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3 gennaio 2019 4 03 /01 /gennaio /2019 10:12

Il povero gatto, morto sin dal 22 dicembre 2018, ancora giace senza pace e senza sepoltura: siamo al 6 gennaio 2019, e il servizio competente non si è ancora attivato per la sua rimozione, malgrado le numerose segnalazioni da parte dei cittadini residenti e persino da parte dei Vigili Urbani.
Forse quelli dell'azienda preposta aspettano che quel cadaverino sia totalmente mummificato o, meglio ancora, trasformato in polvere, così potranno recitare, quando interverranno troppo tardivamente, parole di requiem: "Polvere alla polvere...".

Aggiornamento sul mio profilo FB del 7 gennaio

Foto di Maurizio Crispi

Occhio che non vede, cuore che non duole.
In questo casa è l'occhio del Sindaco di Palermo, a non vedere il corpicino di un gatto ucciso per strada già da prima di Natale e lasciato lì, per strada, malgrado le numerose segnalazioni da parte dei cittadini residenti.
La RAP di Palermo (RAP S.p.A. – Risorse Ambiente Palermo) si disinteressa: il povero gatto è lì su quel marciapiede almeno dal 22 dicembre 2018. Anzi, prima era sotto il bordo di quel marciapiedi, parzialmente nascosto da un auto posteggiasta: qualche anima gentile si è premurata di issare il corpicino senza vita sul marciapiedi per evitare che venisse scempiato dalle ruote delle auto in manovra alla ricercha di parcheggio.
Siamo in via Lombardia, una delle vie di una delle residenziali della Palermo chic. A solo pochi metri di distanza c'è l'abitazione del Sindaco di Palermo che si vanta di essere alla guida di una città europea, capitale della cultura e dell'accoglienza, oltre che della solidarietà verso i migranti.
Eppure a meno di trenta metri, proprio al di là della strada e del numero civico in cui è domiciliato, c'è quel corpicino morto che ristagna, sempre più spelacchiato e grigio, mentre all'inizio aveva una folta pellicciotta bianconera.
Sono delle piccole note stonate, queste.
E i Vigili urbani che stazionano davanti alla casa del Primo cittadino non mi vengano a dire che loro hanno assolto il loro compito chiamando la linea telefonica dedicata della RAP, per segnalare il caso e chiedendo una pronta rimozione.
E che pertanto la responsabilità della non-rimozione è di quell'ufficio.
Il solito scaricabarile di competenze e di responsabilità, insomma.
Dicono che, a cavallo del passaggio tra il vecchio e il nuovo anno, la RAP sia in agitazione e che non garantisce più i minimi servizi indispensabili: verissimo, a giudicare dei cumuli di monniezza che si stanno accumulando ogniddove, con buona pace della rsaccolta differenziata.
Il fatto è che, come ho già detto altrove, è che quando tutto è burocratizzato e le competenze sono distribuite in maniera rigida a singoli enti pubblici o privati, il cittadino qualunque viene privato della possibilità di attivarsi autonomamente per risolvere i piccoli problemi oltraggiosi della quotidianità.
In questo caso, si è privati dunque della possibilità di attivarsi personalmente, per rimuovere questo animale morto dal luogo in cui giace, armandosi di pala, sacco della spazzatura e - ovviamente - guanti protettivi. Se un cittadino facesse questa lodevole azione (io ci ho pensato, sì, di attivarmi in prima persona) dove dovrebbe poi portare il cadaverino? Non rischierebbe forse di essere ripreso per aver compiuto un'azione illecita e che non gli compete, poichè esiste un'Azienda addetta a tale bisogna? E se, ad esempio, lo portasse in campagna per seppellirlo nella terra o sotto le pietre non rischierebbe forse di essere sanzionato per inquinamento ambientale?
Ma per tornare al punto, S
ono appunto queste le cose, apparentemente piccole omissioni e negligenze, a non farci onore e e ad offuscare tutti gli sforzi di rendere Palermo una città migliore e i riconoscimenti che la nostra città riceve, come testimonia il bellissimo e documentato articolo uscito su L?Espresso, nell'ultimo numero dell'anno.

Oggi, 4 gennaio 2019, il gatto è ancora lì.

Foto di Maurizio Crispi

5 gennaio 2019

Il gatto continua a giacere sul marciapiedi sempre più spelacchiato e tristanzuolo

Foto di Maurizio Crispi. Il gatto morto di Via Lombardia (5 gennaio 2019)

Al 7 gennaio 2019, la situazione è scandolasamente immutata.
E, alla fine, ...tra il l'8 e il 9 gennaio il corpicino è stato finalmente rimosso e il marciapiedi è ritornato libero da quell'inquitante e triste presenza...

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3 dicembre 2018 1 03 /12 /dicembre /2018 06:49
Shaun Blythell, Una vita da Libraio, Einaudi, 2018

Una vita da Libraio (titolo originale: The Diary of a Bookseller, nella traduzione di Carla Palmieri) è l'appassionante diario giornaliero di un libraio dell'usato, Shaun Bythell, proprietario del negozio "The Bookshop" a Wigtown ("The Biggest Bookshop in Scotland") . Ed è proprio un libro che tutti coloro che amano i libri dovrebbero leggere e che mostra come è vivere la propria vita in mezzo ad una collezione viva e mobile (sempre nuovi volumi entrano, altri escono) di oltre centomila volumi.
Il volume di Shaun Bythell è rassicurante, anche: perchè mostra come sia possibile che i nostri libri, quelli che abbiamo raccolto nel corso di una vita, che abbiamo amato, letto e riletto e della cui presenza accanto a noi siamo costantemente consapevoli) possano avere un futuro interessante e vivo, se cadono nelle mani di uno come Bythell.
Purtroppo, in Italia, manca ancora totalmente - fatte salve alcune eccezione soprattutto per ciò che concerne i libri "antichi" - la cultura deil'usato
Mancano dei negozi qualificati in cui librai appassionati facciano incetta e facciano circolare libri appartenuti ad altri, il cui triste destino è purtroppo quello di finire nella bottega di rigattieri (dove sono sotto valutati, il più delle volte) o di essere mandati al macero.
Solo Libraccio - in Italia - e il più specializzato MareMagnum fanno commercio di libri usati (in quest'ultimo è possibile trovare libri altrimenti irreperibili): è questo è già un bene. Ma se uno che - per le circostanze della vita - si trovasse a disporre del lascito di un cospicuo quantitativo di libri e non potesse tenerli, le possibilità di venderli a qualcuno che sappia valorizzarli sono davvero scarne.
E così, noi lettori che abbiamo tanti libri ci interroghiamo angosciati sulla fine che questi faranno, quando non ci saremo più.
Questo è uno dei motivi per leggere il libro di Shaun Blythell, ma l'altro è vedere come emerga quotidianamente un amore sconfinato per i libri: in effetti, un lavoro come questo lo si può fare solo amandoli, i libri.
Il suo diario si snoda mese per mese, con annotazioni pressocchè giornaliere, a volte brevi, altre volte più lunghe. E' costante il rapporto con i libri, ovviamente e poi con l'infinita varietà di frequentatori del suo negozio: ne emerge da ciò una tipologia umana infinita, una vera e propria zoologia dei frequentatori di libri che non sempre sono individui che li amano o li leggono. E dietro a questi personaggi in carne in ossa si celano dietro i libri acquisiti e poi messi invendita le ombre di coloro che li hanno posseduti: "A parte il fatto che è una cosa antipatica da dire ad un venditore di libri usati, chi può sapereper quali mani siano passati i volumi che ho in negozio? Mani di ogni genere, senza dubbio: dai sacerdoti agli assassini. Per alcuni la storia che si nasconde dietro un libro usato è un mistero che emoziona e che accende l'immaginazione: Ricordo che un tempo discutevo con un'amica sul significato delle annotazioni e dei commenti a margine. Anche a questo riguardo ci sono opinioni discordanti, e a voltechi acquista i nostri libri tramite Amazon ce li rimanda indietro perchè ha scoperto degli appunti scritti a manoche a noi erano sfuggiti. Per me queste cosenon sminuiscono il valore di un libro; al contrario, sono aggiunte affascinanti, sguardi nella mente di un'altra persona che ha letto quelle stesse pagine" (ib., annotazione di martedì 4 gennaio, pp, 356-257).
Emerge (ma tutto questo viene detto con bonomia e con tanta ironia) che i "veri" lettori sono una razza rara (e, in Italia, una razza quasi in via di estinzione); a riprova dello scritto autobiografico "Ricordi di Libreria" di George Orwell che, mentre scriveva il suo "Fiorirà l'Aspidistra", si trovo a lavorare per sbarcare il lunario come commesso in un bookshop dove entrò pieno di idealità sul vendere libri per dover poi constatare che le sue rappresentazioni sui lettori e sui frequentatori di un bookshop erano destinate a cadere a pezzi. Per questo motivo, ogni mese del diario di Bythell è introdotto  da un'epigrafe con un brano scelto delle singolari memorie di George Orwell.
Shaun Bythell è anche uno degli organizzatori del Wigtown Book Festival che a partire dalla sua data di nascita nel 1998 è assurto ad una popolarità sempre crescente.
Le note di questo diario coprono esattamente l'arco di un anno, dal 5 febbraio 2014 e al 4 febbraio dell'anno successivo (2015). Come scrive l'Autore in epilogo, egli ha tenuto regolarmente un diario sulle attività del suo bookshop e sulla galleria di clienti che lo hanno frequentato (alcuni dei quali trasfigurati in veri e propri "personaggi"), anche oltre la data in cui ha deciso di dare alle stampe queste sue notazioni.
Nel momento in cui scrive l'epilogo è il 1° novembre del 2016, egli aggiunge, e cade il quindicesimo anniversario del giorno in cui egli acquistato il negozio.


(Soglie del testo) Si può avere una vita avventurosa anche seduti su uno sgabello.
Un paesino di provincia sulla costa scozzese e una deliziosa libreria dell'usato. Centomila volumi spalmati su oltre un chilometro e mezzo di scaffali, in un susseguirsi di stanze e stanze zeppe di erudizione, sogni e avventure. Un paradiso per gli amanti dei libri? Be', piú o meno…
Dal cliente che entra per complimentarsi dell'esposizione in vetrina, senza accorgersi che le pentole servono a raccogliere la perdita d'acqua dal tetto, alla vecchietta che chiama periodicamente chiedendo i titoli piú assurdi, alle mille, tenere vicende di quanti decidono di disfarsi dei libri di una vita. The Book Shop, la libreria che Shaun Bythell contro ogni buonsenso ha deciso di prendere in gestione, è diventata un crocevia di storie e il cuore di Wigtown, villaggio scozzese di poche anime. Con puntuta ironia, Shaun racconta i battibecchi quotidiani con la sua unica impiegata perennemente in tuta da sci, e le battaglie, tutte perse, contro Amazon. La sua è l'esistenza dolce e amara di un libraio che non intende mollare. Con l'anticipo dell'edizione italiana, Shaun sta finalmente ricostruendo il tetto della sua libreria.


«Stavo uscendo dalla cucina con la mia tazza di tè quando un tizio in giacca da lavoro e pantaloni di poliestere una spanna piú corti del normale mi è rovinato addosso e me l'ha quasi fatta cadere. - È mai morto nessuno qui? - mi ha chiesto poi. - Nessuno ci ha ancora lasciato le penne cadendo da una scaletta?
- Non ancora, - gli ho risposto, - ma speravo proprio che oggi fosse il gran giorno».

 

L'Autore. Shaun Bythell è il proprietario della libreria The Book Shop di Wigtown e uno degli organizzatori del Wigtown Book Festival. Tutto quello che si deve conoscere di lui lo si può leggere nell'introduzione al suo volume.

È possibile fare un tour virtuale nella libreria grazie al video pubblicato dall’autore tramite il suo account Youtube

Una storia incantevole per chi crede che un libro sia per sempre

Einaudi, soglie del testo

(Approfondimento) La dimostrazione che si può avere un’esistenza avventurosa anche seduti su uno sgabello  (di Giuseppe Culicchia, «la Repubblica»). Dal sito web Einaudi

Shaun Bythell a trentun anni e un mese diventa proprietario di una libreria dell'usato nel cuore di Wigtown, un paesino sulla costa scozzese. Non ha ancora letto il saggio Ricordi di libreria di Orwell, altrimenti avrebbe avuto un «salutare avvertimento» su ciò che lo attendeva.
Nel 2014 inizia a scrivere un diario in cui racconta il suo mondo e quello dei lettori, veri o finti, che entrano nel suo negozio, una sorta di grotta di Aladino frequentata da clienti abituali, che sanno quello che vogliono, e altri che si fingono interessati ma che in realtà non subiscono il fascino della lettura: alcuni sono cortesi, colti, altri scortesi, maleducati o stravaganti.
Il risultato di questi appunti è Una vita da libraio, un «delizioso diario di un mestiere che si può fare solo con amore e, nel suo caso, con una buona dose di humor inglese, anzi scozzese. La dimostrazione che si può avere un’esistenza avventurosa anche seduti su uno sgabello» (Enrico Franceschini, «il venerdì – la Repubblica»).
Shaun è un libraio che non intende mollare,  «ma tre le righe non di rado spassosissime si percepisce la rabbia di un animale consapevole di appartenere a una specie in pericolo, visto che ad assottigliarsi è anche il numero di coloro che si ostinano a compare libri in libreria non solo per abitudine o perché incredibilmente non hanno ancora un computer, ma perché sanno che l’unico modo per garantire la sopravvivenza delle librerie è farle lavorare. Da ex collega, ringrazio Shaun Bythell per questo divertente cahier de doléances. Ne condivido la passione, l’amarezza e anche la rabbia» (Giuseppe Culicchia, «la Repubblica»).
Bythell  vive circondato da libri, circa centomila volumi distribuiti in stanze che si rincorrono come un labirinto, zeppe di erudizione; esce per entrare nelle case di chi vuole liberarsene, a volte trova tesori, altre volumi apparentemente invendibili. I suoi sopralluoghi sono vere avventure, il senso di attesa che prova prima di varcare la soglia non ha paragoni; scopre testi ma anche persone, e il viaggio dentro quelle abitazioni raccontano tanto di chi le ha abitate.
Nonostante le difficoltà, per l’autore diventare libraio è stata la scelta migliore della sua vita, come ha ammesso a Enrico Franceschini per il venerdì – la Repubblica: «vendere libri è come fare il kamikaze: quando decidi, non c’è modo di tornare indietro».

Shaun Bythell, author of The Diary of a Bookseller, talking at an event within his bookshop during Wigtown Book Festival, with music from The Bookshop Band.

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2 dicembre 2018 7 02 /12 /dicembre /2018 10:53

Mi capita sovente di sognare di un appartamento segreto.
Un posto che sembra essere quasi un rifugio, al quale soltanto io ho l'accesso.
Si trova ubicato in un grande palazzo, nell'intercapedine tra due altri appartmenti: ed in comunicazione con entrambi attraverso porte a scomparsa, occultate ad arte, che soltanto io posso aprire.
E' un appartamento attrezzato del minimo necessario, ma sostanzialmente di aspetto monacale: benchè sia segreto ed invisibile è dotato di finestre che si aprono all'esterno e che ne consentono aereazione e una buona illuminazione con la luce del giorno.
Dall'appartamento si accede ad un'enorme terrazza che occupa l'intera superficie dell'edificio.
Di fatto, questa terrazza è un enorme giardino pensile dove crescono piante da fiori e anche alberi che nel corso del tempo sono diventati enormi e ramificati sino a formare una vasta foresta incolta.
Non ho mai avuto tempo di curarla nelle mie fugaci visite, poichè c'è sempre qualche evento imprevisto che mi distoglie dal curarmi del mio giardino.
Ogni tanto, nei miei sogni, mi aggiro nei meandri di qesta piccola foresta, sorprendendomi ogni volta nello scoprire che nuovi virgulti sono cresciuti, fino a formare un fitto sottobosco e che alberetti prima piccoli sono diventati enormi e fronzuti.
Ogni tanto mi affaccio alla ringhiera e vedo dei bambini che nei cortili sottostanti giocano e si rincorrono, ma nessuno di loro si accorge mai di me che li osservo dall'alto. E' come se da questo rifuggio segreto nessuno mi potesse vedere e, d'altra parte, è impossibile qualsiasi comunicazione a voce, in considerazione dell'altezza.
Qualche volta nei sogni, sono all'esterno dell'appartamento, e mi soffermo a trastullarmi con l'idea che posso entrarci qando voglio, passando in rassegna le diverse stanze che lo compongono: trattandosi di una cosa che sento solo ed esclusivamente mia non ha davvero importanza entrarci, perchè so che sono l'unico a possedere le chiavi di questo piccolo regno nascosto.
Altre volte, invece, mi aggiro al suo interno, ma sempre senza particolarmente soffermarmi in una stanza o nell'altra: ma i sogni non mi dicono mai cosa faccio quando sono al suo interno. In effetti, le stanze sono spoglie, come in attesa di essere occupate.
Le porte d'accesso sono nascoste e soltanto io ne conosco il segreto: mi sorprendo a volte che questo appartamento possa esistere ignorato da tutti.
A volte mi chiedo come ciò sia possibile: a volte, mi rispondo dicendo che l'appartamento si trova in un'intercapedine di cui nessuno conosce l'esistenza e in cui io, per qualche bizzarria della sorta, mi sono imbattuto. Altre volte, contagiato dalle mie letture di fantascienza, mi dico che si tratta piuttosto di una porta verso un altro mondo che, tuttavia, rimane in un rapporto di stretta contiguità con quello da cui provengo. Ma questo pensiero è di per sé inquietante, poichè a volte mi trovo a pensare che le porte d'accesso possano chiudersi definitivamente anche per me, proprio quando sono al suo interno. O anche - con un pensiero più ardito - penso che possa essere una camera per il teletrasporto di cui ignoro il meccanismo di funzionamento.
Sì, sembra essere decisamente una dimora da vivere in solitudine, quasi fosse la dimora di un eremita che ha fatto il voto del silenzio, ma quando sono lì dentro o sulla sua soglia, non mi sembra mai che mi manchi qualcosa di essenziale. E dire che, nel corso delle mie visite, non ho mai visto al suo interno, alcun libro, o cd. C'è sì uno spazzolino da denti nel bagno che presenta tracce d'uso.
L'altro giorno, per la prima volta, ho sognato che Gabriel era con me dentro quell'appartamento segreto. Un po' giocavamo assieme, un po' Gabriel faceva qualcosa per cui io lo rimproveravo. Malgrado questi piccoli screzi, avevo la netta sensazione che io e lui stavamo bene assieme, come quando ci ritroviamo a giocare assieme.
Quest'ultimo sogno, a differenza degli altri simili, era molto lungo: mi dava un una percezione soggettiva di interminabilità.
Mi svegliavo e ripiombavo nel sonno per sognare lo stesso scenario, oppure - mi sono poi detto - i risvegli non erano reali e facevano pure parte di quel sogno. Non saprei.
Ma, ad un certo punto, mi sono angosciato: ho pensato di essere intrappolato lì dentro una volta per tutte e di non poterne uscire più: come se il paradiso segreto stesse per trasformarsi in una prigione dalla quale non ci sarebbe più stata una fuga possibile.
Una sorta di concamerazione segreta della mia mente, nella quale sarei rimasto bloccato per sempre.
Un luogo, dal quale non potrei più essere recuperato, come se un dio che gioca con l'Universo potesse decretare: "Quelle porte che erano per aperte per te, ora saranno chiuse per sempre e tu non potrai mai fare ritorno".
E, a questo punto di quest'ultimo sogno, mi sono risvegliato in preda ad una profonda ed inesprimibile angoscia.


 

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2 ottobre 2018 2 02 /10 /ottobre /2018 08:43
(foto di Maurizio Crispi)

(foto di Maurizio Crispi)

Alcuni anni fa scrissi per un periodico freepress, diretto da Valentina Gebbia, un articolo sulle Magnolie, nel quale in particolare raccontavo dell'Albero-orecchio, cioè di una grande magnolia nei pressi del luogo in cui abito a Palermo, sul cui tronco appare in rilievo un enorme orecchio. Si tratta proprio di un orecchio: non occorre molto sforzo di fantasia per individuarlo. E' lì ed è palese, indiscutibile.
L'Albero-orecchio è sempre lì, eterno, immutabile e per questa sua natura fa pensare agli Ent-Alberi dell'universo di Tolkien: le magnolie, del resto, hanno in sè questa caratteristica che le fa apparire un archetipo dell'eternità, alberi in continua espansione e crescita, grazie alle loro radici pensili che, protendendosi dall'alto e raggiungendo il suolo in un n movimento geocentrico, si trasformano rapidamente in nuovi tronchi.
Le magnolie attivano fortemente la fantasia.


E ancora di più questo straordinario Albero-orecchio.
L'Albero-orecchio è stato tema di costanti narrazioni con mio figlio Francesco, quando ci passavamo accanto e lo osservavamo.
Ed è tornato ad essere di altre narrazioni con mio figlio Gabriel.
La narrazione che segue è stata la più recente che ho voluto proporre qui, poichè per il momento non riesco a trovare il file dell'articolo originario che non è mai stato diffuso online.

 

L'Albero-orecchio con Gabriel (foto di Maurizio Crispi)

Tanto tempo fa un uomo si è fermato ai piedi di questa magnolia ed è rimasto fermo a lungo a pensare, ammirato dalla bellezza dell'albero e dalla sua densa e fresca ombra, dalle sue radici pensili e dalle radici enormi che fuoriuscivano dal terreno rivelandosi come le sinuose creste ossee di qualche dinosauro che lotta per liberarsi dalla terra in cui è sepolto..
L'albero, rapito dalle buone vibrazioni di questo passante, preso dalla meraviglia e da un empito di benevolenza, ha cominciato a protendere le sue radici aeree verso costui.
L'uomo, in contemplazione estatica, non si è mosso e le radici hanno preso a crescere e ad inglobarlo nel legno.
L'uomo nel giro di poco si è fatto uomo-radice ed infine albero.
L'unico segno distintivo del suo essere stato uomo è l'orecchio che è rimasto a sporgere verso l'esterno, quasi a suggellare il suo desiderio di poter rimanere in contatto con il mondo, benché ormai nella forma e nella sostanza di un albero.
L'albero-orecchio (che contiene dentro di sé quell'uomo) vuole ascoltare le storie di chi passa accanto a lui.
Grazie alla trasfusione dell'umanità di quel passante nella materia vivente e silenziosa di cui sono fatte le piante quella magnolia è divenuta un essere sociale e vuole ascoltare le storie del mondo.
Ecco perchè, quando ci si trova a passare vcicino a quel grande orecchie conviene bisbigliare delle storie: le storie di ciò che si è visto, di ciò che si è sentito dire, anche semplicemente delle storie fantastiche inventate di sana pianta oppure anche attingendo al repertorio di storie fiabesche e di avventure. Io per conto mio amo raccontargli le storie di Sinbad il marinaio e quella di Ali Baba e i quaranta ladroni.
E ogni tanto gli racconto anche la storia di quell'uomo che, tanto avendo ammirato quella possente Magnolia, è divenuto uomo-radice.
Giusto nel caso che l'uomo-radice avesse perso memoria delle sue origini.
Se tu, passante, quando ti trovi a sfiorare quel gigantesco orecchio, gli sussurrerai delle storie, l'albero poi sarà benevolo con te e le sue radici di rispetteranno...
Potrai allontanartene tranquillamente, senza esserne avviluppato.
Ma la scelta è tua, in fondo.
Potresti desiderare, in fondo, di diventare anche tu Albero-radice.

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4 settembre 2018 2 04 /09 /settembre /2018 07:11
Devozione

E' capitato in un piccolo paesino delle Madonie (Locati, frazione del Comune di Bompietro), in Sicilia. Nel pieno del caldo pomeriggio estivo, le strade assolate come in un borgo messicano, un uomo anziano ha attraversato zoppicando la piazza dominata da un antica chiesa: e più che una camminata è stata una perigliosa traversata, a piccoli passi traballanti, un pellegrinaggio. Quindi, l'uomo si è fermato ai piedi della scalinata e, alzate le braccia al cielo, ha pregato immobile, tutto torto per via dell'essere sciancato, per oltre 5 minuti.
Poi, di nuovo zoppicando, piegato sul suo bastone, ha riattraversato la piazza e si è seduto su di una panchina sul lato in ombra, accanto ad un compaesano che già vi si era fermato a prendere il fresco.
Una preghiera suggestiva e commovente, espressione di una forte devozione, la cui espressione avviene fuori dal luogo di culto e da momenti codificati istituzionalmente, senza la mediazione - spesso presente - tra il divino-trascendente e il singolo uomo.
Alcuni gesti devozionali hanno una valenza universale. E possono essere identici, malgrado le differenze di storia, cultura, tradizioni e credo religioso. Tutte queste sono mere contingenze: la sostanza è identica e riconduce ad una pratica religiosa, selvaggia, insita nell'essere umano, e non necessariamente codificabile all'interno di specifiche professioni di fede religiosa e dell'appartenenza ad una congrega piuttosto che ad un'altra. E questo fatto accomuna e ci fa sentire parte di un tutto.
L'anziano uomo di Locati in preghiera ai piedi della scalinata della Chiesa madre mi ha particolarmente colpito, perchè, immediatamente, mi ha richiamato alla mente un'altra immagine, relativa ad un altro tempo e ad un altro luogo.
Si tratta di una foto che ho scattato in Nepal nel 1992, dove ho colto un anziano in atteggiamento devozionale davanti alla statua che raffigura il Dio Elefante, Ganesh in altri termini, che poichè fu incaricato dal dio Vishnu di creare il mondo danzando, è considerato il Dio degli inizi o anche del Buon Auspicio, quello che si prega in prossimità di un cambiamento o dell'inizio di un viaggio e - per estensione - davanti a scelte e a decisoni che potrebbero avere degli effetti imprevedibili.

Katmandu, Nepal, 1992 (foto di Maurizio Crispi)
Preghiera davanti all'effige del Dio Ganesh, Katmandu (Nepal), 1992 (foto di Maurizio Crispi)

 

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20 agosto 2018 1 20 /08 /agosto /2018 09:13
Francesco D'Agostino e Sandro Riotta (foto), La Meschita. Il quartiere Ebraico di Palermo, Kalçs (collana Le Tessere), 2018

E' di recente uscito in libreria (2018), per i tipi di Kalòs (collana Le Tessere), il volume La Meschita. Il quartiere ebraico di Palermo, scritto da Francesco D'Agostino, con le fotografie di Sandro Riotta. Il volume è nato dalla passione di Francesco D'Agostino, professore di matematica, ma instancabile raccoglitore di memorie e di notizie documentali sull'antico quartiere ebraico di Palermo, passione che ha prodotto articoli ed anche un volume (assieme a Loredana Fiorello) concepito per le scuole, con una disamina storica del percorso degli Ebrei dalla Diaspora alla Shoah.
Da questa sua passione, con il pieno sostegno dell'Istituto Siciliano Studi Ebraici cui Francesco D'Agostino è affiliato, mentre Sandro Riotta ne è collaboratore esterno e amico, sono nati anche degli specifici percorsi guidati all'interno della Meschita, di cui lo stesso professore è stato il promotore, non mancando - come è (o come dovrebbe essere) in tutte le imprese culturali -  di creare un piccolo "vivaio" di conoscitori a cui trasmettere una così preziosa legacy.
Gli studi di Francesco D'Agostino, la creazione di un itinerario per visitare i luoghi dello storico insediamento ebraico di Palermo, l'adozione da parte dell'Istituto scolastico presso il quale egli insegnava dell'intera area della Meschita, la trasmissione delle sue conoscenze ad alcune guide autorizzate, la predisposizione di una mappa che ha dato corpo e sostanza all'itinerario, sono stati passi fondamentali che hanno dato risonanza a questo corpo complesso di tracce della memoria, tanto che - secondo la testimonianza di alcuni - si è incrementato notevolmente il flusso di visitatori di cultura ebraica che arrivano a Palermo desiderosi di arricchire di un ulteriore tassello la loro storia.

Il volume, arricchito dalla prefazione di Evelyne Aouate, Presidente dell'Istituto Siciliano Studi Ebraici di Palermo, è suddiviso in tre diverse sezioni: una "Breve storia" (pp. 19-63) che traccia la storia della presenza ebraica a Palermo, dagli anni del loro primo insediamento di cui si abbia una documentazione storiica alla Diaspora siciliana, con alcuni brevi ulteriori capitali sugli Ebrei convertiti in Sicilia (i "cristiani neofiti"), sulla Presenza ebraica a Palermo dopo la proclamazione del Regno d'Italia, e su "La Rinascita dell'Ebraismo a Palermo", che si estende sino ai nostri giorni con l'evidenziazione di alcuni importanti eventi, culminati nell'assegnazione alla piccola comunità ebraica della città di uno specifico spazio per il culto, identificato con l'Oratorio del Sabato, tra l'altro significativamente incluso nell'area dell'antico quartiere. Questa sezione suddivisa in brevi incalzanti capitoli, è corredata da un ricco apparato di note.
Segue una sezione dedicata all'"Itinerario" (pp. 65-67), corredata di piantina, che presenta in tutti i dettagli l'itinerario per la visita della Meschita, con tutti i necessari approfondimenti su ciò che, nel corso della visita, può essere oggetto d'interesse.
Questa sezione è arricchita dalla foto realizzate da Sandro Riotta, che ritraggono immagini di insieme ma anche importanti dettagli sui quali l'attenzione del lettore (e del visitatore) deve essere necessariamente richiamata: e questo sforzo certosino di mettere assieme parole ed immagini crea un effetto narra
tivo intrigante che consente di usare il volume non solo come testo di approfondimento storico, ma anche come autentica guida e supporto per la visita (con dettagli informativi validi anche per i palati più esigenti).
Questa sezione è anch'essa corredata da un apparato di note.
All'itinerario all'interno del quartiere ebraico vero e proprio sono state aggiunte quattro location "fuori carta", in quanto ritenute importante e preziose testimonianze dell'ebraismo a Palermo, sino alla contemporaneità: quindi non solo Palazzo Steri, dove avevano sede le celle dell'Inquisizione, ma anche - spingendoci sino ai nostri giorni - il Giardino dei Giusti, ubicato in via Alloro 80 e inaugurato nel 2008.
Segue un breve capitolo "Visita a volo d'uccello della Meschita", curato da Sandro Riotta e chiude il volume, infine, una cospicua bibliografia che, assieme alle note, testimonia dell'importante sforzo documentario nella costruzione del testo.
Il volume che, in forma ancora più compiuta di precedenti pubblicazioni, già opera dell'infaticabile Francesco D'Agostino, rivela una delle basi fondamentali della vocazione multietnica di Palermo, è stato presentato con grande successo di pubblico (malgrado all'evento fosse stato un orario alquanto scomodo) il 10 giugno 2018, all'Orto Botanico di Palermo, in occasione della manifestazione cultural-libraria dedicata all'editoria indipendente, Una Marina di Libri, che - alla sua nona edizione - si è svolta tra il 7 e il 10 giugno.
Il volume è il secondo in uscita della Collana "Le Tessere", inaugurata di recente dalla casa editrice: una collana che vuole mettere assieme, appunto, come se fossero le tessere di un puzzle, pezzi importante dell'identità storica e culturale di Palermo, "capitale di storia e di cultura, dalle mille identità". Di questa giovane collana, il primo volume pubblicato è stato dedicato alla figura di Costanza di Altavilla.

In considerazione dell'interesse - anche all'estero - suscitato dall''identificazione dell'antico quartiere ebraico di Palermo e delle narrazioni che ne sono scaturite in molteplici vesti, il volume - e qui affermo ciò come umile estensore di questa recensione - sarebbe meritevole di una nuova edizione bilingue, per renderlo più facilmente frubile da parte di una più vasta platea.
Alla data della prima pubblicazione della presente recensione, il volume occupa già un lusignhiero 38° posto nella classifica dei libri di argomento storico più venduti in Italia nel corso del 2018.

 

Alla presentazione ufficiale del volume "La Meschita" (Una Marina di Libri", Palermo, 19 giugno 2018) - Foto di Maurizio Crispi

(Nota editoriale di presentazione) Non è dato sapere quando gli ebrei giunsero a Palermo, la prima notizia certa della loro presenza risale al 598 d.C. Intorno all’anno Mille, poco fuori le mura meridionali e sulle rive del non più visibile torrente Kemonia, gli ebrei palermitani edificarono il loro sobborgo, l’harat al-Yahud (quartiere dei giudei), e vi abitarono sino all’espulsione del 1492. La Giudecca, a cui si accedeva attraverso la Porta di Ferro (Bab al-hadid), era suddivisa in due contrade: la Meschita e la Guzzetta, un dedalo di vicoli, piazzette, orti e giardini. La realizzazione della via Maqueda prima e della via Roma poi ne causò lo sventramento, sconvolgendo l’assetto viario originario. La Guzzetta fu quasi completamente cancellata, della Meschita rimangono invece poche e rare tracce. Nel percorrere le strade così come si presentano oggi, con un po’ d’immaginazione il visitatore attento, seguendo l’itinerario qui proposto, può scoprire il fascino che questi luoghi conservano e tornare a respirare antiche atmosfere.

Note biografiche sugli Autori

Francesco D'Agostino (a sinistra) e Sandro Riotta

Francesco D’Agostino (Palermo, 1949), laureato in Matematica, si dedica all’insegnamento sino al 2009. Con altri docenti è coautore di due manuali scientifici per la scuola. È socio dell’Istituto Siciliano di Studi Ebraici.
Nel 1996, nell’ambito del progetto “Palermo apre le porte” ha coordinato un gruppo di studenti nell’adozione della Giudecca di Palermo.
Dal 2001 ha curato momenti d’incontro-testimonianza tra studenti palermitani e sopravvissuti dei campi di sterminio nazisti.
È autore con Loredana Fiorello del libro Gli ebrei dalla Diaspora alla Shoah (2014). Di recente, insieme a Sandro Riotta ha curato il pieghevole “La Giudecca, l’antico quartiere ebraico di Palermo” per conto dell’Assessorato alla Cultura Città di Palermo.


Sandro Riotta nasce (nel 1951) e vive a Palermo. Ex funzionario dell’AMG Energia, è in pensione dal 2011. È amante della storia siciliana e della fotografia.
Ha collaborato alla pubblicazione di saggi storici:
Nino Alfano e Cosimo Scordato (a cura di), La chiesa di San Francesco Saverio nell’Albergheria, Editrice Abadir, 2011 - n. 2 della collana «Siciliæ Mirabilia» della Facoltà Teologica di Sicilia, con una breve relazione corredata da foto sulla scoperta, fatta da lui stesso, di una “correzione storica” (eseguita poco dopo il 1711) dell’incisione della lapide celebrativa;
Francesco Lomanto (a cura di), Rosario La Duca - Una vita per la città - Relazioni, interviste e testimonianze, Salvatore Sciascia Editore, 2013 - n. 5 della collana «Cattedra per l'Arte cristiana di Sicilia - Rosario La Duca» della Facoltà Teologica di Sicilia, con una sua personale testimonianza;
Gandolfo Librizzi, No, io non giuro - Le lettere a Mussolini di Giuseppe Antonio Borgese, Navarra Editore, 2013 - n. 12 della collana «Officine», pubblicato su iniziativa della Fondazione G. A. Borgese di Polizzi Generosa, e Francesco D’Agostino e Loredana Fiorello, Gli Ebrei dalla Diaspora alla Shoah - Il Leviatano e la minoranza ebraica tra relazioni e pregiudizi, scambi e persecuzioni, Pietro Vittorietti Edizioni, 2014, con la sua attività di editing.
Collabora con l’Istituto Siciliano di Studi Ebraici di Palermo per le svolgimento di attività di studio e di ricerca dello stesso e partecipa all’organizzazione di eventi per la divulgazione della storia e della cultura ebraiche.

Le foto sono state realizzate da Maurizio Crispi in occasione della presentazione del volume a "Una Marina di Libri". Seguono due foto realizzate (Sandro Riotta?) in occasione di una delle visite guidate al quartiere La Meschita".
Le foto sono state realizzate da Maurizio Crispi in occasione della presentazione del volume a "Una Marina di Libri". Seguono due foto realizzate (Sandro Riotta?) in occasione di una delle visite guidate al quartiere La Meschita".
Le foto sono state realizzate da Maurizio Crispi in occasione della presentazione del volume a "Una Marina di Libri". Seguono due foto realizzate (Sandro Riotta?) in occasione di una delle visite guidate al quartiere La Meschita".
Le foto sono state realizzate da Maurizio Crispi in occasione della presentazione del volume a "Una Marina di Libri". Seguono due foto realizzate (Sandro Riotta?) in occasione di una delle visite guidate al quartiere La Meschita".
Le foto sono state realizzate da Maurizio Crispi in occasione della presentazione del volume a "Una Marina di Libri". Seguono due foto realizzate (Sandro Riotta?) in occasione di una delle visite guidate al quartiere La Meschita".
Le foto sono state realizzate da Maurizio Crispi in occasione della presentazione del volume a "Una Marina di Libri". Seguono due foto realizzate (Sandro Riotta?) in occasione di una delle visite guidate al quartiere La Meschita".
Le foto sono state realizzate da Maurizio Crispi in occasione della presentazione del volume a "Una Marina di Libri". Seguono due foto realizzate (Sandro Riotta?) in occasione di una delle visite guidate al quartiere La Meschita".
Le foto sono state realizzate da Maurizio Crispi in occasione della presentazione del volume a "Una Marina di Libri". Seguono due foto realizzate (Sandro Riotta?) in occasione di una delle visite guidate al quartiere La Meschita".
Le foto sono state realizzate da Maurizio Crispi in occasione della presentazione del volume a "Una Marina di Libri". Seguono due foto realizzate (Sandro Riotta?) in occasione di una delle visite guidate al quartiere La Meschita".
Le foto sono state realizzate da Maurizio Crispi in occasione della presentazione del volume a "Una Marina di Libri". Seguono due foto realizzate (Sandro Riotta?) in occasione di una delle visite guidate al quartiere La Meschita".

Le foto sono state realizzate da Maurizio Crispi in occasione della presentazione del volume a "Una Marina di Libri". Seguono due foto realizzate (Sandro Riotta?) in occasione di una delle visite guidate al quartiere La Meschita".

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4 agosto 2018 6 04 /08 /agosto /2018 08:30
Saluto al sole

Il sole sorge ancora
al di là dell'ampia fabbrica circolare, enorme
un'astronave piombata giù dal cielo
da tempo immemore
ora incatenata al suolo

La sfera infuocata del sole s'affaccia dall'orlo del suo perimetro più alto
dissipando velocemente lo scuro della notte

Gabbiani e rondini,
scuotendo via il freddo e l'umido,
prendono quota
volteggiano ed intrecciano voli,
ciascuno secondo le proprie geometrie

Le rondini soprattutto sembrano allinearsi
in direzione del fuoco dell'astro nascente,
come in un immane sforzo migratorio

Ma poi cambiano rotta all'improvviso
dissipandosi in mille voli rifratti

Il loro era solo un saluto al sole e alla vita

(Foto di Maurizio Crispi)

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5 luglio 2018 4 05 /07 /luglio /2018 09:35
Catacombe dei Cappuccini (foto di Maurizio Crispi)

Non avevo mai visitato le Catacombe dei Cappuccini di Palermo, sino a pochi giorni fa.
Per motivi diversi mi ero astenuto: forse, pensavo che sarebbe stata un'esperienza sgradevole, oppure ricordavo di quando la mamma mi raccontava che durante la sua prima visita negli anni Sessanta, improvvisamente si spense la luce e lei rimase al buio, assieme a quelle mummie (ebbe a nutrire il sospetto che fosse stato il frate custode a farle uno scherzo di dubbio gusto).
E' capitata l'occasione e sono andato.
Non parlerò del luogo di cui si sa tanto e di cui tanto è stato scritto, bensì delle mie sensazioni
Strane sensazioni.
La prima è che, considerando i racconti di coloro che, tra le mie conoscenze, le hanno visitate, i resoconti di viaggiatori illustri e le numerose foto disponibili sia nella carta stampata sia internet, non ho avuto sensazioni di spaesamento: bensì la sensazioni di esserci già stato, una sorta di dèjà vu, insomma.
La seconda è stata quella di potere osservare una rappresentazione della morte in modo distaccato: è come se la miriade di corpi mummificati appesi e disposti in file ordinate non riconducessero all'orrore oppure al terrore per la morte, ma fossero soltanto spoglie mortali, vuote, private di ogni implicazione spaventosa. Forse anche perchè siamo abituati alla rappresentazione della morte e del cadavere nei fumetti e nei film di animazione.
Le teste cadenti, le mandibole cascanti, gli abiti polverosi oppure le tele di sacco in cui in modo grottesco sono infilati alcuni dei corpi, le orbite vuote, i nasi mancanti, quei ciuffi di capelli sopravvissuti, fossero piuttosto che uno stimolo a riflettere sulla morte e sulla fine di tutte le vanità, una vacua rappresentazione del nulla che ci attende: una rappresentazione messa in scena in una sorta di iterazione ossessiva, quasi in un mantra dalle infinite variazioni, in una dimensione di horror vacui, tanto che quando capita di arrivare ad una galleria vuota, cioè con le nicchie prive di inquilini, si ha un'improvvisa sensazione di spaesamento.
Se non altro, quando si va al cimitero e ci sofferma davanti ad una lastra di pietra, posta nel terreno, oppure nella contemplazione di una lapide verticale o di una cappella funebre, con tutti i relativi orpelli, ci si ponesse di fronte ad un'assenza, all'assenza dei nostri cari più recenti o degli antenati che possono vivere solo se sono stati instaurati, e di conseguenza installati, nel nostro immaginario e nelle nostre emozioni con un diuturno (e talvolta faticoso) lavoro di elaborazione e rielaborazione (V. Despret, Non dimenticare i morti. I racconti di quelli che restano, Nuova Ipsa Editore, 2017, in particolare il cap. 1, Prendersi cura dei morti).
La terza cosa che più mi ha impressionato è stata quella di vedere nei volti delle mummie, ghigni e smorfie grottesche, come se alcuni dei morienti avessero avuto un trapasso doloroso e faticoso (e che non fossero stati ricomposti, come si fa oggi per rendere il defunto "presentabile" ai visitatori in cordoglio), mentre in altri casi mi è sembrato di cogliere in quegli sguardi vuoti curiosità e sorpresa, talaltra meraviglia.
Forse potrei aggiungere una quarta cosa che è quella del progressivo annichilimento delle salme, malgrado l'utilizzo di questo tipo di sepoltura, come se il tempo, grande scultore, finisse con il livellare tutto, riducendo comunque vesti, orpelli e carne, in ossa e, alla fine, in polvere.

I corpi esposti sembrano farsi via via più ristretti, più corti, più rinsecchiti, più fragili, in un continuo processo di ridimensionamento. E, a fronte di questo processo di progressivo annichilimento accentuato dalle teste reclini, dalle mandibole cascanti da quei sorrisi o smorfie o ghigni talvonta totalmente edentuli, quasi ad accentuare il ritorno di ogni creatura af uno stato larvale, crea un forte contrasto il fatto che qualche cosa delle vanità terrene sia stata mantenuta, essendo stati suddivisi gli spazi in cui sono collocati i corpi in categorie che, in qualche modo, fanno riferimento allo status che il defunto aveva avuto in vita, assieme - in taluni casi - agli abiti (ad esempio, di rigore per i cosidetti "professionisti", alloggiati in una specifica ala, è la giacca o la marsina).

Le Catacombe dei Cappuccini furono utilizzate sino a oltre il 1864: fanno fede di ciò alcune delle targhette applicate ai corpi che recano la data della morte (e a volte della nascita) del soggetto. Mi fa impressione pensare che mia madre che visitò questo sito negli anni Sessanta del secolo scorso, abbia potuto vedere queste salme in uno stato totalmente diverso, probabilmente, meno prossime, cioè al trasformarsi in larve e e polvere.

 

Le Catacombe dei Cappuccini (foto di Maurizio Crispi)
Le Catacombe dei Cappuccini (foto di Maurizio Crispi)
Le Catacombe dei Cappuccini (foto di Maurizio Crispi)
Le Catacombe dei Cappuccini (foto di Maurizio Crispi)
Le Catacombe dei Cappuccini (foto di Maurizio Crispi)
Le Catacombe dei Cappuccini (foto di Maurizio Crispi)

Le Catacombe dei Cappuccini (foto di Maurizio Crispi)

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29 maggio 2018 2 29 /05 /maggio /2018 20:15
Francesco D'Agostino (foto di Sandro Riotta), La Meschita. Il quartiere ebraico di palermo, Kalòs Edizioni (collana Le Tessere), 2018

E' di recente uscito in libreria (2018), per i tipi di Kalòs (collana Le Tessere), il volume La Meschita. Il quartiere ebraico di Palermo, scritto da Francesco D'Agostino, con le fotografie di Sandro Riotta. Il volume è nato dalla passione di Francesco D'Agostino, professore di matematica, ma instancabile raccoglitore di memorie e di notizie documentali sull'antico quartiere ebraico di Palermo, passione che ha prodotto articoli ed anche un volume (assieme a Loredana Fiorello) concepito per le scuole, con una disamina storica del percorso degli Ebrei dalla Diaspora alla Shoah.
Da questa sua passione, con il pieno sostegno dell'Istituto Siciliano Studi Ebraici cui Francesco D'Agostino è affiliato, mentre Sandro Riotta ne è collaboratore esterno e amico, sono nati anche degli specifici percorsi guidati all'interno della Meschita, di cui lo stesso professore è stato il promotore, non mancando - come è (o come dovrebbe essere) in tutte le imprese culturali -  di creare un piccolo "vivaio" di conoscitori a cui trasmettere una così preziosa legacy.
Il volume che, in forma ancora più compiuta di precedenti pubblicazioni, rivela una delle basi fondamentali della vocazione multietnica di Palermo, verrà presentato il 10 giugno 2018, alle ore 13.00 all'Orto Botanico di Palermo, in occasione della manifestazione cultural-libraria dedicata all'editoria indipendente, Una Marina di Libri, che giunge alla sua nona edizione e che verrà inaugurata giovedì 7 giugno.

Oltre a Francesco D'Agostino e a Sandro Riotta, interverranno alla presentazione del volume Evelyne Aouate, Presidente dell'Istituto Siciliano di Studi Ebraici, e Alessandro Hoffmann, Direttore di Radio Spazio Noi, già docente Università degli Studi di Palermo.

 

Francesco D'Agostino (foto di Sandro Riotta), La Meschita. Il quartiere ebraico di palermo, Kalòs Edizioni (collana Le Tessere), 2018

(Nota editoriale di presentazione) Non è dato sapere quando gli ebrei giunsero a Palermo, la prima notizia certa della loro presenza risale al 598 d.C. Intorno all’anno Mille, poco fuori le mura meridionali e sulle rive del non più visibile torrente Kemonia, gli ebrei palermitani edificarono il loro sobborgo, l’harat al-Yahud (quartiere dei giudei), e vi abitarono sino all’espulsione del 1492. La Giudecca, a cui si accedeva attraverso la Porta di Ferro (Bab al-hadid), era suddivisa in due contrade: la Meschita e la Guzzetta, un dedalo di vicoli, piazzette, orti e giardini. La realizzazione della via Maqueda prima e della via Roma poi ne causò lo sventramento, sconvolgendo l’assetto viario originario. La Guzzetta fu quasi completamente cancellata, della Meschita rimangono invece poche e rare tracce. Nel percorrere le strade così come si presentano oggi, con un po’ d’immaginazione il visitatore attento, seguendo l’itinerario qui proposto, può scoprire il fascino che questi luoghi conservano e tornare a respirare antiche atmosfere.

 

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19 maggio 2018 6 19 /05 /maggio /2018 20:20
Chuck Hogan, The Town. Il Principe dei ladri, Piemme

Sono arrivato alla lettura di The Town. Il principe dei ladri, opera prima di Chuck Hogan (Piemme 2006-2010, nella traduzione di Luisa Corbetta) solo di recente. Il volume, comprato subito dopo aver visto il film di Ben Affleck nel 2010, è rimasto a giacere sugli scaffali di casa. Molto di recente mi è capitato di rivedere quel film in TV, malamente a causa delle continue pause pubblicitarie e in maniera incompleta. Forse proprio per questo motivo sono andato a ripescare il libro e ne ho intrapreso la lettura, trovandolo più complesso della storia cinematografica e forse anche più lento, ma la la lentezza dello story telling scritto è incompatibile con i tempi cinematografici che devono esssere più incalzanti e maggiormente incentrati sull'azione.
Il titolo originale è "Prince of Thieves", ma nell'edizione italiana, per motivi puramente commerciali è stato inserito il titolo del film, in prima battura.

La storia è ambientata a Charlestown, un sobborgo di Boston al di là del fiume, cresciuto attorno al momnumeto commemarativo sulla sommità di Bunker Hill, luogo di una celebre battaglia tra le truppe britanniche e gli insorti della nuova nazione (che in questa circostanza furono sconfitti rovinosamente). Gli abitanti di Charlestown hanno tuttora un forte senso di appartenenza e non si considerano Bostoniani, ma cittadini di "The Town": si tratta di persone che discendono da famiglie che qui abitato da generazione e che non vorrebbero mai andare via da questo luogo in cui sono le loro radici.

Ma le prospettive di lavoro a The Town sono esigue: le principali attività che sono in declino ed è per questo che Charlestown è celebre per il fatto di avere il primato come città in cui vi è il più elevato tasso annuale di rapine a banche, uffici postali e a portavalori.

Di ciò ci avverte l'Autore, mediante due citazioni da articoli giornalistici riportate in epigrafe.

Il romanzo per questo motivo non è semplicemente un poliziesco o action, ma possiede indubbiamente una valenza socialogica, proprio perchè fornisce al lettore uno spaccato di questa società, fortemente radicata, senza sbocchi lavorativi e, per questo motivo, disponibile ad intraprendere delle attività criminali. Ma è nello stesso tempo un'occasione per spingere il lettore al viaggio pur rimanendo tra le quattro mura della sua stanza: un viaggio che, in questo caso, è a Charlestown, sobborgo di Boston: e, tra l'altro, ci sono stato, quando andai a Boston a correre la Maratona. Alloggiavo in un grande hotel proprio a The Town, a due passi da Bunker Hill.

Il monumento celebrativo di Bunker Hill a Charlestown (Boston)

Nel romanzo, Doug McRay è appunto uno dei rappresentanti di ultima generazione della popolazione autoctona di Charlestown: assieme a tre suoi amici di sempre mette a punto delle rapine in cui tutto, grazie ad un accurato studio preliminare, funziona egregiamente, come una macchina ben oliata e quasi senza imprevisti, e in questo, Doug è un capo insdiscusso: il più bravo. Ma nella sua mente si è insinuato un bisogno di cambiamento e di evasione da una vita condotta pericolosamente in modo da dover sfiorare sempre il tracollo e il disastro, con una continua oscillazione tra l'adrenalina dei colpi messi a punto e la grigia quotidianità, dal momento che la prudenza impone di non vivere alla grande, malgrado il denaro facile a disposizione. E' già stato in prigione, ha dei trascorsi di alcolismo e ne è uscito, grazie alla sua frequentazione di AA: adesso probabilmente cerca qualcosa di diverso, ma ancora lui stesso non sa bene cosa stia cercando. Forse, una forma di riscatto.
Insomma, mentre dentro di lui si aprono queste prospettive, si manifestano nella banda delle incrinature, in foma di conflitti e di infrazioni al rispetto di uno schema di comportamento attento e senza concessioni a margini di errore. Le crepe si allargano e si manifestano dei conflitti tra i quattro, perchè trapela la voglia di Doug - capo carismatico - di andare lontano, spezzando le catene di quei vincoli di solidarietà in cui non si riconosce più.
A fare da catalizzatore è Claire Keesey, direttrice dell'ultima filiale di banca rapinata. Doug si innamora di lei (almeno crede) con la tenacia dell'Alcolista che rimane impigliato in una ricaduta e tutto comincia a tremare con l'instabilità di un castello di carte.

(Dal risguardo di copertina) Claire Keesey, direttrice di filiale di un istituto di credito di Boston, viene presa in ostaggio durante una rapina. I banditi sono quattro: Doug, Jem, Gloansy e Dez. "Fanno banda" sin dai tempi della scuola, e oggi sono rapinatori affiatati, precisi, spregiudicati e inafferrabili. Sono cresciuti insieme a Charlestown, un quartiere di Boston dove "guadagnarsi il pane" equivale a svaligiare una banca. Ma Doug, il cervello della banda, non aveva messo in conto che, insieme con una montagna di quattrini, dal colpo in banca si sarebbe portato a casa anche un cuore ferito. Gli sono bastati pochi attimi per innamorarsi di Claire. Continua a pensarla, dopo la rapina: sa dove abita, la segue, fa in modo di incontrarla, di sedurla.

Chuck Hogan al San Diego Comic-Con nel 2014

L'Autore. Chuck Hogan è uno sceneggiatore e scrittore statunitense. Autore di numerosi e acclamati romanzi, tra cui Lo stallo e Il principe dei ladri, che ha vinto il Premio Hammett nel 2005 ed è definito uno dei dieci migliori romanzi dell'anno da Stephen King. Il principe dei ladri è stato adattato per il cinema da Ben Affleck, che nel 2010 ha diretto ed interpretato il film The Town.
Più di recente Hogan è stato coautore di una trilogia di romanzi horror scritta a quattro mani con Guillermo del Toro, composta da La progenie (2010), La caduta e Notte eterna (2011).
A partire dal 2014 ha collaborato nuovamente con del Toro per adattare la trilogia nella serie televisiva The Strain, trasmessa da FX.

 

 

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DSC04695.jpegQuesta pagina è la nuova casa di due blog che alimentavo separatamente. E che erano rispettivamente: Frammenti. Appunti e pensieri sparsi da un diario di bordo e Pensieri sparsi. Riflessioni su temi vari, racconti e piccoli testi senza pretese.

Era diventato davvero troppo dispendioso in termini di tempi richiesti alimentarli entrambi, anche perchè nati per caso, mentre armeggiavo - ancora alle prime armi - per creare un blog, me li ero ritrovati ambedue, benchè la mia idea originaria fosse stata quella di averne uno solo. Infatti, non a caso, le loro intestazioni erano abbastanza simili: creatone uno - non ricordo quale dei due per primo - lo ho "perso" (per quanto strano ciò possa sembrare) e mi diedi alacremente da fare per ricrearne uno nuovo. Qualche tempo - nel frattempo ero divenuto più bravino - il blog perso me lo ritrovai).

Ohibò! - dissi a me stesso - E ora cosa ne faccio?

La risposta più logica sarebbe stata: Disattiviamolo!. E invece...

Mi dissi: li tengo tutti e due. E così feci. E' stato bello finchè è durato...

Ma giocare su due tavoli - e sempre con la stessa effcienza - è molto complicato, ancora di più quando i tavoli diventano tre e poi quattro e via discorrendo....

Con overblog ho trovato una "casa" che mi sembra sicuramente più soddisfacente e così, dopo molte esitazioni, mi sono deciso a fare il grande passo del trasloco, non senza un certo dispiacere, perchè il cambiamento induce sempre un po' di malinconia e qualche nostalgia.

E quindi ora eccomi qua.

E quello che ho fatto - ciò mi consola molto - rimane là e chiunque se ha la curiosità può andare a dargli un'occhiata.

 

Seguendo il link potete leggere il mio curriculum.

 

 


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