia in continuazione, a seconda degli individui e delle circostanze.Se c'è consapevolezza di ciò, si può andare molto avanti nell'interazione  - anche nelle relazioni amorose - perchè di continuo ci si può calibrare nel modo più conveniente; se invece - anche soltanto unilateralmente - manca la consapevolezza della plasticità di questo continuo processo di aggiustamento (ma anche della sua necessità), si possono far strada delle richieste e delle critiche assolute che - per la loro perentorietà -  possono rapidamente portare al deterioramento di qualsiasi futura interazione.

Anche perchè, nel momento in cui si fa strada una critica radicale su eventuali presunte mancanze, si corrompe definitivamente la spontaneità nella relazione, perchè tutto ciò che ne consegue diventa il frutto di un calcolo o viene interprato come tale.

 

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Come sono arrivato qui

DSC04695.jpegQuesta pagina è la nuova casa di due blog che alimentavo separatamente. E che erano rispettivamente: Frammenti. Appunti e pensieri sparsi da un diario di bordo e Pensieri sparsi. Riflessioni su temi vari, racconti e piccoli testi senza pretese.

Era diventato davvero troppo dispendioso in termini di tempi richiesti alimentarli entrambi, anche perchè nati per caso, mentre armeggiavo - ancora alle prime armi - per creare un blog, me li ero ritrovati ambedue, benchè la mia idea originaria fosse stata quella di averne uno solo. Infatti, non a caso, le loro intestazioni erano abbastanza simili: creatone uno - non ricordo quale dei due per primo - lo ho "perso" (per quanto strano ciò possa sembrare) e mi diedi alacremente da fare per ricrearne uno nuovo. Qualche tempo - nel frattempo ero divenuto più bravino - il blog perso me lo ritrovai).

Ohibò! - dissi a me stesso - E ora cosa ne faccio?

La risposta più logica sarebbe stata: Disattiviamolo!. E invece...

Mi dissi: li tengo tutti e due. E così feci. E' stato bello finchè è durato...

Ma giocare su due tavoli - e sempre con la stessa effcienza - è molto complicato, ancora di più quando i tavoli diventano tre e poi quattro e via discorrendo....

Con overblog ho trovato una "casa" che mi sembra sicuramente più soddisfacente e così, dopo molte esitazioni, mi sono deciso a fare il grande passo del trasloco, non senza un certo dispiacere, perchè il cambiamento induce sempre un po' di malinconia e qualche nostalgia.

E quindi ora eccomi qua.

E quello che ho fatto - ciò mi consola molto - rimane là e chiunque se ha la curiosità può andare a dargli un'occhiata.

 

Seguendo il link potete leggere il mio curriculum.

 

 


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