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26 giugno 2012 2 26 /06 /giugno /2012 17:45

Gabbiano veleggia

 

Gli uccelli

vanno

con semplicità e destrezza

dove

io

non posso andare

 

Avessi le ali

scalerei il Cielo

sino ai Pianeti di Giove

e, oltre, sino alle più lontane stelle

senza timore

che ali posticce

si sciolgano al dardeggiare

dei soli più ardenti

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5 giugno 2012 2 05 /06 /giugno /2012 17:52

DSC01431.JPGTutti mi chiedono perchè io indulga a fotografare animali morti in cui mi imbatto sul ciglio della strada, oppure scene di degrado metropolitano, come ad esempio un mucchio di cantalupi prossimi alla putrefazione.
Ci sono alcuni che si sentono disturbati dalla crudezza di queste immagini, forse.
Altri le considerano antiestetiche.
Altri ancora si sentono offesi ed oltraggiati.
Ma perchè?

Si tratta di scene che fanno parte del nostro panorama quotidiano, in realtà.
Molti distolgono lo sguardo e fanno finta di non vedere.
Molti desiderano vivere in una condizione di tranquillità dello spirito, in cui la quiete e la normalità quotidiane non siano per nulla disturbate.
Sembrerebbe che la volontà di molti sia orientata a mantenere a tutti i costi un equilibrio perfetto, in cui le immagini della fine siano bandite, per evitare il loro impatto destabilizzante sulle certezze della vita che si vorrebbe fossero per sempre.

I nostri antenati erano abituati alla morte e al morire che facevano parte integrante del vivere.
Per loro la morte era strettamente intersecata con il vivere: e, oltre alle certezze del vivere, c'era costantemente la certezza della morte.
La religiosità e il bisogno di trascendenza sono nate in realtà proprio da questa stretta coabitazione di vita e di morte.
La morte era ominosa ed incombente, ma era - in realtà - un fatto della vita.
Non poteva esserci la vita senza la morte.
In un recente romanzo (opera prima di Giacomo Papi, I primi tornarono a nuoto, pubblicato da Einaudi, 2012) si ipotizza che, per motivi misteriosi (che la Scienza non è capace di spiegare), i morti - tutti i morti - ritornano ad ondate in una progressione geometrica.
DSC01440I morti risorti sono fisicamente perfetti (anche se hanno l'età cronologica che avevano al momento del decesso), ma i loro tessuti (persino i loro denti) sono giovani e vigorosi. L'unica differenza è che i risorti non possono procreare.
Al crescere del numero dei redivivi, si crea immediatamente una competizione tra i vivi e i risorti: si attiva una vera e propria lotta per uno spazio vitale che si fa sempre più ristretto, visto che i risorti sono centinaia di milioni se non miliardi (considerando i morti di tutte le epoche storiche sin dagli albori dell'Umanità): e, in questa lotta, da parte dei risorti si attiva una feroce persecuzione contro le donne (non solo simbolo della fertilità, ma anche concreta estrinsecazione della capacità di procreare) e dei pargoli da poco nati. Le donne, siano esse incinte o in età fertile, vengono sterminate.

Questo l'incipit del romanzo: «I primi tornarono a nuoto la notte del secondo giorno. A sciami, nelle ore disabitate, entrarono in acqua dai porti addormentati, dai moli senza nome, dalle anonime rive di melma ed erba dimenticate sulla terraferma, e nuotarono lenti in mezzo alla laguna illuminata e oscurata a intermittenza dalla luna e dalle nuvole, uscirono dal mare come granchi o come rane, arrampicandosi sui pali, sulle barche ormeggiate, sulle scale intagliate nella pietra e invasero le isole. Per molte ore nessuno li vide». (Giacomo Papi, I primi tornarono a nuoto, Einaudi, 2012)
DSC01428Akunin in un suo libro (Le città senza tempo. Storie di cimiteri, Frassinelli, 2006) riflette che, se soltanto si considerano le grandi metropoli (quelle che hanno una storia millenaria, come Roma, Londra o Parigi) sono più i morti che le hanno popolate e che vi sono sepolti che non i vivi che le abitano in atto. E si chiede Akunin se non sarebbe legittimo pensare che queste città debbano appartenere più ai morti che si sono affastellati nel corso dei secoli che non ai vivi che le abitano. C'è da domandarsi se tutti questi morti non sprigionino una qualche forma di energia che si espande a partire dei loro luoghi di sepolutra e se non siano persistenti - presenti ed attive - tracce del loro passaggio.

Morire è una necessità dalla quale non si può eludere in alcun modo e immaginare di procrastinare oltre il lecito (e il naturale) il tempo in cui ci è dato di vivere è semplicemente follia.
Non ha senso favorire la domanda crescente di un maggiore tempo di vita: occorre piuttosto lasciare che ci siano un naturale avvicendamento e un ricambio generazionale, in modo da assicurare un equilibrio tra le vite che si spengono e quelle che cominciano.
Se così non fosse, come prospetta il metafisico romanzo di  Papi saremmo velocemente condannati all'estinzione per sovrappolazione. Detto crudamente: diventeremmo troppi per avere di che mangiare e per dividere sempre più magre risorse.
La morte prenderebbe il sopravvento per la mancanza di un naturale avvicendamento.

Primi-tornarono-a-nuoto.jpgIndugiare sulle immagini di morte, quando la morte altro non è che un transito da uno stato all'altro, è un modo per ricordarsi dell'impermanenza e della corrruttibilità.
Un'immagine è efficace in tal senso, in quanto estrapola da scenari di vita una possibile rappresentazione della morte e del passaggio da uno stato ad un altro: e questo può aiutare a riflettere e a prendere consapevolezza sul fatto che non vivremo in eterno, che siamo a predestinati a morire.
Questa è una certezza ineludibile,  anche se non possediamo la conoscenza del modo e del tempo in cui ciò avverrà.
E non dico, ovviamente, che si debba vivere cupamente, recitando come una litania "Memento mori", come facevano certi monaci di clausura (i Trappisti), votati al silenzio, ma autorizzati a pronunciare incontrando un altro confrate la fatidica frase, scavando così giorno per giorno la fossa che, da morti,li avrebbe accolti. Oppure come icona di riflessione sul tema della morte, possiamo pensare al fiociniere Queequeg che in Moby Dick sale a bordo, portandosi a spalla la bara dentro cui un giorno vorrebbe essere sepolto (dentro la quale si mette anche a dormire) e che, poi, quando il Pequod naufraga, colpito dalla furia assassina ed ominosa del grande Capodoglio bianco diventa il provvidenziale salvagente che porta Ismael in salvo.
Se riflettiamo sugli scenari di morte, saremo un po' più pronti ad accettare la fine quando verrà, ma sempre pensando alla pienezza della vita.
La società odierna, profondamente orientata all'edonismo, è troppo materialista per esprimere una riflessione profonda sulla morte e sul morire o anche un'accettazione consuetudinaria sulla nostra fragilità e sul nostro esssere transeunti.
Se si ha la consapevolezza della morte con la convinzione (tranquillamente accettata) che ogni giorno potrebbe essere l'ultimo, ogni giorno di vita che ci è dato sarà vissuto con pienezza e, quando quel momento fatidico verrà, non dovremo angustiarci perche "...non c'è più tempo", oppure perche "...non abbiamo fatto questo o quell'altro".
Benchè nessno potrà mai dire, in tutta sincerità, di essere pronto per il passaggio dentro una dimensione di ineffabile mistero, volgendo di tanto uno sguardo non terrorizzato ad un'immagine della fine, forse, potremo dire di essere almeno un po' più pronti.

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24 maggio 2012 4 24 /05 /maggio /2012 18:27

DSC00851.JPG

 

 

 

Oggi ha soffiato il vento
a raffiche
I teloni delle botteghe
si gonfiavano come vele

Tutta la città ha preso vento,
sempre più impaziente di mollare gli ormeggi

Poi, è scesa la notte
e il vento a continuato a soffiare

Spesso,
il vento porta con sè
la solitudine delle steppe artiche
e dei deserti infuocati

Quando soffia il vento,
la notte è sempre inquieta,
arruffata,
nell'aria si avverte un fremito vibrante
una pulsazione
che fa da tavolozza cromatica
al buio che assorbe ogni differenza

La risacca incessante
nelle fronde scapigliate degli alberi
il fruscio delle cartacce e delle foglie secche,
di fogli di giornale gualciti
Il miagolio di un gatto
che avverte l'inquietudine,
mentre le creature dell'aria
tacciono al riparo
(oppure sono volate via,
anche loro aprendo le ali al vento,
come fossero vele)
Il picchiettio lieve di sottili gocce
di una pioggia che non vuole decidersi a cadere
per abbeverare di sè l'universo mondo
e la terra riarsa


Una scarpa abbandonata sull'asfalto
sotto il ciglio del marciapiede di pietra,
proprio dove scorre il flusso veicolare
e ben lontana dai cassonetti,
suggerisce alla fantasia
un evento cruento,
apre scenari,
qualcuno è stato ucciso
e il suo cadavere è stato portato via

La città notturna sembra abbandonata,
non un auto in transito,
mentre il vento sussurra al mio orecchio
ominosi presagi, dicendomi
che gli uomini hanno migrato altrove,
ma ci sono i frettolosi scalpiccii
di sopravvissuti che s'ascondono nell'ombra

Un altro inverno è passato
la primavera s'è bruciata
in un'effimera fioritura
e un nuovo inverno è tornato
repentino
a stabilire il suo imperio
fuori stagione

L'inverno da cui veniamo,
L'inverno verso cui andiamo

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23 maggio 2012 3 23 /05 /maggio /2012 15:17

Il passaggio delle navi e la nostalgia. Sullo Stretto di Messina

 

Ci sono dei momenti in cui sono travolto dalla bellezza di ciò che osservo oppure sono trascinato dal flusso dei ricordi nostalgici, quando mi capita di immergermi in luoghi della memoria.

L'altro giorno viaggiavo in auto da Palazzo Adriano (luogo delle radici del ramo paterno della famiglia di mio padre) verso Palermo, da solo, con un po' di musica nello sfondo.La giornata volgeva al tramonto: il sole basso sull'orizzonte con i suoi raggi obliqui, a seconda, di come girava la strada mi feriva gli occhi, costringendomi ad abbassare il parasole. 

I campi tenuti a pascolo e a graminacee erano lussureggianti di un verde smeraldo, interlacato con il rosseggiare dei campi di sulla e delle bordure spontanee del pisello selvatico, cariche di inflorescenze di un bel rosso scarlatto.

Presto questo profluvio di colori scomparirà e il verde sontuoso dei campi svanirà per dare luogo al giallo dell'estate e poi al marrone brullo dei campi arati dell'autunno.

Ma intanto tutto sembra tenero e fresco nella vita che è risorta dopo l'inverno.

Animali al pascolo: mucche, cavalli,  persino alcuni muli all'interno di una recinzione di filo spinato e un asinello (e mi piacerebbe davvero tanto potere avere un asinello da accudire); ogni tanto una gazza con il suo manto bianco-nero attraversa saltellando la strada e le cornacchie all'arrivo dell'auto si levano in volo a gruppetti. 

Il lago di Prizzi è magnifico e sulle strade che scendono alle sue sponde si attardano gitanti dopo il pcnic del 1° maggio.

Rocce lontane dalle forme strane sembrano evocare antiche fortificazioni dei Crociati di Terrasanta, con torri di guardia e castelli diruti, per dare luogo poi al canyon calcareo dove si annida Corleone con il pinnacoli tufacei che tanto ricordano le formazioni di Meteora.

Sino a poco prima ero stato a Palazzo, nei pressi della piazza Umberto I, seduto su di una panchina a godermi le prime avvisaglie del passìo pomeridiano e quel'aspetto antico del selciato di pietre e il suono della seicentesca fontana chioccolante e la vista dei "circoli" davanti a cui - man mano che decresceva il sole del meriggio - si andavano schierando, accomodati sulle classiche sedie impagliate i paesani con l'mmancabile coppola un po' storta e il vestito della festa. 

Questo transito mi ha riempito del ricordo dei momenti passati, di frammenti di memoria (di quando ero piccolo) e del riecheggiare dei racconti di mio padre che, quando veniva qui, s'intratteneva sempre a parlare con un suo amico di infanzia (amicizia risalente al tempo in cui lui, piccolino e poi più avanti negli anni, trascorreva qui con i suoi dei lunghi periodi di villeggiatura estiva), tale Peppinello Vaiana, che nella vita fece - qui in paese - il mestiere del Falegname. 

C'era, per esempio, la Grande Quercia che, tuttora, si staglia possente e fronzuta all'incirca ad un chilometro dall'ingresso del paese e che io aspettavo ansiosamente di avvistare nei primi viaggi in auto che io ricordi. Mi annoiavo un po' e chiedevo spesso, come fanno i bambini con voce lagnosa: "Ma quando arriviamo?". E papà mi diceva: "Quando vedrai la Grande Quercia saremo ormai arrivati!". E io me ne stavo a spiare l'arrivo della Quercia, con una certa ansia, anche perchè la zia Mariannù una volta mi ci aveva portato a piedi (sino alla grande Quercia e ritorno era una classica passeggiata dei Palazzesi nei tiepidi pomeriggi estivi, quando le ombre cominciavano ad allungarsi) e mi aveva detto: "Vedi, questo è l'albero a cui Il Gatto e la Volpe impiccarono Pinocchio". 

E c'erano, dunque, i racconti di mio padre, ma anche i posti che mi faceva vedere: come la piccola stazione ferroviaria ora dismessa e quella misteriosa galleria dalle pareti stillanti umidore, rivestita di muschio e capelvenere in crescita spontanea, la galleria da cui, un tempo, sbucava  ansimando e sbuffando vapore il trenino a scartamento ridotto con cui lui e la sua famiglia andavano e venivano da Palazzo.

Un'immagine arcaica quasi, specie se rammento che mio padre soleva dirmi che questo trenino aveva il balconcino posteriore da cui si poteva stare affacciati., oltre ad essere dotato di cremagliera per sperare i tratti più ripidi.

Insomma, i ricordi sono una porta d'accesso alla nostalgia del tempo passato, di ciò che è perso per sempre, di ciò che, man mano che andiamo avanti, sbiadisce nel ricordo, se non può essere più volte raccontato e trasmesso, attraverso questo raccontare... se non c'è una sponda su cui fare rimbalzare il ricordo e farlo richeggiare potenziato e vitalizzato.

Ciò che non si ricorda o non si può più raccontare è perso per sempre: ..."vola via nel vento"... e non può più essere trattenuto.

Quando mi immergo nel ricordo, mi colpisce forte e duro la nostalgia per tutto ciò che è perso e soprattutto per tutto ciò che avrebbe potuto essere e non è stato... Per tutto ciò che mi ha sfiorato nel corso della vita e che non ho potuto (o non ho voluto) prendere: cose che ho visto e che sono passate in un batter d'occhio. Oppure, cose di cui non mi sono nemmeno accorto: quella particolare circostanza magari la riconoscerai ad anni di distanza e con un senso di perdita... Un orizzonte che avrebbe potuto aprirsi e che è rimasto chiuso per te.

Mi chiedo se, avendo la possibilità di tornare indietro, facendo un rapido rewind della vita che ho vissuto, vorrei rivivere le cose in un modo diverso oppure viverne di altre, compiendo altre scelte: non lo so, per certo. 

Penso però che la nostalgia non debba essere eliminata: può essere un sentimento utile, perchè è quello che ti sospinge incessantamente verso orizzonti nuovi, è quella molla interiore che ti  porta a guardare pieno di curiosità e attesa cosa ti aspetta dietro l'angolo di quella via che stai percorrendo, è la benzina che ti spinge ad andare avanti, perchè in qualsiasi momento potresti imbatterti in un attimo di meraviglia", in un "novum", in un fresco stato nascente, in un momento ri-fondativo del tuo essere, in eventi di crescita e di trasformazione...

Ma, nello stesso tempo, la nostalgia ti fa tornare al passato e te lo fa desiderare talvolta con forza struggente.

Ci sono di questi momenti come quando cammino lungo una strada al tramonto e all'improvviso mi sento schiacciato dalle cose che sono state e da quelle che non sono state: e, per tutto ciò, mi sale un groppo alla gola che vorrei far venire fuori con un pianto liberatorio e catartico, che tuttavia non arriva mai e se ne rimane lì sospeso, nell'aria e nel petto, come un battito d'ala che frulla, ma non decolla...

La stessa cosa succede quando ascolto certi pezzi del rock o del pop: ognuno di essi è legato ad un momento della mia vita, ad una storia, ad una persona. Anche lì, vorrei liberare qualcosa che preme da dentro e che urge per uscire.

La vita però è fatta di persone diverse. Ci sono quelli che amano le certezze e la solidità degli affetti familiari e tu li vedi, sempre apparentemente sereni e tranquilli, con una dimostrazione di grande stabilità nelle vicende della vita (e nella loro "impresa" familiare). Altri scelgono la via dell'esilio e del vagabondaggio e non riescono mai a fermarsi da nessuna parte. Vorrebbero in verità, ma non ci riescono mai: dopo un po' è la strada ad averla vinta con il suo richiamo forte e ammaliante e si ritrovano sempre nella condizione di viandante che non può mai fermarsi in un uno stesso luogo troppo a lungo. 

La strada nel suo ampio senso metaforico è, per costoro, schiavitù e libertà nello stesso tempo.

Forse è proprio per questo che, proprio quando si è materialmente sulla strada, più acuta si fa la nostalgia.

Mi interrogo sovente su questa mia condizione: anche se sono molto stanziale ed abitudinario per alcni versi, ritengo di appartenere a questa schiera di vagabondi che non potranno mai fermarsi e che andranno sempre avanti, a volte colpiti da fulminee scoperte, da grandi emozioni, ma sempre funestati dalla perdita di ciò a cui volgono le spalle per continuare ad andare avanti nella loro cerca, benedetta e maledetta assieme.

 

Nella foto (di Maurizio Crispi): Il passaggio delle navi e la nostalgia di un orizzonte ancora da scoprire... In fondo, ancora oggi, se si sta sulla riva del mare a guardare il passaggio delle navi, ci si accorge che non è cambiato niente, quando andar per mare era un'avventura gravida di pericolo, ma anche fonte di grandi soddisfazioni... La vera patria non è Itaca a cui fare ritorno, ma il luogo ancora da esplorare...

Messina, Lungomare in direzione di Ganzirri, il 29 aprile 2012.

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20 aprile 2012 5 20 /04 /aprile /2012 12:38

Mi sono addormentato di un sonno profondo, quasi catatonico: a tratti, avevo la sensazione di essere non dormiente, ma prigioniero dentro un corpo di pietra, impossibilitato dal compiere qualsiasi azione e dal proferire verbo.

Ma, ad un certo punto, sono scivolato in un sogno vero che aveva le qualità della realtà vissuta.

Ero nella vecchia casa di Viale Regina Margherita e mi ero ritirato in bagno a urinare.

E mentre pisciavo indolentemente, immerso nei miei pensieri - così come si fa usualmente nel cuore della notte -, sono stato preso da una sensazione strana, come se l'edificio intero si fosse trasformato in nave le cui vele, una volta sciolti gli ormeggi, prendono il vento e che entra in uno stato di solerte vibrazione, come se il lanche egno delle opere morte divenisse vivo e pieno di energia vitale.

La sensazione di straniamento derivante dalla percezione di questa lunga vibrazione mi ha messo ansia.

Sono uscito a precipizio, affacciandomi sul disimpegno del vecchio appartamento: e qui trovavo mio fratello e la mamma.

Le pareti erano divenute irriconoscibili, percorse com'erano da mille crepe preannuncianti un loro rapido sgretolamento e la catastrofe imminente.

Capivo che non era l'edificio a veleggiare e a vibrare, quasi impaziente di sciogliere gli ormeggi che l'incatenavano, ma un l'inizio di un terremoto violento che poneva la necessità di decisioni rapide ed incisive.

Il grande quesito: mettersi in salvo oppure ristare?

Un dilemma atroce... e sapevo che, in tal caso, avrei dovuto caricarmi sulle spalle mio fratello e mia madre, unica garanzia per realizzare uno spostamento in tempi ragionevoli e la nostra messa in sicurezza. Come fece Enea con il padre Anchise, insomma.

E, dunque, già mi prefiguravo in fuga, in una rappresentazione dolente della fine di Troia e di Enea che porta in salvo il padre l'anziano Anchise caricandoselo sulle spalle.

Avevo la sensazione che la casa si fosse animata e che si stesse traslando in avanti: e ciò mi dava un ulteriore senso di vertigine.

E, a questo punto, mi sono risvegliato trafelato.

Subito, ho consultato l'orologio (erano le 19.41), ripromettendomi di chiedere a mio fratello se a quell'orario fosse accaduto qualcosa di particolare.

Cerco sempre delle corrispondenze tra ciò che sogno ed eventi della realtà.

Credo profondamente al fatto che i sogni possano contenere elementi premonitori e metterti sull'avviso di cose che stanno accadendo in un altrove e che, di lì a poco, accadranno...

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12 aprile 2012 4 12 /04 /aprile /2012 18:41

DSC02476.JPGApprofittando della bella giornata di sole e della temperatura relativamente mite, dopo pranzo, ho deciso di spingermi sino a Barcarello (Sferacavallo) e all'interno della Riserva Naturale Orientata di Capo Gallo, sino alla "Fossa": veramente poca gente in giro. 
La duplice barriera (all'altezza del rimessaggio barche da diporto alla punta di Barcarello, prima, e, poi di nuovo, dove è l'ingresso alla Riserva in senso stretto) fa da selezione naturale per tutti quelli che vogliono arrivare sino alla meta, ma solo se comodamente seduti in auto o cavalcando la propria moto.
E' un posto, dunque, in pratica riservato solo a quelli che sono disposti a camminare a piedi o, al massimo, ai ciclisti che, con il loro mezzo, con facilità possono superare le strettoie opportunamente predisposte.
barcarello-foto-storica.jpgE questa è indubbiamente una grande cosa, perché riesce a mantenere pressocché intatta la natura d'un posto per pochi intimi e, soprattutto, per persone che condividono gli stessi valori ed hanno analoghe preferenze.
Ma è anche un posto che, per me, è di belle memorie perché ci venivo d'estate al mare dove degli amici avevano un appezzamento di terreno con una casina di pietra, incombente sulla scogliera, che faceva da comodo punto di appoggio per lunghe giornate al mare. E questo luogo c'è ancora, pur se inglobato all'interno del territorio della Riserva. La casina è ancora là, con il suo aspetto antico, ma con la porta divelta e l'interno spoglio e DSC02531vandalizzato, pieno di detriti, i laterizi della soletta crollati sul pavimento. Eppure la casina con la sua piccola corte, con una panchina di pietra poggiata al muro frontale, con un pino d'aleppo dal tronco contorto dai venti marini e un siliquastro i cui rami - al momento della mia visita - in piena fioritura crescono bassi e sembrano occupare tutto lo spazio, la montaglia incombente, che fa da sfonda e il cui profilo è reso dentellato e maestoso da guglie aguzze quasi fosse una cattedrale gotica, conserva pienamente il suo fascino e la sua vitalità.

E' come se questo luogo avesse una sua vita intrinseca che non accusa i colpi del tempo e l'evanescenza della memoria.

DSC02539Splendida luce, tanto silenzio, voli di gabbiani, molto vento - il respiro eterno del Tempo - e rumore di risacca.

Ogni tanto, si scorgono esili le sagome di aerei in avvicinamento allo scalo di Punta Raisi e si avvista una nave all'orizzonte. 
I bastimenti, osservati da terra, accendono nell'animo una forte nostalgia e il desiderio di visitare terre lontane. 
Stranamente ciò non accade quando si vede un aereo che decolla.la nostalgia e la magia del viaggio sono indissolubilmente legate alle vie d'acqua che prima erano il grande ostacolo degli antichi viaggiatori. 
Andare di là dal mare, il grande sogno, nutrito segretamente da ogni individuo stanziale quando arrivava alla fine delle terre da lui conosciute e percorribili.La nave con le sue DSC02537vele schioccanti al vento e con il filo di vapore che sale dalle ciminiere, con l'urlo gutturale della sirena è la sfida per antonomasia ai limiti angusti di ogni Finisterre del mondo conosciuto.
Indugio a leggere per un po' di tempo e poi riprendo la via per Palermo.
Mi fermo a bere un caffé, seduto al tavolo esterno di un piccolo bar di Sferracavallo, proprio accanto all'ufficio elettorale di una candidata alla 7^ circoscrizione (per le prossime amministrative). 
Osservo grappoli di gente, per lo più inutile, senza né arte né parte che se ne stanno a ciondolare e a ciarlare nei pressi.

Un parlare che è solo dare fiato alla bocca, ma che non esprime nulla, solo desolazione e vuoto.

Gente che mi pare volgare, grossolana e a corto di idee.
Rifletto tristemente che il mondo è fatto all'85% di gente per lo più inutile.
Eppure sono sempre queste persone quelle che sopravvivono a coloro che invece sentono, pensano e producono qualcosa di duraturo.
E' questa la dura realtà, dominata da legge spietata che ci porta a diventare sempre più mediocri ed insulsi, sempre più ottimi consumatori decerebrati e sempre meno uomini pensanti.

 

DSC02524

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21 febbraio 2012 2 21 /02 /febbraio /2012 11:48

Riprendo qui un mio scritto di un paio di anni fa. Un momento descrittivo che racconta delle sensazioni e delle emozioni di una passeggiata lungo il mare. L'ho ritrovato e voglio includerlo tra le mie note diaristiche di questo blog, perchè mantiene tuttora una sua freschezza e una sua attualità, dando al tempo stesso l'idea molto forte di quanto la scrittura possa equivalere ad una fotografia che fissa dei momenti irripetibili, prolungandoli in certo qual modo nel futuro.

 

Una giornata magnifica nel suo esordio.

Poi, dopo un paio d'ore, il cielo s'è offuscato.

Ma quelle due ore sono state un dono grato.

Il cielo azzurro.

Il mare liscio e quieto: la risacca, soltanto un mormorio rasserenante.

Il sole tiepido.

Non un filo di vento.

Spiaggia deserta: lungo la passeggiata, a ridosso della sabbia, molti camminatori e podisti che si accingono al loro allenamento domenicale.

Il borgo marinaro pigramente comincia ora a risvegliarsi.

I venditori di pesce e frutti di mare si affacendano per esporre la loro merce.

Rintocchi di campane dalla chiesa si spandono sul mare.

Barche da pesca dipinte a vivaci colori e battezzate con nomi di donna (donne di famiglia, è sempre così, il nome di una mamma, di una moglie o di una fidanzata): la barca, ancestralmente, come la nave, è femmina, e come una femmina va trattata, affettuosamente e con dedizione.

Il cammino verso il faro solitario sulla scogliera è splendido, come sempre, coon i suoi saliscendi e con la distesa del mare che in alcuni momenti sembra farsi di oro fuso..

Il paesaggio mozzafiato.

Gabbiani volano alti, stridendo, molto oltre il ciglio della rupe stagliandosi come esili ed eleganti sagome nere sullo sfondo del cielo intensamente azzurro.

La montagna s'innalza a picco sul mare, incombendo minacciosa sulla stretta strada d'asfalto sbrecciato che fende una distesa stepposa di disi e asfodeli.

Grosse pietre sono rotolate giù dala parete di roccia: l'effetto delle cadute di temperatura dei giorni scorsi: ognuna è grossa a sufficienza da sfracellare una macchina.

Viene spontaneo guardare intimoriti la cresta del monte, scrutando con apprensione un sommovimento, un improvviso tremito e il rullo delle pietre smosse della frana.

L'inutile fortino risalente alla 2^ guerra mondiale, il faro in abbandono (che peccato!) all'infuori della lanterna, suo cuore vitale, poi un'altra postazione militare di avvistamento e poi la discesa sullo sterrato che conduce alla scogliera da cui la vista spazia libera verso Isola delle Femmine, Montagna Longa e Punta Raisi.

Su di una roccia, a caratteri cubitali e con vernice rossa, campeggia la scritta "Area nudista" ed è qui che si entra nel cono d'ombra della montagna. All'improvviso, s'avverte il freddo del primo mattino non ancora intiepidito dal primo raggio di sole.

L'ombra genera subito apprensione.

Dappertutto, solitudine e siilenzo, un balsamo per l'anima.

Il paesaggio è talmente vasto che nemmeno ci si accorge della moltitudine di podisti e camminatori che procedono in lunga teoria, in un senso e nell'altro.

Poi il ritorno.

Mondello e la riserva di Monte Gallo: uno dei più bei posti dove andare a camminare, a correre, a esplorare, a pensare, a sentire.

Mi ritengo fortunato di poter essere qui e di poter godere di tutto questo.

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18 febbraio 2012 6 18 /02 /febbraio /2012 09:17
La nostalgia: un sentimento che ci fa continuamente muovere tra passato e futuro

capozafferano.jpgLa nostalgia è un sentimento che scaturisce dalla consapevolezza (a volte chiara e netta, a volte oscura ed indefinibile) della mancanza di qualcosa che non c'è più a cui si vorrebbe tornare, ma è anche il desiderio struggente di ciò che si vorrebbe raggiungere senza riuscirci...

Ma, in entrambi i casi, la matrice comune è il sentimento della mancanza, in definitiva, di qualcosa che abbiamo conosciuto bene in una fase precoce della nostra vita e a cui, sempre, nel tempo che ci è dato vivere, vorremmo potere ritornare.

"Nostos", del resto, sta a significare nella lingua greca "ritorno", mentre l'etimo della seconda parte della parte è "Algos", vale a dire "dolore", "sofferenza". Quindi, "nostalgia" è dolore per il ritorno.

Ma il ritorno dove?

Se si pensa alle peripezie avventurose di Odisseo, la sua nostalgia profonda è per la patria, la moglie e il figlio, per il suo cane Argo, per le sue terre, per la sua camera nuziale edificata attorno ad un enorme ceppo di ulivo, trasformato in talamo.

Quindi, la matrice più profonda della nostalgia è rappresentata dalla "patria" che è, in definitiva, la base più profonda della nostra identità, ma anche la fucina in cui si sono forgiati i nostri affetti e il nostro sentire: patria intesa come luogo natio, come terra d'origine in cui sono le nostre radici, ma anche come rapporto forte ed indelebile con il corpo materno, quello da cui siamo usciti nel mondo e che ci ha forgiato alla vita.

La nostalgia omerica nell'Odissea è tutto questo, ma - con la stessa matrice - è anche il dolore per tutto ciò che Ulisse non ha ancora conosciuto e che egli vorrebbe incontrare...

Cosicchè le due specie di nostalgia operano dentro di lui, lacerandolo: vive le sue scoperte e i suoi nuovi incontri, con lo stesso spirito con cui tornerebbe nella nativa Itaca, se potesse.

Capo ZafferanoCiò conferisce alle sue avventure il gusto dolceamaro della malinconia (stato d'animo che, per alcuni versi, consente una conoscenza pensosa e profonda delle cose, molta centrata sul sentire).

Dopo diversi mesi (forse, addirittura, più di un anno) sono tornato con mio fratello alla casetta vicino al mare, per risolvere un problema tecnico.

La casa era asciutta e pulita, malgrado la non frequentazione, ma il giardino (a cui in altri periodi della mia vita ho lavorato assiduamente) mi è apparso incolto.

Alcuni alberi li ho trovati morti, corrosi dalla salsedine, altri avrebbero bisogno di un'energica potatura.

Le aiuole dovrebbero essere zappate e ripulite dalle erbe infestanti, le foglie secche rimosse.
Tanto lavoro da fare: ma su quello non c'è probema...

Ci si rimboccano le maniche e si fa ciò che deve essere fatto...

Piuttosto, in modo prepotente, sono stato sommerso dalla malinconia, cioè dalla "nostalgia": una sensazione traboccante come un liquido che fuoriesce da una coppa troppo piena ...

Perchè è accaduto questo?

Per essere ritornato in un luogo che, nelle varie vicissitudini della mia vita, da solo, con le mie compagne, con mio figlio, con mia madre e mio fratello ho frequentato assiduamente per diversi decenni della mia vita... Tante immagini si sono succedute nella mia mente: ho collocato ai loro posti i fantasmi di chi non è più e gli avatar di chi vive e li ho mescolati tutti assieme, facendoli interagire, come accadeva in passato... Mi sono ricordato di momenti tristi e di momenti belli, di fasi di acuto entusiasmo e di profonda disperazione...

Ho ricordato i miei cani che tutti si sono succeduti all'interno di questo giardino e di uno di loro (una femmina di pastore tedesco il cui nome era Zeudi) di cui io stesso scavai la fossa ai piedi di quel muretto a secco, ora tutto ricoperto dalla crescita selvaggia delle piante infestanti.

E questo mentre la mia cagnetta Frida scondizolava e saltava eccitata da un'aiuola all'altra...

Mi sono ricordato dei momenti di silenzio e delle chiacchiere.

Di altri periodi in cui sentivo dentro di me un vuoto profondo e di altri in cui sperimentavo - forte ed intensa - la nostalgia per ciò che non avevo, ma anche dei momenti di soddifazione e appagamento, in cui mi pareva di aver toccato il cielo con un dito.

Ma, soprattutto, mi hanno colpito il silenzio profondo interrotto soltanto dalle strida dei gabbiani che volteggiavano in alto oltre la cresta del monte incombente e dal picchiettare della pioggia sul tetto.

Anche loro afflitti dalla solitudine e dalla nostalgia di qualche luogo, forse.

Mi ha colpito l'uggiosità del giorno, con quei continui rovesci di pioggia e nevischio, il freddo stizzoso, le montagne lontane insolitamente rivestite di neve, ma anche quell'improvviso squarcio tra le nubi da cui si è visto arrivare - come una benedizione - un frammento di raggio sole.

Ecco, la nostalgia ci fa stare sospesi, quasi in bilico, tra il passato (di gioie e di dolori, ma sempre il nostro passato) e il futuro che ancora non conosciamo e che ci aspetta con le sue incertezze...

La nostalgia, obbligandoci a tenere uno sguardo (come quello di Giano bifronte) proiettato in entrambe le direzioni ci fa andare avanti, costringendoci a non perdere il contatto con ciò che siamo stati (e con i luoghi da cui veniamo) e obbligandoci sempre a cercare in ciò che ci attende qualcosa che ci sia familiare e congeniale...

Nello scarto, si aprono immensi spazi di conoscenza e possibilità di incontri con il novum che ci possa fare meravigliare e gioire ancora una volta.

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30 novembre 2011 3 30 /11 /novembre /2011 17:16

DSC07313.JPGEssere sulla strada è importante.

È un piacere ineliminabile.

È una cura dalla sensazione di essere chiuso in una prigione

È una boccata di vita.

All'improvviso, dopo giorni e giorni di vita sedentaria (o meglio “stanziale”, più che sedentaria, vista la molteplicità di cose che in ogni giornata riesco a fare) vengo preso da un improvviso bisogno di andare che non corrisponde ad alcuna pianificazione e, quando ciò accade, immediatamente lo assecondo.

È stato così che, qualche giorno fa, mi sono messo alla guida della macchina per imboccare la scorrimento veloce Palermo-Sciacca, sperimentando immediatamente la libertà della strada davanti a me e la fiducia nel fatto che posso arrivare dovunque io voglia andare (magari poi non è così, m ciò che conta è avvertire dentro di sé la potenzialità di ciò).

Già il fatto stesso di essere on the road ti dà il senso dell'avventura fuori dall'ordinario, facendo sciogliere la tensione e  i nodi di stanchezza che si sono accumulati.

DSC07171Guardi la strada davanti con il nastro d’asfalto diviso in due dalla linea di mezzeria bianca che serpeggia davanti ai tuoi occhi e vedi il mondo che ti si muove incontro e tu, al tempo stesso, penetri nel mondo, lasciando che il tuo ego si dissolva in esso, seguendo il ritmo della strada, le sue velocizzazioni e i suoi repentini rallentamenti.

Intanto, godi del paesaggio, che è sempre immenso, magnifico.

La Palermo-Sciacca, ti porta a destinazione sulla costa sud della Sicilia, senza farti attraversare un solo centro abitato: per quel che ti riguarda, potresti avere viaggiato nel deserto: certo, un deserto antropizzato, ma dove di uomini non se vedono quasi del tutto. Paesaggi bellissimi: dai monti selvaggi al passaggio tra Giacalone e San Giuseppe Iato, alle colline e alle piane circoscritti da cerchi di monti, con la sorpresa di vedere (dopo almeno un anno che non passavo da queste parti una surreale selva di pale eoliche ergersi sulle creste più alte quelle ben esposte ai venti) sino a giungere al mare che, già quando ancora non lo vedi, si annuncia con un cielo di una particolare radiosità e trasparenza.

DSC07188Quando faccio questi repentini ed improvvisi spostamenti sono contento di trovarmi in Sicilia e di essere Siciliano.

Ma sono anche contento di poter fare questi autentici "bagni" di mondo.

Ciò che alimentava la mia passione, quando leggevo "Sulla strada" di Kerouac, non era tanto la sregolatezza e l'abbattimento delle regole ai primordi della Beat generation, quanto piuttosto la libertà del viaggiare da un capo all'altro degli States e, forse, della corsa sulle lunghe distanze per tutto il tempo che l'ho praticata, la cosa che mi piaceva di più era proprio essere sulla strada e ritrovarmi a camminare verso una meta.

Ma torniamo alla Sicilia.

Penso che la Sicilia sia proprio una bella terra e che non abbia nulla da invidiare al resto del mondo...

Se non fosse per molti dei Siciliani...

DSC07213Ma sorvoliamo su questi aspetti...

Presto, con la mente lucida, sono arrivato alla mia meta.

Questa volta anziché andare a Capo Bianco e a Eraclea Minoa come ho fatto tutte le volte (perché quello è un luogo che ho nel cuore) ho optato questa volta per la Riserva naturale orientata di Torre Salsa, sottoposta alla gestione WWF dove non ero mai stato prima.

La via di accesso alla Riserva si trova subito prima di arrivare a Montallegro (un paesino interessante, perchè il borgo antico sorgeva su di un monte brullo e pietroso e poi, per motivi poco conosciuti, venne interamente abbandonato per cui oggi se ne vedono le case dirute, muri sbrecciati, un rudere che forse era una chiesa, ormai dello stesso colore della ciaca ferrigna del colle), se si arriva da Sciacca (dopo circa 35 km della Sciacca-Agrigento).

Ho seguito scrupolosamente le indicazioni che ho trovato in Internet e arrivo senza errori.

Grande area di parcheggio (quella gestita dal WWF e forse a pagamento nei mesi estivi, ma non ora). Ci sono parcheggiate meno di dieci auto.

Senza perdere tempo mi sono addentrato subito in direzione della spiaggia, seguendo lo sterrato.

DSC07243Appena uscito dal canneto, un grande spettacolo si è aperto ai miei occhi.

Reputavo che la spiaggia di Eraclea fosse bellissima, imbattibile, ma questa è di gran lunga più affascinante, impagabile.

Forse perché a Eraclea Minoa, a meno che non ci si sposti verso la foce del Platani, superando lo spartiacque di Capo Bianco, ci sono segni indubitabili di antropizzazione: sulle colline circostanti   si vedono numerose abitazioni, nel folto della pineta c'è un vero e proprio villaggio di casette di villeggiatura (invero orribili), c'è un camping e diverse attrezzature turistiche (una pizzeria, un ristorante, un'area giochi per bambini).

Qui, invece, niente.

Hai come la sensazione di esserti abbandonato la civiltà e le sue scorie alle tue spalle.

Mentre percorri lo sterrato che ti porterà alla spiaggia sei su di una macchina del tempo che ti porterà verso un tempo antico, arcaico: puoi facilmente immaginare che questa costa abbia lo stesso aspetto di quando apparve per la prima dalle brume del mare ai navigatori provenienti dalla Grecia o agli intraprendenti Fenici alla ricerca di nuove vie commerciali.

DSC07295Questa sensazione è accresciuta dal fatto che, arrivando, dai un'occhiata al telefonino, per renderti conto che è un ferrovecchio inutilizzabile: non c'è nessun servizio e non risorgerà più a nuova vita se prima non sarai ritornato sulla Agrigento-Sciacca, cioè alla società dei consumi e della dipendenza dagli oggetti tecnologici...

Quindi, non puoi nemmeno dire: "Mi allontano di 10 metri per vedere se c'è campo".

Niente del tutto!

Ti devi dimenticare di avere il telefonino: anzi, tanto vale che, prendendo il toro per le corna, lo lasci con coraggio e determinazione in auto.

Al mio arrivo, non c'è vento, non un alito, sicché la superficie del mare sembra proprio un lucido specchio che riflette l'azzurro del cielo e il bianco delle nuvole.

La spiaggia è grandiosa, ma anche il complesso paesaggio che si vede, colli alle spalle dai quali sembrano essersi staccati grandi massi ciclopici nero bruni, da un lato e dall'altro quasi a racchiudere lo scenario con due quinte grandiose si ergono due falesie bianche fatte di strati di roccia gessose che, nelle ere geologiche, hanno subito degli impressionanti corrugamenti e ripiegamenti su stessi.

DSC07314Grandi massi affiorano dall'acqua bassa e placida, formando grandi costolatura parallele, tanto da suggerire l'impressione che emergano dall’acqua bassa i dorsi di grandi cetacei incastonati nel fondale.

Pochissime persone, alcuni sdraiati a prendere il sole, pochi i bagnanti, molti esplorano e passeggiano, figure davvero minute nell'immensità del paesaggio.

Sulle colline alle spalle si sente un tintinnio di sonagli, qualche abbaio trafelato di cani di mannara. Aguzzando lo sguardo si vede il colle ricoperto da una rada macchia mediterranea brulicante dei dorsi bianco sporco di un gregge di pecore intente al pascolo.

Pecore sul monte che belano, di tanto in tanto, o che smuovono le campanelle e gabbiani sulla spiaggia che se ne stanno indolenti a riva, fermi sulle corte zampe. Ma appena qualcuno si avvicina si levano in volo formando una nube grigio-bianca con rilessi cangianti che a tratti - tanti sono - sembra per pochi attimi oscurare il cielo e il sole per dirigersi in parte verso il mare aperto e spostarsi, in parte, verso la falesia bianco-gessosa fino ad innalzarsi decisi, oltre il suo bordo più alto.

E' uno spettacolo emozionante.

Poi, passato il pericolo, ritornano a posarsi in un punto della spiaggia ancora più distante, per poi levarsi in volo al ripetersi di un nuovo accenno di pericolo.

E così molte volte di seguito.

Mi distendo sulla sabbia, contemplo il mare il canneto, le dune, i colli: sento acutamente di far parte del tutto…

Poi leggo con piacere, mentre il sole percorre la sua parabola nel cielo, mi addormento, scivolo in un dormiveglia placido, attraverso il quale continuavano a giungermi le strida e i giochi volatili dei gabbiani.

Poi, appagato, quando ormai il luogo si era svuotato di quelle poche persone sparse nell’immensità, raccolgo le mie cose, caccio tutto nello zainetto e percorro all’inverso la via sino all’auto…

Pace e solitudine mi riempiono il cuore e, mentre si avvicina il tramonto, mi metto di nuovo sulla strada: il luogo che più mi è congeniale.

Guido sulla via del ritorno, ma so che l’irrequietezza che mi porto dentro, alla strada, mi riporterà inesorabilmente.

 

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25 novembre 2011 5 25 /11 /novembre /2011 06:58

DSC08634.JPG

 

Alcuni giorni fa mi sono recato ad Agrigento in auto: lungo il tragitto, sono stato colpito - come sempre - dalla vista del paesino di Vicari appostato su di un'altura, al cui apice si trova un alto castello che, diruto sino a qualche anno fa, oggi è stato restaurato. L'avvistamento di Vicariavviene quando si arriva quasi al termine di un vasto tratto pianeggiante, dopo aver percorso circa 50 km della statale Palermo-Agrigento.
Un tempo, prima che costruissero la Scorrimento veloce, dopo la piana,  si doveva faticosamente salire sino a Vicari, lungo una strada tortuosa e stretta, per poi scollinare e scendere in direzione di Lercara Friddi.

Immaginate come doveva essere questo viaggio quando non esisteva il motore a scoppio e si viaggiava da una città all'altra con le carrozze!

Ma anche con le auto, il viaggio sino ad Agrigento negli anni Sessanta era lungo e faticoso, quando oggi con la scorrimento veloce in un'ora e mezzo-due ore si è a destinazione.
Un tempo, i briganti appostati sulla montagna scrutavano la pianura sottostante (la Piana di Vicari, appunto) e, quando avvistavano una carrozza, una diligenza oppure un viandante su di un destriero, si preparavano all'agguato e alla ruberia.
Questa è una delle storie che mi raccontava mio padre, ogni volta che passsavamo per di qui, popolando la mia fantasia di immagini che poi ritrovavo nei libri di avventura che instancabilmente mi dava da leggere.
Molte delle storie che mi raccontava, ne sono certo, erano vere e fondate. Altre, invece, facevano parte del corpus di racconti tramandati da una generazione all'altra e da lui raccolti nella sua infanzia (soprattutto da parte di quell'infacatibile intrattenitrice dei molti figli e narratrice di storie che era sua madre Erminia - per me, la nonna Ia).
Come queste storie erano state raccontate a lui, così lui le narrava a me, accendendo la mia fantasia e facendomi rivivere quasi dal vero le storie di cui leggevo.
Quando passavamo di là e mi raccontava della storia dei briganti, io palpitavo attendendo di lì a poco l'assalto dei maramaldi, ma rimanendo in cuor mio intrepido, perchè ci sarebbe stato lui a proteggermi.
Del resto, è questo il modo con cui si tramandano le storie e con cui nascono miti e leggende.

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DSC04695.jpegQuesta pagina è la nuova casa di due blog che alimentavo separatamente. E che erano rispettivamente: Frammenti. Appunti e pensieri sparsi da un diario di bordo e Pensieri sparsi. Riflessioni su temi vari, racconti e piccoli testi senza pretese.

Era diventato davvero troppo dispendioso in termini di tempi richiesti alimentarli entrambi, anche perchè nati per caso, mentre armeggiavo - ancora alle prime armi - per creare un blog, me li ero ritrovati ambedue, benchè la mia idea originaria fosse stata quella di averne uno solo. Infatti, non a caso, le loro intestazioni erano abbastanza simili: creatone uno - non ricordo quale dei due per primo - lo ho "perso" (per quanto strano ciò possa sembrare) e mi diedi alacremente da fare per ricrearne uno nuovo. Qualche tempo - nel frattempo ero divenuto più bravino - il blog perso me lo ritrovai).

Ohibò! - dissi a me stesso - E ora cosa ne faccio?

La risposta più logica sarebbe stata: Disattiviamolo!. E invece...

Mi dissi: li tengo tutti e due. E così feci. E' stato bello finchè è durato...

Ma giocare su due tavoli - e sempre con la stessa effcienza - è molto complicato, ancora di più quando i tavoli diventano tre e poi quattro e via discorrendo....

Con overblog ho trovato una "casa" che mi sembra sicuramente più soddisfacente e così, dopo molte esitazioni, mi sono deciso a fare il grande passo del trasloco, non senza un certo dispiacere, perchè il cambiamento induce sempre un po' di malinconia e qualche nostalgia.

E quindi ora eccomi qua.

E quello che ho fatto - ciò mi consola molto - rimane là e chiunque se ha la curiosità può andare a dargli un'occhiata.

 

Seguendo il link potete leggere il mio curriculum.

 

 


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