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6 luglio 2022 3 06 /07 /luglio /2022 09:15
Piccola avventura di viaggio (foto di Maurizio Crispi)

Sono partito da casa alle 18.00 circa nel pieno sole del pomeriggio estivo
Con la bici che dovevo portare sino alla casa di Via del Pesco a Cardillo dove si sono trasferiti a stare mia moglie e mio figlio Gabriel: avevo pensato di farmi accompagnare al ritorno, oppure - in alternativa - di prendere il treno che collega Palermo con l'aereoporto e che fa sosta proprio dietro casa loro
Ho percorso tutta la strada sotto il sole, pedalando e sgobbando
Sono arrivato e loro non c'erano
Non avevo portato con me le chiavi, confidando sul fatto che fossero a casa
Ho parlato con la nonna della compagna di scuola di Gabriel che abita nello stesso condominio
Gentilmente mi ha aperto il portone e così ho potuto riporre la bici all'interno, davanti all'ingresso dello scantinato
Quindi, sempre nella calura, mi sono diretto alla stazione Trenitalia Palermo Cardillo per apprendere che il prossimo treno in direzione di Palermo Notarbartolosarebbe passato alle 19.17. Ed erano ancora le 18.35Si prospettava una lunga attesa.
Nel frattempo, ho provato a fare il biglietto alla macchinetta distributrice, ma non ci sono riuscito: delle due una, o la macchina era malfunzionante, oppure ero io a sbagliare la procedura. Malgrado i miei tentativi, nel momento in cui avrei dovuto pagare (provavo ad inserire le monete) non riuscivo a farlo. Mistero!
Impossibile indugiare lì
Sì, c'erano delle accoglienti panchine, ma quelle sul binario dove avrei dovuto attendere erano in pieno sole
No, non era possibile!
La pregustata attesa, seduto in panchina, a leggere, non era affatto realizzabile

Quindi, me ne sono andato: ero assetato e desideravo qualcosa di fresco
Mi sono incamminato verso il Bar Gardenia, storico, sulla strada principale - tuttora Statale - per Trapani, anche se affogata nelle case e negli agglomerati residenziali
Mi sono concesso un bel gelato dissetante: una coppetta mista anguria e limone (costo: €2,50)
Me la sono goduta tutta
Quindi mi sono riavviato verso la stazione
Qui sono riuscito a fare il biglietto: ma non ho potuto pagare con la moneta, ho dovuto per forza usare il bancomat, per pagare l'obolo richiesto (€1,70)
Mi ha aiutato  in questa bisogna una ragazza dal forte accento agrigentino, che era per tutto il tempo con l'orecchio incollato al telefonino e che era reduce dall'aver partecipato ad un concorso nazionale per l'assunzione di impiegati ministeriali, da quanto ho capito carpendo il contenuto della sua conversazione
Nell'attesa dell'ultima manciata di minuti prima del passaggio del treno proveniente da Punta Raisi mi sono potuto accomodare sulla panchina, finalmente in ombra e sono riuscito anche ad aprire un libro che avevo nel mio zainetto e leggerne alcune pagine.
Il treno è arrivato puntuale come un orologio... mi ci sono imbarcato e in 12 minuti come promesso dal tabellone sono sceso alla Stazione Notarbartolo, da dove in cinque minuti a piedi ero a casa.
E' stata una piccola avventura di viaggio, con tutti i suoi imprevisti e con le soluzioni da adottare. Mi ha rinfrancato: nel senso che, siccome negli ultimi anni, ho poco viaggiato, mi ha dato l'ebbrezza di farmi sentire - anche se soltanto per un paio d'ore - "on the road"
Il bello - nei viaggi - è proprio questa cosa qui: riuscire a sfruttare in modo creativo i contrattempi e i tempi morti, facendoli diventare qualcosa di vivo

Una piccola avventura di viaggio… nella calura
Una piccola avventura di viaggio… nella calura
Una piccola avventura di viaggio… nella calura
Una piccola avventura di viaggio… nella calura
Una piccola avventura di viaggio… nella calura
Una piccola avventura di viaggio… nella calura
Una piccola avventura di viaggio… nella calura
Una piccola avventura di viaggio… nella calura
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1 luglio 2022 5 01 /07 /luglio /2022 06:24
Sfabricidi e bici (foto di Maurizio Crispi)

Ho pedalato per le vie della città
sotto il sole cocente
del primo giorno di luglio
I soliti spettacoli,
turisti festaioli
in leggeri abiti estivi,
donnoni con cosce enormi
e con polpacci che sembrano fiaschi per il vino
Trolley che rullano sull'asfalto,
ipnotici
Gente che si affretta,
capelli di paglia in testa

 

E' come essere in Africa, qui

 

Quando passo vicino
a questi corpi in movimento
mi pare di sentire la puzza di sudore
che promana dalle ascelle
e dalle anguinaie
Lo so! Lo so! Forse sono intollerante!
Non mi adatto bene alle presenze altrui
Quanta più gente vedo, in genere,
tanto più sono tentato di ritirarmi
su di un’isola deserta
oppure sulla cima di una montagna
oppure mi sento spinto a rinchiudermi
nella frescura ombrosa
di casa mia
e qui aspettare che passino i giorni del caldo
e forse tutta la vita che mi resta

 

Procedo, comunque,
pedalando a testa bassa
schivando i corpi che mi si parano innanzi
e poi quegli odiosi monopattini elettrici
Vado avanti, con il sudore
che mi sgocciola negli occhi
ed intride la mia T-shirt
Vado e vado, strizzo gli occhi
abbacinati dal pieno sole

 

Poi arrivo in una strada desolata,
come fossimo in Mexico
(mancano le nuvole, però)
e qui trovo un'isola gigantesca di pattume abbandonato
davanti ad un fabbricato,
abusivo probabilmente, lasciato a mezzo
Una terra di nessuno, evidentemente
Rifiuti di ogni genere giacciono nel sole a fermentare
e da essi si levano miasmi fetidi
si potrebbe svenire,
se solo si respirasse a pieni polmoni
Un mar dei sargassi di monnezza
e forse al suo interno
c’è qualcuno che è stato catturato
da quei tentacolari miasmi
e che ora si decompone lentamente
grazie al lavoro solerte di pigri mosconi
Negli occhi  dei radi passanti
non c'è nemmeno l’ombra di rassegnazione,
solo indifferenza

 

Vorrei volare via,
anziché essere assorbito
da prosaiche incombenze
anziché stare a rompermi la schiena
arrancando su questa bici
Vorrei essere lontano,
magari intento a percorrere il Cammino,
dimentico di tutto,
dei vincoli, delle camurrìe, dei grattacapi quotidiani
Invece, devo abbassare la testa,
gli occhi incollati a terra,
lo sguardo a non più di un metro dai miei piedi
a tirare il carico che mi è imposto
Vorrei volare alto, ma non posso

 

Quando torno a casa,
dopo la folle pedalata nel caldo,
mi seppellisco dentro me stesso
in un angolo profondo e recondito
dove nessuno mi potrà trovare
Ed è balsamico per l'animo mio,
starsene lì arrotolato come una larva nel suo bozzolo,
oppure come un lombrico
nell’umido ventre della terra,
in attesa di resurrezione,
dopo la necessaria espiazione
Per quali peccati non so,
forse per quelli commessi
in un'altra vita precedente,
una delle tante
nel ciclo eterno di morti e rinascite

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28 giugno 2022 2 28 /06 /giugno /2022 06:33

Il Suo è un atto di civismo e di amore; uno di quei tanti atti che potranno e già possono rendere migliore la nostra città

Leoluca Orlando, Sindaco di Palermo (1986)

Uno degli alberi del signor Giacomo Minutella, Palermo (foto di Maurizio Crispi)

Vi è un tratto della via Principe di Paternò a Palermo, tra via Veneto e via Lombardia, dove il passante può camminare sotto una volta verde e riparato dai raggi del sole da una fitta e densa ombra
È davvero molto bello questo pezzo di marciapiede che si pone in netto contrasto con quelli a monte e a valle, dove le specie arboree di precedente impianto sono scomparse e perfino le conche che le accoglievano, in successivi lavori di rifacimento del rivestimento di cemento del mariciapiedi, sono state colmate.
L’ombra è data da splendidi esemplari di Ficus (la stessa varietà che forma una meravigliosa volta verde per tutta la lunghezza della “discesa di Valdesi”, tra Palermo e Mondello, trattandosi forse del Ficus Retusa, noto anche come Ficus di Taiwan, ma un tempo denominato impropriamente Ficus Benjamina). Si tratta di sei piante, per la precisione, nella cui fila sono interpolati due esemplari della specie arborea che prima costituiva il filare di alberi di questo tratto di strada e che, nel corso del tempo, si sono schiantati per varie ragioni.
Non tutti sanno che è stato il signor Giacomo Minutella, per decenni laborioso portiere dello stabile in cui vivo, a piantumarli a partire da margotte da lui stesso realizzate dai ficus che formano un filare nel nostro giardinetto condominiale.
Se consideriamo che il signor Giacomo ne ha piantumati altri due esemplari sul marciapiede opposto ed uno più distante, quasi in prossimità dell'incrocio tra via Principe di Paternò e Via Boris Giuliano (ex-Via Piemonte), si è trattato di un’opera davvero memorabile. Questa è una piccola storia paradigmatica che merita di essere ricordata e tramandata.
Sicuramente, in questo tratto di strada, sarebbe bello poter vedere una piccola targa che la racconti.
La nostra città in cui tutto sembra andare allo sfascio - specie oggi - ha bisogno di questo tipo di storie in cui la buona volontà e il senso civico di un singolo cittadino riescono ad abbellire lo spazio pubblico, senza nessun tornaconto personale.
E niente vale nel rendere e mantenere gli spazi pubblici vivibili quanto l'iniziativa di un singolo cittadino dotato di buona volontà (e perchè no?, anche di amore per il bello): se solo si pensa che l'azione virtuosa di un Giacomo Minutella venisse moltiplicata per dieci o per cento in quale tipo di città potrenno ritrovarci? In una città che sia abbellita soltanto dalle iniziative e dalla buona volontà di singoli cittadini! Invece, attraversiamo un tempo in cui tutto sembra dover dipendere da un'amministrazione centrale e questo ci fa vivere con rassegnazione le carenze e le brutture, facendoci dimenticare che potrebbe risiedere nel semplice potere delle nostre mani al lavoro la possibilità di rimediare e di lasciare un nostro segno concreto.

E ciò a prescindere da movimenti come il "Guerilla Gardening" che, in qualche modo, politicizzano questo tipo di intervento e lo fanno diventare una forma di protesta (che però rimane pur sempre relegata nell'ambito della "straordinarietà", piuttosto che appartenere alla normale gestione quotidiana delle cose).
Senza l’azione del signor Giacomo, oggi, quel tratto di strada sarebbe senza alberi e senza ombra alcuna.
Io mi compiaccio sempre a percorrerlo e, ogni volta, penso al nostro signor Giacomo, quando mi mostrava orgoglioso le margotte che stava preparando
Vorrei che molti altri percorrendo questo tratto di strada potessero ricordarsi del signor Giacomo Minutella, dell’uomo che piantava gli alberi (come il John Appleseed che ha rappresentato uno dei miti della saga fondativa degli USA, oppure come Elzéard Bouffier, l'emblematico personaggio allegorico - per quanto ispirato alla realtà - protagonista del meraviglioso racconto di Jean Giono): e  adesso, se vogliamo formulare un pensiero poetico, Giacomo Minutella continua a vivere in essi.
Ci sono molti modi attraverso cui poter tramandare la propria memoria: e piantare gli alberi è sicuramente uno di questi.
Voglio completare questa storia, grazie a due documenti che mi hanno inoltrato i figli del signor Giacomo, quando hanno letto questa mia nota.
Si tratta di due lettere, la prima del compianto professor Giuseppe Genduso, uno dei nostri condomini ed emerito professore di latino e greco in uno dei licei cittadini, la seconda del Sindaco di Palermo.
Nella prima lettera il professor Genduso segnalava al Sindaco di Palermo, allora in carica (Leoluca Orlando), l'esimia opera di Giacomo; nella seconda, indirizzata personalmente al signor Giacomo Minutella, il Sindaco esprimeva parole di elogio nei suoi confronti.

 

(Palermo, il 24 giugno 2022)

Il Professore Giuseppe Genduso inviò al Sindaco di Palermo questa lettera, il 12 dicembre 1986: "... mi permetto di segnalarLe l'iniziativa disinteressata e singolare del portiere del nostro condominio Giacomo Minutella (...). Giacomo è un patito delle piante, cura non solo quelle del nostro spazioso atrio d'ingresso, ma si preoccupa - e si è preoccupato nel passato - di quelle allogate nei marciapiedi di via Principe di Paternò e di via Lombardia. (...) A rimediare a questo scempio [l'azione dei vandali] è intervenuto il nostro Giacomo, che puntualmente ha provveduto a piantare, e a ripiantare nuove piantine, in trepida attesa della loro crescita..."

Il Professore Giuseppe Genduso inviò al Sindaco di Palermo questa lettera, il 12 dicembre 1986: "... mi permetto di segnalarLe l'iniziativa disinteressata e singolare del portiere del nostro condominio Giacomo Minutella (...). Giacomo è un patito delle piante, cura non solo quelle del nostro spazioso atrio d'ingresso, ma si preoccupa - e si è preoccupato nel passato - di quelle allogate nei marciapiedi di via Principe di Paternò e di via Lombardia. (...) A rimediare a questo scempio [l'azione dei vandali] è intervenuto il nostro Giacomo, che puntualmente ha provveduto a piantare, e a ripiantare nuove piantine, in trepida attesa della loro crescita..."

Tempestivamente, dopo pochi giorni appena (il 16 dicembre 1986), è arrivata una lettera del Sindaco Leoluca Orlando, indirizzata personalmente al Signor Giacomo, in cui si legge:  "... Il Suo è un atto di civismo e di amore; uno di quei tanti atti che potranno e già possono rendere migliore la nostra città".

Tempestivamente, dopo pochi giorni appena (il 16 dicembre 1986), è arrivata una lettera del Sindaco Leoluca Orlando, indirizzata personalmente al Signor Giacomo, in cui si legge: "... Il Suo è un atto di civismo e di amore; uno di quei tanti atti che potranno e già possono rendere migliore la nostra città".

Film d'animazione di Frédérick Back tratto dal romanzo di Jean Giono. Vincitore del premio Oscar per il miglior cortometraggio d'animazione nel 1988. Perché la personalità di un uomo riveli qualità veramente eccezionali, bisogna avere la fortuna di poter osservare la sua azione nel corso di lunghi anni. Se tale azione è priva di ogni egoismo, se l'idea che la dirige è di una generosità senza pari, se con assoluta certezza non ha mai ricercato alcuna ricompensa e per di più ha lasciato sul mondo tracce visibili, ci troviamo allora, senza rischio d'errore, di fronte a una personalità indimenticabile.

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5 febbraio 2022 6 05 /02 /febbraio /2022 07:51
Ciocco in fiamme nel camino di Piano Aci (foto di Maurizio Crispi)

All’improvviso,
occhi aperti, sbarrati nella notte
Respiro in pausa
spezzato
Inspirazione
Esalazione
Pausa
E poi di nuovo
Sensazione che l’aria sia stretta
Prendo tra le mani un libro
Leggo, sforzandomi di regolarizzare il respiro
Ma se uno pensa ad una cosa
che di solito si fa in automatico
tutto s’incasina,
come nel famoso racconto di Saki,
sull’imponente barba di uno
a cui viene chiesto
se, durante il sonno,
usasse tenere la sua bella barba
sopra o sotto le coltri.
E quello che, alla questione,
non ci aveva mai pensato prima
fini con il trascorrere
una notte del tutto insonne,
barba fuori,
barba dentro,
dentro, fuori,
sino a non poterne più
di quella barba
e a tagliarsela via la mattina
in un impeto di rabbia
Comunque, leggo e respiro
Leggo e respiro
Sento un nodo alla bocca dello stomaco
e cerco di scioglierlo respirando
Allungo e fletto le gambe
tutto avvolto in una leggera coperta di pile,
come in un bozzolo

Poi, la mia mente deraglia
in un caleidoscopio di immagini
E mi addormento
Dormo, sognando, forse
Poi, all’improvviso,
un lampo bianco
attraversa il mio cervello
e passa davanti ai miei occhi chiusi,
le palpebre appesantite, serrate
Un crampo violento al polpaccio,
dolore lancinante,
mi risveglia
Reagisco prontamente,
allungando con progressione
il muscolo impazzito

Respiro di nuovo, concentrato,
Inspirazione,
esalazione,
pausa
Ancora quella maledetta pausa!

Imparerò mai?

(Piano Aci, 5 febbraio 2022)

 

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26 gennaio 2022 3 26 /01 /gennaio /2022 10:20
Desolation Row (foto di Maurizio Crispi)

Oggi, come ogni martedì e giovedì, siamo partiti da Corso Calatafimi dove mio figlio Gabriel frequenta il corso di climbing, presso la Caserma CIRO SCIANNA.
Da quando il passaggio sul ponte Corleone si è fatto più complicato io - solitamente - preferisco prendere la via del mare oppure passare da via Oreto per immettermi sull’autostrada in direzione Bagheria: ambedue i percorsi pedalabili e senza grossi ingorghi.
Questa volta Gabriel mi dice:  “Dai, dai, prendiamo dal ponte Corleone, traffico non c’è n’è!”.
Io: “Ma non se ne parla nemmeno! Non voglio stare fermo nell’ingorgo!”
Gabriel: “Io voglio fare quella strada!” (E mentre così dice s’imbroncia tutto).
Io: “Ed io no! Certo per te è comodo! Tanto se incappiamo nell’ingorgo tu ti puoi distrarre, puoi giocare, dormire, leggere ed invece io dovrei starmene tutto il tempo [come un crasto - lo penso, ma non lo dico] al volante!”
Dopo questo scambio, silenzio per un po’.
Al momento di tirare dritto verso Piazza Indipendenza, decido repentinamente di svoltare per viale della Regione Siciliana in direzione del famigerato ponte.
Perché? Voi direte per un improvviso ed irrefrenabile bisogno masochistico! Ed invece no! E allora cosa mi ha spinto?
Ho pensato di cedere alla richiesta irragionevole di Gabriel per mostrargli che quando mi chiede qualcosa non sono sempre quello che dice “no!”, insomma!
E ci dirigiamo verso il ponte…

Penso tra me e me: magari la strada è libera! Non si può mai sapere! Dopotutto, è dalla fine di dicembre che non lo attraverso… da quando, cioè, hanno introdotto nuove - stringenti - regole.
Dico a Gabriel: “Hai visto? Ho deciso di seguire il tuo consiglio… ma se troviamo l’ingorgo, non dovrai chiedermi più di fare questa strada!”.
Vabbé - dice lui - se c’è l’ingorgo e avremo da aspettare, almeno potremo stare a chiacchierare!
(Molto ottimista il ragazzo! mA anche apprezzabile che abbia espresso questo pensiero)
E i guai arrivano quasi subito, senza farsi attendere…

 

Traffico sul ponte Corleone, a Palermo (foto di Maurizio Crispi)

Muro di automobili e di camion e di autotreni che si muovono a passo di lumaca verso la strettoia che è stato posta un paio di centinaia di metri prima del Baby Luna. Non c’è alcuna via di fuga, nessuna scappatoia.
“Ora dobbiamo soffrire - gli dico - Hai visto? Cosa ti avevo detto? Questo muro di auto è la prova più evidente che avevo ragione io nel non voler fare questa strada!”.
Gabriel: “Scusa, papà! La prossima volta non te lo chiedo più!” […pentimento tardivo!]
Io: “Dai, dai, visto che siamo fermi, facciamoci una foto!”.
Primo scatto: e Gabriel è accigliato, come lo sono io, sel resto.
“Noooo! Così mutriato non va bene!
Dai proviamoci ancora, ma dobbiamo essere sorridenti… dai, dai, sbrighiamoci se no i poliziotti in macchina davanti a noi si accorgono che stiamo facendo la foto e ci arrestano!”.
[Unica soddisfazione è che anche quei poveri poliziotti sono bloccati nel mega- ingorgo, da cui non potrebbe passare in caso di urgenza nemmeno uno spillo]
E, finalmente, riusciamo a fare una foto tutti sorridenti, quasi raggianti…
Ne usciremo fuori, a passo di lumaca.
A picca a picca…
Il passaggio dal Ponte Corleone, da anni a rischio di crollo, rimane un’autentica impresa ed é davvero una vergogna che la principale via di uscita da Palermo ed anche di transito per Catania e Messina debba debba essere in questo stato che é una dichiarazione di impotenza, incapacità ed inettitudine di chi ci governa, dall’amministrazione comunale a quella regionale. Occorrerebbero provvedimenti straordinari e di lungo termine ed invece tutto quello che noi cittadini abbiamo ottenuto è il caos eletto a condizione di quotidiana ordinarietà.

E rimaniamo pertanto in attesa, di soluzione provvisoria in provvisoria, del disastro annunciato.

Foto di Maurizio Crispi

 

A passo di lumaca, ce la faremo, ovvero “a picca a picca”…
A passo di lumaca, ce la faremo, ovvero “a picca a picca”…
A passo di lumaca, ce la faremo, ovvero “a picca a picca”…
A passo di lumaca, ce la faremo, ovvero “a picca a picca”…
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20 dicembre 2021 1 20 /12 /dicembre /2021 09:00

Una mia nota diaristica di 10 e più anni addietro tuttora attualissima. Anzi, le cose vanno persino peggio.

parcheggio abusivo in area disabili

(19 dicembre 2010) Vorrei vivere in una città normale

In una città dove gli automobilisti non ti suonino inferociti con il clacson, alle tue spalle, appena il semaforo cambia dal rosso al verde

 In una città dove automobilisti e moto si fermino, se stai attraversando sulle strisce pedonali.

In una città dove i marciapiedi siano una parte della strada dove i pedoni possano comodamente camminare, conversando amabilmente - se lo desiderano - e non delle strisce calpestabili larghe meno di 50 centimetri (sulle quali è proibitivo procedere affiancati, come si desiderebbe), perchè la sede stradale è stata ampliata per consentire il parcheggio delle auto.

In una città dove camminare in bici non debba significare giocarsi la vita e la salute a causa degli automobilisti distratti e prepotenti.

In una città dove i marciapiedi non si trasformino in piste su cui le motociclette e i motorini sfrecciano a tutto gas per by-passare gli ingorghi e i pedoni devono scansarsi, quasi non fosse loro diritto camminare con traquillità sui percorsi a loro riservati.

In una città dove abbondino isole pedonali e strade vietate alle auto.

Vorrei vivere in una città in cui i marciapiedi e i piazzali non diventino delle discariche a cielo aperto.

In una città dove i taxi non parcheggino nelle zone di sosta riservate alle auto dei disabili.

In una città dove gli scivoli dei marciapiedi per consentire l'attraversamento a disabili in carrozzina, a mamme con passeggino e ad anziani dal passo incerto non siano occupati sistematicamente da auto parcheggiate in modi corsari.

Vorrei vivere in una città in cui prevalgano le regole della gentilezza e della convivialità, a scapito della giungla della prevaricazione e dell'asserzione spudorata del proprio sé.

In una città dove non si debbano sentire gli altri urlare le proprie conversazioni private nel telefonino, mentre sono in mezzo alla gente, e dove non ci siano automobilisti distratti sempre alle prese con il proprio cellulare, messaggerie, conversazioni e altro.

In una città con meno maxi-schermi HD in bar pub e ristoranti vari per offrire l'immancabile calcio in anticipi e posticipi, dirette e differite, solo di calcio, calcio, calcio...

In una città dove auto blu e mezzi di polizia non approfittino del loro status per prevaricare altri cittadini, laddove non ce ne sia bisogno.

In una città in cui anche l'auto della Polizia si fermi ad attendere al semaforo, se non ci sono urgenze di servizio.

In una città in cui non si debba sentire di continuo l'urlo lacerante delle sirene e degli antifurto con sensori regolati al minimo, sicchè scattano per un nonnulla, e i loro responsabili se ne fregano, se i loro dispositivi assordano il resto del mondo.

Vorrei vivere in una città in cui tutti non chiedano solo ed esclusivamente il rispetto dei propri diritti, ma assolvano anche ai propri doveri e rispettino le norme, in modo spontaneo e non perchè debbano temere sanzioni e punizioni.

In una città che sia ridente, gentile e armonica.

In una città in cui, anche nelle più banali, manifestazioni sia coltivato il gusto del bello.

In un città in cui molti, se non tutti, si sentano responsabili.

In una città dove alcuni cittadini, incrociandosi e guardandosi con occhi mesti, nella tempesta di nubi di gas di scarico e colpi di clacson, di ingiurie e grida partoriti da animi sovraeccitati non debbano dirsi con un'alzata di spalle rassegnata: "Palermo è una città che fa schifo!"

Voglio poter sperare, sempre, che un altro mondo è possibile.

 

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16 novembre 2021 2 16 /11 /novembre /2021 16:01
Buen retiro, ovvero l'isola felice

Una strada dissestata

Pesanti cancelli di ferro
che sempre richiudo al mio passaggio

Quando sono nel mio eremo
di campagna
penso con forza
di essere naufrago,
approdato su di un’isola
disabitata e selvaggia
fuori dalle rotte commerciali

Dall’eremo
che è anche buen retiro
osservo il mondo da lontano

Il traffico incessante sull’autostrada

Le luci lontane di paesi e di abitazioni isolate

Il tremolio delle lampare in mare
nelle notti di calma

Qualche volta
i giochi di fuoco
di qualche festa patronale
con botti e tonfi
attutiti dalla distanza

Qualche volta gli spari di un cacciatore
e l’abbaio dei suoi cani
o la figura evanescente e furtiva
di un raccoglitore di asparagi selvatici

Oppure ancora le voci concitate
di finti soldati in mimetica,
Intenti nei loro giochi di guerra fake

Tutto è lontano,
eppure vicino

Nella lontananza
dal mondo degli altri
mi sento connesso, tuttavia,
e in un equilibrio dinamico

I cani che abbaiano
alla minima anomalia
o a presenze umane estranee
che percespicono con finissimo udito
sono la mia ombra
ma anche miei fedeli guardiani

La casa antica di pietre
con l’intonaco a snella
è il mio guscio accogliente

Coltivo il silenzio

Contemplo la Natura
e le sue continue trasformazioni
da un mese all’altro

Scavo e cavo pietre
dissodo la terra
strappo via le erbe selvatiche,
alcune le mangio

Adoro il tempo
che trascorro nella mia isola

Non chiedo nulla di più

(Piano Aci, il 15 novembre 2021)

 

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10 ottobre 2021 7 10 /10 /ottobre /2021 09:23
Una stanza transgenerazionale
Una stanza transgenerazionale
Una stanza transgenerazionale
Una stanza transgenerazionale
Una stanza transgenerazionale
Una stanza transgenerazionale
Una stanza transgenerazionale
Una stanza transgenerazionale
Una stanza transgenerazionale

Quella che si vede nella rassegna di immagini è la stanza dove attualmente uso il PC. La maggior parte dei mobili, compresa l’enorme scrivania, erano del nonno Giosuè (il nonno materno).
Nella nuova casa dove ci trasferimmo nel 1962 questa stanza con i mobili originari del nonno diventó lo studio di mio padre.
Alla sua morte, nel 1972, colonizzai questa stanza che all’inizio, fu per me oltre che luogo di studio anche di ascolto di musica e di letture.
Diventò specie di tana dove accoglievo anche i miei amici e dove anche consumai i miei primi amori giovanili, poichè era - in un certo senso - per mia volontà extra-territoriale rispetto al resto dell'appartamento.
Ci misi dei tappeti e nella stanza si entrava rigorosamente senza scarpe. La signora che veniva a fare le pulizie era bandita da essa: temevo le sue incursioni, oltre che per il rischio di rotture,  per il fatto che il suo spolverare e mettere ordine  potesse esitare in un'alterazione del mio disordine ordinato.  E, di conseguenza, mi occupavo personalmente delle pulizie necessarie.
La stanza stava sempre in penombra e con le luci accese (quelle che più o meno si vedono tuttora) accese anche di giorno.
In generale, ma questo vale anche per altre stanze evito di aprire troppo le serrande perchè l'esposizione troppo diretta ed insistente della luce del sole può danneggiare i libri.

Una stanza tutta per sé (foto di Maurizio Crispi)

Da laureato e specializzato in questa stessa stanza ricevetti i miei primi pazienti.

Quando mi trasferii nell’appartamento adiacente dove ebbi agio di differenziare gli spazi, questa stanza rimase per un po’ di tempo sotto-utilizzata, ma quando potevo venivo a starci perché ne avevo nostalgia: in fondo vi erano pur sempre contenuti tutti i libri di mio padre (a parte alcuni che mi ero portato nell'altro appartamente, come - ad esempio - alcune opere di Nietsche), quelli degli studi e della sua formazione.

Li, tra quelle quattro miura e parzialmente circondato da muraglie di legno e di carta,mi sentivo particolarmente in contatto con lui. Nell’altra casa arredai una stanza per adibirla a mio studio professionale, mentre le altre a poco a poco si riempirono di libri e di LP.
Lo studio di mio padre poi divenne - nel corso degli anni - l’ufficio di mio fratello Salvatore per la gestione e del Coordinamento H per la tutela dei diritti delle persone con disabilità della Regione Sicilia di cui lui era il Responsabile e la stanza si riempì a dismisura di grossi faldoni pieni di documenti. Alla sua morte, svuotai la stanza (con grande rammarico (perchè coloro che gli succedettero nel Coordinamento non volevo saperne nulla e mi lasciarono in asso).

E la ricolonizzai con le mie cose (libri soprattutto ma anche suppellettili varie), dal momento che il mio fulcro si era nuovamente spostato verso l’appartamento di origine (per i casi della vita). E, infine, ci misi anche il computer da tavolo, sicchè la stanza è oggi divenuta la mia stanza principale per la scrittura.

È una stanza strafogata di cose con reperti appartenenti a diverse ere "geologiche" e starci dentro mi dá molto conforto e soprattuto mi dona il senso della prospettiva.

Una stanza tutta per me, ma anche una "stanza piena di gente" poichè è un luogo transgenerazionale, echeggiante di voci e di ricordi.

Mi chiedo se ci sarà un transito ulteriore ad un'ulteriore generazione.

Non oso dare una risposta a questo quesito, ma quel che è certo, parlando in termini assolutamente generali, al giorno d'oggi si è perso completamente il senso di profondità della nostra storia personale e quello di appartenere ad una sequenza di generazioni.

La consapevolezza di ciò soltanto può dare contezza delle nostre origini e fornire risposte alla domanda "Chi siamo", soddisfacendo il nostro senso di identità.

Io, dai miei genitori sono stato addestrato a sentire fortemente il peso delle generazioni che mi hanno preceduto e a fare di tutto per preservarne la memoria.

Non so se i miei figli sapranno fare lo stesso.

Mi auguro che ciò possa accadere.

Ma - realisticamente - per quanto uno si prodighi - nei giovani di oggi - anche quelli con il migliore pedigree sono molto forti le tendenze centrifughe e soprattutto vi è la tendenza a viversi, negando la funzione della genitorialità e, di conseguenza, mancando di introiettarla efficacemente, sentendosi piuttosto il frutto di una sorta di auto-generazione.

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23 settembre 2021 4 23 /09 /settembre /2021 12:13
A cosy corner

Durante una mia passeggiata, mi sono imbattuto nei pressi della Fiera del Mediterraneo a Palermo in una vera e propria stanza a cielo aperto, espressione del sempre più diffuso fenomeno delle persone senza fissa dimora, o come si dice in inglese homeless.
Già in un precedente mio articolo ho commentato sullo strano caso dell'Homeless organizzato

In quessto caso, l'invisibile abitante era riuscito ad allestire utilizzando un angolo delimitato da due pareti un angolo confortevole, con un vero e proprio letto, con lenzuola e coperte.
L'asptto esteriore di questa "casa" mi ha colpito immediatamente e ho voluto fare uno scatto. In Inglese, questo luogo lo si descriverebbe come un "cosy corner", ovvero un angolino confortevole.

Osservando la disposizione degli arredi, la cura con cui sono sistemate le coperte e i cuscini (che trascendono dalla dimensione di un semplice giaciglio improvvisato), ci si dimentica che tutto questo è allestito all'aperto e che non vi sia un vero e proprio tetto, se non una tettoia che ripara solo parzialmente dai rigori climatici. C'era anche un piccolo tavolo ai piedi del letto e una sedia ordinatamente disposta sotto di essa.
Tutto lasciato in ordine, come nel caso di qualcuno che esce dal mattino da casa per sbrigare le sue faccende e ha il puntiglio di lasciare tutto in oridine, in modo tale che al proprio ritorno troverà una simile nettezza (e semplicità) domestica ad accoglierlo.
Si è portati a pensare piuttosto che si sia di fronte ad un confortevole ambiente domestico: una casa, in cui tutto è lasciato al suo posto, nel dovuto ordine, come se vi fossero porte e mura difenderla da possibili intrusioni.
Io stesso nello scattare la foto mi sono sentito a disagio, come se stessi invadendo con il mio sguardo e con l'occhi della macchina fotografica uno spazio privato.

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4 settembre 2021 6 04 /09 /settembre /2021 18:18

A luglio 2010 (il 7 per la precisione), durante una delle mie passeggiate, feci questa foto e così la commentai.

Bici in balcone

Bici in balcone

Questa foto ha una sua storia.
Mi sono fermato a fotografare nella calura del primo pomeriggio.
Dopo lo scatto, mi son girato e, dietro di me, c'era uno che mi guardava con aria minacciosa.
"Preco!?" - mi fa.
Io, facendo la parte di non capire: "Che?"
"Preco?" - ripete il tipo, monocorde.
"Che?" - replico io.
"E che... fotografavi... Taliavi... C'è cosa?"
Io, a questo punto, senza proferire verbo indico la bici posteggiata sul balconcino.
Sguardo interrogativo da parte del tizio, più ottuso per la verità, opaco ...
"Faccio la collezione di foto di bici in città" - replico in modo conclusivo.
Il tipo se ne va, muovendosi verso la porta di casa tutta sbarrata.
Mah! - fa iddu, scuotendo la testa.
"Ma se vuoi te le faccio vedere!" - gli grido dietro, intendendo che ero disposto a fargli vedere la foto e che non avevo doppi fini.
Quello: "No, no, non c'è bisogno..."

Insomma, tanto rumore per nulla. Il tizio dalla mentalità primitiva e diffidente per atavica tradizione aveva fatto la sua pisciata contro il muro, per marcare il suo territorio.

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DSC04695.jpegQuesta pagina è la nuova casa di due blog che alimentavo separatamente. E che erano rispettivamente: Frammenti. Appunti e pensieri sparsi da un diario di bordo e Pensieri sparsi. Riflessioni su temi vari, racconti e piccoli testi senza pretese.

Era diventato davvero troppo dispendioso in termini di tempi richiesti alimentarli entrambi, anche perchè nati per caso, mentre armeggiavo - ancora alle prime armi - per creare un blog, me li ero ritrovati ambedue, benchè la mia idea originaria fosse stata quella di averne uno solo. Infatti, non a caso, le loro intestazioni erano abbastanza simili: creatone uno - non ricordo quale dei due per primo - lo ho "perso" (per quanto strano ciò possa sembrare) e mi diedi alacremente da fare per ricrearne uno nuovo. Qualche tempo - nel frattempo ero divenuto più bravino - il blog perso me lo ritrovai).

Ohibò! - dissi a me stesso - E ora cosa ne faccio?

La risposta più logica sarebbe stata: Disattiviamolo!. E invece...

Mi dissi: li tengo tutti e due. E così feci. E' stato bello finchè è durato...

Ma giocare su due tavoli - e sempre con la stessa effcienza - è molto complicato, ancora di più quando i tavoli diventano tre e poi quattro e via discorrendo....

Con overblog ho trovato una "casa" che mi sembra sicuramente più soddisfacente e così, dopo molte esitazioni, mi sono deciso a fare il grande passo del trasloco, non senza un certo dispiacere, perchè il cambiamento induce sempre un po' di malinconia e qualche nostalgia.

E quindi ora eccomi qua.

E quello che ho fatto - ciò mi consola molto - rimane là e chiunque se ha la curiosità può andare a dargli un'occhiata.

 

Seguendo il link potete leggere il mio curriculum.

 

 


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