Una persiana non fissata
ha sbattuto a lungo ad intervalli irregolari
e i vetri tintinnato di continuo
Altri oggetti
sono stati trascinati qua e là
come la ciotola del cane
o i sottopiatti lasciati fuori, sul tavolo
Un piccolo lampione sospeso al muro
oscillava di quando in quando
e un cerchio di tremula luce gialla
danzava qua e lá
I gechi si erano messi al sicuro
e, del resto, le loro prede agognate
erano state portate via dalle raffiche
Sono cadute anche rade gocce di pioggia
ma è stata una pioggia avara
che si faceva desiderare
Il vento nella ciminiera del camino
risuonava come il respiro di un gigante
caduto in un sonno profondo
All’alba il mondo è tutto arruffato
Le nuvole sono arruffate
Gli alberi di alto fusto sono arruffati
e si vede che il vento li ha fatti penare
Il sole appare e si nasconde
Il vento soffia sempre impetuoso
La casa adesso scricchiola e si agita,
perché non può resistere al richiamo,
ed é pronta ad alzare le vele
e a salpare gli ormeggi
per un lungo viaggio per i sette mari
verso terre lontane
Ed io con lei
assieme a Sinbad il Marinaio
a Billy Budd, appollaiato nella sua gabbia di parrocchetto
e a narratore Ismael
e al fiociniere Quiqueg,
con la sua bara di salvamento
Si é sempre in attesa di qualcosa.
L’attesa è un tempo sospeso
Paradigma dell'attesa è starsene seduti su una panchina
e da lì osservare il mondo che scorre frenetico
Oppure su di un gradino
Oppure ancora in una stazione o in aeroporto,
accomodati su di una panca oppure per terra,
sul pavimento di linoleum,
con le spalle appoggiate ad una parete
quando si verifica un imprevisto ritardo
Nell’attesa, si sperimenta un diverso flusso temporale
L'attesa può riguardare eventi quotidiani,
ricorrenti
Ma anche altri imprevisti ed ominosi,
o piuttosto fortemente desiderati
Non sempre si verifica ciò per cui si è atteso
Spesso l'attesa polarizzata
riserva brutte sorprese
Porta a delusioni concenti e a dispiaceri
L'attesa deve essere non finalizzata
e, mentre si attende, bisogna saper creare
il vuoto nella propria mente
Nell'attesa si raccolgono i propri pensieri in un fascio
e li si buttano via
Lo stesso dovrebbe accadere
per ricordi e desideri
sino a creare un vuoto di memoria e di desiderio
L'attesa può dar luogo ad un istantaneo satori
Non tutti tollerano l’attesa
Alcuni si spazientiscono
Altri imprecano
Altri ancora si spaventano
Quelle che seguono sono le mie impressioni dopo un tentativo di approccio all’Ufficio Tributi del Comune di Palermo, in Piazza Giulio Cesare, proprio l'altro giorno. Esperienza fresca fresca che merita di essere raccontata, in maniera non organica, ma impressionista… C’è poco da dire, qui a Palermo, siamo indietro di anni luce rispetto al consesso civilizzato. Credo che il nostro standard sia perfino peggiore del più disorganizzato dei paesi africani. Le code sono all’ordine del giorno, anche laddove sia obbligatoria la prenotazione online. Ci sono quelli che arrivano comunque senza prenotazione e, per loro, viene istituita un turno a parte, ma “senza alcuna garanzia”, come viene sottolineato da solerti impiegati che, di tanto in tanto, come dei cucù si affacciano fuori dalla porta che immette nell’ufficio, ma rimanendo al di qua di una transenna gialla che fa da separatore tra loro e la folla tumultuante. Infatti, poiché continuano ad imperversare i cascami Covid, - con o senza prenotazione - si deve attende accalcati fuori dalla porta, sul marciapiede, senza alcun riparo dal solleone o dalle intemperie, una massa di persone vocianti-urlanti che, a volte, hanno solo bisogno di informazioni. Se le porte sono a vetri, come è nel caso di questo Ufficio Tributi del Comune di Palermo (unica interfaccia con il pubblico in tutto il territorio metropolitano: ma perché?), queste vengono opportunamente oscurate con fogli di carta, in modo tale che non si possa vedere ciò che accade all’interno (alla faccia della trasparenza!). Fuori, la folla semi-inferocita è un guazzabuglio di proteste e lamentele e bisogna adattarsi ad ascoltare la rava e la fava delle disavventure tributaristiche dei cittadini in attesa. E se ne sentono davvero delle belle, storie di continue malfunzioni che hanno dell’incredibile e sembrano trasformarsi in narrazioni di vessazioni! Come afferma una (ovviamente all’esterno della transenna), qui siamo fermi all’”era glaciale”. Le prenotazioni online sono una burla, poiché come dice un impiegato il sistema è andato in stallo, poiché non accetta nuove iscrizioni, dopo 6 mesi. E allora? Il consiglio che viene elargito dai solerti impiegati (che si affacciano dalla porta a vetri ogni tanto) è aspettare e riprovare più avanti, sperando che il sistema si sia alleggerito. Oppure? L'alternativa che viene proposta è quella di venire molto presto la mattina, prima dell’orario di apertura al pubblico e prendere un turno fisico - come già detto - senza garanzie di riuscita. Quindi, viene immediatamente contraddetto ciò che viene recitato anche da un cartello affisso opportunamente fuori dal portone, nel quale si dice che vengono accettate solo ed esclusivamente prenotazioni online. Il turno fisico, d’altra parte, è l’unica alternativa per molti cittadini (anziani e ignoranti) che non hanno accesso alle moderne tecnologie. Mi chiedo perché l’ufficio in questione (tributi) non debba ampliare l’orario di apertura al pubblico che, allo stato, è implacabilmente 9-13, ovviamente dal lunedì al venerdì, perché i dipendenti hanno diritto alla settimana corta. Un po’ pochino, non trovate? Gli uffici sono evidentemente diretti da dirigenti che non sanno dirigere (oppure sanno, ma poco fanno) e che siano capaci di organizzare il lavoro con criteri manageriali, adattando duttilmente il servizio che deve essere erogato alle esigenze dei cittadini. E poi, durante l’attesa fuori dalla parte e sul lato esterno di quella esecrabile transenna, quante storie di malfunzione dei pubblici uffici si sentono raccontare! Io penso che nel terzo decennio del XXI secolo, qui in Sicilia e a Palermo in particolare siamo nel pieno dell’era oscura e le cose vanno sempre più a peggiorare, anche quando si ammantano di un velo di ammodernamento che rimane più nella forma che nella sostanza. E comunque tale da creare una distanza vieppiù crescente tra i cittadini e le agenzie pubbliche. Ahimè! Cambierà mai qualcosa?
E ha un bel dire un tale M.S. che su Facebook, avendo letto questa mia nota, ha replicato, quasi piccato:
Ho saputo di un amico che non ha avuto alcuno dei problemi da voi lamentati. E' stato prelevato da un'auto municipale, e portato presso gli uffici, in cui ha ricevuto piena assistenza senza alcuna attesa. E dopo pochi minuti è stato riaccompagnato a casa. Siete i soliti disfattisti. Se non ci credete, scrivetegli a: roberto.lagalla@comune.palermo.it
A parte il fatto che un simile commento (per altro con una coloritura da campagna elettorale, considerando il "voi" che mi è attribuito - come se io fossi il portavoce di un gruppo ostile o contrario - e l'aggiunta in calce dell'indirizzo mail del nostro nuovo sindaco) esprime la esecrabile tendenza a schierarsi comunque e dovunque, anche in senso contrario a ciò che è evidente a tutti, io credo che non sia il semplice aneddoto a risolvere i problemi veri, quelli che affliggono la maggior parte dei cittadini, soprattutto quelli più poveri di mezzi e di cultura.
Non è l'aneddoto a salvare il mondo e a salvarci, dico io. E penso che questo pensiero checché ne dica MS sia condivisibile da molti.
Ho sognato che stavo facendo un tour fotografico nella mia città, assieme a mio figlio Camminavamo e scattavamo foto, non le stesse, ovviamente Ognuno fotografava ciò da cui era attratto Talvolta ci trovavamo a puntare l'obiettivo nella stessa direzione ma ognuno - di uno stesso soggetto - dava una sua personale interpretazione Non era una gara, ma piuttosto un'attività condivisa, sulla base d'un interesse comune Girando e rigirando arrivavamo in un angolo sconosciuto ed insolito Era una via stretta e tortuosa, una specie di budello, delimitato da alte pareti, da entrambi i lati, senza né finestre né porte. Una targa diceva "Via dei Calli" Ero sorpreso Mai sentito dire d'una simile via
MI ricordai soltanto di una corsa estrema a piedi attraverso gli USA da ovest ad est, dal Pacifico all'Atlantico, e questa corsa pur avendo la sua denominazione ufficiale, si conquistò il nomignolo di "Bunyon Derby", ovvero di "Il Derby dei Calli", poiché i suoi primi partecipanti, dotati di scarpe non esattamente tecniche come quelle odierne, oltre all'onore e alla gloria (e, per i primi, anche ai premi in denaro che, alla prima edizione, mai vennero corrisposti dagli organizzatori truffaldini) si conquistarono sontuosi calli ai piedi E mi ricordai anche che, da piccolo, quando deformavo le parole, per crearne di mie, nello sforzo di dar vita ad una mia originale neo-lingua, chiamavo i marciapiedi "Marciacalli", un tipico esempio linguistico in cui la singola parte diventa equivalente del tutto (eheeheh) Mi sovvenne anche la mia ilarità infantile, quando per la prima volta sentii parlare di Caracalla, antico imperatore di Roma
dai molti nomi che ora non ricordo, così chiamato per via del sobrio mantello celtico che usava indossare, ma questo io da piccolo non lo sapevo e fantasticavo semplicemente che egli avesse cari i suoi calli e che, in qualche modo li avesse nobilitati, portandoli sin dentro il suo nome imperiale Ma non potei non pensare anche alle Calli veneziani, quando io, appena dodicenne, accompagnato dalla mamma, in uno dei nostri viaggi assieme, mi ritrovai a vagare lungo tortuose vie, selciate di pietre antiche,
accompagnando questi percorsi da scoppi continui di ilarità, poiché pensavo che camminando lungo queste calli stavo di continuo pestando i calli a secolari dignitari della Serenissima
Insomma, io e mio figlio eravamo all'inizio di questa via dei Calli, alquanto stupefatti e desiderosi di fotografare l'insolito che irrompeva così all'improvviso nelle nostre vite e ci abbiamo dato sotto esplorando con gli obiettivi
ciò che si parava davanti al nostro sguardo, quasi che gli strumenti ottici
fossero una propaggine tecnologica dei nostri occhi Nella dura pietra si stagliavano le impronte di piedi callosi ed erano posati, sparsi qua e là,
anche dei calchi in materiali pregiati di piedi famosi deformati da calli e callosità varie E poi, appese alle pareti della tortuosa via c'erano delle piccole teche contenenti in esposizione un ricco repertorio strumenti ed accessori
di diverse epoche storiche,
utilizzati e ancora utilizzabili per asportare i calli più floridi Più in là, aveva inizio un'esposizione fotografica di piedi di Famosi con calli di varie fogge e dimensioni A circa metà della viuzza s'apriva una scala a chiocciola che portava chissà dove ed ogni gradino era decorato
con immagini di piedi deformati e distorti dai calli, realizzati a mosaico Anche le pareti del vicolo erano istoriate da enormi graffiti e murales di writer metropolitani, tutti raffiguranti piedi callosi ritratti con tecniche realistiche, quasi fotografiche, ma anche in modi fantasiosi, con stilemi futuristi o alla Picasso prima maniera
Ecco, il mio sogno era tutto qua
Non c'è un seguito, perché proprio sul più bello
dell'esplorazione
mi son svegliato,
accompagnato dalla vivida impressione
di queste immagini meravigliose di questa Via dei Calli
Mi piace molto il fatto che la Via dei Calli in questi nostri tempi tristi mi abbia portato a pensare a Caracalla, poiché egli fu autore della Constitutio Antoniniana che concedeva la cittadinanza a tutti gli abitanti dell'impero che fossero di condizione libera
Marco Aurelio Severo Antonino Pio Augusto (in latino: Marcus Aurelius Severus Antoninus Pius Augustus; Lugdunum, 4 aprile 188 – Carre, 8 aprile 217), nato Lucio Settimio Bassiano (in latino: Lucius Septimius Bassianus), conosciuto anche come Marco Aurelio Antonino Augusto (in latino: Marcus Aurelius Antoninus Augustus) dal 198 al 211 ma meglio noto con il soprannome di Caracalla, è stato un imperatore romano, appartenente alla dinastia dei Severi, che regnò dal 198 al 217, anno della sua morte.
Importante provvedimento preso durante il suo regno, fu la Constitutio Antoniniana, che concedeva la cittadinanza a tutti gli abitanti dell'Impero di condizione libera. L'estensione della cittadinanza fu una spinta importante all'uniformazione delle amministrazioni cittadine: spariva la gerarchia fra le città e ormai la differenza fra i sudditi dell'Impero non era più sul piano della cittadinanza, ma sul piano del godimento dei diritti civili, fra honestiores e humiliores.
Mi sono assopito sulla sdraio
mentre ero intento nella lettura,
accarezzato da una brezza lieve
il libro scivolato sulle gambe
ma sempre tenuto stretto dalle mani
Mi sono svegliato di soprassalto,
sentendo una voce conosciuta
che mi chiamava per nome
“Mauri!”, ha fatto quella voce,
una sola volta
E poi di nuovo,
"Ehi, Patatoski!"
E poi basta
Ho guardato giù per strada
Nessuno!
C'era solo la carezza continua del vento
sulla pelle e nelle orecchie,
il fruscio delle foglie e poi silenzio
Ho strizzato gli occhi,
per capire se qualcuno si muovesse
nell'ombra fitta degli alberi
Nessuno!
Eppure quel richiamo
era stato così vivido e reale,
benchè io sia un po' duro di orecchio!
Ero desto
oppure sognavo?
(Proverbi, 30, 18-19) Tre cose sono per me così misteriose
che non le comprendo:
il percorso dell'aquila nell'aria,
il sentiero del serpente tra le rocce,
la rotta della nave in alto mare.
E ce n'è soprattutto una quarta:
la via dell'amore tra un uomo e una donna.
Scrissi questo pezzo come "nota Facebook" il 27 agosto 2009 ed è rimasto sepolto lì, man mano che i contenuti della bacheca scorrevano in avanti, proiettati lungo un vettore di tempo lineare.
Riemerge oggi e avendo controllato che di questo scritto non v'è traccia nei miei blog, lo lancio qui.
parla di un momento quasi antidiluviano, prima ancora che esordisse un decennio di lutti, ma anche di grandi cambiamenti ed è, per questo motivo una traccia che vale la pena conservare.
Anche questo pezzo risale al 2010, e precisamente venne reso visibile sulla mia bacheca Facebook, il 3 settembre di quell'anno.
Mai pubblicato nei due blog che avevo a quel tempo e, dunque, lo rilancio qui.
Scampolo di cielo al tramonto,
sul finire di un giorno di tarda estate...
Giorno di vento
Il presente si tramuta
veloce in passato
Il futuro è esiguo
Non c'è tempo
e non c'è niente
per riempire il tempo
Una vita di banali atti quotidiani
di vacue scritture,
di abitudini ossessive,
di rituali senza senso,
di colpi a vuoto
Il vento soffia,
eterno,
lasciando l'aria
piena di vibrazioni e tesa
Nel cielo corruscato le nuvole
navigano,
vanno,
vengono,
sostano,
si addensano,
poi si sfilacciano
o ripartono...
Il vento è premonizione
di qualcosa,
è foriero di eventi oscuri
ancora non scritti
ma, intanto, trascina via con sè
le anime inquiete
degli uomini
che rimangono
vuoti e melanconici
con lo sguardo languido
fisso in alto,
in attesa
Facevo una passeggiata
lungo una spiaggia che mi è molto cara
e dove non vado da tempo immemore
Il suo aspetto era quello autunnale,
della triste smobilitazione, dopo la frenesia dell’estate,
ma anche della restituzione alla bellezza
Molti capanni e chioschi abbandonati,
alcuni in rovina e fatiscenti,
e grandi dune di sabbia
create dal vento e dalle mareggiate
Il mare era uno specchio tranquillo,
se non per ondulazioni ampie
che si creavano dal nulla
sulla sua azzurrissima superficie
e un attimo dopo svanivano,
come se giganteschi cetancei
si muovessero appena sotto la superficie
Vedevo anche enormi iceberg
spiaggiati,
scintillanti ed erosi dai venti
fino a formare l’apparenza
di audaci architetture
con archi rampanti e torri svettanti,
audaci scalinate
e finestre a bifora,
dalle colonne finemente cesellate
C’erano solo pochi bagnanti sparsi
ma abbigliati in modo strano,
come se dovessero andare
ad un eccentrico ballo in maschera
in uno di quei palazzi di ghiaccio
ed anche altri radi frequentatori,
in cammino come me
Ero con un mio amico,
morto da molti anni
Ero contento di vederlo
e fwlice che fossimo insieme
in questa passeggiata,
come nelle nostre corse condivise
in un lontano passato
Ci fermavamo in un anfratto
riparato dal vento
ed io cominciavo a rovistare
dentro al mio fedele zaino
alla ricerca di qualcosa
che desideravo mostrare al mio accompagnatore
Così facendo tiravo fuori
una quantità di oggetti
da lungo tempo dimenticati
di cui non ricordavo più l’esistenza
ed anche molti altri inutili ammennicoli
che mi meravigliavo di possedere
C’erano i cofanetti vuoti
di due opere I millenni
tutti stropicciati e ammaccati
per via della lunga permanenza nello zaino
Poi, una grande quantità di spille di sicurezza,
di tutte le dimensioni
Pensavo che era ora di liberarmi di tutto
per potere procedere libero e leggero
Il mio amico mi guardava,
celato dietro occhialoni da sole,
e non proferiva parola,
enigmatico
Anche questo scrissi nel lontano 28 agosto 2010. E anche questo breve scritto mi è stato restituito in forma di "ricordo" dall'algoritmo di Facebook. Lo ripropongo qui, poichè non fu mai pubblicato nei blog che tenevo attivi a quel tempo.
Gli attimi sono sempre fuggenti. E' nella loro natura esserlo
Crediamo di avere la presa sul presente e ciò che riteniamo di possedere, in un attimo, è già passato
Il presente di fatto non esiste
Ciò che è in un modo transita veloce verso successive - imprevedibili - metaformosi
E non c'è mai l'immobilità, né l'equilibrio assoluto
Viviamo in un continuo disequilibrio alla ricerca di continui micro-equillibri esistenti soltanto in funzione del caos che preme da ogni parte
Io non ho mai un mio centro, non riesco ad averlo nemmeno quando ci provo e sono convinto di provarci
Se lo avessi, probabilmente non scriverei come faccio - spinto da un'ossessione d fissare - attraverso la scrittura - le cose (gli accadimenti) e i pensieri e le emozioni
Se io faccio ciò è per vincere il fantasma della morte e di ciò che si deteriora e si guasta
Se scrivo e se penso e se ricordo l'attimo fuggente oppure ciò che è stato ed è fuggito via da tanto tempo, sono vivo
Ancora per un attimo
Poi, si vedrà
Il commento che segue non è mio e ci tengo a riportarlo sia pure in forma anonima:
"Gli attimi sono importanti.
Sono fuggenti, ma sono come un puzzle e permettono la crescita e la costruzione di tutta la nostra vita, delle nostre emozioni, della nostra... storia.
Ogni attimo passato ci ha permesso di essere come siamo.
Ogni attimo presente ci permette di esserci domani.
L'attimo fugge la morte, perchè la morte è l'ultimo attimo.
L'unico attimo che viviamo senza quasi esserne consapevoli se non forse per una frazione di secondo
Questo scrissi il 28 agosto 2010, cercando di rimettere assieme le impressioni scaturite da una passeggiata notturna nel cuore del quartiere della Palermo antica, conosciuto con il nome di ballarò.
Anche questa nota mi è stata restituita da Facebook in forrma di "ricordi". Mai pubblicata nei miei blog.
Il barong della monnezza urla, scricchiola, sbuffa e geme,
attorniato dalla sua scolta di servitori vocianti,
prezzolati solo per alimentare di continuo la sua bocca rapace
Mentre il ventre immenso del drago viene riempito,
grevi olezzi si diffondono nell'aria,
odori di digestione acidula, di putrefazione e morte
che nemmeno i più densi fumi d'incenso possono mascherare
La piazzetta è piena di banchi di vendita secolari,
accatastati e protetti da teli colorati che, nella notte,
paiono tutti dello stesso colore smorto
I venditori sono a dormire, adesso,
a terra sul pavimento di grosse pietre squadrate
ci sono solo i resti del mercato
Una volta passata la furia meccanica del barong
è di nuovo in quiete in attesa del nuovo giorno.
C'è una cupola arricchita di rilievi barocchi,
che domina dall'alto
rievocando i fasti passati d'una città,
oggi corrotta
Vie dai nomi antichi
formano un reticolo labirintico
dove, per non smarrirsi, occorre legarsi ad un filo di Arianna
nella speranza di non dover incontrare mai
l'orrendo minotauro dei nostri sogni più crudeli,
e la Bestia
Ma le strade sono vive e vitali
bar e osterie ancora aperti a tarda notte
Africani dalle pelle d'ebano,
avvolti in vesti colorate, indugiano
parlottando tra loro in idiomi stranieri
Musulmani con il turbante
accompagnati da donne velate
camminano inquieti
Giovani maghrebini hanno appena finito
la cerimonia del narghilé
nei pressi della porta antica
che trapassa i resti d'una possente cinta muraria
e, vicino, una torre d'acqua stillante umidore
Con un po' di fantasia
si potrebbero avvistare anche gruppi di dervisci danzanti,
con i loro cappelli cilindrici tinti di rosso cupo
e le ampie vesti bianche
alla ricerca della loro estasi turbinante
E, al passaggio, nella piazzetta,
chiuso dentro un'edicola incassata nel muro,
si nasconde un cristo dal volto sofferente,
incorniciato di spine e reclinato
sotto il peso immane della croce
(ma la croce si può soltanto immaginare, perchè manca,
eppure - nell'assenza - se ne riconosce l'ingombrante presenza)
Era diventato davvero troppo dispendioso in termini di tempi richiesti alimentarli entrambi, anche perchè nati per caso, mentre
armeggiavo - ancora alle prime armi - per creare un blog, me li ero ritrovati ambedue, benchè la mia idea originaria fosse stata quella di averne uno solo. Infatti, non a caso, le loro
intestazioni erano abbastanza simili: creatone uno - non ricordo quale dei due per primo - lo ho "perso" (per quanto strano ciò possa sembrare) e mi diedi alacremente da fare per ricrearne uno
nuovo. Qualche tempo - nel frattempo ero divenuto più bravino - il blog perso me lo ritrovai).
Ohibò! - dissi a me stesso - E ora cosa ne faccio?
La risposta più logica sarebbe stata: Disattiviamolo!. E invece...
Mi dissi: li tengo tutti e due. E così feci. E' stato bello finchè è durato...
Ma giocare su due tavoli - e sempre con la stessa effcienza - è molto complicato, ancora di più quando i tavoli diventano tre e
poi quattro e via discorrendo....
Con overblog ho trovato una "casa" che mi sembra sicuramente più soddisfacente e così, dopo molte esitazioni, mi sono deciso a
fare il grande passo del trasloco, non senza un certo dispiacere, perchè il cambiamento induce sempre un po' di malinconia e qualche nostalgia.
E quindi ora eccomi qua.
E quello che ho fatto - ciò mi consola molto - rimane là e chiunque se ha la curiosità può andare a dargli un'occhiata.