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18 agosto 2022 4 18 /08 /agosto /2022 07:53
Fernando Aramburu, Vita di un pidocchio chiamato Mattia, Salani, 2008

Fernando Aramburu è uno scrittore spagnuolo molto noto, forse uno dei più celebrati scrittori contemporanei in lingua spaguola, autore di molti romanzi, tra cui Patria
Pochi conosceranno forse di Aramburu un piccolo volume che contiene la storia di un redivivo Candido in forma di pidocchio: si tratta di Vita di un pidocchio chiamato Mattia (Vita de un piojo llamado Matia, nella traduzione di Elena Rolla, Salani Editore, 2008).
Qui, in questo breve libro, splendidamente illustrato da Raùl Arias, è contenuta la lunga breve vita di un pidocchio che si autonomina "Mattia", poiché Mattia è il nome del macchinista ferroviario sulla cui testa si schiude la sua lendine.
Mattia è un decisamente un personaggio degno di Voltaire - un Candido redivivo in forma di pidocchio - che passa indenne attraverso catastrofi e cataclismi per arrivare alla fine della sua vita nel folto giardino tranquillo della pellaccia di un cane, nei cui meandri si ritira a trascorrere la sua vita da pensionato.
Un pensionato che però ha tanto da raccontare.
Anche il mondo dei pidocchi sa essere terribile e può essere teatro di sopraffazioni e di tirannidi, ma anche di meravigliose avventure, scoperte ed esplorazioni. Ma, di capello in capello e di testa in testa, per quanto perigliose siano le sue vicissitudini, Mattia riesce sempre a sopravvivere.
E' notevole il cambio di prospettiva. poter capire come tutto cambia se le nostre dimensioni dovessero diventare a pochi millimetri soltanto: e, in questo senso, la bella favola di Mattia, mi ha fatto pensare alla storia perturbante (per me, quando la lessi) di Richard Matheson, Tre millimetri al giorno, che è la storia di un uomo che per ragioni misteriose comincia a perdere ogni giorno tre millimetri della sua storia (e il suo corpo si restringe di conseguenza), sino ad entrare nel piccolissimo e poi nell'infinitamente piccolo.
La vita del pidocchio Mattia è tutta contenuta in un libro breve, suddiviso in capitoletti di poche pagine, particolarmente adatto ad essere ad alta voce, in compagnia. E, se chi legge è bravo ad introdurre la necessaria drammatizzazione, il godimento è assicurato.
Non è un caso che l'epigrafe che introduce il testo sia una dedica che recita: "Dedico questa storia alle persone care su cui vivo", come a dire che Aramburu identificandosi con un pidocchio, come quello della storia voglia dire: in fondo noi uomini siamo tutti un po' pidocchi e, tra essi, ci sono quelli - come mattia - che sono capaci di raccontare una loro storia.

 

(Soglie del testo) Una storia per giovani dagli 8 agli 88 anni
Mattia nasce sulla testa di un capotreno, ma non vi rimane a lungo… di testa in testa, tra forfora, altri pidocchi bulletti, cappelli e armadi, tutta la vita di Mattia, dalla nascita fino alla tranquilla pensione su un cane
«Che schifo, c'è un pidocchio sulla mia testa!» Quante volte avremo detto o sentito questa frase? Ma allora perché un pidocchio non potrebbe dire: «Che schifo! C'è un uomo sotto i miei piedi»? E Mattia, nato sulla testa di un macchinista che (per fortuna!) si lava poco, deve fare i conti con tutti i pericoli che il luogo comporta: dagli spaventosi denti del pettine alle bollenti vampate di phon, dai lavori forzati nelle cave di forfora al rapporto con gli altri zampettanti coinquilini. Fino a che non decide di tentare la fuga… Una scoppiettante metafora della vita e dalla convivenza civile, vista con gli occhi di un piccolo pidocchio generoso che non si scoraggia davanti alle difficoltà. E ora, vi state grattando la testa?


«Fernando Aramburu è la punta di diamante degli autori spagnoli contemporanei» Expansión

 

L'Autore. Fernando Aramburu, nato a San Sebastián nel 1959, ha studiato Filologia ispanica all’Università di Saragozza e negli anni Novanta si è trasferito in Germania per insegnare spagnolo. Dal 2009 ha abbandonato la docenza per dedicarsi alla scrittura e alle collaborazioni giornalistiche. Ha pubblicato romanzi e raccolte di racconti, che sono stati tradotti in diverse lingue e hanno ottenuto numerosi riconoscimenti. Patria (Guanda, 2017), uscito in Spagna nel settembre 2016, ha avuto un successo eccezionale e un vastissimo consenso, conquistando – fra gli altri – il Premio de la Crítica 2017. In Italia ha pubblicato Vita di un pidocchio chiamato Mattia (Salani, 2008), I pesci dell'amarezza (La Nuova Frontiera, 2007), Il trombettista dell'utopia (La Nuova Frontiera, 2005), Anni lenti (Guanda, 2018), Mariluz e le sue strane avventure (Guanda, 2019) e I rondoni (Guanda, 2021).

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10 agosto 2022 3 10 /08 /agosto /2022 18:06
Joe Connelly, Pronto soccorso (Bringing Out the Dead), Marco Tropea Editore, 1999

Dal primo romanzo di Joe Connelly, Pronto soccorso (titolo originale: Bringing Out the Dead, nella traduzione di G. Guerzoni), pubblicato da Marco Tropea Editore (1998), è stato tratto il film di Martin Scorsese, interpretato da Nicholas Cage (uscito nelle sale cinematografiche USA nel 1999), con il titolo omonimo che, nella distribuzione italiana, è diventato "Al di là della vita".
Ho acquistato il romanzo subito dopo aver visto il film, quindi tra il 1999 e il 2000.
Ho cominciato immediatamente a leggerlo.
Troppo disperante.
Sono andato in pausa.
E' rimasto sul mio comodino sino al 2015, quando ho ripreso a leggerlo un capitolo alla volta
Con questo ritmo lento e rilassato sono riuscito a finirlo il 9 agosto 2022, giorno in cui ricorre il mio compleanno.
E sono contento di avere portato a termine questa lettura.
S'è trattato di un tempo spropositamene lungo per leggere una storia che si svolge tutta nell'arco di due notti e tre giorni, ma - in fondo - ne è valsa la pena e sono contento di non avere mollato.
I turni sull'ambulanza di di Frank Pierce, soccorritore, ma stanco del suo lavoro (si potrebbe dire che egli sia prossimo ad un burnout, con una continua oscillazione tra un polo di euforia maniacale quando riesce a salvare delle vite e uno di profonda disperazione e sconforto quando invece la sua missione salvifica fallisce), si rende conto che tutti quelli che soccorre a cui lui tiene (perché verso costoro si accende nei pochi attimi del primo soccorso un'empatia, una relazione positiva), muoiono, mentre quelli che vengono soccorsi poiché sono in condizioni critiche ma desiderano morire, rimangono in vita, oltre ogni limite ragionevole.
Il mondo notturno di Frank Pierce è allucinato e delirante, non si comprende mai cosa sia reale e cosa invece sia frutto di visioni di morti che ritornano e che lo ossessionano. Frank non ne ne può più di tutte queste morti  e di questi morti tenuti in vita artifialmente (dopo essere stati richiamati ad una pseudo-vita con procedure eroiche di rianimazione) e vorrebbe dimettersi, e più va avanti, come un coatto in un lavoro che non regge più, più si sente esaurito e consunto. E si chiede se tutto questo darsi da fare serva poi veramente a qualcosa; si pone anche il quesito se questi morenti desiderino veramente di essere richiamati alla vita o se piuttosto non vogliano altro che un gentile accompagnamento in un presunto Aldilà o verso il nulla, a seconda di cosa si creda a proposito delle cose ultime.
E' così che questa storia offre la possibilità di compiere una riflessione profonda sui temi del vivere e del morire, ma anche sull'aberrazione delle cure estreme (di mera sopravvivenza somatica) che vengono impartite ai comatosi. E sopratutto ci si sente portati ad interrogarsi sulle pratiche di una Medicina sempre più onnipotente e demiurgica che si arroga il diritto di riportare indietro dalla morte oppure di mantenere alcuni per un tempo indefinito in un limbo di non-vita, laddove in altri tempi e in assenza dei macchinari e delle sofisticherie tecnologiche odierne essi sarebbero stati lasciati andare. A volte la Cura vera e più profonda è nel lasciare andare, non nel trattenere.
Nel romanzo le vicissitudini di Frank Pierce (nel film impersonato da Nicholas Cage), paramedico dell'Emergency Medical Service a Manhattan, riflettono le esperienze reali dell'autore del romanzo, che ha lavorato a lungo - per dieci anni - come paramedico in un'unità di Pronto soccorso.

 

(Risguardo di copertina) Quando la notte anonima e paurosa scende sulla metropoli per Frank Pierce è ora di andare al lavoro: deve domare i demoni della malattia e della morte, accompagnare un'umanità impaurita e ferita verso la speranza della salvezza. O chiudere gli occhi ai disperati.
Da qualche anno Frank Pierce lavora nelle ambulanze del Pronto soccorso, e gli sembra il mestiere più bello del mondo. Vola per le strade di Hell's Kitchen [Hell's Kitchen (ovvero "la cucina dell'inferno") è un termine usato in lingua inglese per riferirsi a un sobborgo degradato, con riferimento all'omonimo quartiere di Manhattan. Il termine è anche il titolo di svariate opere artistiche e trasmissioni televisive], il quartiere più "malato" di New York, in compagnia di colleghi appassionati e generosi come lui, rispondendo alle chiamate difficili - attacchi cardiaci, accoltellamenti, sparatorie, collassi da overdose - con il coraggio e la forza di chi ha una missione da compiere.
Salvare vite umane è la sua droga, e giocare all'angelo della resurrezione la sua gioia più profonda. Del resto è stato un incidente stradale a portare tra le braccia di Frank il grande amore, come se il caos gli avesse imposto di rispettare la tradizione iniziata dai suoi genitori che si erano conosciuti e innamorati in una stanza d'ospedale.

 

Joe Connelly

Ma non tutti gli interventi si concludono con un successo e Frank, abituato com'è a godersi sino in fondo l'euforia di ogni salvataggio, non ha difese contro il dolore dei fallimenti. I fantasmi delle persone che nessun massaggio cardiaco ha potuto risvegliare dal lungo sonno cominciano ad essergli più presenti dei vivi. Come la piccola Rose, la ragazza dall'impermeabile giallo, che lui non è stato capace di salvare…

 

L'autore. Joe Connelly ha lavorato per quasi dieci anni come paramedico al St Clare's Hospital di New York, la città in cui è nato e dove al tempo dell'uscita del suo primo romanzo viveva insieme alla moglie. Ha scritto un secondo romanzo, mai tradotto in Italiano, dal titolo "Crumbtown" che non ha avuto successo quanto il primo e che è stato accusato diai critici di ricorrere agli stessi, abusati, cliché. Attualmente vive con la famiglia in una location nelle Adirondacks Mountains.
 

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28 luglio 2022 4 28 /07 /luglio /2022 18:54

Di questo libro di Maria Attanasio ho pubblicato una mia nota nella mia bacheca Facebook, ma mai qui sul blog. E ciò nel 2015 circa. Rilancio qui quella recensione, con qualche rimaneggiamento.

Maria Attanasio, Il Condominio di Via della Notte, Sellerio Editore

Con il Condominio di Via della Notte (Sellerio Editore, Collana Il Contesto, 2013, Maria Attanasio ci ha regalato un bel romanzo distopico che richiama - come si impone sin quasi da subito alla mente del lettore  - 1984 di George Orwell, ma anche Il Mondo Nuovo di Aldous Huxley.
Maria Attanasio - come conducendo un esperimento in un laboratorio creativo (di scrittura) - esamina i progressivi sviluppi perversi di una società fondata sulla non accettazione dell'Altro da sé e sulla crescita dell'intolleranza, sino alle più estreme conseguenze che sono di tipo dittatoriale e del controllo sempre più esteso e dilagante dalla sfera dei comportamenti a quelli privati.
Il volano di un simile sviluppo nella "esemplare" città di Nordìa è la non accettazione dell'Altro: dal momento in cui si statuisce che alcuni individui sono dei "fuoriluogo" e che vanno discriminati, non accettati, espulsi e - laddove non sia possibile espellerli - vessarli sino alle più estreme conseguenze: questi assunti portano ad atteggiamenti oltranzisti che si estendono dalle scelte più generali, riguardanti l'amministrazione cittadina e una dimensione più macroscopica, a quelle riguardanti il microcosmo dei singoli condomini, dove l'Altro che vi arriva come residente è un estraneo che sconvolge il quieto vivere e dà fastidio con la sua stessa presenza.
Quello descritto magistralmente da Maria Attanasio attraverso le vicende di Rita Massa é il fenomeno che porta alle più abiette intolleranze a partire dal rifiuto basilare dell'Altro da sè, di colui che, anche in piccole scelte e nelle sue più innocue idiosincrasie, viene considerato un non-omologato e, in quanto non-omologabile, un pericolo inaccettabile per la stabilità di una società in cui tutti, per viverci, devono essere tutti eguali in un comune ed indistinto grigiore.
Ciò che Maria Attanasio descrive in forma fiction è in fondo quello che capita in tutte le società che, fondate sul dominio più che sulla condivisione democratica, attivano centri di tortura più o meno occulti, i campi di concentramento finalizzati alla reclusione e all'annullamento dell'Altro, o a tutta una serie di altre attività più o meno brutali di eliminazione fisica.
Ovviamente, l'intolleranza di cui sono animatori gli stessi zelanti cittadini che si pongono come i difensori dell'integrità della propria nicchia societaria e i suoi integgerrimi custodi va di pari passo con l'indifferenza - per quieto vivere - dei più che chiudono uno o entrambi gli occhi per non vedere ciò che accade veramente e che lasciano correre sulle più palesi ingiustizie di cui sono eventualmente testimoni.
Il romanzo di Maria Attanasio è seguito da una nota in cui l'Autrice spiega il percorso che l'ha portata a scriverlo e da una sorta di biografia ragionata in cui per ciascun movimento (o parte) della narrazione l'Autrice rivela alcune fonti testuali che l'hanno ispirata.
Bello da leggere. Bello per le riflessioni cui il lettore viene sollecitato. Bello per gli approfondimenti che si è indotti a fare o per i riscontri di comuni conoscenze letterarie e saggistiche.


(Dal risguardo di copertina) Una metropoli contemporanea, «il migliore dei mondi possibili», una società basata su ordine e sicurezza in cui un decalogo ferreo sancisce confini legislativi e morali. Confini che una donna, armata solo di storie e di parole, è in grado di infrangere. Un omaggio alla tradizione distopica di Aldous Huxley e George Orwell, un romanzo visionario e caustico, che racconta una potenziale deriva della nostra stessa realtà
A Nordìa, futuristica città che non esiste sulle mappe, «vigilanza» è la parola d’ordine per realizzare un sogno di perfezione collettiva fondato sulla disciplina, la sicurezza e un consenso sociale estremo e intollerante. Quel sogno entusiasma la maggioranza della popolazione e spaventa e indigna i pochi che scelgono di resistere o dileguarsi.
Tra questi c’è una famiglia che si va frantumando. La moglie, Rita, sembra accorgersi che le utopie che avevano caratterizzato il suo passato sono diventate una pericolosa nostalgia, e assieme vede svanire l’amore per il marito. Questi, al contrario di lei, non accetta il quieto vivere narcotizzato promulgato dal governo e fugge dal paese, lasciando la donna e la piccola Assia dietro di sé. Con il trascorrere degli anni la situazione di Rita si rivela sempre più difficile, mentre la figlia coltiva un rancore intenso e ribelle.
Un giorno Rita si scopre improvvisamente sola. Per troppo tempo ha guardato da un’altra parte, come sperando si trattasse di un brutto incubo, di un’allucinazione destinata a dissolversi. Ora si trova a lottare per mantenere un suo equilibrio e non soccombere ai rimorsi. La città inizia a inquietarla profondamente: ormai il razzismo è promosso come modernità, i cittadini vengono suddivisi per categorie, il controllo, referendum dopo referendum, diventa sempre più assoluto, tutto è videosorvegliato, non esiste un diritto di accesso e di movimento senza un pass, un codice, una parola d’ordine. Eppure per Rita arriva improvviso un cambiamento: una casa ricevuta in eredità dal padre, che sempre le è stato estraneo, accende una scintilla, una possibilità di rinnovamento. E in questa casa, nel condominio di Via della Notte, la donna decide di affidare alla scrittura il racconto della propria vita, sperando di ritrovarvi un senso, una forma e un’idea di libertà, mettendo però a repentaglio la sua stessa sicurezza.
Storia di una donna pavida e insieme coraggiosa, allegoria sottile quanto evidente delle peggiori derive populiste e autoritarie che caratterizzano il panorama politico e istituzionale italiano, questo romanzo reagisce con intelligenza e cuore, con indignata e tormentata sensibilità, al rumore sinistro che sale dalle macerie di un’epoca.
Nel 2013, "Il condominio di Via della Notte" è stato il libro del mese di agosto più votato dagli ascoltatori di Fahrenheit-Radio3 e ha partecipato alle votazioni per il libro dell'anno.

 

Maria Attanasio

L'Autrice. Maria Attanasio (Caltagirone, 1943) collabora a riviste e giornali. Ha scritto poesie (Interni, 1979; Nero barocco nero, 1985; Eros e mente, 1996; Amnesia del movimento delle nuvole, 2003) e saggi. Con questa casa editrice ha pubblicato Correva l’anno 1698 e nella città avvenne il fatto memorabile (1994), Piccole cronache di un secolo (1997, con Domenico Amoroso) e Di Concetta e le sue donne (1999). A questi si aggiunge Lo splendore del niente e altre storie, uscito nel 2021.
 

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13 luglio 2022 3 13 /07 /luglio /2022 20:00
Medusa. Storie dalla fine del mondo (per come lo conosciamo)

(21 marzo 2022) Medusa. Storie dalla fine del mondo (per come lo conosciamo), scritto a quattro mani da Matteo De Giuli e Nicolò Porcelluzzi (Nero, 2021) è un testo polimorfo sulla pandemia e sull'ambiente, sul suo degrado, sulle utopie della ecofriendlyness e di altri temi correlati che mi è piaciuto sin da subito, mi ha catturato - direi.

E' stata una lettura complessa, intrigante, a tratti difficile, ma capace di dare ai lettori vertiginose aperture su questioni attualissime e scottanti, dagli scenari pandemici, alle crisi energetiche, all'esaurimento delle risorse, alla retorica della green economy.
Ogni affermazione riportata è documentatissima e non manca alla fine del libro un ampio repertorio bibliografico che per i lettori che vogliano accedere direttamente alle fonti menzionate + una vera e propria miniera. Lo si può considerare una lucida narrazione del disastro prossimo venturo.

Questo scrivono i due autori nella loro premessa:


"Questo libro è una creatura strana. Nasce da una newsletter, 'MEDUSA - Storie dalla fine del mondo', che abbiamo iniziato qualche anno fa, scrivendo ogni due settimane di natura e società, letteratura e ambiente.
Ci sembrava che in Italia, nel nostro panorama culturale, si parlasse troppo poco di crisi ecologica e climatica e che, quando se ne parlava, se ne parlava ricorrendo al linguaggio tecnico, o prescrittivo, oppure ancora  in termini spesso riduttivi. Il numero zero di MEDUSA è dell'ottobre 2017. Da allora è cambiato il mondo; Com'è ovvio, è cambiata anche la sua fine, e le storie della fine. Mentre scrivevamo, abbiamo assistito alla più grande protesta ambientalista di sempre e alla prima pandemia del secolo. Nel frattempo la newsletter ha raccolto una comunità di lettori attenti che ci ha portato a conoscere libri e persone, e ci ha spinto più di una volta a cambiare idea sulle cose.
Dopo quasi cento numeri, ci è sembrato finalmente chiaro che tutto quello che avevamo scritto su questi temi - per MEDUSA e per altri libri e riviste - fosse connesso in un racconto più ampio, una storia che abbiamo provato a ricomporre, e poi completare, qui dentro.
Anche per questo, abbiamo scelto di unire le nostre due scritture in una sola voce e di usare la prima persona singolare: da qui in poi, siamo un io.
" (p. 7)


(Seconda di copertina) I roghi, le alluvioni, l'aria intossicata, le estinzioni di massa, la pandemia. L'emergenza climatica ci sta abituando a disastri ecologici che sono sintomi di una catastrofe già in atto. Mentre l'universo politico discute di green economy e capitalismo sostenibile occorre iniziare a misurarsi con dubbi finora impensabili: siamo davvero sull'orlo dell'estinzione? Com'è possibile sopravvivere su un pianeta che sta esaurendo le sue risorse? Quali legami si possono ancora tessere nel pieno di uno stravolgimento che non è solo ambientale, ma anche filosofico, sociale e morale? Nato dall'omonima newsletter bisettimanale che in quattro anni ha raccolto migliaia di iscritti, "Medusa. Storie dalla fine del mondo (per come lo conosciamo)" è un viaggio che dalla cima del Pirellone vi porterà alla Gola di Xiling, e poi ancora lungo le rive del Mississippi e nelle grotte di Tora Bora, nel verde amazzonico e nel petrolio nigeriano, tentando l'ultimo rito che resta di fronte al disastro: raccontarlo.

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13 luglio 2022 3 13 /07 /luglio /2022 10:53

Una mia piccola recensione risalente al 2014 e pubblicata solo nel mio profilo Facebook, scritta tuttavia a distanza di molti anni dopo aver visto il film (e, probabilmente, solo quando ebbi finito di leggere il romanzo breve omonimo).

Il Nascondiglio (Pupi Avati, 2007), locandina film

Nel 2007 ebbi occasione di vedere un bel film diretto da Pupi Avati, Il Nascondiglio, con Laura Morante nella parte dell'interprete principale diretto dallo stesso Pupi Avati. Qualche anno dopo, nel 2014, ho finalmente letto il romanzo breve, scritto dallo stesso Avati e uscito nelle librerie pure nel 2007: un classico caso, per me di libri acquistati alla loro prima comparsa in libreria e poi letti a distanza di anni, se non di decenni. In quessta circostanza, nel dilazionarne la lettura, vi fu in me il desiderio di stemperare, quanto più fosse possibile, il vivo ricordo delle sequenze cinematografiche e quindi quello di potermi approcciare al testo scritto, quasi fosse un novum.
Del film si può leggere una trama doviziosa in wikipedia:
Parlare del film o del libro è quasi la stessa cosa, poiché dal punto di vista del contenuto sono pressoché identici. Del libro, edito da Mondadori (Piccola Biblioteca Mondadori), attualmente in rete ve ne sono scarse tracce (se non su Amazon dove lo si può acquistare di seconda mano). Come se fosse scomparso. Mi chiedo perchè. Anche l'inizio della carriera di Pupi Avati come scrittore nelle note biografiche attualmente rinvenibili in rete, è posticipata ad anni successivi. Forse perchè, il Nascondiglio altro non è che un canovaccio della sceneggiatura, risistemato come una prova narrativa.
Ma, in effetti, andando a guardare la nota biografica su Pupi Avati in Wikipedia, il romanzo breve in questione è menzionato nell'elenco delle sue opere letterarie. Dilemma risolto.
Quella narrata nel libro e nel film è una storia che si sviluppa secondo diverse possibilità a partire dal tema della casa "stregata" o abitata da presenze oscure: una casa che nasconde atroci misteri e che "parla" alla protagonista, che vi si è insediata a vivere, attraverso le condutture del sistema di aereazione.
Gli snodi possibili sono diversi: potrebbe trattarsi di fantasmi, di presenze occulte, oppure di allucinazioni e del delirio della protagonista, ma nella piccola cittadina di Davenport Dove si trova ubicata l'antica casa c'è molta omertà relativamente ad un fatto di sangue, accaduto anni prima proprio in quella cupa dimora. E nello stesso tempo ci sono degli scheletri nell'armadio della protagonista, legati al suicidio del marito di cui lei si sente responsabile, e che ora è sepolto proprio in questa cittadina del Midwest.
Solo alla fine il mistero si chiarirà, ma tutto riprecipiterà nell'oblio determinato dall'omertà e dalla volontà di coprire le responsabilità di chi in origine diede vita a tutto.
Il romanzo breve e scorrevole si legge bene, ma la cosa più interessante è la nota di chiusura in cui Pupi Avanti racconta la genesi dell'idea, partire dalla scoperta di un luogo realmente esistente che ebbe modo di visitare negli Stati Uniti durante le riprese degli esterni di un altro suo film ad ambientazione statunitense sulla vita del famoso cornettista jazz Bix Beiderbecke (lavoro che porto avanti assieme al fratello e che poi si trasformo anche in un bel libro edito da Frassinelli, Bix): si tratta del luogo che ispira la lugubre "Snakes Hall". Questa scoperta fu seguita poi da una serie di curiose coincidenze che l'hanno portato a scoprire una storia realmente accaduta che poi l'avrebbe ispirato.

 

Pupi Avati - quarta di copertina del romanzo "Il nascondiglio", edito da Mondadori (2007)

L'autore. Pupi Avati inizia la sua carriera artistica nel jazz come clarinettista, fa parte infatti della Reno Jazz Gang con cui incide anche qualche disco, gruppo che abbandona dopo l'ingresso nella band di Lucio Dalla con cui rimane grandissimo amico e che collaborerà a vari film di Avati. Lavora poi per quattro anni alla Findus surgelati, anni che considera i peggiori della sua vita.
Intraprende poi la via del cinema e riesce a collaborare alla sceneggiatura di Salò e le 120 giornate di Sodoma di Pasolini. Come regista gira alcuni horror tra cui nel 1976 La casa delle finestre che ridono.
L'anno successivo esce Bordella, una commedia che ha tra gli interpreti un giovanissimo Christian De Sica. Da ricordare anche la regia televisiva di uno speciale dedicato ai Pooh.
Inizia poi a girare una serie di successi: da Una gita scolastica a Impiegati a Regalo di Natale. Regie televisive e cinematografiche si alternano, così come la scrittura di libri tratti dai suoi stessi film.
Tra i suoi libri ricordiamo: Gli amici del bar Margherita (2009), Una sconfinata giovinezza (2010), Il ragazzo in soffitta (2015).

Il nascondiglio. Libro e film di Pupi Avati, propongono una rivisitazione del tema gotico della haunted house
Il nascondiglio. Libro e film di Pupi Avati, propongono una rivisitazione del tema gotico della haunted house
Il nascondiglio. Libro e film di Pupi Avati, propongono una rivisitazione del tema gotico della haunted house
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15 giugno 2022 3 15 /06 /giugno /2022 07:02

Ho scritto questa breve nota il 14 gigno 2019 e mai l'ho pubblicata in questo blog. Eccola.

Irvin D. Yalom, Chiamerò la polizia, Neri Pozza

Irvin D. Yalom, che nel corso della sua pratica psicoterapeutica ha elaborato il concetto di "psicoterapia esistenziale", nei suoi libri unisce l'esperienza clinica con un grande capacità di story teller.
Molti puristi della letteratura e i cultori della letteratura "colta" e "d'avanguardia" (metti, ad esempio, quelli della redazione di Fahrenheit che hanno un po' la puzza sotto il naso) diranno che le sue narrazioni sono semplicemente di consumo, banalizzazioni della vita e della psicoterapia. Devo dire invece (da persona che ha praticato la psicoterapia) che i romanzi di Yalom mi hanno sempre appassionato, quasi mai annoiato.

Il suo "Chiamerò la polizia" (titolo originale: I'm Calling the Police, nella traduzione di Serena Prina), pubblicato da Neri Pozza (Collana Piccola Biblioteca Neri Pozza, 2018), è un racconto, invero, brevissimo.
E di cosa parla? Essenzialmente del superamento del silenzio persistente tra due amici di lungo corso e del disvelamento di una "zona cieca" da parte di uno dei due su un suo pezzo importante di vita vissuta.
E questo superamento rappresenta un punto di svolta davvero importante, poiche solo il superamento di un "segreto" consente al soggetto di realizzare una condizione esistenziale piena e consapevole, equilibrata. Si tratta del silenzio di uno dei due amici, Bob, che si è rifugiato nella sua pratica ossessiva di brillante cardiochirurgo per non dover mai pensare al sua passato di sopravvissuto della Shoah; e di quello del narratore che figlio egli stesso di Ebrei emigrati prima della Shoah ha sempre coltivato un rifiuto intenso - quasi fobico - a confrontarsi con tutto ciò che fosse attinente con lo sterminio nazifascista degli Ebrei. L'impossibilità di dare libero corso al racconto è fatta infatti di due silenzi, di due diverse modalità di rimozione - se non di negazione -  che s'intrecciano tra loro e si potenziano. Accade, tuttavia, ed è questa l'essenza del racconto che i due abbiano occasione di parlare e che il sopravvissuto alla Shoah, sensibilizzato da una recente esperienza (che ha fatto da trigger per il riemergere del rimosso), decide di raccontare tutto il suo passato all'autore (o al suo alter ego del racconto). E il narratore questa volta si apre all'ascolto, rendendosi disponibile e superando così la sua fobia.
Il breve - intenso - racconto è completato da un'intervista con l'autore che parla di se stesso e delle sue esperienze come psichiatra, come psicoterapeuta e come scrittore, e del loro intrecciarsi.

 

(Soglie del testo) «Avevo quindici anni. Ero scappato da una colonna di prigionieri che i nazisti stavano portando dal ghetto alla stazione, per deportarli, ed ero riuscito a tornare a Budapest, dove vivevo fingendomi cristiano grazie a documenti d’identità falsi. Tutti i membri della mia famiglia erano stati già arrestati e deportati».

 

(Quarta di copertina) "Mi sta capitando qualcosa di serio... Il passato sta erompendo... Le mie due vite, la notte e il giorno si stanno unendo. Ho bisogno di parlare".
Con queste parole il vecchio compagno di studi di Irvinn D. Yalom, Bob Berger lancia all'amico una richiesta di aiuto.
Da troppi anni, infatti, Bob vive due vite: una diurna come cardiochirurgo affabile, scrupoloso e infaticabile, e una notturna, quando i brandelli di orribili ricordi si fanno largo nei suoi sogni. Yalom sa che è giunto il momento di accompagnare l’amico fin dentro il suo incubo. Nei loro cinquant’anni di amicizia, Bob Berger non ha mai rivelato ad anima viva il suo passato di rifugiato di guerra sopravvissuto all’Olocausto, arrivato fino a Boston da solo, come profugo, all’età di diciassette anni, dopo essere sfuggito ai nazisti fingendosi cristiano. Ora è giunto il momento di affrontare i propri demoni. Insieme, Yalom e Berger interpretano i frammenti di una storia che, per essere esorcizzata e finalmente dimenticata, va affrontata in tutti i suoi più intimi risvolti psicologici.

 

Hanno detto:
«Irvin Yalom è uno psichiatra che pensa come un filosofo e scrive come un raffinato romanziere» - Rebecca Newberger Goldstein
«Yalom è uno studioso della condizione umana. La sua voce mescola meraviglia e umiltà» - Boston Globe

Description	Ирвин Ялом. Москва 2014. Source	Own work Author	User:Masangina

L'Autore. Irvin D. Yalom, nato in una famiglia ebraica il 13 giugno 1931, è cresciuto in un ambiente povero.
Si laurea Bachelor of Arts alla George Washington University nel 1952 e Doctor of Medicine alla University School of Medicine di Boston nel 1956.
Si specializza al Mount Sinai Hospital di New York, e presso la Clinica Phipps del Johns Hopkins Hospital a Baltimora completa la sua formazione nel 1960.
Dopo due anni di servizio nell'esercito al Tripler General Hospital di Honolulu, Yalom inizia la carriera accademica presso la Stanford University nella quale entra nel 1963 per restarvi fino al 1968.
Oggi insegna Psichiatria alla Stanford University e vive e svolge il suo lavoro di psichiatra a Palo Alto, in California.
All'attività clinica ha affiancato quella di scrittore, che gli ha permesso di ottenere successi e gratificazioni importanti (soprattutto con il suo romanzo E Nietzsche pianse, i cui titolo è successivamente stato ritradotto da Neri Pozza in Le lacrime di Nietzsche).
Tra gli altri suoi romanzi, pubblicati da Neri Pozza, ricordiamo: La cura Shopenhauer (2005), Il problema Spinoza (2012), Il dono della terapia (2014), Sul lettino di Freud (2015), Creature di un giorno (2015), Il senso della vita (2016), Fissando il sole (2017), Diventare se stessi (2018) e Chiamerò la polizia (2019). Ha scritto anche un saggio uscito per Neri Pozza Psicoterapia Esistenziale (2019).
Per Raffaello Cortina è uscita la sua raccolta di racconti Guarire d'amore. Storie di psicoterapia (2015).

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7 gennaio 2022 5 07 /01 /gennaio /2022 17:08
H. P. Lovecraft, I taccuini di Randolph Carter, Einaudi, 2021

Howard P. Lovecraft è stato una delle mie passioni giovanili. La lettura dei suoi racconti è entrata trionfalmente nel mio scenario mentale subito dopo l’esplorazione dei territori di Edgar Allan Poe.
I suoi racconti mi hanno colpito a dismisura e alcuni dei suoi incubi sono divenuti materiale dei miei stessi incubi notturni, quando mi svegliavo di botto, sudato e con il cuore impazzito.
Lovecraft è uno scrittore che parla di orrori viscerali: egli, con le sue costruzioni da corpo ai suoi deliri ipocondriaci, mettendoli fuori da sé. Spesso egli si ispirava ai suoi stessi sogni, tanto che alcuni lo hanno definito un “onironauta”.
Ma l'aver maneggiato questi materiali nel suo laboratorio di scrittura creativa e averli esternalizzati, non fu per lui un modo sufficiente per liberarsene del tutto: non bisogna dimenticare che il Solitario di Providence - come egli venne definito -, alla fine, cedette ai suoi stessi deliri ipocondriaci che presero a brulicare dentro di lui fino a causarne la morte per tumore intestinale.
Il mio furore per i libri mi ha portato ad impossessarmi, nel corso degli anni, di svariate edizioni delle sue opere, saggi, epistolari e biografie. Di quando in quando mi piace rivisitare qualcuno dei suoi racconti e ogni volta provo gli stessi brividi alla schiena e l’attrazione-repulsione quasi febbrile determinata dalle sue parole e dalle sue architetture narrative, allucinate e deliranti.

Di recente Einaudi ha pubblicato nella collana Letture Einaudi (2021), I taccuini di Randolph Carter, un’edizione critica preceduta dall’esaustiva prefazione del curatore Marco Peano. In questo volume sono stati raccolti i racconti che vedono come narratore-protagonista Randolph Carter, anch’egli scrittore interessato al paranormale e all’occulto e, sostanzialmente, alter ego di Lovecraft.
Questi racconti sono in sé dei gioielli del Gotico e prototipo dell’horror kinghiano.
Le parole di Randolph Carter introducono gradatamente il lettore in una marcia di avvicinamento stringente all’orrore più puro che in quanto tale rimane indicibile ed indescrivibile e può essere visualizzato (e immaginato) solo attraverso i suoi effetti negli incauti esploratori dell’occulto (e di onironauti) che vi si imbattono per curiosità estrema e perniciosa, per desiderio di conoscere o per totale stoltezza.
La scrittura di Lovecraft è sempre eccellente e si presta benissimo alla declamazione ad alta voce.

Mi sento di consigliare questo piccolo volume a quanti desiderassero cominciare ad esplorare l’universo narrativo del Solitario di Providence.

 

(Dal risguardo di copertina) «La prima volta che Randolph Carter fa la sua comparsa è in un breve racconto datato 1919. Come spessissimo accade in Lovecraft, la scintilla creativa che ha dato origine alla scrittura va rintracciata in un sogno; la sua inarrestabile vita onirica lo spinse col tempo a darsi un compito: afferrare l'impalpabilità delle visioni prodotte dal suo subconscio per poter riversare ogni cosa sulla pagina. Svegliandosi nel pieno di un incubo - con le immagini ancora vivide impresse nella memoria, cercando di prolungare a dismisura lo stato di dormiveglia - si metteva a scrivere tutto quanto riuscisse a ricordare prima che svanisse ogni traccia. E fu cosí che in una notte di dicembre Lovecraft sognò, e poi trascrisse sul suo taccuino nella maniera piú accurata possibile, la storia di un uomo (se stesso, a cui avrebbe dato il nome di Randolph Carter) che insieme a un amico si avventura in un cimitero spingendosi «nelle spire del puro orrore». Il suo alter ego piú importante era appena nato». - dalla prefazione di Marco Peano

Noto soprattutto per i «Miti di Cthulhu», Lovecraft ha parallelamente edificato un universo di altipiani desolati, lande sterminate, abissi senza fine, giardini lussureggianti e antiche rovine. Un paesaggio inafferrabile eppure concretissimo che testimonia un passato fatto di palazzi dalle guglie dorate e di mari tempestosi a cui si può accedere soltanto sognando. Sono luoghi dove la nostalgia e il fantastico compongono un impasto unico e prezioso. È proprio in questo contesto che si muove e agisce Randolph Carter, riconoscibilissimo alter ego dell’autore e protagonista di un ciclo di storie composte tra il 1919 e il 1932: questo volume vuole illuminare una zona meno esplorata della narrativa di Lovecraft, quella onirica, dove l’orrore è soltanto suggerito, bisbigliato, intravisto. Un tassello fondamentale nel percorso di un autore che non cessa di parlare al nostro presente.

Stelle si dilatarono fino a farsi albe e albe esplosero in fontane d'oro, carminio e viola - e ancora il sognatore cadeva

Howard Philip Lovecraft

L'autore. H. P. Lovecraft (Providence, Rhode Island, 1890-1937) è uno scrittore statunitense. Influenzato da Poe e dalla tradizione «gotica», pubblicò su riviste specializzate le sue storie di orrore e di fantascienza, raccolte in volume soltanto dopo la morte, quando fu finalmente annoverato tra i geniali creatori del «fantastico» contemporaneo. Il richiamo di Chthulhu (The call of Chthulhu, 1929) è il più famoso di una serie di racconti in cui compaiono i Grandi Anziani, divinità preistoriche in grado di superare le barriere spazio-temporali, mentre La casa delle streghe (The dreams in the witch house, 1932) narra la storia di uno studente di fisica quantica che dalla propria stanza s’inoltra negli abissi di un’America visionaria. Tra le altre opere più note sono L’orrore di Dunwich (The Dunwich horror, 1927) e Le montagne della follia (At the mountains of madness, 1936) che si apre su paurosi paesaggi onirici, rivelando il debito di L. verso il Gordon Pym di Poe. L. è anche l’autore di un importante saggio sul «fantastico», L’orrore soprannaturale in letteratura (Supernatural horror in literature, 1927).

 

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16 dicembre 2021 4 16 /12 /dicembre /2021 10:47

Questo mi ritrovai a scrivere, una decina di anni fa (il 16 dicembre 2010) in occasione di una nuave edizione (con nuova traduzione) di un classico autobiografico di Jack London

Jack London, John Barleycorn, Mattioli 1885, 2010

Per chi ama la grande scrittura di Jack London, è uscita il 9 dicembre 2010 una nuova edizione di John Barleycorn. Memorie alcoliche,  curata da Davide Sapienza uno dei massimi conoscitori dell'opera del grande scrittore nordamericano, per l'editore Mattioli 1885, che sta ripubblicando vere e proprie chicche di London In questo testo,  per la prima volta dato alle stampe nel 1913, vi è l’autobiografia di un bevitore (rispecchiante senza pudori le personali esperienze dell'autore), dal rifiuto dell’alcol all’impossibilità di vivere senza, sino alla difficile vittoria finale.

"Il John Barleycorn di queste pagine è un vero e proprio personaggio che si incunea nella personalità, che spezza in due l'essere umano, che lo aiuta ad auto ingannarsi: una figura che appartiene alla vita di milioni di persone e non per forza sotto forma di dipendenza dall'alcol (la lobotomia della televisione odierna, è probabilmente il nostro John Barleycorn più insidioso che addormenta le coscienze e distrugge i sentimenti profondi). London scrisse John Barleycorn consapevole di dare scandalo, perché mai prima di allora uno scrittore così famoso aveva fatto un simile coming out nel nome del popolo, che nel libro egli definisce come la sua ultima illusione" (dalla prefazione di Davide Sapienza)

Alla sua uscita, l'opera di Jack London ebbe una vasta risonanza; sia perchè per la prima volta un bevitore veniva allo scoperto raccontando la sua esperienza sino al punto dell'"aver toccato il fondo" (esperienza negata alla fine del testo dallo stesso autore: "Ma la mia non è la storia di un ubriacone redento. Non sono mai stato un ubriacone e non mi sono mai redento", p.248, edizione 1980), sia perchè il suo contenuto s'innestava sulle campagne moralizzatrici tendenti a ridimensionare, nella società anglosassone e nordamericana del tempo, l'abuso alcolico, in cui faceva comodo indubbiamente rappresentare lo stesso Jack London come un ubriacone perso. Vedi ad esempio l'azione pressante in questo senso dell'Esercito della Salvezza negli Stati Uniti od anche il movimento dei tee-totallers in Gran Bretagna.

Infatti,  "...ministri di culto lo considerarono [e lo citarono come - nda] una lezione morale contro l'alcoolismo, movimenti a favore della sobrietà, organizzazioni proibizionistiche, leghe antisaloon, ne fecero proprio l'assunto, ne stamparono stralci in opuscoli che diffusero a centinaia di migliaia di copie... Dal libro fu tratto un film; i distillatori impegnarono grosse somme di denaro per farlo sopprimere (...) Benchè vi avesse dipinto la sua vittoria sull'alcool, il pubblico che così spesso stravolge il senso di ciò che legge, bollò Jack London come un ubriacone..." (da un commento di Irving Stone, citato in quarta di copertina dell'edizione italiana del 1980, per i tipi di Serra e Riva Editore, con la traduzione di Stefania Bertola).

Mitografia di John Barleycorn

Il titolo del romanzo autobiografico di Jack London è, peraltro, cogente ed evocativo, sia perchè si innesta nella cultura pop-rock, sia perchè affonda le sue radici nel mito e nelle credenze arcaiche del mondo contadino.

John Barleycorn (letteralmente: John Grano d'Orzo) è un album della progressive rock band inglese Traffic, pubblicato nel 1970. Il brano dell'album che dà il titolo alla raccolta è l'arrangiamento di una ballata tradizionale inglese e, per chi si ricorda, venne anche incluso nella colonna sonora del film Nirvana di Gabriele Salvatores.

"John Barleycorn" è una ballata tradizionale diffusa in Inghilterra e in Scozia, incentrata su questo personaggio popolare, che è poi lo spirito e la personificazione della birra e del whisky.
Del testo della canzone esistono diverse versioni, raccolte in varie epoche, a partire dal 1600, tra cui una versione più ampia curata dal poeta nazionale scozzese Robert Burns. Di seguito, si può leggere la traduzione del brano nella versione più comune, quella usata dai Traffic. Molti altri cantanti e gruppi inglesi hanno comunque interpretato questo pezzo tradizionale: gli Steeleye Span, Martin Carthy, John Renbourn e altri.
Nella canzone tradizionale inglese confluiscono miti, credenze e usanze scaramantiche che arrivano direttamente dagli albori della civiltà, dall'inizio della civiltà contadina, usanze che sono state seguite in Inghilterra in queste forme fino ai primi decenni del '900.

 

C'erano tre uomini che venivano da occidente, per tentare la fortun
e questi tre uomini fecero un solenne voJohn Barleycorn deve morire
loro avevano arato, avevano seminato, loro avevano dissodato
e avevano gettato zolle di terra sulla sua testa
e questi tre uomini fecero un solenne voto
John Barleycorn era morto
lo lasciarono giacere per un tempo molto lungo, fino a che scese la pioggia dal cielo
e il piccolo sir John tirò fuori la sua testa e lasciò tutti di stucco
loro l'avevano lasciato steso fino al giorno di mezza estate e fino ad allora lui era sembrato pallido e smorto
e al piccolo Sir John crebbe una lunga lunga barba e così divenne un uomo
loro avevano assoldato uomini con falci veramente affilate per tagliargli via le gambe
l'avevano avvolto e legato tutto attorno, trattandolo nel modo più brutale
avevano assoldato uomini con i loro forconi affilati che avevano conficcato nel (suo) cuore
e il carrettiere lo trattò peggio di così
perché lo legò al carro
e andarono con il carro tutto intorno al campo finché arrivarono al granaio
e fecero un solenne giuramento sul povero John Barleycorn
assoldarono uomini con bastoni uncinati per strappargli via la pelle dalle ossa
e il mugnaio lo trattò peggio di così
perché lo pressò tra due pietre
e il piccolo Sir John con la sua botte di noce e la sua acquavite nel bicchiere
e il piccolo sir John con la sua botte di noce dimostrò che era l'uomo più forte dopo tutto
il cacciatore non può suonare il suo corno così forte per cacciare la volpe
e lo stagnaio non può riparare un bricco o una pentola senza un piccolo (sorso) di grano d'orzo.

Il significato metaforico del testo è abbastanza chiaro: è una allegoria della produzione del whisky, "nettare" in cima ai desideri alcolici degli inglesi, dalla semina fino al raccolto; ma perché il piccolo John Barleycorn deve essere ucciso, e perché in questo modo brutale? E dopo essere diventato un uomo?

Sembrerebbe che, nella ballata, convergano delle rappresentazioni ben più antiche sulla morte e la rinascita, collegate agli antichi riti pagani della fertilità.

La copertina dell'album dei Traffic

John Barleycorn così è la personificazione dello "spirito del grano", che si ritrova in tutte le società agricole fin dalla preistoria, a volte in forma maschile a volte in forma femminile (la madre del grano).

Lo spirito del grano è la spiegazione mitica del mistero contenuto nel continuo rinnovarsi della vita: dai semi del grano vecchio (che muore) nascerà l'anno successivo il nuovo raccolto.

La nascita del grano nuovo, e quindi del cibo, fonte principale e quasi unica di sostentamento e vita nella civiltà contadina, non era certo un fatto secondario: giustificava attenzioni particolari, fino a sacrifici propiziatori rituali, in alcuni casi anche umani, o, più tardi, a rappresentazioni allegoriche degli antichi sacrifici.

Perché lo spirito del grano doveva morire? Era una metafora del ciclo della mietitura, il grano crescente doveva essere mietuto, quando finiva era finito il raccolto; il mietitore che mieteva l'ultimo covone simbolicamente uccideva il raccolto di quell'anno, e quindi, così facendo, uccideva lo spirito del grano, prendendo in qualche modo su di sé la sventura della fine della vita e della morte.

Ma lo spirito sarebbe rinato l'anno dopo, bastava sincerarsi che morisse in modo certo per garantirne la rinascita: per questo motivo doveva essere inscenata una uccisione simbolica e inappellabile (nella canzone è il "voto solenne"), con le forme e la brutalità del sacrificio.

Le modalità simboliche dell'uccisione descritte nella canzone sono proprio quelle in uso nelle campagne inglesi del Devonshire e della Scozia fino ai primi decenni del '900.

 

Jack London: John Barleycorn. Memorie alcoliche (ed. Mattioli 1885)

 

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15 aprile 2021 4 15 /04 /aprile /2021 22:03

La sera stavano distesi sulle loro brande (...) ammazzavano il tempo infiammando scorregge, cosa che ai loro occhi era "uno sport nazionale svevo".
Eisbrand spiegò a Fussman come funzionava: "Ti stendi sulla branda su di un lato, pieghi la gamba come fanno i cani mentre tieni un accendino acceso vicino ai pantaloni. Ne molli una e il gas che fuoriesce dalla stoffa si infiamma, capi'?"
Il fenomeno ricordava il lancio di un razzo e, a seconda della quantità e della spinta dei gas si potevano osservare delle notevoli fiammate. Eisbrand era il detentore del record assoluto. Dopo una 'fagiolata'aveva mandato un'imponente 'fiaccola' di più di venti centimetri, ma da allora la sua "rosellina" gli bruciava come il fuoco.

"Bruciatura di terzo grado all'ano", queste le parole del dottor Leimtraut che con Eisbrand lesinava sulla pomata per ferite.

da Thor Kunkel, Pornonazi, Fazi Editore, p. 349

scorreggia infuocata (internet)

Questo passaggio (dal romanzo "Pornonazi") che ha suscitato la mia ilarità mi ha fatto ricordare due episodi.

In uno, molti anni fa - ero ancora studente - ero a casa di amici inglesi a Sheffield nello Yorkshire. Eravamo riuniti nel soggiorno, la mia "fidanzata" di allora, la sorella e il ragazzo di lei, e altri. Si parlava del più del meno e si mangiavano dei dolciumi posti in apposite ciotole. All'improvviso nel bel mezzo della conversazione, il ragazzo della sorella che era un tipo lungo e allampanato con i capelli lunghi e sottili tenuti assieme in una coda si alzò improvvisamente in piedi, levò il alto il braccio con il dito indice teso verso il soffitto e lampiò un pirito (o peto) potente e rumoroso (di quelli che si possono definire "sfardalenzuoli"), dopo di che si sedette - nell'indifferenza generale - e continuò la sua conversazione.
Nel secondo episodio di non molto tempo dopo (anche qui ero ancora studente), stavamo facendo una cena casalinga tra amici (frequentavo allora  una compagnia di un mio cugino, ed erano tutti più giovani di me di qualche anno). All'improvviso uno di loro (ricordo chi,ma non dirò il nome) si alzò da tavola e si buttò a terra di schiena, allargando e sollevando le gambe le gambe.
"Presto, fate presto! - disse - Datemi un accendino!".
Qualcuno glielo porse con concitazione e lui lo prese, lo portò vicino alla cucitura del cavallo dei pantaloni lo accese e ... una fiamma colorata di arancione si dipartì dal suo culo, una vera e propria vampa (ma senza alcun rumor di tuono): un effettaccio pirotecnico! E ci furono sghignazzate e meraviglia, ovviamente.
D'altra parte in  quegli anni la "scienza" delle scorregge e la loro frequentazione  ludica era parte del gioco. E, in fondo, si trattava di un'attività sociale...a cui nessuno poteva sottrarsi... in applicazione del ben conosciuto proverbio la cui formula base, pur con tutta una serie di varianti, era "Chi non piscia in compagnia o fa il ladro o fa la spia".

In tema vedi anche i seguenti articoli

Alla partenza di una maratona i subdoli artiglieri sono tra noi (30 aprile 2015)

Il contrapasso del subdolo artigliere (2015)

Vanvere e piritere: così sappiamo cosa stiamo facendo quando parliamo a vanvera (2013)

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15 aprile 2021 4 15 /04 /aprile /2021 11:08
Il simbolo del rischio biologico

"Pandemia" di Lawrence Wright (titolo originale: The End of October, nella traduzione di Elena Cantoni e pubblicato da Piemme nel 2020) è un ottimo romanzo scritto da un premio Pulitzer per il giornalismo d'inchiesta
Già, perché in una cornice fiction, contiene tutte le tematiche che ruotano attorno ad un evento pandemico e all'evento pandemico che ci afflige in particolare.

"Pandemia" è un thriller attualissimo sulle conseguenze devastanti di una pandemia. Così viene presentato dalla casa editrice quest'opera fiction da parte del giornalista statunitense Lawrence Wright, già insignito del Premio Pulitzer nel 2007, autore del saggio-inchiesta "Le altissime torri" sull'attentato alle Twin Towers e di un saggio sul terrorismo nel XXI secolo a partire da Osama Bin Laden.
Wright è avvezzo al giornalismo d'inchiesta e in quest'opera non tradisce la sua vocazione. Infatti, pur essendo l'impianto dell'opera di tipo fictional, tuttavia egli trasfonde nelle sue pagine una documentata conoscenza sulle diverse tematiche che sono state attivate dall'attuale pandemia da Covid 19. In questo senso, se da un lato si presenta nella confezione di un "medical thriller", dall'altro lato introduce temi di attualità politica con una mascheratura "fantapolitica".
La specifica pandemia di cui si tratta nel romanzo è fiction, mentre i meccanismi della diffusione, i tentativi di arginarla, i dibattiti politici, i tentativi di minimizzare o di amplificare, le menzogne e le finte verità, gli scontri tra nazioni sino alle più vivaci tesi complottiste hanno le loro radici nell'attualità.
Mi sono accostato a "Pandemia" per curiosità ed anche per tenermi aggiornato sul tema: avendo già letto con grande foga ed interesse "Spillover" di Quanmen devo riconoscere che è davvero notevole lo sforzo di Wright nel costruire un romanzo, per così dire, didascalico e quasi pedagogico sull'argomento attualissimo delle pandemie.
Ma devo anche riconoscere che come romanzo gli manca qualche ingranaggio, nel senso che il meccanismo narrativo non è fluido e, a volte, sembra incepparsi: forse proprio perché l'autore non riesce a discostarsi dal suo obiettivo pedagogico ed informativo, mettendo in scena dei personaggi che rimangono sostanzialmente asettici e privi di anima.
Ne suggerisco la lettura,in ogni caso, soprattutto se abbinata a "Spillover" che, per quanto saggio ed inchiesta giornalistica, si legge davvero come un romanzo.

Lawrence Wright, Pandemia, Piemme, 2020

(Dal risguardo di copertina) All'Assemblea Mondiale sulla Salute a Ginevra viene presentato il caso di una strana influenza sviluppata da poco in un campo profughi a Giacarta, dove nel giro di poche ore si sono verificati 47 decessi. Il dottor Henry Parsons, un epidemiologo di fama mondiale, decide di partire per l'Indonesia dove trova uno scenario apocalittico. Capisce che si tratta di un virus ignoto, letale e caratterizzato da una diffusione rapidissima. Quando viene a sapere che il suo autista è partito per un pellegrinaggio alla Mecca, dove ci sono più di tre milioni di pellegrini, intraprende una corsa contro il tempo per trovarlo e metterlo in isolamento. Ma è troppo tardi. Mentre l'epidemia ormai si sta diffondendo in tutto l'Occidente, tra le due grandi potenze mondiali, Stati Uniti e Russia, la tensione è alta. È vero che questo virus mortale è stato creato in laboratorio dalla Russia con lo scopo di scatenare un conflitto e ristabilire la propria egemonia in Medio Oriente? E che ruolo hanno le armi chimiche nella diffusione di questo tipo di virus?

 

L'autore. Lawrence Wright è un giornalista del New Yorker, drammaturgo, sceneggiatore e autore di dieci libri di saggistica, tra cui Le altissime torri (Adelphi), con il quale ha vinto il Premio Pulitzer nel 2007.
Ha insegnato all'Università del Cairo in Egitto. Vive con la moglie ad Austin, in Texas.

 

 

 

 

 

Lawrence Wright racconta il suo thriller profetico

 

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DSC04695.jpegQuesta pagina è la nuova casa di due blog che alimentavo separatamente. E che erano rispettivamente: Frammenti. Appunti e pensieri sparsi da un diario di bordo e Pensieri sparsi. Riflessioni su temi vari, racconti e piccoli testi senza pretese.

Era diventato davvero troppo dispendioso in termini di tempi richiesti alimentarli entrambi, anche perchè nati per caso, mentre armeggiavo - ancora alle prime armi - per creare un blog, me li ero ritrovati ambedue, benchè la mia idea originaria fosse stata quella di averne uno solo. Infatti, non a caso, le loro intestazioni erano abbastanza simili: creatone uno - non ricordo quale dei due per primo - lo ho "perso" (per quanto strano ciò possa sembrare) e mi diedi alacremente da fare per ricrearne uno nuovo. Qualche tempo - nel frattempo ero divenuto più bravino - il blog perso me lo ritrovai).

Ohibò! - dissi a me stesso - E ora cosa ne faccio?

La risposta più logica sarebbe stata: Disattiviamolo!. E invece...

Mi dissi: li tengo tutti e due. E così feci. E' stato bello finchè è durato...

Ma giocare su due tavoli - e sempre con la stessa effcienza - è molto complicato, ancora di più quando i tavoli diventano tre e poi quattro e via discorrendo....

Con overblog ho trovato una "casa" che mi sembra sicuramente più soddisfacente e così, dopo molte esitazioni, mi sono deciso a fare il grande passo del trasloco, non senza un certo dispiacere, perchè il cambiamento induce sempre un po' di malinconia e qualche nostalgia.

E quindi ora eccomi qua.

E quello che ho fatto - ciò mi consola molto - rimane là e chiunque se ha la curiosità può andare a dargli un'occhiata.

 

Seguendo il link potete leggere il mio curriculum.

 

 


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