C'è uno che ha eletto a suo dimora
un'aiuola di una piazza di Palermo
l'aiuola è recintata da una siepe ben tenuta
che crea uno spazio privato, domestico
In questo spazio, l'uomo allampanato e con i capelli grigi
ha disseminato i suoi beni
Al mattino presto diversi fogli di cartone se ne stanno poggiati
sulla siepi a prendere aria e ad asciugarsi dall'umido della notte
Poi si vedono vari effetti letterecci, indumenti, asciugamani,sempre posati sulla siepe a prendere aria
Un ombrellone aperto (anche se al mattino non serve per dare ombra, poichè c'è quella naturale), ma forse la sua funzione è quella di paletto perimetrale
Un piccolo tavolo da bar e un paio di sedie e poltroncine di plastica,
sempre da bar, spaiate
Sul tavolo rotondo, un calice di vino vuoto e
una bottiglia di liquore, anch'essa vuota, stranamente inclinata
Sembra che la sera prima che qualcuno sia stato lì ad indugiare al fresco, a bere una bibita fresca,
oppure a farsi un cicchetto
Sparse qua e là ci sono altre cose che è difficile distinguere e catalogare, così di primo acchitto,
senza un'esame più analitico e ravvicinato
Sono stato colpito da questo allestimento,
degno di un uccello giardiniere
e mi sono fermato a rimirarlo
Ho anche tentato di scattare un paio di foto
colpito dalla singolarità di ciò che vedevo:
l'accampamento di un homeless organizzato
che ha costituito a tutti gli effetti un suo spazio privato
all'interno dell'aiuola pubblica
Del resto, in quel momento non c'era nessuno:
chi sa dove era andato il proprietario di quella dimora precaria?
- mi son chiesto
Eppure l'uomo era là a poca distanza,
forse era uscito di casa (per così dire)
per far due passi e sgranchirsi le gambe
Si è accorto del mio tentativo maldestro di fare una foto,
non a lui, sia chiaro,
ma alle sue cose sparse
e da lontano mi ha interpellato adirato
Io mi sono allontanato
facendo finta di nulla e lui ha preso a seguirmi da lontano
e non smetteva
Intanto, brontolava tra sé e sé
Ma io ho preso le distanze
Pochi giorni dopo son passato di nuovo da quel giardino,
e il suo campo domestico era era sempre là,
perfettamente organizzato
E lui? Dov'era lui?
Ma sì, eccolo!
Era in piedi vicino al bacino d'acqua della grande fontana monumentale
al centro del giardino grandangolare
Ed era lì con la zappetta (il rasoio) in una mano ed uno specchietto nell'altra
Il volto incipriato di candida schiuma da barba
e con attenzione si ripassava il rasoio sulle guance irsute,
ogni tanto immergendo la zappetta nell'acqua
per risciacquarla per benino
La sua attenzione era totalmente assorbita dall'operazione
Ciao! Buongiorno a te - ho detto con parole mute
E sono passato oltre con i miei cani
Come ho scoperto in seguito, in occasione di ulteriori passaggi da questo piccolo giardino con una monumentale fontana al centro sono diversi quelli che usano le poche panchine verdi come giaciglio per la notte.
Ma lui, l'homeless "organizzato" in questo luogo è un piccolo re: si è ricavato per le sue esigenze un intero piccolo appezzamento, di cui è signore e padrone assoluto.
La Sicilia dell'interno, specie se si abbandona l'autostrada, possiede tuttora un aspetto primordiale.
Si possono vedere campi dove ancora si succedono i lavori secondo un preciso calendario, i campi di fieno tagliato eleballe fgià pronte per la conservazione nei fienili, e quelli di stoppie, quelli che già vengono dissodati, in preparazione della semina per il frumento del prossimo anno,e gli uliveti e le vigne. Ed altri alberi da frutta, in piccoli appezzamenti ben temuti.
E poi qua e là pecore che nella calura del meriggio, dopo aver pascolato fanno la ruota per proteggersi dal caldo (un comportamento di gregge protettivo, che tanto ci potrebbe insegnare) e ci sono mucche che ruminano placide.
Su tutto domina il silenzio, scarsissima la presenza umana, anche il passaggio di auto è limitatissimo: sembra di stare in un pianeta diverso.
E ci sono le cittadine arroccate nei punti più elevati, spesso dello stesso colore della roccia o della terra: hanno un aspetto antico, come mille anni fa, o come le città e i paesi dell'entroterra siculo descritti da Vittorini.
Dovunque, al limitare della provincia di Palermo e quella di Agrigento, si intravede la massa imponente di Rocca Palumba, con i suoi maestosi 1900 metri di altitudine e la sua apparenza sfaccettata, cosicché assume un aspetto diverso a seconda del lato da cui la si guardi.
Cammini e, all'improvviso, intravedi questo gigante maestoso che appare nitido sullo sfondo del cielo azzurro, oppure che si erge come fantasma nella caligine del giorno estivo che volge al tramonto.
E ti chiedi, se non sai: "Cosa sarà mai questa montagna imponente?"
E' perturbante. poichè a volte in questo suo apparire improvviso ha la stessa sostanza del sogno. E qualcuno potrà risponderti: "E' Rocca Busambra!".
Se invece sai già, riconosci che è una presenza amica che ti appare però ogni volta metamorfica, ma sempre con le sembianze di un gigante.
Sì, ogni tanto si incontra un rudere, ma potrebbe essere di ora come anche di cento o di duecento anni fa. Non è indicativo dell'abbandono o della malora imminente. Epperò, come segno dell'abbandono da parte dell'uomo (in questo caso da parte dello Stato) si possono incontrare caselli ferroviari ormai caduti in disuso da tempo e in rovina, oppure case cantoniere altrettanto in rovina. Per questo motivo, si rimane quasi sorpresi quando ci si imbatte in un passaggio a livello chiuso e, dopo un'attesa di qualche minuto, si vedi passare un treno sferragliante, composto però di due soli vagoni, che sembra venire dal nulla ed andare verso il nulla.
In questi luoghi il tempo non è andato avanti, piuttosto sembra essere rimasto fermo, fissato ad un ritmo antico che l'era digitale non è riuscito a scalfire, per nulla.
Una bella differenza con le campagne della linea costiera del Palermitano che languono il più volte in uno stato di abbandono, poco curate dai proprietari, perché ormai i costi della mano d'opera sono proibitivi e gli agrumeti non sono più redditizi, quando molti fecero la follia di convertire gli uliveti, cancellando piante secolari.
Le foglie del carrubo cadono a terra
senza volteggiare
sono pesanti e rigide e sembrano dischetti di cartone sottile
un po' accartocciato
Addirittura, quando toccano il suolo,
si sente un piccolo suono secco
Anche gli aghi di pino cadono
perchè è il periodo del ricambio e della muta
basta un alito di vento e quelli vecchi vengono giù
che è un piacere,
anche loro duri ed ispidi
e altamente infiammabili
ottimi per innescare un fuoco
Ed anche le foglie morte del corbezzolo o dell'ulivo
possiedono una loro intrinseca durezza
Per loro è tempo di ricambio
Ed io, giorno dopo giorno,
con pazienza, ma anche con piacere,
mi impegno a togliere via questa coltre di foglie secche
che crocchia sotto i piedi
Ci sono delle farfallette gialle che svolazzano qua e là
poggiandosi sui i primi fiori di gelsomino e sulle inflorescenze della lavanda
Sono indaffarate nell'unico giorno della loro vita da farfalla
E i colombacci selvatici si levano in volo a stormo
uscendo dalle chiome dense degli alberi
dove si annidano per riposare
ed intanto la poiana osserva dall'alto
inanellando giri
e, di tanto in tanto, fischiando il suo richiamo
2. Scene di città
Le vie della città sono fumose di gas di scarico
sin dalle prime ore del mattino
Le case e le strade hanno un aspetto polveroso,
vecchio,
facciate fatiscenti,
sulle quali spiccano
pompe di calore immacolate
che vomitano torrenti di aria calda
parabole e antenne tirate a lustro
I marciapiedi sono rotti e cosparsi di buche, talvolta voragini
e infestati da una selva di pali piantumati
per i segnali stradali
e di altri supporti per le affissioni pubblicitarie
messi alla rinfusa in assenza d'un piano
ma solo per progressive e caotiche giustapposizioni
Tutto è avvolto in una caligine densa
che impedisce la visuale nella lontananza
Monte Pellegrino è una massa indistinta e sfumata
E così anche le montagne che attorniano
la Conca d'Oro non più d'oro,
oggi non più densa del verde di agrumi
e dell'arancione vivo dei loro frutti
ma solo ricoperta di cemento e di asfalto
Il caldo è forte e soffocante
La morsa dello scirocco non accenna a sciogliersi
Anche qui, nella città inospitale, foglie secche in quantità,
e tra di esse occhieggia un calzino abbandonato
Nessuno rimuove foglie e calzini
e tutte le altre schifezze
Da tempo non vedo più in azione spazzini operosi
quelli che giravano capillarmente per le vie del quartiere
con i loro strumenti da netturbini
e il doppio secchio a ruote
- un tempo erano chiamati spazzini,
oggi sono operatori ecologici
e guai a chiamarli spazzini perchè si offendono
e se li chiamerai spazzini
anche loro invocheranno il DDL Zan
per accusarti di discriminazione -
sacchi debordanti di monnezza
accatastati lungo le strade
odori immondi e miasmi fetidi,
proicessi di decomposizione/fermentazione
all'opera,
le auto inquinano e strombazzano
Marciapiedi impraticabili
un vero percorso ad ostacoli
per disabili e per mamme con bimbo in passeggino
Non parliamo poi degli anziani incerti sulle gambe Honk honk honk
Tutti a premere il clacson
come ossessi
in un'infernale cacofonia
Una moto smarmittata passa in accelerazione
lasciando dietro di sé un rombo di tuono
Passano auto che sono diventate casse di risonanza
per potenti sound system mobili,
facendo vibrare i vetri delle altre auto
e le sventurate membrane dei timpani,
con impossibili note in stile neo-melodico
Cacofonia di suoni
ma anche melange di odori non buoni
Un'atmosfera malata e malsana
Un senso di scoramento e di sconforto
Eppure tutti sono contenti e giulivi
perchè si sono lasciati la pandemia alle spalle
Sto facendo una passeggiata lungo la stretta strada che porta sino al faro di Capo Zafferano.
E' il ritorno ad uno dei miei posti del cuore, dopo tanto, tanto, tempo.
Ho al guinzaglio il grosso cane nero che mi ha regalato - per così dire - il Coronavirus e il Tempo di Covid: un nuovo arrivato affamato e solo, quando lo trovai, il quale si èaffiancato alla cagnetta Flash,anch'essa trovatella, ma sin da quando era cucciola di poche settimane.
Questo cagnone è enorme, tutto nero (ed è per questo che l'ho battezzato - forse con poca fantasia, ma con efficacia - Black) e, a chi lo vede per la prima volta, può indubbiamente, incutere qualche timore, anche perchè - senza essere consapevole della sua stazza - si muove con irruenza. Quanto a dimensioni, è indubbiamente ilpiù grande tra i cani che io abbia mai avuto.
E, poi, è possente.
Sono già arrivato al Faro e, dopo aver indugiato a guardare i gabbiani in volo trascinati dal vento, sto già tornando indietro.
Ha anche cominciato a piovere.
Cadono grosse gocce rade, ma ancora il diluvio non si scatena.
Avanzano verso di me, intente ad imbacuccarsi, due escursioniste, probabilmente straniere.
Quando siamo vicini, ad una decina di metri l'uno dall'altro, forse, noto che le due hanno una qualche incertezza nel loro incedere e che rompono il passo, prima regolare, per quanto rilassato.
Io ho la "celata" calata dal volto, ed anche loro (celata, alias mascherina: perchè viene da pensare ai guerrieri antichi che quando si preparavano alla battaglia, cioè allo scontro ravvicinato si calavano la celata sul volto).
Mi fanno dei cenni, quasi a chiedermi se possono passare.
Io mi discosto il più possibile (per quanto la via sia piuttosto stretta): ho inteso, infatti, che sono intimorite dal fatto che io non abbia il volto coperto.
Ma loro continuano a farmi cenni: poi, infine, comprendo.
In realtà, mi stanno chiedendo se possono passare impunemente, visto che ho con me quel grosso cagnone nero e che,pur al guoinzaglio, avanza impetuosamente.
Colto il messaggio, dico loro: "Tranquille, tranquille! E' buonissimo! Non avete da temere alcun male!".
Poi aggiungo: "E' che avevo capito che aveste paura di transitarmi vicino, visto che sia voi che io abbiamo il volto scoperte. Pensavo che aveste paura del Covid. Invece, si tratta solo solo di una banale paura davanti ad un cane sconosciuto!"
Sgombratoil campo dal fraintendimento, proprio mentre ci incrociamo, scoppiamo in una grassa risata condivisa. E per fortuna che, una volta tanto, il Coronavirus porta a fare grasse risate!
E poi ognuno per la sua strada.
Tempo di Covid, tempo di malintesi: e si perdono di vista le banali paure quotidiane che punteggiano la nostra vita.
Larga è la foglia, stretta la via. Dite la vostra che ho detto la mia...
La Parata di Carnevale del Quartiere Noce a Palermo si è svolta il 20 febbraio 2020, alla sua quarta edizione.
L'iniziativa, varata quest'anno con il titolo : “Diritti in maschera, Carnevale alla Noce”, a stata dall’Associazione "A Strummula".
Sono state coinvolte le scuole E. De Amicis, A. Ugo, D. Almeyda, Manzoni - Impastato oltre all'Istituto Valdese.
Ciascuna scuola ha scelto un tema rappresentativo nell'ambito del vasto ventaglio di opzioni sui "Diritti in maschera" attraverso il quale raccontare i diritti nelle loro più diverse declinazione dall'ambito sociale, all'inclusività, alla lettura e all'ambiente e alla sua salvaguardia.
Tutte le scuole hanno lavorato a questo fine, con i propri studenti in modo laboratoristico, in modo tale che la rappresentazione delle tematiche scaturisse proprio dalla creatività - pur guidata - degli alunni.
L'Istituto Valdese (che conosco meglio perchè lo frequenta mio figlio Gabriel) ha scelto l’ambiente, con riferimento al diritto di poter vivere pienamente la bellezza della natura, che va preservata e valorizzata. Per tale motivo il percorso laboratoristico, che ha permesso di preparare la sfilata ha preso il titolo di "Carnevale in fiore".
I bambini e le bambine, dopo essersi raccolti in Piazza Noce hanno sfilato attraverso il quartiere Noce accompagnati dalle loro insegnanti.
Le strade sono state chiuse al traffico con blocchi mobili grazie all'intervento e alla costante supervisione della Polizia Municipale.
E' stata una bella manifestazione ricca di suoni e di colori, di divertimento ed allegria, in un quartiere che possiede di suo un'elevata densità multietnica e che, quindi, è per sua natura vario e colorato, con i gruppi di ciascuna scuola contraddistinti dai propri allestimenti tematici, ma tutti all'insegna del rispetto dei diritti civili, dell'inclusività sociale, della connessione in reti sociali allargate e del rispetto dell'ambiente.
Donne in sari, donne con il velo, bambini con la pelle di colori diverso: tutto ciò era rappresentato nella realtà vivente dei piccoli attori e dei genitori presenti: e dunque il tema dei "diritti" espresso attraverso le maschere è risultato particolarmente pertinente.
Altrettanto grande è stata la partecipazione del quartiere,: con tanti affacciati alle finestre e ai balconi ad applaudire e in taluni casi per poter vedere i propri piccoli congiunti sfilare.
Non è tutto rose e fiori naturalmente: alla gioia del momento facevano da sfondo la presenza di cumuli di rifiuti non raccolti (e teniamo conto che il quartiere della Noce è uno dei quartieri di Palermo dove non si fa ancora la raccolta differenziata): qui il Comune (e per esso il Comitato di quartiere) avrebbe potuto provvedere con una pulizia straordinaria, proprio per mettere all rione l'abito della festa, come sarebbe stato giusto - e bello - fare.
L'altro neo è stato quello del traffico che, benchè arginato dalla presenza della Polizia Municipale - e opportunamente deviato con blocchi mobili - si è fatto sentire con le sue sterili proteste e lamentele che, nei nostri climi (ma Milano non è diversa sotto questo profilo) sono inevitabili non appena è leso il diritto del cittadino di spostarsi a bordo della sua auto, come e quando vuole.
In navigazione
Verso dove?
E' una crociera costiera a Napoli e dintorni
ed è tutto diverso, però
La montagna si erge minacciosa,
scavata in profondi anfratti
aggettanti sul mare
le case dovunque, arrampicate sulla roccia
come un gregge di stambecchi,
ognuna in bilico su di una base minuscola
Lo stato delle strade pessimo
Un reticolo di viuzze tortuose e in salita
Penso: cosa accadrebbe se il vulcano incombente
si risvegliasse all'improvviso?
E se la terra si spaccase e dalle fratture
cominciassero a sgorgare lava, lapilli e ceneri ardenti?
Come fare ad evacuare la popolazione?
Come fare a far giungere i primi soccorsi
Eppure, tutto è di una bellezza selvaggia, quasi irreale
Posso osservare i minimi dettagli della città caotica
che si stagliano con prepotenza sullo scenario naturale, due mondi contigui, eppure profondamente scissi
Poi, mi ritrovo a camminare su di una strada di notte
Una luna mezza mangiata domina il cielo
Non riconosco la strada,
eppure so di averla percorsa miliardi di volte
Tutto mi è nuovo
il paesaggio scorre lento e ipnotico
L’asfalto si srotola sotto le ruote
il vento romba nelle mie orecchie
e le raffiche a tratti scuotono la mia macchina
che sembra trasformarsi in un fuscello
La mia traiettoria oscilla pericolosamente
La mia mente è addormentata
ma una parte di essa lavora in pilota automatico,
per quanto precario ed incerto
Dove sono?
Dove sto andando?
Vorrei mettermi a dormire,
risucchiato in un sonno profondo e ristoratore
E la luna smangiata continua a navigare nel cielo
impassibile
1
Sonno profondo
Risalgo in superficie
come da un’immersione oltre i 40 metri
... ma come è profondo il mare
oblio
oblio
oblio
oblivion Cra Cra Cra
Il vento soffia e gli infissi tremano Cra Cra Cra
Tonfi e tuoni
Pioggia a raffiche
I corvi volteggiano nel cielo grigio
e poi atterrano sulle alte antenne svettanti
contendendosi il posto di osservazione più elevato
Il cielo, malgrado l’albeggiare,
si fa più scuro
alberi dalla chioma verde-nera
lussureggiante
tremano nelle raffiche
Sono lucido
eppure come in attesa di un risveglio
che tarda ad arrivare
Sono uno che aspetta Godot
Come è profondo il mare...
2
Foto di Maurizio Crispi
Un rombo lontano come di tuono
rumori di pioggia battente
il vento ulula
e dita gelide penetrano dalle fessure degli infissi
Casa silente, addormentata
Via Neera
Via Momigliano,
dove io stesso ho vissuto una vita addietro,
proprio a due passi da qui
Un periodo lontano
Torvo
Torno
Torto
Poi, torno
Allora, con tutta la vita davanti,
pensavo di fare molte cose
Ma le ho poi fatte?
Sono riuscito in un mio progetto?
Ne avevo uno?
O sono soltanto stato guidato dalle circostanze?
i sono periodi
di cui ricordo poco o niente del tutto
Opacità totale
Come se avessi attraversato il tempo della vita
a tratti immerso in una distesa di fitta nebbia
E poi: chi mi racconterà?
Essere raccontati:
è la costante preoccupazione di alcuni
Io, tra questi
L’alternativa tra essere ricordati o dimenticati,
cancellati
Ed ecco ancora i corvi che gracchiano Cra Cra Cra
I libri onnipresenti
Li mangerò, forse: prima o poi
Un caffè che sa di bruciato
Fogli sparsi
Una penna per stilare osservazioni e pensieri
Di primo mattino, mentre tutti dormono
In attesa, come sempre
Ma ciò che attendo e che nemmeno io so
non arriverà
La porta sta per chiudersi
Non una promessa, ma una certezza Cra cra cra
Questo articolo è stato pubblicato il 5 giugno 2009 nel mio blog "Frammenti. Appunti e pensieri sparsi da un diario di bordo" e lo ripropongo integralmente, apportando al testo solo qualche piccola modifica. Come incipit propongo il post del mio grande amico, il compianto Enzo Cordovana, "Panchine da viaggio" (del 3 giugno 2009), le cui considerazioni mi hanno ispirato nella scrittura del mio post, pubblicato il 5 giugno successivo.
Spesso con Enzo succedeva così: in una dimensione molto ludica ci rimpallavamo a vicenda dei contenuti ceativi in uno scambio fecondo di spunti e di riflessioni.
Diversi anni fa, passando per una strada di grande transito, vedevo sovente, “appanchinato” sempre nel medesimo segmento di gard rail un uomo di mezza età, vestito con un giubbotto e recante con sé alcune valigie. Stava fermo, solitario a guardare la strada ed il traffico dei veicoli che scorrevano dinanzi a lui. Con alcuni amici, miei compagni di percorso si rideva di lui considerandolo portatore di una strana follia ma, a ben pensare, io ho sempre considerato quell'uomo semplicemente un viaggiatore, si, il rappresentante di una tipologia nuova di viaggiatore. Con quel giubbotto e quelle valigie quell'uomo era per me una sorta di “viaggiatore stazionario”.
Diversi anni fa, passando per una strada di grande transito, vedevo sovente, “appanchinato” sempre nel medesimo segmento di gard rail un uomo di mezza età, vestito con un giubbotto e recante con sé alcune valigie. Stava fermo, solitario a guardare la strada ed il traffico dei veicoli che scorrevano dinanzi a lui. Con alcuni amici, miei compagni di percorso si rideva di lui considerandolo portatore di una strana follia ma, a ben pensare, io ho sempre considerato quell'uomo semplicemente un viaggiatore, si, il rappresentante di una tipologia nuova di viaggiatore. Con quel giubbotto e quelle valigie quell'uomo era per me una sorta di “viaggiatore stazionario”.
Mi spiego.
Mentre il viaggiatore cammina per il mondo, quell'avventuriero visionario vedeva il mondo scorrergli davanti. E così ogni giorno, per molti giorni. Poi, all'improvviso non lo vidi più. Chissà dove sarà adesso. Forse si è stancato di viaggiare ed è tornato a casa, forse è invecchiato e non ha più le forze per continuare il suo viaggio, forse sta seduto da solo in un'altra panchina e vive ricordando,
quando,
ancor giovane,
viaggiando
da quel posizionamento
conobbe il mondo,
perpetuo,
in scorrimento
Mi ha molto colpito il post di recente comparso nel blog di Enzo Cordovana, dal titolo accativante "Panchine da viaggio" (nel suo blog Varietà), oltre che nel gruppo di discussione FB "QUELLI, KE LE PANCHINE...".
La definizione cordovanesca di "panchine da viaggio" mi è piaciuta davvero molto perchè nel nome c'è insita la garanzia di poter viaggiare con la mente, sicuramente e di potere osservare il mondo dislocarsi attorno a te, realizzando quindi una delle caratteristiche principali del viaggiare con l'effetto di spaesamento e quant'altro.
E' un modo per capovolgere l'idea stessa del viaggio: non sei più tu che vai verso il mondo, ma è il mondo che scorre davanti ai tuoi occhi, come in un film.
Il microcosmo, che comprende ciò che puoi abbracciare con lo sguardo o toccare con mano, costituisce una rappresentazione attendibile, se non addirittura isomorfica, dell'intero macrocosmo.
Questo assunto ha degli antecedenti letterari significativi, tra i quali mi vengono in mente due piccole opere del francese Xavier de Maistre. Xavier De Maistre (1763-1852), fratello del più famoso Joseph, è l'autore di un piccolo libro, il "Viaggio intorno alla mia camera", composto nel 1790 in occasione di una sua forzata immobilità conseguenza degli arresti domiciliari cui l'avevano condannato le autorità militari savoiarde. Il libro, con un andamento discorsivo e raffinato al tempo stesso, è costituito da 42 capitoletti tanti quanti sono stati i suoi giorni di prigionia. De Maistre, nelle sue pagine, ci racconta di tante sue piccole scoperte che sono, in realtà, alla portata di ogni attento osservatore, ma il suo "tocco" ed il principio ispiratore (spiritualista) della sua narrazione lo hanno fatto apprezzare, nel tempo, anche da illustri scrittori quali Alessandro Manzoni e tanti altri suoi contemporanei.
Il piccolo libro venne seguito da un secondo volumetto, "Spedizioni notturne intorno alla mia camera", costruito in modo del tutto simile.
E, a questo riguardo,mi viene anche in mente un aneddotto, citato da un famoso psicoanalista argentino: un uomo ubriaco se ne stava fermo, in piena notte, appoggiato ad un lampione. Si avvicina uno, incuriosito, e gli chiede: "Cosa fai qui? perchè non te ne vai a casa?" L'ubriaco gli risponde, guardandolo con sufficienza: "Me ne sto qui ad aspettare. E, prima o poi, la mia casa passerà di qui. Ne sono certo".
Certo: parole di ubriaco, ma in fondo anche di profonda saggezza. Inutile affannarsi per cercare di trovare qualcosa che, prima o poi, troverà te.
Seduti nella panchina ci si mette un po' fuori dal mondo e lo si osserva: ma non sempre questo volontario mettersi fuori dal flusso delle cose è ben accolto dal "pubblico". In alcuni casi, per potere seguire indisturbato questa tua esigenza, devi un po' nasconderti.
Una volta, alla 100 km Trapani-Palermo, sentii impellente il bisogno di dormire: dovetti scegliere per la bisogna un posto relativamente appartato e fuori dalla vista. Se infatti fossi stato visto da qualcuno dell'organizzazione beatamente addormentato, nella peggiore della ipotesi, avrei suscitato allarme ("Sta male. Ha bisogno di soccorsi!") e di peso sarei stato portato via e, nella migliore, sarei stato guardato con compatimento ("Chistu è unu curiusu").
La panchina offre la possibilità di un viaggio "stazionario", un modo di viaggiare in controtendenza rispetto a questa nostra moderntà ipervelocizzata, in cui le cose che viengono maggiormente apprezzate e valorizzate sono il movimento continuo e la velocità. Robert Anson Heinlein, uno dei maestri della narrativa di anticipazione, scrisse negli anni Sessanta un racconto che è una rappresentazione metaforica di ciò che accade al nostro mondo, oggi: in "Le strade devono correre" veniva preconizzato una società futura, in cui il nostro pianeta è ridotto ad una rete infinita di strade, su cui l'intera umanità vive la sua vita su mezzi di trasporto (la più parte autoveicoli personali), dunque ciascuno anche in modo solipsistico) in continuo movimento. Unica legge: non ci si può mai fermare.
A quel mondo (ma, senza arrivare all'estremo visionario di Heinlein, anche nel nostro mondo attuale) preferisco una modesta panchina "da viaggio" che, in alcuni casi, può anche diventare come un tappeto magico che, subito in volo al tuo comando, ti trasporta ovunque tu voglia andare.
Come ad esempio la panchina della foto che si trova sulla strada che da Firenze porta a Faenza, subito dopo l'uscita di Ronta, dunque al 45° km circa del percorso che da Firenze si snoda attraverso l'Appennino sino a Faenza.
La panchina è strategicamente posizionata su di un tornante in modo tale che standovi seduti lo sguardo può avere uno scorcio sulla valle del Mugello che chi percorre quella strada in direzione di Faenza si è lasciato alle spalle e, a più breve distanza, sul tratto di strada a partire dal tornante subito prima.
La panchina è ubicata proprio nel punto in cui la salita si fa veramente dura per poi mantenersi con questo grado di pendenza sino al Passo della Colla (di Casaglia) ubicato al 48° km.
Seguivo come fotografo la testa di un'edizione passata della 100 km del Passatore e quando sono arrivato su questa curva (ottima per tirare delle foto), la panchina era occupata da un papà e da un bambino (o ragazzetto): entrambi ciclisti, si concedevano qualche istante di riposo. Erano seduti e si riposavano. Avrei voluto fotografarli.
Non ho fatto in tempo perchè hanno inforcato le bici e sono andati via, continuando la dura pedalata in salita.
Non mi è rimasto altro da fare che fotografare la panchina vuota.
E poi mi ci sono seduto, in attesa del passaggio della testa della gara.
Diversi anni fa, passando per una strada di grande transito, vedevo sovente, "appanchinato" sempre nel medesimo segmento di gard rail un uomo di mezza età, vestito con un giubbotto e recante con sé
Un gruppo per tutte le persone che vedono la panchina come elemento indispensabile della nostra società per le molteplici funzioni che può svolgere. Per esempio: come luogo di aggregazione, di...
Mi ha molto colpito il post di recente comparso nel blog di Enzo Cordovana, dal titolo accativante "Panchine da viaggio", oltre che nel gruppo di discussione FB "QUELLI, KE LE PANCHINE...". La ...
Anche questo post è stato pubblicato nel mio vecchio blog nel 2008.
Precisamente con il titolo "Panchine", il 26 ottobre.
Lo ripropongo qui integralmente,con solo qualche piccola modifica.
Poco è cambiato a distanza di più di dieci anni: oggi si sarebbero potute scrivere le stesse cose.
Ieri sono andato per panchine.
Non volevo starmene chiuso a casa nel primo pomeriggio.
La mia prima sosta è stata Piazza Castelnuovo, dove - attorno al palchetto della musica - in tempi recenti ne sono allocate alcune di pietra, fatte d'una specie di granigliato che - con i suoi cromatismi - mima il porfido.
E' incredibile come cambi la prospettiva sulla vita quando si abbandona il flusso del movimento e ci si siede su di una panchina: prendono il sopravvento il tempo dei propri pensieri e quello della memoria, dissociati dal flusso temporale in cui tutti gli altri si muovono.
Una silenziosa, condivisione è soltanto possibile con chi, in quello stesso momento, se ne sta seduto pure su d'una panchina.
Poco più in là, un signore anziano (ma nemmeno tanto: forse più dimesso che anziano) nutre i piccioni con delle briciole di pane. Attorno a lui si accalca una miriade becchettante che, a tratti e per motivi imperscrutabili, prende il volo a stormo con frulli d'ali, passando radente sulle teste di altri frequentatori di panchine che guardano con meraviglia oppure scansano le loro teste da traiettorie troppo basse.
Cicaleccio di conversazioni sommesse.
Fidanzati intrecciati che si baciano.
Altri, in attesa nervosa, compulsano di continuo il telefonino oppure rispondono a chiamate o ne ricevono, dando istruzioni a chi, forse, deve raggiungerli per un appuntamento. Ma questi non sono degli utilizzatori DOC di panchine, poichè rimangono ancorati al flusso della vita veloce e non si rilassano nell'attesa senza tempo e senza strumentalità cui la panchina dovrebbe indurre.
Poco più in là, mi sposto verso un'altra piazza della memoria, a Piazza Lolli. Qui la piazza-giardino che prima si presentava come un'arida spianata di terra rossa da cui sorgevano palme svettanti che a me, piccino (poco più che un "soldo di cacio", come usava dire mio padre), parevano gigantesche ed incombenti, è stata sistemata da pochi anni con aiuole e vialetti dal bel selciato di grandi lastre di pietra grezze e con tante panchine comode, con la seduta di assi di legno e fornite di spalliera. Il lavoro di restiling della villa non è stato ancora completato del tutto e conserva un aria di provvisorietà, ma le neo-panchine freschissime di messa a dimora sono tutte stranamente in ottime condizioni e non vandalizzate, salvo una o due.
L'atmosfera è quella di un'autentica oasi di pace.
Sarebbe tutto perfetto, se la grande fontana al centro del giardino fosse piena d'acqua e i suoi zampilli in funzione. Il chiocchiolare dell'acqua sui sassi che contornano gli ugelli accrescerebbe per certo la magia del luogo e indurrebbe ad arabiche fantasticherie...
Mi accomodo su di una panchina che guarda verso il cinema Dante, mentre alla mia sinistra rimane l'edificio dismesso e ancora non destinato a nuova destinazione dell'antica stazione ferroviaria, oggi soppiantata dalla più moderna Stazione Notarbartolo.
Anche qui, fidanzati che si baciano.
Gente che sta, contemplando, guardandosi attorno o semplicemente immersa nei propri pensieri.
Qualcuno fuma una sigaretta con indolenti boccate o è intento nella lettura di un libro.
Qui, non solo la panchina è uno spazio magico e senza tempo, ma l'intera piazza lo è, tagliata fuori com'è dalla direttive del grande traffico convulso e caotico della città.
Ieri sono andato per panchine. Non volevo starmene chiuso a casa nel primo pomeriggio. La mia prima sosta è stata Piazza Castelnuovo, dove - attorno al palchetto della musica - sono allocate ce ne...
Panchine di solitudine
Ma talvolta di condivisione e di compagnia
Se pare che uno sieda su di una panchina in solitudine,
é anche vero che egli si trova in un’interfaccia
con il mondo che scorre accanto
La panchina è stasi versus movimento
L’immobilità della panchina invita chi è in movimento
a ristare
Mentre il mondo é in affanno, l’appanchinato se ne sta fermo
in sospensione pensosa, contemplativa,
talvolta sentendosi fuori dai giochi
La panchina, dovunque si trovi,
é contemplazione o introspezione versus la vertigine del movimento
Forse, per questo, le panchine nei luoghi pubblici
possono essere così straordinarie
Sono un tramite, una porta, talvolta una finestra
E a me le panchine piacciono sempre:
ognuna di loro per quanto malmessa
ha qualcosa da dire
sia che sia vuota, in attesa di un occupante,
sia che sia temporaneamente abitata
Cosa sarebbero le panchine
se tra le loro differenti proprietà
fossero anche volanti come i tappeti delle magiche storie?
Bisognerebbe ridisegnarne l’intera filosofia e geografia,
allora
E le panchine sono la tua ancora di salvamento,
quando ti ritrovi a corto di argomenti:
panchine per voli della fantasia
Era diventato davvero troppo dispendioso in termini di tempi richiesti alimentarli entrambi, anche perchè nati per caso, mentre
armeggiavo - ancora alle prime armi - per creare un blog, me li ero ritrovati ambedue, benchè la mia idea originaria fosse stata quella di averne uno solo. Infatti, non a caso, le loro
intestazioni erano abbastanza simili: creatone uno - non ricordo quale dei due per primo - lo ho "perso" (per quanto strano ciò possa sembrare) e mi diedi alacremente da fare per ricrearne uno
nuovo. Qualche tempo - nel frattempo ero divenuto più bravino - il blog perso me lo ritrovai).
Ohibò! - dissi a me stesso - E ora cosa ne faccio?
La risposta più logica sarebbe stata: Disattiviamolo!. E invece...
Mi dissi: li tengo tutti e due. E così feci. E' stato bello finchè è durato...
Ma giocare su due tavoli - e sempre con la stessa effcienza - è molto complicato, ancora di più quando i tavoli diventano tre e
poi quattro e via discorrendo....
Con overblog ho trovato una "casa" che mi sembra sicuramente più soddisfacente e così, dopo molte esitazioni, mi sono deciso a
fare il grande passo del trasloco, non senza un certo dispiacere, perchè il cambiamento induce sempre un po' di malinconia e qualche nostalgia.
E quindi ora eccomi qua.
E quello che ho fatto - ciò mi consola molto - rimane là e chiunque se ha la curiosità può andare a dargli un'occhiata.