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5 novembre 2016 6 05 /11 /novembre /2016 08:36
La tratta ferroviaria Filaga-Prizzi-Palazzo Adriano, tra i racconti di mio padre e i miei ricordi infantili

Delle conquiste tecnologiche del passato, poi divenute obsolete, a volte rimangono tracce più o meno consistenti che vengono a confluire nel vasto tessuto della cosiddetta archelologia industriale.
Così è per buona parte di vecchie tratte ferroviarie, istituite prima della massiccia diffusdione del trasporto su gomma e che collegano capillarmente gli angoli più reconditi del territorio. Si trattava il più delle volte di treni a scartamento ridotto servito da motrici a vapore.
Quei vecchi trenini che andavano avanti e indietro lungo tortuose linee ferrioviarie spesso scavate nelle montagne di territori impervii ebbero una funzione sociale non indifferente sia nel favorire gli spostamenti dei lavoratroi pendolari dai luoghi di residenza a qeulli di lavoro, soprattutto laddove mancavano mezzi di trasporto alternativi sia nel fare uscire dall'isolamento borghi contatdini e minerari totalmente persi all'interno di contrade impervie e dimenticate.
Successivamente, con lo sviluppo del trasporto su gomma, molte di queste linee furono dismesse e smantellate.

La galleria della tratta ferroviaria Filaga-Prizzi-Palazzo Adriano, subito prima di Palazzo AdrianoE così si procedette ciecamente in nome del progresso senza tener conto del fatto che queste strutture così com'erano, oppure con lievi modifiche soltanto, avrebbero potuto diventare altro: musei a cielo aperto, che possano racontare dei primi passi del trasporto dell'era dell'industria, ecoparchi, percorsi ciclabili o idonei per l'escursionismo a piedi, etc etc.
Sino a pochi anni decenni fa era ancora virtualmente possibile raggiungere quasi ogni piega del difiicile territorio montano dell'Italia, continentale ed insulare, per mezzo di questi tronchi ferroviari a scartamento ridotto. Non è di molti anni fa una cronaca di viagio di Rumiz in cui si racconta di un avventuroso viaggio in lungo e in largo in Italia soltanto utilizzando le linee ferroviaria secondarie ancora esistenti (Paolo Rumiz, L'Italia in seconda classe, Feltrinelli, 2009)..
Così accadde per molte delle linee interne siciliane che furono letteralmente cancellate con un colpo di spugna e di cui tuttavia rimangono ancora tracce significative che occoorrerebbe recuperare in modo sistematico, prima che il Tempo, severo scultore, e la sua compagna Entropia ne cancellino le tracce.

Vive in me, intensamente, grazie ai racconti di mio padre la tratta ferroviaria Filaga-Palazzo Adriano.

(Da Wikipedia) La Ferrovia Lercara–Filaga–Magazzolo con la diramazione Filaga–Palazzo Adriano, era una ferrovia a scartamento ridotto della Sicilia, delle Ferrovie dello Stato e, in considerazione delle pendenzeda superare, esercita con varie tratte a cremagliera, istituita con a funzione di collegare la Stazione di Lercara Bassa, sulla ferrovia Palermo-Agrigento, con i vari paesi all'interno delle provincie di Palermo e Agrigento.
Storia. La ferrovia venne progettata allo scopo di permettere il trasporto del minerale e lo spostamento dei minatori pendolari che, dalle varie località di resdienza, si dovevano recare al lavoro nelle varie miniere di zolfo disseminate nel territorio dei comuni circostanti del bacino di Lercara Friddi e di Cianciana.
Fu però in ritardo e fu solo nel 1912 che ebbe inizio la costruzione, in economia e a scartamento ridotto come nel resto delle linee interne siciliane, a cura delle Ferrovie dello Stato.
Allo scopo di venire incontro alle richieste degli abitanti della cospicua cittadina di Prizzi e del vicino Palazzo Adriano venne costruito anche un breve tronco che si diramava dalla stazione di Filaga, denominata di conseguenza Bivio Filaga, che richiese la costruzione del più lungo tratto a cremagliera, di circa 5 chilometri.
I lavori di costruzione terminarono soltanto nel 1924 con l'attivazione del tratto centrale tra Bivona e Alessandria della Rocca che realizzò il congiungimento con la linea costiera Castelvetrano–Porto Empedocle. Per il servizio sulla linea vennero adoperate le locomotive a vapore del gruppo R.370 atte al servizio sulle linee a cremagliera.
Non venne mai previsto l'impiego di automotrici.
Il D.M. 16 gennaio 1959, n. 3041 dispose la chiusura all'esercizio dell'intera linea, diramata compresa e, di conseguenza, il servizio ferroviario venne soppresso il 5 ottobre 1959 ma venne mantenuto per qualche tempo il servizio viaggiatori da Cianciana a Magazzolo con materiale rotabile proveniente dalla linea Castelvetrano - Porto Empedocle - Agrigento C.le, per permettere agli agricoltori di raggiungere i campi coltivati in una situazione di totale assenza di viabilità stradale alla data della soppressione del tronco.

Linea ferroviaria Filaga-Prizzi-Palazzo Adriano. Per il servizio sulla linea vennero adoperate le locomotive a vapore del gruppo R.370 atte al servizio sulle linee a cremagliera.La linea venne infine definitavamente soppressa con decreto del Presidente della Repubblica l'11 dicembre del 1961. Venne istituito un autoservizio sostitutivo delle Ferrovie dello Stato sulle relazioni Lercara Bassa-Cianciana e Filaga-Palazzo Adriano, con un costo di esercizio annuo stabilito in 23,74 milioni di lire.
Caratteristiche. La ferrovia aveva origine dal piazzale della Stazione di Lercara Bassa della linea ferroviaria Palermo–Agrigento, che all'inizio aveva il nome di stazione di Lercara e lo cambiò in Lercara Bassa proprio dopo l'entrata in funzione della linea e quindi della stazione vera e propria di Lercara Friddi che venne denominata Lercara Alta. La linea correva inizialmente affiancata alla ferrovia a scartamento ordinario Palermo–Agrigento, poi curvava ad ovest e prendeva quota mediante il tratto a cremagliera, del tipo Strub, con ascesa del 75 per mille, che permetteva una velocità massima di 12 km/h .
La linea era armata con rotaie da 27 kg/m montate su traversine di legno distanti 0,82 m l'una dall'altra. Tale tipo di costruzione, molto in economia, permetteva solo basse velocità di linea non superiori a 30 km/h per i treni a vapore e a 45 km/h per automotrice nei tratti ad aderenza naturale.
Nei tratti a cremagliera questa, del tipo Strub da 44 kg/m, era montata al centro del binario fissata alle stesse traversine montate a distanza inferiore. I tratti a cremagliera erano 10 in tutto per complessivi 21 km e permettevano alla linea di inerpicarsi fino a quote di quasi 900 m di altezza s.l.m.
La circolazione dei treni venne regolata con il sistema economico a Dirigenza Unica con due sedi: a Lercara Alta per la sezione Lercara Bassa–Palazzo Adriano e a Magazzolo per la sezione Filaga-Magazzolo. Non venne mai fatto alcun ammodernamento degli impianti fino alla chiusura.

 

Oggi, per quello che ho visto, del tratto Filaga-Prizzi-Palazzo Adriano, rimane ancora la massicciata e le frequenti gallerie scavate nel cuore della montagne. Ho sentito che alcuni tratti della massicciata dalle parti di Filaga siano state trasformate in fungaie...

Mio padre mi raccontò spesso che, da giovane, per aggiungere i suoi quando d'estate andavano a villeggiare a Palazzo Adriano, prendeva proprio quella ferrovia, viaggiando prima sino a Lercara. Erano quei racconti densi di in qualche maniera di spirito pionieristico e di avventura: quel trenino rappresentava per mio padre uno dei miti della sua gioventù ed era in qualche modo anche la rappresentazione del progresso e della modernità. Grazi a quei racconti, potevo immaginare quel treno tirato dalla vecchia locomotiva a vapore che si inerpicava sbuffando e lasciando dietro di sé nuvole di fumo grasso e nero e poi mi lasciavo andare ad immaginare quando il convoglio si tuffava in quelle gallerie al cui interno ancora oggi si può passeggiare. Palazzo Adriano, prima di entrare nell'ultima galleria del tratto ferroviario Filaga-Prizzi-Palazzo AdrianoDel percorso ferroviario rimane soltanto una massicciata nuda (che è divenuta uno sterrato), ma da piccolino io ci ho sicuramente camminato quando ancora c'era non ancora rotaie e traversine. Ma già allora il treno non c'era più o era in via di estinzione: su quella massicciata ci ho passeggiato accompagnato da papà o forse anche dalla zia Mariannù, quando durante un'estate andai assieme a lei a stare a casa dei nonni per un periodo di una decina di giorno. E siccome avevo meno di dieci anni - direi tra 5 e 8 è anche possibile che, assieme alla zia, si sia fatto assieme il tratto ferroviario sino a Prizzi e ritorno, perchè in quel periodo la Ferrovia era ancora in uso. Lo posso soltanto intuire, ma non ho di questo alcun ricordo certo. So certamente che quel trenino a possedere un tocco di funzionalità e di eleganza d'antan in più era fornito in corrispondenza dell'ultimo vagone di un terrazino posteriore, che consentiva a chi voleva di viaggiare all'aperto.
Solo che via del fumo nero di fuliggine e della polvere all'arrivo era obbligo lavarsi radicalmente, perché si era coperti di fuliggine.
Nell'incertezza del ricordo (di quella permanenza a Palazzo i ricordi che rimangono più vividi sono quello della volta che dopo essere stato lavato, pettinato e profumato dalla zia, tutto lindo e pulito com'ero ricaddi maldestramente dentro la tinozza dove avevo appena finito di fare il bagno e poi quello della lunga attesa dei miei che mi venissero a riprendere) voglio pensare che su quel trenino ci ho viaggiato anche io, così come aveva fatto mio padre nella sua gioventù.

Certo, sarebbe bello, se le amministrazioni comunali di Palazzo Adriano e di Prizzi, in vista di una valorizzazione turistica dei loro luoghi decidessero di avviare degli interventi per recuperare quello che rimane ancora agibile di questa tratta ferroviaria, allestendo - ad esempio - un percorso attrezzato con piccole aree di sosta che possa essere fruito da turisti in Mountai Bike oppure da camminatori/escursionisti o addirittura proponendo per il tramite di qualche Associazione che si occupi della gestione degli aspetti organizzativi di trekking che consentano di spostarsi a piedi da Palazzo Adriano a Lercara, ma anche istituendo in uno degli edifici di servizio della tratta ferroviaria ancora esistenti  un piccolo allestimento museale che illustri ai visitatori la storia di questa "piccola" ferrovia e che ne mantega la memoria.
Sarebbe un'iniziativa che avrebbe certamente riscontro presso i turisti nord-europei di un certo tipo, sempre alla ricerca di itinerari sportivo-naturalistici, per non parlare poi della possibilità di organizzare eventi sportivi non competitivi che si propongono di collegare in un'unica camminata corsa i tre comuni interessati.

 

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28 ottobre 2016 5 28 /10 /ottobre /2016 23:58
(foto di Maurizio Crispi)

(foto di Maurizio Crispi)

Montagna Longa è un luogo di memorie, per me, indubbiamente e per tutti coloro che nell'olocausto dell'aereo che vi si è schiantato hanno perso la vita in un solo momento.
Poco prima dell'incidente fatale, mio padre mi parlò di un libro che aveva letto e che gli era rimasto fortemente impresso: si trattava di "Il Ponte di San Luis Rey", scritto dal romanziere e drammaturgo statunitense Thornton Wilder (1927).
Questa in breve la storia che vi è narrata.
Il Ponte di San Luis Rey (Thornton Wlder, Mondadori)Nel 1714 il ponte di San Luis Rey, che per oltre un secolo era stato la più importante via di collegamento per gli abitanti di Lima e Cuzco e per i viandanti che si spostavano dall'una all'altra città, in Perù, crolla improvvisamente, causando la morte di cinque persone.
Fra' Ginepro, un frate che si accingeva ad attraversarlo, dopo aver assistito all'accaduto, sconvolto dalla tragedia, inizia a porsi delle domande di carattere religioso e morale: chi erano quei cinque e perché si trovarono proprio lì?
Cercando di risalire alle cause del crollo del ponte, la curiosità porta Fra' Ginepro a ricostruire le vite dei cinque deceduti nel tragico evento: nel tentativo di capire se avessero qualcosa in comune?
Sulla scorta dell'indagine, nacque un problema morale su cui si pronunciò anche la Chiesa, chiamando in causa la Provvidenza e suscitando altri interrogativi: si era trattato d'una tragedia o di una punizione divina, che ha fatto incrociare i destini dei cinque nel medesimo luogo alla medesima ora? Il Signore ha voluto punire così i malvagi oppure, operando in tal modo, ha volutamente chiamato a sé anche gli innocenti?
I quesiti, posti sull'eterna condizione umana e sulla morte, sulla misteriosa complicità di caso e destino, rimarranno inevasi.
Indro Montanelli, che a questo romanzo si ispirò nella scrittura di "Qui non riposano", consigliava agli aspiranti giornalisti di leggerlo e di trarne ispirazione, in quanto esempio di «alta tecnica narrativa, valevole per tutti gli scrittori, compresi i romanzieri»; ed anche «uno dei pochi veri capolavori di questo secolo, per ricostruire le varie vicende umane che avevano condotto tutti quei viaggiatori, sconosciuti l'uno all'altro, a trovarsi su quel ponte al momento della catastrofe».
Non so come mio padre fosse arrivato a questo testo: ma forse - voglio pensare - proprio seguendo quegli strani percorsi di lettura che fanno coloro che che amano i libri, in cui ciascun libro letto ne chiama altri aprendo percorsi imprevisti e tortuosi (in nuce questo modus operandi in cui si combinano assieme le voglie e le curiosità dei lettori con l'intrinseco potere dei libri è l'origine e il senso dell'infinita Biblioteca di Babele borgesiana).
Me ne aveva parlato, sì. Forse mi aveva dato anche quel libricino, perché lo leggessi. Ci sperava sempre che io seguissi i suoi suggerimenti e le sue suggestioni e, instancabilmente, seminava germi di cultura, cercando di darmi una veduta ad ampio raggio del mondo e molti vertici di osservazione per aiutarmi a guardare nella complessità.
Ma io, sul momento, lo avevo messo da parte, perché allora rivendicavo la mia autonomia di scelte (o almeno cercavo di salvare le apparenze, per mia pace, poiché non si poteva sfuggire alle suggestioni che promanavano da lui).
E quindi, dopo il fatto, quel libro lo ripresi in mano, e da allora l'ho tenuto quasi sempre vicino a me, tra i libri che mi sono più cari e che devono stare sul comodino sempre pronti ad essere aperti, sfogliati, letti anche a caso, captando una frase qua e là.
Non posso non essere influenzato da quelle pagine, quando rifletto sull'incidente di Punta Raisi o su altri analoghi.
Perché quelle persone si trovarono assieme?
Perché alcuni per pura casualità rimasero esclusi, mentre altri - sempre per pura casualità - furono inclusi all'ultimo momento?
Quale disegno imperscrutabile rimase dietro quel mosaico di vite? Qale necessità determinò il tragico destino delle 115 vittime?
E cosa pensarono, cosa sentirono nel momento dell'impatto, se ebbero il tempo di sentire o pensare qualcosa, prima della cacofonia dei rumori dello schianto, delle esplosioni e del ruggito delle fiamme (tutte cose che ho sempre immaginato)?
E perché tutto questo accadde?
Qual'è la verità nascosta dietro la frettolosa rimozione dei detriti e la dismissione delle salme, dopo i dovuti riconoscimenti (laddove questi furono possibili) senza nessun esame autoptico (al di fuori della perizia necroscopica sui due piloti)?
Dopo circa due anni venne posta sul monte (ma non esattamente sul luogo dell'impatto) una grande croce metallica per ricordare le vittime e l'equipaggio. Sui due fianchi della parte ascendente della croce sono riportati in ordine alfabetico i nomi delle vittime (con la data di nascita accanto): un totale di 113 compresi i componenti dell'equipaggio. A vederli riposare sulla vasta superficie della croce quei nomi spogli non sembrano tanti. Ma furono tanti: a volerli recitare uno per uno passa un bel di tempo... e 113 è ben più di un terzo delle vittime accertate del terremoto del Belice.
La croce avrebbe dovuto essere illuminata: infatti venne eretta già con un suo impianto di fari. Ma l'Alitalia (o l'amministrazone aeroportuale( si oppose strenuamente sostenendo che quella croce accesa di luce avrebbe "turbato" la buona pace dei passeggeri degli aerei di linea in avvicinamento e attivato in essi stati d'ansia, gettando discredito sulla sicurezza dell'aeroporto palermitano e avrebbe per sempre ricordato quell'incidente a discredito della sicurezza dell'aereoporto
La croce, sorta su terreno demaniale per volontà della diocesi di Carini (molto attivo in questa realizzazione fu Monsignor Pappalardo allora e per molti anni parroco), fu eretta 42 anni fa e oggi è in condizioni di degrado preoccupante, con estesi danni causati dagli elementi atmosferici e dalla ruggine. E sicuramente andrebbe ripresa.
Occorrerebbero anche interventi di ripristino della recinzione, in alcuni tratti crollata.
Ma soprattutto sarebbe bello pensare ad interventi che ne consentissero la fruizione anche durante tutto l'anno e non soltanto in occasione della ricorrenza dell'anniversario della tragedia.
Migliorando l'attuale strada di accesso, molto impervia soprattutto nell'ultimo tratto, o aprendone una nuova che salga da Cinisi sfruttando il fatto che il pendio della montagna è ben più dolce, si potrebbe pensare ad un progetto di riqualificazione della vasta area attorno alla Croce, facendone un vero e proprio "Parco della rimembranza" dedicato a tutte le vittime, ma anche a tutti coloro che vogliano stare in un luogo che favorisca la meditazione e la riflessione sulle cose ultime.
Un parco arricchito di altri alberi, oltre ai numerosi cipressi già messi a dimora, ed essenze arboree adatte alla location, inserendo (o almeno tentandoci) qualche Ulivo, che ha la forte valenza simbolica della permanenza e dell'attaccamento tenace alla Madre Terra, la cui planimetria possa essere disegnata da percorsi delimitati da siepi di bosso, e punteggiati da piccoli cippi che facciano da supporto a citazioni letterarie adatte alla riflessione, ma anche da pannelli esplicativi che raccontino a futura memoria - l'incidente con il corredo - su supporti resistenti alle intemperie -  delle poche immagini d'archivio disponibili (perché anche questo fa pensare alla superficialità investigativa e alla quasi non esistenza di una documentazione fotografica realizzata con tecniche analitiche nelle ore successive all'incidente).
A me personalmente piacerebbe sapere - e mi darebbe conforto - che esiste un parco così fatto, tale da resistere all'usura del tempo e farne un luogo del Ricordo che possa essere tramandato alle future generazioni e continuare anche quando tutti coloro che furono toccati direttamente dalla tragedia non saranno più: una location che sia di pace e di meditazione in quanto nodo cruciale di transito e di passaggio di tante anime verso qualche luogo altro che sicuramente - non so come, non so dove - esiste: e proprio, perchè è stato luogo di transito di tante anime, rimane come luogo di pace immensa ma anche di forte - fortissima energia - che si avverte nell'aria che vibra e nel soffio del vento e nella grandiosità del paesaggio che si stende ai piedi del monte brullo e sassoso, monte di roccia aspra e impervia che affiora dovunque, a creare un contrasto ferrigno con la morbidezza e la solennità dei cipressi che punteggiano il sito attorno alla croce-reliquia.
Io vi salii, a Montagna Longa, una prima volta a luglio, dopo appena due mesi dall'incidente. Allora la strada aperta dalla Forestale ai tempi della messa in posa della Croce non esisteva (o forse semplicemente non ero a conoscenza della sua esistenza) e quindi io feci l'ascesa dal lato di Cinisi, sotto il sole feroce della stagione.
Salendo da questa parte si ha subito la visione del luogo d'impatto che avvenne, secondo le ricostruzioni poco prima (dopo, se consideriamo il senso di marcia dell'aereo) il punto sommitale.
La croce di Montagna Longa (foto di Maurizio Crispi)E, lì dove oggi si può vedere su di una roccia promnente sulle altre, verde di muschio, una piccola lapide di marmo dedicata ad Angela Fais e, accanto, un'altra che ricorda una delle hostess, quando io arrivai, era tutto annerito dal fuoco che aveva divampato con il kerosene residuo versato dai serbatoi, e il terreno era disseminato di piccoli detriti di plastica, alluminio, metallo, tutto irriconoscibile.
Solo le parti dell'aereo rimasta intatte erano state velocemente rimosse, quasi a cancellare ogni traccia, prima che qualcuno potesse pensare di approfondire le dinamiche.
Sperimentai allora un senso di grande desolazione, con il rombo del vento (che pensavo eterno) nelle orecchie.
E quyando vi sono risalito lo scorso 5 maggio 2016, in occasione della commemorazione che si celebra di anno in anno, mi hanno assalito le stesse sensazioni, l'emergere della memoria è stato netto ed inconfondibile: Montagna Longa è per me non solo un luogo fisico, ma anche un luogo della mente, saldamente stabilito nel mio deposito di ricordi.
Forse in seguito quando misero a dimora la croce ci saliì.
Ma di quell'ascesa ho rimosso quasi tutto. Ci sono delle sensazioni vaghe depositate: un moto di paura a vedere il precipizio a lato della strada, l'abisso pronto a ghermirti. E poi la sensazione tattile della mano che indugiava sulle scritte dei nomi in rilievo, quasi che per me fosse più importante leggere quei nomi come se fossero stati scritti in Braille.
In quest'ultima ascesa che ho compiuto tali sensazioni si sono rafforzate, sono venute fuori con maggiore prepotenza.
Quindi, almeno un'altra volta in passato devo esserci salito, anche se non riesco in alcun modo a circostanziare e a rivedere quell'ascensione "ombra" nei dettagli.
O forse l'ho solamente sognato di esserci salito...
Misteri dei meccanismi mentali che presiedono alla memoria e alla conservazione dei ricordi!

Le foto sono di Maurizio Crispi
Le foto sono di Maurizio Crispi
Le foto sono di Maurizio Crispi
Le foto sono di Maurizio Crispi

Le foto sono di Maurizio Crispi

(Fonte: dal Gruppo Facebook "Montagna Longa, 115 vittime: un disastro aereo dimenticato") SICILIA (Palermo) - E' il 5 maggio 1972. Una data difficile da dimenticare. Un aeromobile DC 8 dell'Alitalia, il volo AZ 112 Roma - Palermo si schianta sul costone della Montagnalonga, fra Cinisi e Carini, a circa 5 miglia nautiche a Sud dell'aeroporto di Punta Raisi. Muoiono 115 persone lasciando 98 orfani e 50 vedove. Tra le vittime i corpi di un giudice, di due giornalisti, di un paio di militari e di qualcuno che si pensò fosse dei servizi segreti. Qualche altro non fu mai identificato. Rimarrà negli archivi della memoria come la più grave tragedia nella storia dell'aviazione civile italiana.

A guidare l'aereo ci sono piloti di lunga e provata esperienza di volo. Roberto Bartoli e Bruno Dini. Con loro il motorista Gioacchino Di Fiore, anch'egli con il brevetto di 3° grado che lo aveva abilitato al pilotaggio di grossi aerei.

L'aeromobile, con a bordo 108 passeggeri e 7 membri dell'equipaggio, alle ore 21,46 decolla dalla pista di Fiumicino. Intorno alle ore 22,25 è sulla verticale dell'aeroporto palermitano a 5.000 piedi ed il bollettino meteorologico di Palermo Punta Raisi segna «calma di vento, visibilità 5 Km.».

Su Montagnalonga, dopo 3 processi e un'istanza di riesame, respinta nell'ottobre 2001 dal giudice di Catania Peroni Ronchet, se non si vuole prendere per buona la "verità" emersa nelle Aule di Giustizia, risultata a dir poco improbabile, non ci sono ancora verità e responsabilità.

L'8 maggio 1972, in una nota di agenzia della Reuter affiorò l'ipotesi della bomba, ma le indagini e le istruttorie che si susseguirono la scartarono del tutto.

Nonostante, all'indomani del grave evento, circolasse diffusamente in ambito giornalistico la notizia che si trattava di un atto stragísta e non di incidente di manovra, calò un improvviso silenzio, seguito da affrettate e incalzanti smentite.

Le famiglie Fais, Salatiello e la moglie e i familiari di Bartoli, costituitisi parti civili, nell'immediatezza dei disastro, contro i responsabili aeroportuali dell'epoca, i funzionari dell'Alitalia, dei Ministeri della Difesa e dei Trasporti, costrinsero la magistratura catanese a chiamare in giudizio quest'ultimi, i quali furono in seguito tutti assolti.

L'ipotesi di una bomba a bordo, subito scartata, fu invece raccolta dal rappresentante dei piloti Anpac nella prima commissione di indagine.

Il 27 giugno 1972, a 15 giomi dalla firma dei decreto di incarico dell'allora ministro Oscar Luigi Scalfaro, il colonnello Francesco Lino aveva già concluso per l'errore umano, nonostante il comandante Ferretti, membro della commissione d'inchiesta ministeriale, a nome dei piloti Anpac, avanzasse il sospetto di una esplosione nella carlinga.

La commissione, in base alle norme che regolano i rapporti tra Alitalia e Ministero dei Trasporti, avrebbe dovuto prevedere una composizione di 13 membri, di cui 3 appartenenti all'Anpac Ma il colonnello Lino la limitò a 11, escludendo, quindi, due piloti.

Sui piloti si rovesciarono accuse di inesperienza e tasso alcolico elevato. Sul Bartoli si riversarono accuse di distrazione, in particolare «evidenziatasi nel corso della giornata, a causa di annebbiamento cerebrale dovuto a droga o alcool». Versíone infamante, poi smontata dalla perizia dei prof. Ideale Dei Carpio. dirigente dell'Istituto di Medicina Legale di Palermo.
tratto da http://montagna-longa.noblogs.org/

Nel sito http://www.montagnalonga.it/ (da cui è tratta la foto) è tutto minuziosamente documentato anche con raccapriccianti filmati dei telegiornali dell'epoca.

Mi sono avvicinata a questa triste pagina, interessata dal fatto che tra le vittime ci fosse Cestmir Vicpaleck di anni 24, figlio dell'omonimo calciatore e allenatore di Juventus e Palermo e cugino (coetaneo) dell'allenatore Zdenek Zeman.

Ma le vittime non hanno nome, sono vittime e basta e come tali gridano giustizia

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25 ottobre 2016 2 25 /10 /ottobre /2016 08:28

Un paese al Crocevia. Storia di Bolognetta (Santo Lombino, 2016)Mercoledì, 9 novembre 2016, alle ore 17.00 al Cinema Rouge et Noir, Piazza Verdi n. 8, Palermo,verrà presentato il volume di Santo Lombino, "Un Paese al Crocevia. Storia di Bolognetta", Istituto Poligrafico Europeo (Collana Le Opinioni), cui l’Autore - bolognettese egli stesso - ha dedicato un po' della sua vita negli ultimi anni: il libro si pone come un lungo e appassionante viaggio dell’Autore nella storia del suo paese e nelle storie dei suoi compaesani, con il supporto di lunghe ricerche archivistiche, atti notarili e varie fonti storiche e con molta umiltò nello spirito di uno che si definisce "storico a piedi scalzi" e "cacciatore di memorie"...

Introdurrà Gian Mauro Costa, scrittore e giornalista. Seguiranno gli interventi di Amelia Crisantino, storica - collaboratrice di Repubblica Palermo, Giuseppe Barbera e Vincenzo Guarrasi dell'Università degli Studi di Palermo

L’evento si concluderà con una degustazione di vini a cura della ditta Tenute Rinaldi, che insiste ovviamente sul territorio di Bolognetta.

Il volume è arricchito da una prefazione di Manoela Patti che riportiamo qui di seguito.

Le storie locali, se indagate con rigore metodologico oltre che con passione, possono offrire al lettore narrazioni che vanno ben oltre il resoconto erudito di fatti e vicende succedutisi in un piccolo centro periferico durante un tempo più o meno lungo.
È questo il caso della plurisecolare storia di Bolognetta – Santa Maria di Ogliastro all’atto della fondazione nel XVI secolo – indagata nelle pagine che seguono da Santo Lombino, bolognettese egli stesso. La storia del piccolo Comune, importante snodo viario tra la costa e l’interno dell’isola, distante da Palermo soltanto «una giornata di viaggio», è infatti nella sua ricostruzione la storia di una comunità di cui il lettore scorgerà il farsi sempre nel continuo intreccio con gli eventi della storia nazionale.
Il feudo originario, già connotato dal fondaco di Ogliastro, fu acquistato da Marco Mancino dalla potente famiglia aristocratica dei Beccadelli-Bologna. Con costoro, il nuovo signore, forse un ricco mercante esponente dell’ampia comunità di genovesi approdati in Sicilia, s’impegna a nominare Bolognetta la “città nuova” che stava per fondare in quel territorio, così da legarne l’identità a quella dei nobili Bologna. Tuttavia, ciò avverrà solo nel 1882. Forse, come ci spiega l’autore, per ragioni che hanno a che vedere più con la memoria del cruento episodio che vede coinvolti gli ogliastresi nei tumultuosi eventi palermitani del settembre del 1866 – la cosiddetta rivolta del “Sette e Mezzo”, che a Bolognetta vide tra l’altro la folla insorta scagliarsi con incredibile violenza contro i carabinieri della locale stazione –, che con la memoria dei fondatori.  Seguendo il filo rosso della costruzione di un’identità collettiva, legata ora alle famiglie aristocratiche che in età moderna trassero le proprie fortune da Bolognetta, ora ai “civili”, e al popolo minuto, fatto per lo più di contadini e braccianti, che tra XIX e XX secolo si fecero attori principali della storia di Ogliastro-Bolognetta, Lombino conduce dunque il lettore attraverso i secoli.
E se il cardine della narrazione resta sempre Bolognetta, quest’ultima rappresenta spesso il punto di partenza per seguire nel più vasto contesto globale le vicende dei suoi abitanti. Attraverso fonti archivistiche, memorie e fonti orali, l’autore – già curatore della riedizione de La spartenza, diario del bolognettese, illetterato, Tommaso Bordonaro, nato nel 1909 ed emigrato nel secondo dopoguerra, pubblicato da Einaudi per la prima volta nel 1991 – ricostruisce così nessi e relazioni tra eventi piccoli e grandi; tra attori e gruppi; tra comunità e territorio. Individua nelle più importanti cesure epocali che hanno segnato la storia italiana – il Risorgimento, la Prima guerra mondiale, il fascismo, il secondo dopoguerra e la complessa transizione verso la Repubblica, tra le altre – passaggi cruciali anche per la storia del piccolo centro agricolo siciliano. Attraverso la lente della microanalisi ne osserva e ne descrive il riflesso locale, e l’intreccio che ne consegue, evidenziando rotture e trasformazioni. In questo modo, eventi quali le insurrezioni antiborboniche ottocentesche, l’epopea della Grande Emigrazione verso l’America o delle lotte contadine per la terra nel secondo dopoguerra, sono riletti da una prospettiva che riconnette centro e periferia.
Mentre memorie condivise e racconti popolari, finalmente indagati alla luce delle fonti archivistiche, offrono narrazioni nuove nella loro complessità. Il racconto della Seconda guerra mondiale intreccia così, per esempio, le vicende del fronte interno, con il paese che accoglie centinaia di “sfollati” dalla vicina Palermo martoriata dai bombardamenti alleati, a quelle dei soldati bolognettesi che la guerra la vivono sul fronte.
È il caso di Carmelo Prudenza, contadino di Bolognetta catturato dagli inglesi sul fronte nord africano nel gennaio 1941, la cui storia, affidata ad alcuni quaderni di memorie e successivamente pubblicata, Lombino recupera alla memoria collettiva. Costruito su una molteplicità di fonti archivistiche – atti notarili, riveli, liste degli eleggibili, inchieste parlamentari, fonti poliziesche, documenti contabili, atti pubblici, corrispondenze private, testimonianze orali, memorie – il volume svela un mondo articolato ed eterogeneo. E una comunità fatta di nobili e popolani, ceti medi e notabili, donne e fanciulli, conservatori e rivoluzionari, contadini e proprietari, mafiosi e uomini dello Stato, rivive nelle pagine del libro. In particolare, attraverso l’attento esame dei riveli per l’età moderna e delle liste degli eleggibili per gli anni della complessa trasformazione dall’Antico regime all’età contemporanea, Lombino ricostruisce il formarsi della classe dirigente paesana.
Già in tarda età moderna assistiamo così all’emergere di un nuovo ceto di possidenti e burgesi, di cui possiamo conoscere proprietà e redditi, mestieri e professioni, strategie matrimoniali ed alleanze, odi ed amicizie. Ma sembrano essere soprattutto le liste degli eleggibili, compilate a partire dalla riforma amministrativa promulgata dal governo borbonico nel 1817, ad offrire una chiave di lettura straordinariamente efficace per decifrare il cruciale passaggio dalla modernità alla contemporaneità, svelandone le profonde contraddizioni, nell’insolubile intreccio tra vecchio e nuovo che a lungo caratterizza l’esercizio del potere politico-amministrativo. Incrociando l’analisi delle liste a quella dei dati anagrafici, Santo Lombino indaga il ruolo politico-economico di matrimoni e parentele, individuando i gruppi familiari più influenti, dei quali segue i percorsi sino all'età contemporanea, confermando peraltro il ruolo cruciale della famiglia nella costruzione e tenuta delle alleanze anche in età postunitaria, e perlomeno sino al periodo liberale. Di un certo rilievo appare l’alto grado di conflittualità della vita municipale, che in più di una occasione trasforma, soprattutto nei decenni postunitari, il gioco locale dei “partiti” in violento conflitto per il potere.
L’intreccio del potere politico-amministrativo col potere mafioso – elemento che peraltro Bolognetta condivide con buona parte dei centri della Sicilia centro-occidentale – e la conseguente capacità di gruppi e fazioni di erogare violenza, finiscono per influenzare abbastanza i destini della comunità. Emblematico in tal senso, appare l’omicidio del consigliere comunale ed ex sindaco Giorgio Verdura che, scrive Lombino, «estraneo alle due fazioni in lotta in paese ed allineato su posizioni filo-governative», nel 1879 viene assassinato, vittima della lotta per la conquista della leadership paesana. Tra i mandanti la questura individua i membri di alcune delle famiglie-fazioni locali, e tra di essi il sindaco in carica, notabile ed esponente di uno dei più noti “partiti” di Ogliastro. Eppure, la storia del paese in età contemporanea non deve essere letta soltanto in chiave criminale. Come evidenzia l’autore, Bolognetta condivise con i numerosi centri agricoli della provincia palermitana uno sviluppo economico e sociale legato ad una più generale fase di modernizzazione nazionale, che interessò com'è noto tutta la Sicilia, oltre che al rapporto con il territorio e con la vicina città di Palermo. Seppure con le specificità e, talora, i limiti legati al contesto locale, a segnare le trasformazioni economiche e sociali del paese intervennero insomma le profonde trasformazioni della storia. Nel volume, Lombino le segue sino all'età repubblicana.
Dall’ascesa del ceto notabilare in età postunitaria e liberale, all’avvento del fascismo,sino alla brusca rottura dovuta alsecondo conflitto mondiale e al crollo del regime, il lettore scorgerà mutamentisociali, economici e politici;scorgerà i percorsi, non sempre lineari, di alleanze e fazioni di fronte al mutare del rapporto tra centro e periferia nelle diverse fasi della storia nazionale.
Seguiremo i bolognettesi nella transizione dal fascismo alla Repubblica, attraverso il precoce dopoguerra siciliano iniziato con lo sbarco angloamericano del 1943. Assisteremo, anche a Bolognetta, alla lotta dei ceti popolari per trovare uno spazio nella nuova Italia repubblicana, soprattutto grazie all’eccezionale  occasione rappresentata dal movimento per la Riforma agraria, e alla conseguente mobilitazione contadina guidata dal Partito comunista. Tuttavia, il ricomporsi di vecchie alleanze o la nascita di nuove intorno agli esponenti locali del partito di governo, consegnerà l’amministrazione di Bolognetta alla DC per almeno un quarantennio. Ai contadini, ancora una volta, non resterà che emigrare.
Con la nuova spartenza verso l’Europa e l’Italia settentrionale di centinaia di bolognettesi, tra anni ’50 e anni ’60 del Novecento e con la morte nel 1962 dell’ultimo erede della dinastia dei grandi proprietari Monachelli, che dall’età moderna aveva legato a sé le fortune di Bolognetta, termina il lungo viaggio di Santo Lombino nella storia del suo paese e nelle storie dei suoi compaesani.

Manoela Patti (Prefazione al volume di Santo Lombino)

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6 ottobre 2016 4 06 /10 /ottobre /2016 22:20
Palermitana-mente... Quelli che l'Acchianata e la Santuzza l'hanno dentro

(Cettina Vivirito) Oggi, come tutte le mattine, sono scesa con il cane per la solita passeggiata.
Nata alle falde di Monte Pellegrino, per me salire quelle antiche strade che già mia nonna chiamava fuie (fughe, o rampe - e ci sono la prima, la seconda, la terza..) fatta di pietre lisce lucide e smozzicate é come ciabattare per casa da vecchia perpetua: conosco i particolari delle curve, le erbe medicamentose e il finocchietto selvatico, le nuvole che scendono basse e quelle che si nascondono dietro la montagna per poi comparire in volo veloci come aquiloni e sempre diverse.

Da qualche giorno, quasi a metà della prima fuga c'è una gattara, qui le chiamiamo così, quelle tipe che "si partono" da casa con sacchetti, contenitori piatti di carta e quant'altro per fare mangiare i gatti in un luogo che scelgono arbitrariamente. Questi gatti però sembrano più stronzi di tutti gli altri gatti che ho conosciuto, si mettono in orizzontale lungo la strada come un passaggio a livello - chiuso - e il mio cane s'incazza. Ho provato a dire alla signora che sarebbe meglio spostarsi poco più giù, nello slargo sotto agli alberi ma lei niente, semmai mi ha apostrofato dicendo: Ma lei è per caso della forestale? No perché quelli della forestale mi hanno detto che posso stare qui, mentre i cani devono stare legati.
Scendendo poi ho visto che ha chiamato rinforzi, non era più sola ma con un uomo accanto che ostentava tutta la sua mafiosità. Si, senza offesa, qui a Palermo è un fatto culturale, un atteggiamento molto comune, magari quest'amico della signora ha un amico di cui non si ricorda neanche il nome, che lavora (o lavorava) alla forestale e tanto basti. Così ho pensato di rinunciare alla questione, mi avventuro con il cane che, almeno lui, ha capito che i gatti è meglio aggirarli, ignorarli.
Una volta in realtà ne ha inseguito e beccato uno che per fortuna è riuscito a fuggire lasciandolo con in bocca un pugno di peli e una zampa bloccata in aria dallo sforzo. Non è giovanissimo il mio cane. Non è neanche giovane. E' una vita che sta con me, più a lungo di qualsiasi altro compagno umano. Adesso tutti hanno un cane. Tutti tutti.

Una delle rampe della Scala Vecchia di Monte Pellegrino (Palermo)In effetti sembra un rimedio semplice e naturale contro la solitudine, la nostra; ci trascinano fuori da quell'evanescente mondo digitale che ci rende ancora più soli, nonostante l'illusione del contrario. I cani e la geografia sono rimasti l'ultimo riparo. Non so tutti questi cani dove stavano prima, e se preferirebbero essere liberi e stare in branco tra loro.
Nel frattempo saliamo passo dopo passo, ogni tanto ci fermiamo a guardare il paesaggio che più si sale più diventa arioso, bello. Capita d'incontrare gente, persone in gruppo o lupi solitari che salgono, scendono. Oggi ho visto un ragazzo che saliva svelto, concentrato, a piedi nudi e occhi a terra, sulle pietre. Uno sguardo alle pietre e uno ai piedi nudi, pensavo. O forse i suoi erano occhi che non vedevano nulla, guardavano dentro di sè, in profondità. Occhi e cuore in catene sembrava pensare seriamente alla sua promessa, alla grazia ricevuta, a una grazia da chiedere, a un conto in sospeso da saldare qui e ora con la Santuzza.
Non mi ha neanche guardata, non si è accorto che il cane lo stava guardando.
Quelli che salgono non troppo ripidamente verso Monte Pellegrino sono pavimenti del pensiero a cui rimangono attaccate tutte le figurine delle storie personali, pensavo. Già quando si arriva alla seconda fuga l'altezza distrae, i fichi d'india serpeggiano allo sguardo e il sole dardeggia tra i pini mediterranei che rilasciano con il calore un benefico ossigeno balsamico. Il cervello ringrazia e piovono ricordi di altri piedi nudi, di ginocchia scorticate, di bambini sul collo, di borracce d'acqua, di ceri accesi nella notte, odore di terra bagnata e di aloe. Ricordi di terremoto e tutti lì ai piedi del monte '...dove risuona una voce che il tempo non rapisce, dove odora un profumo che il vento non disperde'.
Quei pavimenti contengono i pensieri di noi palermitani; se potessero staccarsi, quei pensieri, una folla immensa di immagini pulsanti avvolgerebbe come una nube la città. La nostra Santuzza, che non è una santa vera e propria, lo dice la storia, e già che non subì il martirio che toccò in sorte alle sue coetanee, come Sant'Agata per esempio, la dice lunga, ci piace per questa assenza di santità canonica e per questo ripetiamo secolo dopo secolo quel percorso che lei fece a suo tempo, e da lei ci sentiamo così fortemente rappresentati. Rosalia era una pellegrina ieri, quanto lo siamo noi oggi. Era una donna che si era schifata dei tradimenti familiari, che si era innamorata di un uomo che s'innamorò di un altro uomo, che ha visto coi suoi occhi violenze di ogni tipo nel suo mondo circostante, una donna che non volle accettare compromessi e ipocrisie di classe, forte, intelligente, indipendente - dall'animo normanno - che provò un'empatia formidabile per la natura, anche lei salendo quelle fughe con gli occhi alle pietre e ai suoi piedi scalzi, con coraggio e temerarietà, senza guardare ad altro che alla fede in se stessa in quanto elemento di quella stessa natura, altrimenti chiamata Dio - anche lei attaccando i suoi pensieri a quei pavimenti come figurine: la madre assente, il padre tradito, il coltello del cardinale che infilza l'amante, e quella povera gente fuori dal Palazzo, la più illusa e tradita di tutti. E infine la figurina più dolorosa e decisiva, quella del suo amore per il cugino bibliotecario omosessuale.
I pavimenti del pensiero che conducono fino alla cima di Monte Pellegrino, quelle fughe così magnificamente silvestri, lineari e contorte allo stesso tempo, emanano, pensavo, il più autentico umore palermitano: quel sentirsi stranieri a se stessi e considerarlo ineluttabile come un destino, nel cuore dalle radici lontane il più frustrato e incomunicabile desiderio d'indipendenza. Proprio come Lei, Rosalia, che oggi ci somiglia forse più di ieri.

Una delle rampe della scala vecchia di Monte Pellegrino(Maurizio Crispi) Lo scritto di Cettina Vivirito è tante cose assieme: è scrittura diaristica e resoconto di un'acchianata a Santa Rosalia lungo la Scala Vecchia di Monte Pellegrino, di origini settecentesche e già decantata (e percorsa) da Goethe nel suo celebrato viaggio in Sicilia, è descrizione di luoghi e di persone, è viaggio esteriore e . nello stesso tempo -  nell'interiorità, è storia di un pellegrinaggio che non nasce in quanto tale, ma solo come passeggiata che poi finisce con il diventare altro, come le famose passeggiate roussoiane.
E' anche un resconto in stile "flaneur" sulla Palermitudine, sia su quella deteriore sia su quella beata e innocente della moltitudine ed è naturalmente una piccola - ed intensa - celebrazione dell'Acchianata a Santa Rosalia e del culto della Santuzza, che fa vedere come Monte Pellegrino, il suo Santuario e Santa Rosalia siano fortemente e indissolubilmente legati all'immaginario collettivo di una città.
E' una scrittura che mi ha rapito, subito sin dalla prima lettura ed è per questo che sin da subito ho chiesto a Cettina se avrei potuto publicare il suo scritto in questo blog.

In questa miscellanea tutte le foto sono di Maurizio Crispi, ad eeccezione di quella che ritrae una delle rampe delle Scala Vecchia di Monte Pellegrino che è stata tratta dal web
In questa miscellanea tutte le foto sono di Maurizio Crispi, ad eeccezione di quella che ritrae una delle rampe delle Scala Vecchia di Monte Pellegrino che è stata tratta dal web
In questa miscellanea tutte le foto sono di Maurizio Crispi, ad eeccezione di quella che ritrae una delle rampe delle Scala Vecchia di Monte Pellegrino che è stata tratta dal web
In questa miscellanea tutte le foto sono di Maurizio Crispi, ad eeccezione di quella che ritrae una delle rampe delle Scala Vecchia di Monte Pellegrino che è stata tratta dal web
In questa miscellanea tutte le foto sono di Maurizio Crispi, ad eeccezione di quella che ritrae una delle rampe delle Scala Vecchia di Monte Pellegrino che è stata tratta dal web
In questa miscellanea tutte le foto sono di Maurizio Crispi, ad eeccezione di quella che ritrae una delle rampe delle Scala Vecchia di Monte Pellegrino che è stata tratta dal web

In questa miscellanea tutte le foto sono di Maurizio Crispi, ad eeccezione di quella che ritrae una delle rampe delle Scala Vecchia di Monte Pellegrino che è stata tratta dal web

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29 settembre 2016 4 29 /09 /settembre /2016 00:13
Marettimo e il ricordo d'un mio incontro con la wilderness

Con l'occasione del Trail di Marettimo (svoltosi il 18 settembre 2016) , in una maniera alquanto avventurosa ed improvvisata, ho spezzato le perniciose catene dell'immobilità in cui mi sentivo avvinto... andando, per di più, in un luogo che, da lungo tempo, mi sta nel cuore...
Marettimo (assieme a Levanzo), in particolare, è legata indissolubilmente alla memoria di un mio incontro con la wilderness e al confronto con una paura d cui desideravo liberarmi.

A Marettimo, senza esserci mai stato, mi avventurai la prima volta, deciso ad affrontare la natura selvaggia e a dormire all'aperto in un luogo del tutto isolato, poiché - malgrado esperienze già fatte in passato (ma sempre in compagnia), da un certo momento in poi fui preso da una sorta di fobia a ripeterbe di simili.
L'idea di dormire da solo e all'aperto, in specie, mi faceva paura.
Decisi così di affrontare questa mia bestia interiore, che mi faceva sentire meno libero, frontalmente e scelsi Marettimo anche perché oltre ad essere la più lontana dalla Terraferma delle tre isole dell'arcipelago, era un luogo a me sconosciuto, dove non avrei trovato nessuno dei punti di riferimento a me familiari (e dunque in qualche misura confortanti).

MarettimpVolevo un'esperienza diretta e brutale per contrastare la mia paura, un'esperienza non edulcorata
Sbarcato a Marettimo e acquistati alcuni generi di prima necessità, mentre il giorno volgeva al tramonto, mi diressi zaino in spalla (senza conoscere nulla del luogo in cui mi ero scaraventato, ripeto), verso Punta Bassana e poi piegando all'interno verso uno scollinamento che mi avrebbe portato - così ritenevo - dall'altro lato dell'isola. Ero deciso ad allontanarmi il più possibile dal centro abitato e di addentrarmi in un territorio sconosciuto e lontano dal consesso umano.
Dopo essermi lasciato il cimitero e Punta Bassana alle spalle, l'atmosfera cupa di fine giornata si rischiarò all'improvviso, poiché mi affacciai sul lato dell'isola rivolto ad ovest, che s'illuminava dei colori caldi di un tramonto marino di prima estate.
Camminai e camminai, finché arrivai in vista del Faro in un punto in cui si creava una piccola piana e la macchia mediterranea si diradava per lasciare luogo ad una gariga degradata dagli interventi umani di disboscamento (a quel tempo Marettimo non era ancora una zona naturalistica protetta).
E decisi di fermarmi lì, per trarre vantaggio anche da una vecchia rete di letto abbandonata, ma ancora in perfette condizioni, dove dispiegai il mio sacco a pelo.
Dopo aver consumato un frugale pasto, mi misi in attesa della notte che arrivò presto con un buio nero come la pece, che tuttavia era rischiarato dal periodico fluire delraggio di luce proveniente dalla lanterna del faro.
Notte di inferno, anche perché i rumori della notte arrivano alle mie orecchie amplificati con una lucidità quasi lisergica, eppure dormii quello che si può definre il sonno dei giusti, salvo un piccolo episodio di terrore quasi allo stato puro, al quale tuttavia seppi resistere.
Nel cuore del mio pernottamento, quando il buio era ancora fitto, presi a sentire a breve distanza da me - e il cuore mi balzò in gola - dei fruscii e dei rumori furtvi, insistenti, che non riuscivo a catalogare bene, fosse un fantasma o una presenza ostile...
Ma poi - dopo questa pausa, mi riaddormentai e dormii beatamente sino alle prime luci dell'alba.
Al momento di fare colazione e di aprire la tasca dello zaino che custodiva le mie poche scorte, scoprii che il tessuto di tela forte e robusta era forato e che il pacco di biscotti all'interno era stato manomesso...
Ma cos'era stato? Ma un topino ovviamente che non aveva resistito al richiamo della leccornia...!
Mi feci una grande risata.
Prova di iniziazione superata e mi dissi: "Non temerò più alcun male", sentendomi come quei Pellerossa d'America che per transitare dalla bambinitudine all'età adulta dovevano andare da soli nella foresta o comunque nella wilderness a cercare la propria visione e il proprio animale totemico, dal quale avrebbero potuto prendere - a pieno diritto - il proprio nome di adulti.
Stante questo riferimento antropologico, io dopo la prova iniziatica, avrei potuto a ben diritto assumere il nome di "Topo Seduto" o, meglio ancora, "Topo Dormiente".
Questa gita a Marettimo è stata dunque l'occasione per una giornata di atmosfera di avventura, ma anche stimolo per un viaggio a ritroso nel tempo sino a quella - fondante - esperienza e a tutte le successive occasione in cui ebbi modo di tornare a Marettimo per gustarne - il più spesso in solitudine - la Wilderness.

(foto di Maurizio Crispi)
(foto di Maurizio Crispi)
(foto di Maurizio Crispi)
(foto di Maurizio Crispi)
(foto di Maurizio Crispi)
(foto di Maurizio Crispi)
(foto di Maurizio Crispi)
(foto di Maurizio Crispi)
(foto di Maurizio Crispi)
(foto di Maurizio Crispi)
(foto di Maurizio Crispi)

(foto di Maurizio Crispi)

Marettimo, oh cara! Il Trail di Marettimo (come altre prove del Circuito Ecotrail Sicilia è la dimostrazione netta e pulita di come un'occasione di sport sia lo spunto per trovarsi - per "essere" - in un luogo assolutamente fantastico e pieno di grandi risorse e bellezze sia paesaggistiche sia naturalistiche, nonchè dotato di un patrimonio di memorie storiche e mitologiche. Per i Greci che erano particolarmente sensibili a tutto ciò di ominoso e sovrannaturale fosse contenuto in certi luoghi, Marettimo un'isola dotata di un'aura di sacralità (il suo nome presso i Greci era "Hierà Nèsos" che significa appunto "isola sacra") ed era quindi dedicata ad attività cultuali, ma anche coincidente con la Itaca di Ulisse, secondo la teoria "trapanese" dell'Odissea, inizialmente proposta da Samuel Butler e poi ripresa anche da altri. Per non parlare poi dell'antico presidio romano, successivamente trasformato in monastero bizantino con una chiesetta fortemente suggestiva in una posizione preminente sul mare, dove nella distanza spiccano le sagome delle altre due Egadi e poi il profilo più lontano ed indistinto della terraferma. E che dire poi del Castello di Punta troia che sarebbe di origini addirittura normanne e che fu impiantato su di una preesistente torre di avvistamento?

Marettimo é inoltre ricchissima di flora e fauna selvatica e, soprattutto, sul versante occidentale vi si ritrovano grandi grotte marine dove sono stati avvistati esemplari di Foca monaca.

Insomma, Marettimo val bene una visita e quella del Trail di Marettimo e del Egadi Running Cruise che tornerà anche nel 2017 è l'occasione giusta per ritrovarcisi, per scoprirla o per continuare ad esplorarla (se ci si è già stati), occupandosi al tempo stesso della propria attività sportiva preferita.

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21 settembre 2016 3 21 /09 /settembre /2016 12:58
Attenti a quel percoroso

Un cartello plastificato indica il percorso pedonale da seguire passando per Viale Lazio (Palermo), visto che la strada è - e sarà - chiusa per secoli in attesa del completamento dei lavori di una stazione sotterranea di quella che sarà la potenziata Metro di Palermo.

percoroso pedeonale in Viale Lazio (PalermoMa l'amanuense frettoloso non si è accorto del refuso che ha trasformato "percorso" in "percoroso", - si sa che i programmi di videoscrittura, non ben bilanciati nel loro utilizzo da un'attenzione sempre desta, possono causare dei clamorosi errori.
Leggendo l'indicazione involontariamente comica e, procedendo per libere associazioni, ci si pongono quindi dei problemi: sarà il percoroso indicato pericoloso o comodoso? Sarà esso odoroso o spiritoso? Sarà stertoroso o rumoroso? Bisognerà provarlo per capire quali infinite sfumature situazionale questo inedito percoroso possa contenere.
Certo, odoroso di sicuro, visto che il passaggio indicato è disseminato di cacate canine (poveri cani! Certo non per colpa loro!). E il percoroso sarà anche pericoloso (per via delle insidie cui saranno sottoposti i piedi dei passanti non attenti) e odoroso, se non francamente puzzoso per via delle deiezioni canine in vari stadi di trasformazione dallo stato organico a quello minerale.
Yes!, anche rumoroso (per via dell'azione continua dei complessi macchinari deputati allo scavo della stazione sotterranea di viale Lazio) e stertoroso, di sicuro, quando da quel percoroso si trovano a passare bande di runner allo stremo delle forze in un eccesso di competività dialogica.
Insomma, si potrebbe pensare che l'oscuro amanuense abbia scritto "percoroso" a bella posta, per creare nel cittadino che si fosse trovato ad adocchiarlo una serie di possibili associazioni sulle qualità del passaggio indicato.

E se, invece di "percoroso", fosse stato scritto "percor-orsoso" avremmo avuto la suggestione che, in piena città, ci fosse un percorso per orsi (paura!) a memoria della famosa invasione degli orsi in Sicilia raccontata da Buzzatti; o se avessimo letto "percor-orcoso" avremmo pensato di poterci trovare di fronte a una gang di orchi (paurissima!) in cerca di cibo.
Insomma, a partire da un banale lapsus, la nostra giornata può essere allietata dall'umorismo.. e mi raccomando... attenti a quel percoroso!

 

Le foto sono di Maurizio Crispi

Gli interminabili lavori per la stazione sotterranea della metropolitana a Palermo (viale Lazio)

Gli interminabili lavori per la stazione sotterranea della metropolitana a Palermo (viale Lazio)

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25 maggio 2016 3 25 /05 /maggio /2016 20:38
Un giorno nell'agriturismo/fattoria biologica di Cambuca
Un giorno nell'agriturismo/fattoria biologica di Cambuca
Un giorno nell'agriturismo/fattoria biologica di Cambuca
Un giorno nell'agriturismo/fattoria biologica di Cambuca
Un giorno nell'agriturismo/fattoria biologica di Cambuca
Un giorno nell'agriturismo/fattoria biologica di Cambuca
Un giorno nell'agriturismo/fattoria biologica di Cambuca
Un giorno nell'agriturismo/fattoria biologica di Cambuca
Un giorno nell'agriturismo/fattoria biologica di Cambuca
Un giorno nell'agriturismo/fattoria biologica di Cambuca
Un giorno nell'agriturismo/fattoria biologica di Cambuca
Un giorno nell'agriturismo/fattoria biologica di Cambuca
Un giorno nell'agriturismo/fattoria biologica di Cambuca

(foto e testo di Maurizio Crispi) La gita di fine anno (anche se siamo ancora appena a fine maggio) del Centro DoReMi ha avuto come meta (il 21 maggio 2016) l'agriturismo (e Fattoria biologica) Cambuca, sito nella contrada omonima, nel territorio di Grisì, una piccola frazione del Comune di Monreale con appena 900 anime residenti.
Una scelta azzeccata: l'agriturismo che è stato ricavato da un vecchissimo casale, utilizzato già in epoche antiche, come testimonia il fontanile di pietra che, secondo alcuni, con la sua struttura a "cubula" sarebbe addirittura di impianto arabo, si erge su di un dolce pendio che guarda la valle del fiume Iato e del fiume Poma che qui si allarga a formare un grande invaso di raccolta delle acque determinato dalla diga Poma poco più a valle.
Il pendio, in considerazione della sua posizione, sembra essere costantemente battuto dal vento e il soffio della brezza crea una sensazione di solitudine vibrante, offrendo allo sguardo una veduta mozzafiato che spazia per ogni dove, da un lato in direzione del mare che si intravede scintillante, e dall'altro, verso i monti sino a lasciare intravedere l'aspro profilo di Rocca Busambra.

Il territorio che si stende in basso sino allo scintillante invaso Poma, appare suddiviso in chiazze ordinate monocromatiche in relazione alle coltivazioni, si articola in ondulazioni e piccoli picchi, nel complesso digradanti ed è punteggiato di agglomerati fitti di case che, in questa visione panottica, tanto fanno pensare alle atmosfere sognanti di "Le Città del Mondo" di Elio Vittorini.
Cambuca - Agriturismo e Fattoria biologicaL'edificio imponente dell'agriturismo si apre davanti al visitatore con un ampio portale ad arco di pietra calcarea che immette su di una corte dal selciato di grosse pietre, nucleo centrale dell'antico baglio fortificato: la fabbrica con diverse elevazioni che non è stata interamente restaurato e le altre strutture un tempo adibite ai servizi, a magazzini delle granaglie, a stalle e ad abitazione dei contadini che un tempo vi vivevano, suggeriscono una sensazione di incompiuto che accresce lo strano fascino romantico che promana dalle pietre, dalle mura dirute e muschiose e da una scala di pietra viva invasa dalle erbe selvatiche che sembra ascendere verso il cielo vuoto... ma, se si osserva meglio, la cresta del colle sovrastante è dominata da una schiera di pale eoliche: insomma, il nuovo e l'antico in una suggestiva contaminazione non priva di fascino, anche perché le pale eoliche ci ricordano molto i mulini a vento: se oggi un redivivo Don Chisciotte percorresse questi luoghi a cavalcioni del suo Ronzinante, lo si vedrebbe ingaggiare una battaglia contro di esse, anzichè con i mulini a vento a cui l'iconografia donchisciottesca ci ha abituato....

Coniglietti per i bimbi, una lezione su come si preparano la tuma e la ricotta a partire dal latte appena munto (e l'illustrazione in modi semplici ma efficaci di tutte le diverse fasi del procedimento), la preparazione del pane a partire dalla farina, tutto questo ha fatto parte della giornata, con degustazione di prodotti freschi o appena fatti (come la ricotta ancora calda).

Pranzo abbondante, ma nel complesso sobrio, senza quelle esagerazioni tipiche di alcuni agriturismo in cui il pasto che dovrebbe essere all'insegna della frugalità per meglio degustare antichi sapori diventa invece occasione per un'abbuffata (antipasti che da soli valgono un pasto, due primi, due secondi, dolce, frutta).

Poi, dopo pranzo è stata la volta della visita agli animali, di cui i pazienti coniglietti per la gioia dei bimbi erano stati una dolce anteprima: cavalli, un asinello appena giunto di nome Camillo, galline, rane e pesci rossi.

E poi cosa dire delle essenze che circondano a profusione la struttura agrituristica? Riconoscibili rigogliosi cespugli di lavanda così abbondanti e folti che si potrebbe avere l'impressione di essere in Provenza, cespi di rosmarino, di salvia, timo. E poi le essenze arboree come l'alloro, gli ulivi -ovviamente - e tante diverse varietà di alberi da frutta, qualche cipressosvettante e tantissime ginestre in piena fioritura.
Si cammina, inspirando a pieni polmoni per impregnare le narici e le mucose ofattive degli aromi di queste specie mediterranee.

Nell'ambito del Progetto didattico che porta avanti, l'Agriturismo Cambuca opera - a quanto pare - con una scolaresca alla volta e, quindi, si ha davvero l'impressione che la struttura sia tutta per i visitatori del momento e il godimento dell'essere in questo posto, via dalla pazza folla e dai rumori della città, è tanto di più.

D'estate è fruibile anche una piscina (nemmeno tanto piccola) con la possibilità di unire alle suggestioni della vita campagnola, il piacere della balneazione (sia per i grandi sia per i più piccini) e vicino alla piscina, un'area attrezzata per una sosta di stampo balneare con sdraio, gazebo e zona bar: ma ancora tutta questa parte dell'agriturismo era in disarmo.
E un campetto di calcio per gli impenenitanti del football, oltre ad un'area giochi per i più piccini.

Ecco di seguito come si presenta l'Agriturismo e fattoria biologica Cambuca nel proprio sito web...

Dove riscoprire l'armonia con l'ambiente, con sé stessi
Cambuca è un piccolo mondo dove Natura e buona tavola sono i cardini di un sistema di vita semplice, scandito dal ritmo delle stagioni e dal carattere genuino della sua gente. Qui il tempo scorre tra i colori della campagna siciliana, i sapori della e l'ospitalità dei padroni della masseria. Momenti ed emozioni ricchi di gusto e di gioia, da vivere per riscoprire sé stessi e la Natura.
La Fattoria Biologica Cambuca si trova nella valle del fiume Jato, a circa 40 km da Palermo, sui fianchi di una collina ai bordi del lago Poma, a circa 380 metri sul livello del mare, in una stupenda posizione che regala un panorama mozzafiato.
La struttura occupa gran parte di un’antica masseria seicentesca, recentemente restaurata e ristrutturata. Architettura storica che un tempo fu polo rurale del latifondo.
L'etimologia del nome Cambuca, dall'arabo "Lakamuka", fa risalire le origini del feudo al tempo della dominazione degli Arabi. Ne è testimonianza il ritrovamento presso la masseria di un'antica sorgente, d'epoca araba, chiamata in dialetto "a cubula".
Cambuca vede nuova luce con il progetto didattico "Fattoria Biologica", dedicato ai bambini e ragazzi che frequentano le scuole dell'infanzia, la primaria, la secondaria, i licei.
Un corso di educazione ambientale e alimentare organizzato appositamente per inserirsi all'interno del programma di studi adottato in classe e per ampliarlo. Cambuca si popone così come una classe speciale, a cielo aperto, dove imparare e sperimentare la vita a stretto contatto con l'ambiente.
Al centro del progetto, vi è il coinvolgimento delle nuove generazioni nella la salvaguardia delle risorse del territorio e delle biodiversità.

Cambuca - Agriturismo e Fattoria Biologica

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24 maggio 2016 2 24 /05 /maggio /2016 21:25
La spiaggetta di Torre Normanna rivisitata
La spiaggetta di Torre Normanna rivisitata
La spiaggetta di Torre Normanna rivisitata
La spiaggetta di Torre Normanna rivisitata
La spiaggetta di Torre Normanna rivisitata
La spiaggetta di Torre Normanna rivisitata
La spiaggetta di Torre Normanna rivisitata

(foto e testo di Maurizio Crispi) Bisogna ogni volta introdurre delle variazioni nelle proprie abitudini, per evitare di cristallizzarsi in schemi ripetitivi che siano del tutto blindati rispetto al sentimento della meraviglia.
E' stato così che, andando - come faccio sempre - almeno due volte alla settimana in campagna a fare dei lavoretti ho deciso di fermarmi a Torre Normanna (Torre delle Mandre) per scendere, seguendo il sentiero di accesso ripido e accidentato sino alla spiaggetta sottostante, racchiusa tra il promontorio su cui sorge l'antica torre di guardia, conosciuta come "Torre Normanna" (anche se si tratta, in realtà, di una fabbrica di impianto aragonese, risalente al XVI secolo), in posizione dominante su Cala Sciabica sul versante che guarda Palermo e su una piccola caletta il cui arenile é di ghiaia e sabbia, delimitato da una seconda prominenza rocciosa più bassa (sormontata da alcuni ruderi) oltre la quale si stende una spiaggia ancora più piccola, solitamente utilizzata in via esclusiva dagli ospiti del sovrastante Hotel Torre Normanna che possono raggiungerla per mezzo d'un ascensore scavato nella viva roccia.
Rispetto ad una mia precedente visita ho trovato il sentiero molto deteriorato e, sparsi lungo tutto il percorso, eterni e proliferanti mucchi di rifiuti lasciati dai soliti gitanti estivi, irrispettosi e maleducati.
La giornata era ideale: il sole forte, ma mitigato da una brezza decisa.
Al riparo della parete di roccia mi sono disteso come un gatto, deciso a rimanere a rosolarmi a fuoco lento per un'ora: mezz'ora disteso sulla schiena e mezz'ora sulla pancia.
Trascorso il tempo stabilito - e la mia cagnetta Frida, ansimante, aveva assoluto bisogno di bere - mi sono incamminato per raggiungere l'auto e di lì la campagna, dove ho lavorato con soddisfazione (e alacremente) sino alle 13.30.
E' stato gratificante...
Bisogna sempre rompere gli schemi che ci imprigionano, schemi che siamo noi stessi a costruire e per poterlo fare bisogna sempre infrangere delle resistenze interiori, nuotando controcorrente per uscire dalla solita rassicurante routine...

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26 marzo 2016 6 26 /03 /marzo /2016 09:02
Una passeggiata-corsa nel territorio della RNO Capo Gallo (Barcarello). A volte la corsa ritorna
Una passeggiata-corsa nel territorio della RNO Capo Gallo (Barcarello). A volte la corsa ritorna
Una passeggiata-corsa nel territorio della RNO Capo Gallo (Barcarello). A volte la corsa ritorna
Una passeggiata-corsa nel territorio della RNO Capo Gallo (Barcarello). A volte la corsa ritorna
Una passeggiata-corsa nel territorio della RNO Capo Gallo (Barcarello). A volte la corsa ritorna
Una passeggiata-corsa nel territorio della RNO Capo Gallo (Barcarello). A volte la corsa ritorna
Una passeggiata-corsa nel territorio della RNO Capo Gallo (Barcarello). A volte la corsa ritorna
Una passeggiata-corsa nel territorio della RNO Capo Gallo (Barcarello). A volte la corsa ritorna
Una passeggiata-corsa nel territorio della RNO Capo Gallo (Barcarello). A volte la corsa ritorna
Una passeggiata-corsa nel territorio della RNO Capo Gallo (Barcarello). A volte la corsa ritorna
Una passeggiata-corsa nel territorio della RNO Capo Gallo (Barcarello). A volte la corsa ritorna

(Foto e testo di Maurizio Crispi) A volte, dopo lunghe pause, la corsa ritorna.
Correre in solitudine e al cospetto della natura ha un potere vivificante, energizzante. Schiarisce la mente e la mette in moto.
Sorgono idee e il pensare si fa creativo.
Una boccata di ossigeno e questo anche se il giorno, come è stato quello di questa passeggiata, non è solare, bensì grigio e corruscato.
Molto romantico, direi, perché ha attivato la melanconia e la nostalgia.
E anche delle brevi e transitorie burrascate di pioggia, in questo contesto ci sono state bene.
Dall'umido del bosco le mie narici erano colpite da molecole olfattive di bruciate. E, in effetti, c'erano i segni di un fuoco recente che aveva arso il sottobosco e alcune delle piante arbustive più giovane.
Forse attizzato proprio alcuni giorni prima in occasione del grande scirocco, con il vento che ha fatto divampare le fiamme, incautamente o dolosamente accese.
E ora sul pendio che si inerpica sino alla scoscesa parete di roccia si allarga una grande cicatrice nerastra.
Sono stato l'unico nel circondario a percorrere quegli sterrati, con la vista sulla scogliera grigio-ferro e nera, battuta dai marosi violenti e Isola delle Femmine che si stagliava lontana nella bruma: un paesaggio quasi nordico e non mi sarebbe sembrato strane veder emergere dal mare in tempesta una balena - a big sea monster - con i suoi potenti soffi, inarcando il dorso prima di un tuffo (Thar she blows!).
E Isola delle Femmine appena distinguibile tra i rovesci d'acqua e il pulviscolo d'acqua sollevato dai marosi, con la sua forma oblunga potrebbe bene essere un grande cetaceo pietrificato.
Nella più totale solitudine, ho solo incrociato uno che, con il cappuccio della felpa calcato sulla testa, faceva passeggiare il suo cane: era sulla scogliera e sul greto di sassi, ma quando mi sono addentrato nel territorio della riserva (la zona A), non c'era davvero più nessuno.
Forte è stata l'impressione di essere su di un isola selvatica lontana mille miglia dal luogo in cui vivo, invece che dietro la porta di casa: e quei cartelli indicatori di sentieri e località dai nomi pittoreschi e quasi mitici evocano atmosfere di avventura.

Tutto è fermo e silente, in attesa dell'estate, nel secondo giorno di primavera, ma sembra che sia inverno profondo, quell'inverno che ancora non c'era stato: l'inverno del nostro scontento.
Solo il monte, con i suoi sassi spaventosi e cataclismici, si muove.
Un cartello avverte minaccioso che c'è pericolo ad inoltrarsi nella zona che, a causa del monte soprastante e la sua parete di roccia friabile, é in uno stato di dissesto geomorfologico.
Grossi sassi caduti sul sentiero con la loro inerte presenza, sono eloquenti e mi fanno stare sul chi vive...
Non si sa mai...
Chi può mai dirlo se qui possa esserci l'appuntamento fatale con il mio destino.

Ma poi non è successo nulla di brutto...
Sarà per un'altra volta.
Ah ah ah...

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11 gennaio 2016 1 11 /01 /gennaio /2016 21:12
Duomo di Monreale. Ai turisti spetta un vero percorso penitenziale per ascendere alla bellezza sublime
Duomo di Monreale. Ai turisti spetta un vero percorso penitenziale per ascendere alla bellezza sublime
Duomo di Monreale. Ai turisti spetta un vero percorso penitenziale per ascendere alla bellezza sublime
Duomo di Monreale. Ai turisti spetta un vero percorso penitenziale per ascendere alla bellezza sublime
Duomo di Monreale. Ai turisti spetta un vero percorso penitenziale per ascendere alla bellezza sublime
Duomo di Monreale. Ai turisti spetta un vero percorso penitenziale per ascendere alla bellezza sublime

(Maurizio Crispi) Poco dopo Capodanno, approfittando dei giorni di vacnza, abbiamo fatto una piccola gita a Monreale, uno dei maggiori gioielli dell'archittettura arabo-normana e esempio sublime dell'arte del mosaico bizantino, in una giornata piovosa, ma non troppo fredda.
La pioggia stizzosa si è scatenata alla nostra uscita dal Duomo impedendoci di stare a gironzolare e magari di fare anche una capatina al forno delle Sorelle Mammina per prendere il classico pane di Monreale a lievitazione naturale, cotto a legna.
Non mi dilungherò sul Duomo (splendido) che ho visitato in molteplici occasioni e che , ciò malgrado, non finisce mai di stupirmi, con l'esterno rustico che unisce in sé i caratteri del luogo di culto e della fortezza e con gli scintillanti mosaici all'interno che formano nel loro insieme un grande e sublime testo pittorico che racconta il Vecchio e il Nuovo Testamento.
Quello che mi ha sorpreso (e deluso) dall'ultima visita in ordine di tempo è stato il constatare che la fuga di scale che conduce dal Parcheggio comunale al Centro storico (e alla Cattedrale), benché di recente realizzazione, è già scivolato in una condizione entropica di inarrestabile degrado, con i gradini rotti e scheggiati, alberi semiabbattuti e mai più sistemati, spazzatura negletta abbandonata qua e là, ringhiere di protezione mancanti per lunghi tratti.
Un clamoroso esempio di pubblica amministrazione assente e latitante, rispetto ai suoi obblighi: questa scalinata l'ho percorsa qualche anno fa, quando forse era stata da poco inaugurata e mi era sembrata bella, anche perché sboccava nella via acciottolata di grande pregio scenografico.
Oggi, invece quella stessa scalinata sembra essere diventata una via del dolore, un'ascensione al Golgota, con quel passaggio mortificante dal sottopasso (da attraversare obbligatoriamente, salvo - per chi lo sappia - a fare un giro più lunghetto), dove si aprono dei gabinetti pubblici da cui si sprigiona un mefitico di sentore ammoniacale di piscio, appena dissimulato dal disinfettante al bergamotto.
Dalle stalle alle stelle, per così dire.
Provare per credere.
Al Parcheggio comunale si fermano molti dei torpedoni che portano le comitive di turisti stranieri in visita: la scalinata di accesso dovrebbe essere tenuta in ordine, poiché rappresenta a tutti gli effetti il vestibolo e il biglietto di presentazione della cattedrale stessa.
Come possono i turisti preparare il loro animo alla meraviglia che avranno modo di vedere, transitando da un percorso così mal tenuto?
Le solite cose nostrane: del degrado, sembra che a nessuno importi veramente, così come "manutenzione" è una parola da non dover mai pronunciare.
Dire che, forse, ai turisti piace così, perché in questo modo hanno il brivido di sperimentare una full immersion in un contesto che è loro alieno e in un percorso di ascensione dalle miserie, dal degrado e dalle brutture, alla solennità e alla bellezza incomparabile e regale dei mosaici contenuti all'interno del duomo, oppure sostenere che ai più si offre un percorso penitenziale che li porti dopo molto patire all'ascesi religiosa o all'afflato mistica, è - almeno questo é ciò che io pensi - una penosa mistificazione.
Lo si può dire per ironizzare, ma non certamente parlando sul serio.
Senza tenere conto del rischio che qualcuno possa infortunarsi, salendo o scendendo quei gradini ammalorati, spezzati e scheggiati in più punti.

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Come sono arrivato qui

DSC04695.jpegQuesta pagina è la nuova casa di due blog che alimentavo separatamente. E che erano rispettivamente: Frammenti. Appunti e pensieri sparsi da un diario di bordo e Pensieri sparsi. Riflessioni su temi vari, racconti e piccoli testi senza pretese.

Era diventato davvero troppo dispendioso in termini di tempi richiesti alimentarli entrambi, anche perchè nati per caso, mentre armeggiavo - ancora alle prime armi - per creare un blog, me li ero ritrovati ambedue, benchè la mia idea originaria fosse stata quella di averne uno solo. Infatti, non a caso, le loro intestazioni erano abbastanza simili: creatone uno - non ricordo quale dei due per primo - lo ho "perso" (per quanto strano ciò possa sembrare) e mi diedi alacremente da fare per ricrearne uno nuovo. Qualche tempo - nel frattempo ero divenuto più bravino - il blog perso me lo ritrovai).

Ohibò! - dissi a me stesso - E ora cosa ne faccio?

La risposta più logica sarebbe stata: Disattiviamolo!. E invece...

Mi dissi: li tengo tutti e due. E così feci. E' stato bello finchè è durato...

Ma giocare su due tavoli - e sempre con la stessa effcienza - è molto complicato, ancora di più quando i tavoli diventano tre e poi quattro e via discorrendo....

Con overblog ho trovato una "casa" che mi sembra sicuramente più soddisfacente e così, dopo molte esitazioni, mi sono deciso a fare il grande passo del trasloco, non senza un certo dispiacere, perchè il cambiamento induce sempre un po' di malinconia e qualche nostalgia.

E quindi ora eccomi qua.

E quello che ho fatto - ciò mi consola molto - rimane là e chiunque se ha la curiosità può andare a dargli un'occhiata.

 

Seguendo il link potete leggere il mio curriculum.

 

 


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