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16 settembre 2011 5 16 /09 /settembre /2011 11:10

La-vita-e-una-prova-d-orchestra-Elena-Loewenthal.jpgLa vita è una prova d'orchestra (di Elena Loewenthal, Einaudi 2011) è una struggente meditazione sulle esistenze che si spengono nella nostra modernità ipertecnologica, in cui una Sanità disorientata manitene in vita, accudisce, diagnostica e somministra farmaci, ma che spesso, così facendo, relega gli ammalati terminali, quelli affetti da patologie degnerative e cronicizzanti, i comatosi e quelli che riemergono dal coma, con gravi ed irreversibili deficit neurologici in un limbo senza storia e senza speranza.

Eelna Loewenthal è vissuta per quasi un anno a contatto con queste realtà e dalla sua esperienza è scaturito un vero vademecum per chi vuole vedere il volto nascosto della cura, quello fatto di maliconie, di smacchi, di "disattenzioni" alle storie degli altri, ridotti a numeri e a diagnosi, spesso privati (del tutto involontariamente) dello statuto di persone.
Ho letto questo libro con molta malinconia e tristezza, perchè ha alimentato capitolo per capitolo, paragrafo dopo paragrafo le mie personali riflessioni sulla malattia, sul declino e sulla morte.

Ci è voluto coraggio per andare avanti nella lettura proprio per le risonanze interiori che suscitava in me. Come è spiegato in prefazione, l'autrice partendo da una sua diretta esperienza di osservazione, racconta di casi e di situazioni che preferiremmo tenere sempre al margine della nostra coscienza: cioè tutto quantoattiene alle esistenze liminari di coloro che sono colpiti da malattia gravi ed incurabili, oppure fortemente cronicizzanti (ed invalidanti), oppure semplicemente da quella "malattia" insanabile ed inemendabile che è, al giorno d'oggi, la vecchiaia con quel carico di isolamento e di marginalizzazione - rispetto ai flussi produttivi - che comporta.

Ci sono molto dolore e molta sofferenza nelle pagina della Loewenthal, ma anche un pizzico di speranza nel fatto che, grazie ai molti che con dedizione si occupano di queste esistenze al limite, qualcosa possa migliorare nella loro qualità di vita, anche se spesso c'è ben poco da fare, se non esssere accompagnatori e testimoni di questi molteplici declini. La cosa più temibile che implica il vivere un'esistenza al limite è la cancellazione della propria identità e l'oblio della propria storia che non può essere più ne racconta, nè ascoltata, né ridetta. Infatti, l'unica speranza di vita (pur nel confronto con la morte) è quella di scoprire le "storie" che stanno dietro a ciascun declino: la storia individuale è la via di uscita dalla omologazione, poichè rappresenta sino all'ultimo il salvagente a cui l'ammalato o l'anziano da cui la vita fugge via possono aggrapparsi per non essere trascinati verso la cancellazione del proprio esistere e dell'essere esistiti.

Credo che lo sforzo della Loewenthal sia stato proprio quello di ridare vigore e dignità a queste esistenze devitalizzate.

"Per più di un anno ho frequentato ospedali e sale d'attesa, case dove vivono malati, istituti d'ogni sorta. Ho indossato un camice da volontaria e sono entrata in silenzio nel mondo della malattia: leucemie, traumi cranici, rianimazione, dialisi, pronto soccorso... È stata un'esperienza forte e dolce al tempo stesso, in cui puntualmente, parlando con i malati, ascoltandoli o anche soltanto lanciando un'occhiata nelle stanze d'ospedale, a un certo punto scattava un processo d'immedesimazione potente e inevitabile: ho davanti un malato, ma anche me stessa. E così, per me si è a poco a poco dissolto quel confine invisibile ma nettissimo che separa il mondo "normale" e benestante da quello di chi convive con la malattia. La nostra modernità fatta di benessere ha del resto rimosso la malattia da dentro di sé, l'ha "isolata" in quell'altro mondo che sembra non esistere, finché non lo si incontra. "La vita è una prova d'orchestra" racconta alcuni luoghi e alcune storie di questo mondo, attraverso l'invenzione ma a stretto contatto con la realtà."

Elena-Loewenthal.jpgElena Loewenthal (Torino, 1960) è narratrice e studiosa di ebraistica. Nel corso degli anni ha tradotto e curato molti testi della tradizione ebraica e d'Israele. Tra i suoi numerosi saggi: Un'aringa in Paradiso. Enciclopedia della risata ebraica (Baldini e Castoldi 1997), L'ebraismo spiegato ai miei figli (Bompiani 2002), e Scrivere di sé (Einaudi 2007). Ha inoltre pubblicato i romanzi Lo strappo nell'anima (Frassinelli 2002), Attese (Bompiani 2004), Dimenticami (Bompiani 2006), Conta le stelle, se puoi (Einaudi 2008 e 2010) , Una giornata al Monte dei Pegni (Einaudi 2010), Un'aringa in Paradiso (2011) e La vita è una prova d'orchestra (2011). Per Einaudi ha curato il volume Haggadah. Il racconto della Pasqua (2009). Insegna Cultura ebraica alla Facoltà di Filosofia dell'Università Vita e Salute San Raffaele di Milano e scrive sulla «Stampa».

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8 agosto 2011 1 08 /08 /agosto /2011 19:14

la_pescatrice_del_platani.jpgI libri di Stefano Malatesta si leggono sempre con infinito piacere, perchè si muovono abilmente tra diario di viaggio alla Chatwin, resoconti di incontri con personaggi insoliti e significativi della cultura di un determinato luogo, e ineffabili descrizioni paesaggistiche, con qualche imprevista svolta intimista.
In un certo senso, Stefano Malatesta lo si può considerare un Chatwin nostrano, ma con una differenza che è questa: mentre Chatwin, superando la sua tendenza alla frammentarietà descrittiva e alle esigenze delle cronache diaristiche (i cui appunti preliminari si dice venissero vergati nei famosi moleskine), ha anche prodotto delle opere di ampio respiro (basti pensare al suo capolavoro indiscusso Le vie dei canti ma anche a In Patagonia, Stefano Malatesta per scelta (o per vocazione) è rimasto essenzialmente un pittore di piccoli quadri narrativi e diaristici, poichè la sua dimensione e la sua misura - quella in cui si è sempre mosso pienamente a proprio agio - sono state sempre quelle dell'articolo di cultura "classico", quello che un tempo compariva nella terza pagina dei quotidiani e che, più tardi, è stato spostato al paginone centrale, articoli - per intenderci - da 10 -12.000 battute.
Così, ad eccezione della singolare biografia, esotica e avventurosa,di Paolo Avitabile, un soldato di ventura napoletano del XIX secolo che, dopo aver servito Napoleone Bonaparte, divenne governatore di Peshawar e generale dell'Impero inglese,  e che, per questo fu definito "Il napoletano che domò gli afgani", opera  che ha ricevuto il respiro ampio del saggio storico-biografico, gli altri libri di Malatesta sono delle raccolte tematizzate dei suoi migliori articoli e reportage che si suddivono essenzialmente in due grandi categorie: i racconti di viaggio (e di luoghi) e gli incontri con personaggi, più o meno noti, con un astruttura non rigida: nel senso che il lettore può forgiarsi da sé un proprioordine di lettura, entrando o uscendo dal testo dove meglio crede, anzichè rispettare l'ordine di presentazione dei singoli capitoli.
In queste due tipologie di scrittura Stefano Malatesta si muove davvero da maestro, perchè in poche righe riesce sempre a compendiare l'essenza di quel luogo o di quel personaggio, mettendone in luce con vividezza luci ed ombre, stimolando al contempo la curiosità del lettore a vedere oltre, a documentarsi, ad andare guardare di persona, a rendersi conto, a conoscere, a visitare e ad esplorare - laddove sia possibile.
E questo non è poco, indubbiamente: il pregio di saper indurre il suo lettore al viaggio e all'avventura dell'incontro con il novum, sia esso reale o semplicemente intellettuale.
Non bisogna dimenticare che Stefano Malatesta, come traspare dalla lettura dei suoi testi, non è certamente una persona stanziale, è un viaggiatore, un pellegrino, un camminatore e, quando non lo è fisicamente, lo è dell'anima e della mente: con questa felice combinazione di piani (quello esterno e quello interno), egli riesce a muoversi di continuo nel tempo e nello spazio affascinando il lettore.
I suoi libri che riflettono l'esperienza della sua vita sono tutto questo.
La Pescatrice del Platani e altri imprevisti siciliani (Neri Pozza, 2011), riprende tematicamente il precedente volume "Il cane che andava per mare ed altri eccentrici siciliani": l'uno in continuità dell'altro, sono entrambi dedicati alla Sicilia, ai Siciliani e alla Sicilianità di cui Stefano Malatesta è un fine conoscitore ed estimatore, al punto da aver acquistato un baglio nei pressi di Borgo Bonsignore (Ribera) dove risiede per interi periodi dell'anno e che utilizza come rampa di lancio per avventurarsi per escursioni (spesso a piedi) nel cuore profondo della Sicilia, (dove, tra l'altro, egli avrebbe scritto la maggior parte dei suoi saggi).
Nel recente volume, si nota una differenza rispetto a quello che lo ha preceduto alcuni anni fa. "La Pescatrice del Platani" arriva, tra l'altro, come potrà rendersi conto il lettore attento (desumendo ciò non solo dalla cronologia ma anche da indizi sparsi qua e là nel corpo del testo) dopo un periodo piuttosto prolungato di silenzio scrittorio.
Si intuiscono nelle pagine di Malatesta - alcune decisamente magistrali - la malinconia della fine, l'assetto mentale di un uomo che ha la consapevolezza di essersi avvicinato alla fine (o, comunque, forse per via di una malattia, ha attivato sulle cose ultime una cogente riflessione).
I capitoletti in cui è suddiviso il volume - a loro volta raccolti in una serie di parti "tematiche" - scaturiscono probabilmente da una rieditazione  di contributi giornalistici, come nel caso delle sue precedenti opere, e sono densi di ricordi: l'autore si volge indietro al passato più o meno remoto (dal viaggio in lambretta nel profondo Sud della Sicilia, sino all'affascinante terra di Capo Passero, con una sua fidanzata scandinava nei primi anni della gioventù, sino agli incontri con il "mahatma" Piero Guccione, uno dei più grandi pittori italiani contemporanei noto per le grandiose marine che catturano l'essenza della Sicilia come terra di confine, e con altri illustri rappresentanti di quell'illuminismo operoso che, serpeggiando tra i ranghi di tanta aristocrazia siciliana, ha prodotto eccelsi (tanto quanto eccentrici ed imprevisti) personaggi, come Francesco Alliata o il Duca della Verdura.

Malatesta scava nei suoi ricordi e questi personaggi e gli incontri con essi (con tanti che ha conosciuto e con cui ha parlato di persona, come Sciascia o Camilleri) li fa rivivere in modo vivace e palpitante, dandoci nello stesso tempo una guida e istruzioni per l'approccio all'ampio e fertile testo del territorio siciliano, denso di storia e di cose mirabolantie e al suo uso.

 Così come l'opera di Chatwin In Patagonia è diventa bibbia e guida dei viaggiatori alla scoperta della Patagonia, così i libri di Malatesta potrebbero essere utilizzati come guida "intelligente" e profonda di chi vuole lanciarsi alla scoperta dell'essenza più profonda della Sicilia: e, in questo senso, potrebbero divenire dei libri cult.

C'è anche, però, molta nostalgia: come se lo spirito che anima lo scrittore nell'elaborare queste note è nel guardare all'indietro, scavando nella propria memoria, come se il presente, invece, si fosse fatto per lui un po' più più flebile e sfocato, meno vitale: l'immagine dell'autore che campeggia nella quarta di copertina, in sintonia con tutto ciò, è discreta: un po' sfocata ed evanescente, come se fosse presentata a mo' di ultimo commiato da parte d'una persona che si sente un po' su di una soglia, in bilico tra l'esserci e il non esserci.

malatesta.jpgStefano Malatesta, La pescatrice del Platani e altri imprevisti siciliani, Neri Pozza, 2011
(Presentazione del volume nel sito web della casa editrice) I libri di Malatesta sono di splendida lettura e di difficile definizione. Quando Malatesta si mette in viaggio, possibilmente a piedi, non si sa mai dove vada a parare. Molti racconti iniziano come recit de voyage e finiscono imprevedibilmente da qualche altra parte, in critica letteraria, in ricostruzione storica, in narrazioni di battaglie, in gastronomia, seguendo una sorta di filosofìa del deragliamento: "Chi marcia sempre sulle rotaie fisse - dice Malatesta - finisce nell'ovvio". Lui cerca la terra di nessuno, dove si trova perfettamente a suo agio.
"La pescatrice del Platani" inizia con un viaggio in lambretta da Roma a Capo Passero, in compagnia di una ragazza svedese, attraverso un'Italia bucolica e pastorale oggi scomparsa. E continua con passeggiate a piedi lungo spiagge incantevoli, dove si nasconde il dio Pan, o gite in montagna alla ricerca di un mitico formaggio. Ci sono ritratti di personaggi per bene come Piero Guccione, Leonardo Sciascia, Francesco Alliata, e di personaggi per male come l'arcivescovo di Monreale Cassisa e molti altri ancora. Tutte le storie sono state scritte in un baglio, un'antica masseria profumata di gelsomino che guarda il Mediterraneo, diventato quasi un hotel di passo per molti continentali che scendono nel sud. La sera li potete trovare radunati all'aperto intorno a un enorme tavolo a gustare le deliziose alicette di Sciacca e zucchine e melanzane fritte al momento. Il capitolo più lungo è una sorta di storia dell’isola attraverso le vicende del vino siciliano e inizia così: «È stato solo negli anni Novanta che la Sicilia ha cominciato a sbarazzarsi di tre residui arcaici che si trascinava dietro da tempo immemorabile: il vino tradizionale, la “fuitina” e la grandezza della minchia intesa come tema ricorrente e ossessivo nei discorsi dei siciliani maschi».

Come si vede, un grande libro ispirato
 

 

L’autore del Cane che andava per mare torna a narrare della Sicilia «con la sua scrittura abile, sorniona, sempre elegante». Andrea Camilleri


Nota biografica. Stefano Malatesta è nato a Roma dove si è laureato in Scienze Politiche. Ha cominciato a viaggiare molto presto e da allora non ha mai smesso. È stato viceamministratore di una piantagione di tè alle Seychelles quando queste isole erano una colonia inglese, documentarista di animali, cronista di nera, inviato di guerra. Per la Repubblica scrive da oltre venticinque anni critiche d’arte, recensioni di libri e commenti e soprattutto racconti di viaggio sempre sulle tracce di qualcosa o di qualcuno, riprendendo una certa tradizione del recit de voyage quasi scomparsa nei giornali italiani e oggi fin troppo praticata. Oltre alle  prime guide alla natura in Italia, ha scritto L’armata Caltagirone, Il cammello battriano, Il cane che andava per mare e altri eccentrici siciliani, Il grande mare di sabbia, Il napoletano che domò gli afghani. Dirige la collana di letteratura di viaggio «Il cammello battriano» per la casa editrice Neri Pozza. Il suo prossimo libro, che sarà pubblicato in giugno nelle edizioni Neri Pozza, si intitola La vanità della cavalleria e altre storie di guerra. Ha vinto il Premio Albatros Palestrina, L’Este-Ferrara, il Comisso, il Settembrini regione veneta, il Premio Barzini per il miglior inviato speciale dell’anno e il Chatwin.

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28 luglio 2011 4 28 /07 /luglio /2011 19:27

La-Gabbia-delle-Scimmie.jpgLa gabbia delle sicmmie di Victor Gischler (Meridiano Zero, 2008) è un romanzo noir dalle tinte forti, con un protagonista che, magrado tutto (malgrado la facilità con cui preme il grilletto) è un personaggio in qualche misura "etico".

Charlie Swift, braccio esecutivo di Stan, un mafioso vecchio stampo, che domina i traffci loschi a Orlando (Florida), è fedele e accorto nell'esecuzione dei compiti "speciali" che Stan gli affida, salvo quando è affiancato da un "secondo" incapace di controllarsi e troppo esuberante come appare nella scena di esordio. In quiete, sta assieme ad altri, nel retro d'un locale di cui è proprietario il suo capo: luogo che viene denominato la "gabbia delle scimmie" (da cui il titolo italiano, mentre quello originale, un po' diverso, fa "Gun Monkeys").

Beggar Johnson, capo della mala di Miami, ha deciso di mettere le mani sul territorio gestito da Stan, estromettendo quest'ultimo.

A sorpresa, comincia una vera e propria guerra che sgomina e disperde quasi per intero la squadra di supporto di Stan, che scompare: non si sa se sia vivo o morto. Solo che, nel corso di un'azione precedente, comandata dallo stesso Stan, Charlie era venuto in possesso - come nella migliore tradizione del genere - di alcuni registri che contengono preziosissme informazioni utili o per ricattare o per incastrare Beggar Johnson.

Da qui, si scatena una vera e propria guerra tra gli agenti federali, di cui alcuni - corrotti - fanno il doppio gioco (se non il triplo gioco). Charlie viene a trovarsi esattamente nel centro del ciclone, preso dagli obblighi di fedeltà nei confronti di Stan e dal desiderio di preservare i preziosi registi.

La trama è complessa e avvincente, con delle coloriture pulp, come è nello stile di Victor Gischler e che rimanda ala cinematografia di Tarantino.

Charlie che sa usare la testa, ma anche le armi da fuoco, si lascia dietro una vera e propria carambola di morti (tra cattivi e pseudo-buoni che fanno il doppio gioco). Ma non è unvilain che s'inimica la simpatia dei lettori: anzi, il contrario, perchè sicuramente riesce a conquistarsela: quello che fa - per quanto così sanguinario - lo fa per una giusta causa. Ma anche perchè è inflessibilmente fedele al suo datore di lavoro Stan e, infine, perchè vuole salvarsi la pelle e, in fondo, sogna di una vita migliore e di un possibile riscatto.

Si legge tutto di un fiato, perchè l'azione è incalzante e l'intreccio complesso è incredibilmente ben costruito.

 

"Victor Gischler non si accontenta di spingere al massimo la scrittura, la porta a danzare sull’orlo dell’abisso. Leggerlo è un divertimento selvaggio." (Joe R. Lansdale)

 

Sintesi del romanzo. Un cadavere senza testa nel bagagliaio della sua Chrysler. Un killer psicopatico e maniaco degli esplosivi come collega. Un "lavoretto" facile e pulito che deflagra in un’escalation di violenza. Per Charlie Swift, gangster di Orlando, Florida, questa è ordinaria amministrazione.
Le cose si complicano quando il suo capo Stan, boss incontrastato della mala locale, si ritrova con le spalle al muro: Beggar Johnson, che da Miami controlla la criminalità organizzata di quasi tutto lo Stato, ha deciso di impossessarsi anche del suo territorio.
La banda di Stan viene massacrata e Charlie si ritrova unico superstite della mattanza, ma con i registri contabili dell’impero criminale di Johnson fra le mani, diventando così l’obiettivo di una sfrenata caccia all’uomo scatenata dall’FBI e dalla gang di Miami.
Forte di un congegno narrativo a orologeria, La gabbia delle scimmie incastra ultraviolenza e humour nero, ritmo cinematografico e scene da grandguignol, intreccio narrativo e azione mozzafiato. In questo durissimo romanzo d’esordio che gli è valso la nomination all’Edgar Award, Gischler tiene il lettore incollato a una storia che è come una corsa impazzita su un’autostrada americana.

 

gischlerL'autore. Victor Gischler vive a Baton Rouge, in Louisiana. È autore di sette romanzi tradotti in dodici lingue, è stato a lungo professore di Scrittura creativa presso la Rogers State University, in Oklahoma, ed è sceneggiatore Marvel per fumetti come The Punisher, Wolverine, Deadpool e la nuova serie degli X–Men che ha venduto solo nella prima settimana più di 100.000 copie. Il suo romanzo La gabbia delle scimmie, che è stato nominato come miglior esordio agli Edgar Award, sta per diventare un film a Hollywood.

 

 

 

Titoli pubblicati da Meridiano Zero:

La gabbia delle scimmie

Anche i poeti uccidono

Notte di sangue a Coyote Crossing

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26 luglio 2011 2 26 /07 /luglio /2011 11:53

Le-alpi-nel-mare.jpgWinfried George Sebald, saggista e critico purtroppo, è morto anzitempo in un incidente d’auto: purtroppo, perché voci autorevoli ritenevano che potesse essere candidato ad un Nobel per la letteratura. Dopo quegli scritti che furono editi lui ancora in vita, altri adesso vengono pubblicati postumi, come Campo Santo, ancora non edito in Italia, di cui Adelphi ha offerto di recente un'anticipazione nella collana "Biblioteca minima", con il libretto “Le Alpi nel mare” (2011): una serie di annotazioni d'un viaggio compiuto da Sebald nella montuosa Corsica, naturalmente a piedi, sembrerebbe di poter supporre, tra i centri piu' grossi (come Ajaccio, capoluogo) e cittadine o villaggi sperduti tra i monti impervi. Vissuto in Inghilterra dal 1970, dove era docente di Letteratura Tedesca Contemporanea presso la University of East Anglia di Norwich, Sebald è stato sempre un grande "vagabondo" dell'anima. I suoi libri sono parte d'un testo unico che si va snodando senza soste (forse l’unico che assume una sua autonomia è Austerlitz, anche se poi lo stile narrativo in cui la soggettività dell’Autore è sempre presente nella trama di ricordi e di libere associazioni.

Sebald cammina, si muove in giro, osserva instancabilmente e raccoglie frammenti della realtà che lo circonda, la documenta con delle foto rigorosamente  in B&N, che poi riporta nel suo testo e che sembrano sempre sbiadite e come d'altri tempi, raccoglie documenti suppletivi (quasi ci fosse in lui l'ansia di potere archiviare con dovizie di prove i suoi passaggi esteriori ed interiori) e, mentre così procede, esplora se stesso, i suoi ricordi, le sue conoscenze e la sua cultura con delle escursioni vertiginose negli ambiti piu’ imprevisti che, a volte, lasciano il lettore terribilmente straniato.

La cifra fondamentale della sua scrittura (e delle sue meditazioni)  è un impasto di solitudine, di malinconia e di consuetudine con la morte e con il declino, senza alcuna pretesa di convertire il lettore alla sua visione del mondo, ma soltanto il desiderio di comunicagliela.

Sebald.jpgIntimiste e dolenti, le sue prose diaristiche catturano il lettore, poiché lo riconducono sempre all'universalità della condizione umana.

"Le Alpi nel mare" contiene quattro brevi scritti che,  a mio avviso, come potrà concordare chi conosce abbastanza a fondo le sue opere, rappresentano quattro preziosi vertici della sua poetica e della sua visione del mondo.

Magistrale, per comprendere il suo approccio e di toccarlo vividamente con mano,  il capitoletto “Campo santo” in cui, partendo dalla dolente visita dell'antico cimitero del villaggio còrso di Piana con le sue croci di ferro e le sue lapidi incise e alcune spezzate, Sebald  ci parla delle consuetudini funerarie vigenti nel luogo e delle superstizioni relative e, ovviamente, ci trasmette i suoi pensieri sulla morte e sul declino, ma anche sul rigoglio della vita che, malgrado tutto, torna a riprendere possesso della morte. E, anche quando, Sebald ci parla con malinconia di cose morte ed da tempo andate, deteriorate dal trascorrere del tempo, le fa rivivere, rendendole tremendamente vive e presenti con la precisione quasi fotografica delle sue pennellate.

“Ma nel camposanto di Piana, in mezzo alle esili inflorescenze, agli steli e alle spighe, di tanto in tanto uno dei cari estinti s’affacciava da quei ritratti ovali color seppia incorniciati da un sottile bordo dorato, che nei paesi latini era uso apporre sulle tombe sino agli Sessanta [ndr - Ma, durata anche molto oltre qui da noi in Italia, anzi tuttora consuetudine tuttora piuttosto viva]: un ussaro biondo in uniforme con il colletto alto, una ragazza morta il giorno del suo diciannovesimo compleanno, il viso già quasi cancellato dalla luce e dalla pioggia, un uomo dalle spalle incassate con un gran nodo alla cravatta, funzionario coloniale a Orano fino al 1958, con in testa il chepì di traverso, che era tornato a casa gravemente ferito nell’inutile difesa delle postazioni fortificate nella giungla attorno a Dien Bien Phu”(pp. 33-34)

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22 luglio 2011 5 22 /07 /luglio /2011 18:42

La-festa-di-Orfeo-699x1024.jpg

La Festa di Orfeo (Gargoyle, 2011) – in lingua originale La Fiesta de Orfeo – opera prima narrativa dello spagnolo Javier Sánchez Márquez, è di lettura godibilissima e piena di suggestioni letterarie e cinematografiche (ma anche antropologiche, per non parlare dei riferimenti all’occultismo magico).  

Si colloca, indubbiamente, ad una sorta di incrocio tra letteratura di genere poliziesco (nella tradizione delle indagini della coppia Holmes-Watson) e horror con venature splatter (la scena della “mattanza” di Longtown), ampi riferimenti occultistico-satanici (con la rappresentazione di messe nere dagli inattesi sviluppi porno-horror rasentanti lo snuff, di riti evocativi torbidi, di accurate descrizioni di oggetti che evocano le potenze luciferine e il Maligno), non mancando naturalmente i richiami alle tradizioni e ai culti esoterici “neri”, mai del tutto sopiti, dei “movimenti satanici”, in testa ai quali – per le sue diramazioni sin quasi alla nostra contemporaneità – va rammentato quello fondato da Aleister Crowley, evocato dal personaggio di lord Sherrinford Meinster, demonologo corrotto dal Male, cui fa da controparte il professore Arthur Alberline, che – pur ateo (ha perso la Fede in gioventù, a causa dell’esperienza diretta con gli orrori della seconda guerra mondiale) – tenta di contrastare il trionfo di Lucifero, monitorando tutti i fenomeni più strani che accadono in giro per il mondo, attenendosi tuttavia – almeno apparentemente – ad una ferma fede nella razionalità. Naturalmente, l’autore strizza l’occhio non solo ai detective "classici" della letteratura (la coppia formata da Andrew Carmichael e Harry Logan, agenti di Scotland Yard inviati ad indagare sulla strage di Longtown e sulle sue strane diramazioni), ma anche alla sfilza degli “investigatori dell’occulto”: in questa linea, Sánchez Márquez avrebbe avuto i numeri per dare un contributo – in termini di un racconto aderente al canone holmesiano – all’antologia  Il Grimorio di Baker Street (Gargoyle, 2010). Infine, con la sciarada di riferimenti e citazioni di cui è ricco il testo (alcuni più difficilmente individuabili, altri di più facile ed immediato riscontro), rende uno splendido omaggio alla cinematografia horror di quel periodo di cui vengono dati ampi e rigorosi dettagli. L’attore Peter Cushing, reclutato dalla Hammer per girare – assieme a Cristopher Lee nei panni della “Creatura”  – The curse of Frankestein (il film che strutturò appunto il sodalizio di lavoro con Christopher Lee), viene inviato da regista e produttore a “scuola di paura”, partendo dal postulato che la paura può essere interpretata  soltanto se la si è “veramente” conosciuta. E, a causa di ciò, transitando dall’incontro – poco efficace – con un abbottonato e troppo razionale Alberline, per il tramite della torbida – quanto bella – dottoressa Marianne Pearson, ad un colloquio con Meinster, viene invitato a partecipare ad un happening “speciale” nella dimora di quest’ultimo e immesso come “agente” in una serie di vicende strabilianti, assieme alla piccola “compagnia” di paladini che si forma (e anche qui, come in altri romanzi e film del filone horror, compare quel compagnonnage, di cui è prototipo il manipolo di eroi che si accinge a contrastare Dracula, sotto la guida di van Helsing) con Arthur Alberline, Andrew Carmichael, Harry Logan e lo stesso Peter Cushing.

Ma, non ultimo aspetto rilevante, il romanzo rende anche un grandissimo tributo alla cinematografia in generale intesa come “settima arte” e a quella – più nello specifico – della Hammer Films, generando, quindi, una riflessione sull’enorme potere di suggestione contenuto nelle immagini cinematografiche e sulla possibilità di trasmettere potenti messaggi subliminali che finiscono coll’influenzare significativamente le convinzioni, le azioni e le scelte dei fruitori del Medium cinematografico (ipotesi – non a caso – messa a lungo al vaglio dei servizi segreti USA).

Da questo punto di vista, del resto, la cattiva cinematografia, negli anni del secondo conflitto mondiale, è stata utilizzata come strumento di propaganda e di diffusione di “false” verità.

Come un tempo, circolavano i “grimori” (un grimorio o Libro delle Ombre è un libro di magia: e i libri di questo genere, che vennero scritti in gran parte tra la fine del Medioevo e l’inizio del XVIII secolo, contenevano soprattutto corrispondenze astrologiche, liste di angeli e demoni, istruzioni per creare incantesimi, preparare medicine e pozioni, invocare entità soprannaturali e fabbricare talismani. Pochi nella tradizione storica sono autentici, molti altri sono in realtà degli pseudobiblia), intesi come testi “maledetti” il cui possesso avrebbe consentito di padroneggiare le formule per evocare – dominandole – le Forze del Male, aprendo a loro delle porte di accesso al nostro mondo (come, ad esempio, nel bel romanzo di Franco De Stefani, Luce nera, edito da Il Punto d’Incontro, 2009), così nell’epoca della cinematografia si fa strada l’idea che possano esistere delle pellicole “maledette”, la cui visione genera il male e asservimento di chi ha assistito allo spettacolo, aprendo la via allo stabilirsi di un “nuovo ordine” nel mondo.

Questo è il vero fulcro narrativo del romanzo di Javier Sánchez Márquez, che va delineandosi a poco a poco per piccole scoperte successive, mettendo assieme le tessere in cui i protagonisti inciampano, come in un puzzle, a partire dal primo e inquietante resoconto enunciato da un turbato Boris Karloff. La festa di Orfeo è anche la storia serpeggiante (di cui quelli che la conoscono preferiscono tacere) di un film malefico La fête du Monsieur Orphée, realizzato da due cineasti, seguendo le precise indicazioni di Lucifero in persona.

Ma su questi aspetti che rappresentano la struttura portante della trama e garantiscono al lettore l’effetto sorpresa non si può dire troppo, perché altrimenti gli rovineremmo il piacere della scoperta.

Rimane da dire tuttavia che il romanzo di Sánchez Márquez propone certamente una speculazione estremamente suggestiva (che si innesta – tra l’altro – nel dibattito sulla nocività dei videogiochi che vengono utilizzati dagli adolescenti e di cui esistono tipologie davvero nefaste, come i giochi di guerra, oppure quelli in cui si impersonano personaggi crudeli e violenti) e su quello dell’esistenza o meno dei cosiddetti snuff movies,

In un recente romanzo (John Marks, West side Transilvania, Edizioni E/O, 2010), Ian Torgu, vampiro transilvano del XXI secolo, contattato per un’intervista da Evangeline Harker, produttrice di un potente network statunitense, la prende in ostaggio, inviando subito dopo al suo network una serie di filmati “vuoti” (in cui si vede un’inquadratura fissa su di una sedia vuota con una colonna sonora fatta di soli, inquietanti rumori di sfondo). Questi filmati  immettono virus nelle reti interne dei computer del network, inquinando le menti di tutti gli operatori, dei produttori e dei dirigenti (che sentono e poi a loro volta ripetono come una litania  i nomi di luoghi dove sono state perpetrate stragi e delitti contro l’Umanità) e le persone “contagiate” da questa pressione occulta a poco a poco mutano di personalità, convertendosi al Male (che equivale a godere delle stragi, delle uccisioni, delle guerre: del resto è questa la vera pornografia mediatica: l’alimentarsi di continuo di immagini del Male che sono quelle a cui siamo ormai assuefatti e, a noi, appaiono ciò che ordinario, di cui alimentare la psiche).

Il procedere della narrazione è avvincente e pieno di colpi di scena. L’autore riesce ad utilizzare, integrandoli bene, tutti gli artifizi narrativi “classici” del genere (l’epistola, le annotazioni diaristiche, narrazioni inserite nelle narrazioni) per dar vita – un po’, a tratti, come in Dracula – ad una narrazione policentrica che si distende nel tempo e nello spazio, con incursioni a partire dal qui e ora che ha come centro l’indagine poliziesca, prima sulla scena del crimine efferato di Longtown e poi a Londra, dove si consuma il resto della vicenda.

Il risultato, come scrive lo stesso autore in chiusura al volume in una “classica” pagina di ringraziamenti, è un abile ibrido narrativo, “…un innocuo mostro di Frankenstein, creato a partire da attimi di nostalgia, passione letteraria e scariche adrenaliniche di cinema” (p. 291).

Tale effetto è anche prodotto dal fatto che Sánchez, proprio per via del breve enunciato riportato sopra, travasa nel romanzo le sue passioni letterarie e cinematografiche e gioca a rimpiattino con il lettore, disseminando il suo testo di indizi e di riferimenti, che non sempre – come in una sciarada – sono identificabili. Ogni lettore ne scoprirà solo alcuni, contento di anticipare la delucidazione offerta dalla nota al testo corrispondente, mentre – in altri casi – dovrà cedere le armi oppure a – sorpresa – arriverà la nota a spiegargli la ricchezza della filigrana di quel dettaglio, rendendolo significativo e non più un banale accessorio.  

Una lettura dunque che, per alcuni versi, va avanti come una sciarada e che, se cominciata, si deve proseguire senza interruzioni fino alla conclusione.

Come in molte opere di genere, ciò che conta veramente è l’abilità dell’autore di tenere in sospeso il lettore (e se stesso, mentre scrive) a spingerlo ad andare avanti sino alla prossima sorpresa, alla prossima scoperta, al prossimo brivido o colpo di scena.

Come in molti romanzi che fortemente catturano il lettore, anche qui la conclusione pare troppo affrettata e precipitosa e lascia con un certo dispiacere, perché – senza volerlo veramente – ci si ritrova a doversi congedare da quei personaggi con i quali si è acquisito tanta familiarità e con cui ci si è in parte identificati: in fondo, la qualità dei romanzi si gioca tutta nella loro capacità di attivare attraverso lunghi preliminari la nostra libido di lettori e, quando si arriva alla “conclusione”, subentra la malinconia.

Parafrasando una famosa frase di altro tipo (attribuita ad Aristotele), si potrebbe dire che post lecturam omne animal triste. Ovviamente, se hai amato quel testo: ed è ciò che capita con La festa di Orfeo.

Unico punto debole, a mio avviso (ma è solo la mia opinione personale) le scene di azione (come il memorabile duello finale, con Peter Cushing abile spadaccino; oppure la precedente incursione del duo Alberline/Fleming nei sotterranei del perfido Meinster con tanto di confronto all’ultimo sangue con i suoi scagnozzi) suonano, rispetto a tutto il resto, un po’ acerbe (ci si rende che manca qualcosa in termini di “raffinamento”) e si fanno un po’ piatte: la mera descrizione di azioni.

Ma questo è solo un piccolo neo che, assolutamente perdonabile, non guasta l’insieme.

Trattandosi di un romanzo che presenta tra i suoi personaggi Peter Cushing e l’esordio della Casa Cinematografica Hammer nella sua avventura del ri-concepimento del genere horror in celluloide, è quanto mai opportuna – e utile – la prefazione (dal titolo “Nuovo cinema Inferno”) scritta da Franco Pezzini e Angelica Tintori, grandi esperti della cinematografia horror sia per il modo in cui hanno sviluppato una storia della cinematografia sul vampiro, ma soprattutto per il loro recentissimo Peter & Chris. I Dioscuri della notte (Gargoyle 2010), nella quale tratteggiano il complesso e lungo sodalizio di lavoro e di amicizia tra Peter Cushing e Christopher Lee, raccontando nello stesso tempo un pezzo importantissimo della storia della cinematografia horror degli anni Sessanta e Settanta.

 

Sintesi del romanzo

“1956: l’Inghilterra è sconvolta dalla raccapricciante strage di Longtown, avvenuta alla frontiera scozzese. Centinaia di bambini sono stati uccisi selvaggiamente: i loro corpi – violati e mutilati come a osservare un macabro e arcano rituale – sono stati trovati carbonizzati e aggrovigliati in un’aberrante piramide umana, rinvenuta nella chiesa del villaggio. Era qui che i piccoli si erano riuniti per vedere la proiezione di un film su invito del parroco locale, anch’esso assassinato. Il Governo dispiega tutte le sue forze in pompa magna: l’Esercito, teso ad assicurare il massimo stato di protezione agli abitanti della contea, gli esperti scientifici, impegnati a fare ogni tipo di rilievo, e naturalmente gli agenti di Scotland Yard, pronti a imbastire un’indagine a 360°. Chiamati a occuparsi del caso sono Andrew Carmichael, ispettore dal fiuto ineguagliabile per casi un po’ fuori dalla norma, e il suo assistente Harry Logan.

Nello stesso tempo, una piccola casa cinematografica, la Hammer, decide di cimentarsi nel rilancio della filmografia horror producendo un’innovativa versione a colori del Frankenstein con la regia di Terence Fisher. Ne sarà protagonista Peter Cushing: per entrare nella parte, però, è previsto che l’attore segua un peculiare apprendistato: egli dovrà essere capace di incutere realisticamente il terrore nel pubblico oramai smaliziato del secondo dopoguerra, e, per farlo, dovrà venire in contatto con le fondamenta della paura umana più ancestrale, al punto da essere in grado di attraversarla: solo in quanto capace di sostenere direttamente javier-marquez-sanchez.jpgl’incontro col terrore, infatti, Cushing potrà essere considerato dagli spettatori interprete credibile dell’inquietante nobile scienziato. Nella sua preparazione sui generis, il popolare attore s’imbatterà in due ciceroni dalle personalità antitetiche – il professor Arthur Alberline, eminente storico, esperto di aspetti antropologici e religiosi, e lord Sherrinford Meinster, demonologo e collezionista spasmodico di tutto ciò che è legato al Maligno – e finirà coinvolto, suo malgrado, nell’inchiesta – frattanto spostatasi a Londra, scenario di altri delitti – condotta dai poliziotti Carmichael e Logan; inchiesta che porta a una misteriosa pellicola risalente agli anni del Cinema muto, intitolata La fête du Monsieur Orphée…

 

L’autore

Javier Sánchez Márquez, nato a Siviglia nel 1978, è uno scrittore spagnolo decisamente originale; giornalista e saggista, attualmente collabora con diverse testate ed è il vicedirettore della rivista Cambio 16. In qualità di esperto di musica rock ha pubblicato alcuni lavori dedicati a Big come Bruce Springsteen, Neil Young, Simon & Garfunkel, ed Elvis Priesley oltre che un’enciclopedia musicale. Un’altra sua grande passione, l’horror cinematografico d’annata, è servita invece come fonte d’ispirazione primaria per questo suo romanzo d’esordio: La fiesta de Orfeo (La festa di Orfeo).

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15 luglio 2011 5 15 /07 /luglio /2011 16:55

annotateddracula.jpgE' uscita in edizione inglese (2008), una nuova versione annotata e illustrata del Dracula di Bram Stoker, con prefazione addirittura firmata dal grande Neil Gaiman: The new annotated Dracula (a cura di Leslie S. Klinger, W.W. Norton & Co. Publishers).
E' fantastico: l'ho visto esposto in una libreria a Dublino e l'ho sfogliato golosamente: oltre 600 pagine fiottamente chiosate ed illustrate.

Penso che lo acquisterò presto.

Trascinato dall'entusiasmo, avrei voluto prenderlo subito, ma il buon senso mi ha fatto desistere: il volume era decisamente troppo "bulky" e avrei avuto senz'altro dei problemi di peso con il mio bagaglio, al momento del ritorno, con gli occhiuti ed indisponenti controllori di RyanAir.
Dracula-annotato-da-Leonard-Wolf-e-illustrazioni-di-Satty-jpegE' decisamente qualcosa di nuovo tra le tante riedizioni continamente proposte del famoso Dracula di Bram Stoker che rimane pur sempre un capostipite, anche se in realtà lo scrittore irlandese si limitò a fare da abile collettore d'una tradizione letteraria preesistente, ridandole originalità e vigore, quando il pubblico di lettori era ormai pronto a recepire un'opera di questo tipo, con persanaggi che trovarono una via maestra per entrare nell'immaginario collettivo di una nazione e poi del mondo.

Per alcuni versi, questa edizione è molto simile alla precedente - celeberrima, ormai introvabile - edizione chiosata, pubblicata più di trenta anni fa, e proposta in Italiano per i tipi di Longanesi, ma molto più bella: un testo in qualche modo definitivo, per la ricchezza (sia in numero, sia in ampiezza) delle note in margine al testo.

Si trattava di un'edizione annotata da Leonard Wolf e illustrata da Satty, per la traduzione di Adriana Pellegrini (per il testo) e di Jimmy Boraschi (per l'introduzione e le note).

Le tavole fuori testo di Satty sono in numero di 51.

Dracula annotato da Leonard Wolf e illustrazioni di SattyL'edizione annotata venne pubblicata in lingua originale nel 1975 e ripresa da Longanesi nel 1976.

A rendere questa nuova edizione ancora più appetibile, c'è la prefazione del grande Neil Gaiman, personaggio ibrido ed eclettico (che ha prodotto popolarissimi fumetti, romanzi fantastici con qualche venatura horror, libri per ragazzi e sceneggiature cinematografiche) e uno dei miei autori contemporanei preferiti.

 

Dal sito web Krishna Books

The New Annotated Dracula is, in no uncertain terms, a masterpiece. The book itself is physically beautiful, a huge tome with all the heft and weight a classic such as Dracula deserves. The black cover with blood-red lettering only serves to increase the atmosphere once the book is opened and the first pages are turned.

Dracula itself is an interesting enough read, shrouded in mystery at every turn; there is nothing definitive about it. Stoker builds the story slowly, layer by layer. For a long time, the reader feels in the dark about what is going on, and this mystery and insecurity increases the foreboding. While Stoker’s writing is beautiful and haunting, it can also be tedious. One of the main complaints about Dracula is that nothing really happens. That’s not actually the case, but there is a lot more exposition in this book than action. This is a book of subtleties, where everything creeps up on the reader from behind rather than jumping out and yelling. That’s part of the magic of Dracula.

As a result, the ending is somewhat anti-climactic - to be expected, considering the tone of the rest of the novel, but readers wishing for an all-out bloody fight will be disappointed. Instead, the novel ends as quietly and subtly as it began.

The real gem of this edition is in Klinger’s annotations. Stoker’s writing is not always clear; whenever the reader has a question, Klinger is always there to jump in with an explanation, and it’s immensely helpful in reading this brute of a novel. Klinger’s approach to Dracula is also thoroughly enjoyable. In his introduction, he writes that Stoker claimed that he happened upon Harker’s papers, that he didn’t write them himself - and that all the events that occur within Dracula were true. Klinger accepts Stoker’s claim at face value then proceeds to go through the novel pointing out discrepancies galore. It’s an interesting approach, and Klinger should be commended for his fastidiousness and amazing attention to detail.

The annotations can be overwhelming at times, but they are easy to ignore if the reader just wants to focus on the story. If you just want a nice copy of the book to sit on your shelf without ever reading it, this beautifully executed book will impress the best of them. If you are reading Dracula for the first time, the annotations are extremely helpful if you get confused but easy to ignore if you just want to focus on the storyline. And if you’re a true Dracula fan? I can’t believe you haven’t run out and purchased this book yet. The annotations here provide an entirely new reading experience that you don’t want to miss.

I highly recommend this edition of Dracula to anyone and everyone. Bram Stoker’s novel gets four stars from me, but Klinger’s new edition gets a full five.

 

DSC04730.JPG

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5 luglio 2011 2 05 /07 /luglio /2011 09:59

elogio-della-donna-erotica-racconto-pornografico-1303182.jpgTutti si chiedono perchè Tinto Brass non si sia mai cimentato come regista di una pellicola hard: certamente avrebbe trasfuso la sua passione sfegatata per l'erotismo in un film di buona fattura sotto il profilo estetico, creando delle pellicole porno estetizzanti alla maniera dell'americano Andrew Blake, con in più il contorno di una storia ben congegnata e non semplicemente una scarna trama abborracciata a far da pretesto.

Non l'ha mai fatto, tuttavia, per opportunismo o perchè non ne ha avuto il coraggio forse. E' rimasto come sulla soglia del genere come regista di difficile catalogazione, in cui l'erotico, per quanto spinto, lascia il fruitore smaliziato di oggi, abituato a ben altre rappresentazioni in diretta della sessualità nella versione hard (o a "luci rosse"), con qualche delusione e con il desiderio di poter vedere "oltre".

Ho scoperto di recente due piccoli pamphlet firmati da Tinto Brass e pubblicati entrambi dalla casa editrice Tullio Pironti.

Il primo è tipico della poetica di Tinto Brass e del suo modo di guardare il corpo femminile, dal titolo Elogio del Culo (2006), sacaturito da una sorta di commissione fatta dall'editore a Tinto Brass. "Chiedo a Tinto Brass di scrivermi un elogio del fondoschiena e lui accetta entusiasta. Mi impone, però, di inserire all'interno del libretto un fascicolo contenente una decina di immagini [di attrici che hanno recitato nei suoi film, mostrando generosamente i propri fondoschiena] «Pironti, ho dei culi stupendi! Non possiamo non metterli!». Come potevo dirgli di no?" - così racconta l'editore Pironti.

Il più recente è l'"Elogio della donna erotica" (2008) che si propone come un racconto per mezzo del quale Brass sembra voler respingere l'accusa che spesso gli è stata rivolta dalle femministe: quella di riservare alle protagoniste dei suoi film il ruolo di donna "oggetto".

La protagonista è Ninfa, una donna disinvolta, autonoma, intraprendente, libera da alibi romantici o sentimentali, che prende l'iniziativa e conduce il gioco, non oggetto di piacere ma soggetto di desideri e passioni e che vive con trasporto e con gioiosità, dando vita nei brevi e nervosi capitoletti a delle vere e proprie scenette hardcore. Insomma il porno osteggiato dalle femministe e di cui Tinto Brass cerca di liberarsi, cacciato dalla porta, rientra dalla finestra.

Qui, Tinto Brass, sviluppa il tema della pratica del sesso disinibito, al di fuori di lacci e lacciuoli e delle rigidità delle convenzioni sociali, e lo celebra come ricerca di una "sana botta" di gioia di vivere.

Una lettura esile e, ciò nondimeno, piacevole.

Il libricino è corredato, in coda al racconto, di dodici tavole erotiche di Salvatore Ciaurro.

Il risultato? Un libricino raffinato.

 

 

 

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23 giugno 2011 4 23 /06 /giugno /2011 06:42

crank_light-710x1024.jpgCrank (Fazi Editore, 2011), dopo la sua pubblicazione negli Stati Uniti (2004), è stato il libro più censurato nelle scuole americane. E' un'opera prima - decisamente insolita, perchè pur essendo classificata come romanzo di vita è in versi, un'opera cui seguiranno, come annunciato dalla stessa autrice, Burned e Fall out - è entrato - malgrado la pesante censura scolastica che ha subito - nella bestseller list del New York Times, conquistando centinaia di migliaia di giovani lettori (con un milione di copie vendute in USA).

 

 

 

senza limiti, senza barriere

in una corsa spericolata

                                             verso la pazzia.

Kristina Georgia Snow è la figlia perfetta: una studentessa modello, seria e tranquilla. Quando si trasferisce a casa del padre la sua vita cambia: la ragazza giudiziosa scompare e una nuova personalità sembra emergere, quella di Bree.

L'incontro con Crank il mostro avverrà per opera di Adam, il ragazzo dei suoi sogni, tutto muscoli scolpiti e sorrisi smaglianti, di cui lei si innamorerà, senza realizzare che quell'amore ne farà a pezzi la vitalità, la giovinezza, l'entusiasmo. Quella che inizialmente sembrava una montagna russa di emozioni e di svaghi ben presto si trasformerà nell'inferno della dipendenza e di una totale perdita di controllo.

C'è tutto il percorso di trasformazione di Kristina da ragazza normale, educata, brava a scuola ma con un padre lontano e dalla vita tossica. Kristina decide di voler andare a trovare il padre e comincia proprio da questo, dal suo atto di ribellione. Kristina non si sente più lei e comincia a farsi chiamare Bree. Bree affascinante, Bree sensuale e civettuola. Bree in astinenza, Bree che corre per strada incosciente di se stessa, ma che alla fine tenta di trovare una via di scampo, tra mille difficoltà, ingaggiando una dura battaglia per recuperare la sua anima e la sua mente: in altri termini, la sua vita.

La storia di Kristina/Bree, della scissione e poi della ricomposizione dei due personaggi è raccontata, passo dopo passo, in versi e parole che cantano canzoni vertiginose e la lotta impari, narcotizzata di Kristina contro Bree. 

Crank è una storia cruda di droga e sofferenza, di confusione e dolore, una storia che suona vera perchè nasce da esperienze che hanno toccato la vita dell’autrice Ellen Hopkins che con una straordinaria sensibilità e un notevole coraggio si è gettata nei panni della propria figlia e nella sua lotta con il crank.

Benchè questa sia un'opera di finzione - scrive l'autrice - essa è liberamente basata su una storia più che vera - quella di mia figlia . Il mostro ha toccato la sua vita e le vite della sua famiglia. La mia. E' dura vedereche ami precipitare in basso sotto il maleficio di una sostanza capace di trasformare chiunque in un estraneo. In una persona che non vorresti mai incontrare. Non c'è niente di impossibile in questa storia. Gran parte dei fatti narrati è accaduto a noi, o a famiglie simili alla nostra. (...) Se questa storia vi parla al cuore, sono riuscita nei miei intenti. Il crank è, a tutti gli effetti, un mostro - un mostro difficile da lasciarsi alle spalle, una volta che lo si è invitato a entrare nella propria vita. Pensateci bene. E poi, pensateci meglio (Nota dell'autrice, p. 5). 

Ellen Hopkins è nata a Palm Springs, in California. Scrive poesie dall'età di nove anni. Ha iniziato la sua carriera come scrittrice di non-fiction per ragazzi, pubblicando all'incirca venti libri. Nel 2004 esordisce con Crank, il suo primo romanzo in versi, cui seguiranno Burned, Impulse, Identical, Glass e Tricks, tutti editi negli Stati Uniti da Simon & Shuster.

 

Introduzione (a p. 8)

 

E così volete sapere

tutto di me. Chi

                                               sono.

Quale incontro fortuito

tra pennello e tela dipinse

                                               il volto

che vedete? Cosa mi spinse

a odiare la ragazza

                                               allo specchio

al punto di trasfigurarla,

trasformarla in un’estranea,

                                               anzi no.

E così volete sentire

tutta la storia. Perché

                                               deviai

dalla strada maestra, curvai

a gomito verso il nulla,

                                              sventatamente,

ignorando quelli che

mordevano la polvere,

                                              a tutta birra

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16 giugno 2011 4 16 /06 /giugno /2011 07:39

notte-di-sangue-a-coyote-crossing.jpgI romanzi di Victor Gischler sono accattivanti e ben costruiti. Non ho letto proprio tutto dei suoi romanzi disponibili in traduzione italiana, ma quanto basta per cogliere le sue atmosfere e apprezzarle: mi è capitato con Notte di sangue a Coyote Crossing, (Meridiano zero, 2011) e mi sta capitando con “La gabbia delle scimmie” (Meridiano Zero).

E’ difficile collocarlo come autore, ma sicuramente la sua cifra fondamentale è quella del noir, in cui - con una certa distaccata ironia - passano stilemi narrativi alla maniera di Quentin Tarantino oppure del Peckimpah di Mucchio selvaggio.

In Notte di sangue a Coyote Crossing, l’inizio è lento, quasi sonnolento. Un uomo, appartenente ad una famiglia di spavaldi senzalegge è stato ucciso e il suo cadavere sforacchiato pencola per metà fuori dallo sportello dell’auto. Toby Sawyer poliziotto part time in questo sperduto posto di frontiera tra Oklahoma e Messico, dove si è arenato senza prospettive esistenziali, viene incaricato di custodire il cadavere che, però di lì a poco, sparisce.

Da questo momento parte con l’acceleratore a tavoletta una trama al fulmicotone in cui l’ignaro Toby è coinvolto in una sequenza di assalti, pedinamenti, sparatorie, incendi, esplosioni, insomma di tutto e di più, perché qualcuno vuole ucciderlo e farlo fuori, mentre dei rappresentanti della legge della piccola cittadina sino a poco tempo prima sonnacchiosa non c’è più traccia, anzì la Legge e le sue restrizioni si disoolvono tout court.

Questo romanzo avvince come un film d’azione, in cui i disvelamenti vengono sapientemente dosati in modo da lasciare il lettore costantemente con quel briciolo di suspence che lo sospinge a girare la pagina successiva.

 

La sintesi del romanzo nel risguardo di copertina

In mezzo allo sconfinato nulla dell'Oklahoma, nella contea di Coyote Crossing, gli abitanti dormono sonni tranquilli, o almeno così credeva il giovane aiuto sceriffo Toby Sawyer, prima di quella notte. I Jordan sono piombati in città, assetati di vendetta per l'omicidio del fratello Luke, ma il cadavere è scomparso e tutti sembrano avere troppe cose da nascondere per raccontare la verità. Toby deve ritrovare il corpo prima dell'alba, e scoprirà ben presto di non essere il solo a cercarlo: tre killer chicanos gli distruggono il trailer a raffiche di mitra, e lui fa appena in tempo a fuggire con il figlio in braccio, sotto una pioggia di proiettili. Nello spazio di una notte, senza potersi fidare di nessuno, uomo o donna, amico o collega, il giovane Toby diventerà uomo, scoperchiando segreti pericolosi che lo costringeranno a combattere contro il cuore marcio di un'intera città e a scontrarsi con i Jordan in un'ultima sfida che profuma di O.K. Corral. Una frenetica corsa contro il tempo tra esplosioni, incendi e inseguimenti mortali. Victor Gischler ancora una volta sfodera humour, velocità e colpi di scena in un noir dal sapore western.

 

gischler.jpgVictor Gischler è uno scrittore statunitense, autore di romanzi gialli, tra noir e hard boiled, e sceneggiatore di fumetti per la Marvel Comics. Il romanzo d'esordio del 2001, La gabbia delle scimmie (Gun Monkeys), gli è valso una candidatura al Premio Edgar, mentre per Shotgun Opera è stato finalista dell'Anthony Award.

Questi i romanzi sinora tradotti in italiano: Anche i poeti uccidono (Meridiano Zero), Nella gabbia delle scimmie, (Meridiano Zero), Black City (Newton Compton).

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14 giugno 2011 2 14 /06 /giugno /2011 09:31

Tutte le follie di cui un uomo è capace io le ho provate: nato in una notte di tempesta, vissuto fra le tempeste e gli oceani ove l’anima diventa selvaggia, e le pazzie del giornalismo ove la pazzia diventa un dovere, la mia vita doveva essere tempestosa per necessità (Emilio Salgari, lettera a Aida)

 

salgari.pngNel quadro delle celebrazioni salgariane che si svolgono a cavallo tra il 2011 (centenario della sua morte) e il 2012 (150° anniversario della sua nascita), esce - per i tipi di Minimun Fax, come espressione di un progetto la cui gestazione è partita dal 2010 - l'opera Capitan Salgari. In viaggio con l'immaginazione, in cui la casa editrice propone ai lettori una combinazione di volume e DVD.

Il Dvd contiene il fim-documentario, Capitan Salgari realizzato con la regia di Marco Serrecchia (durata: 55 minuti). Capitano per ispirazione, sognatore per vocazione, a cento anni dalla sua morte Emilio Salgari continua a far volare la fantasia di intere generazioni di lettori. E' un film documentario - arricchito dalla partecipazione straordinaria di Gino Paoli - ripercorre la vita tormentata del padre di Sandokan e del Corsaro Nero.

Il libro, invece, contiene una serie di testi giornalistici scritti dallo stesso Salgari, dal titolo Emilio Salgari. Una tigre in redazione. Le pagine sconosciute di un giornalista d’eccezione (A cura di Silvino Gonzato). Curata dal maggiore biografo salgariano, questa preziosa raccolta di articoli di Salgari svela un aspetto sconosciuto dell’autore, che per un decennio alternò l’attività di romanziere a quella di giornalista. Un’occasione unica per ritrovare, dietro curiose e brillanti cronache di vita cittadina, la penna inconfondibile del re dell’avventura.

Per un approfondimento, la seguente lettura, in cui Arianna Bonazzi parla del lavoro che ha portato alla realizzazione della sceneggiatura del film.

 

Capitan Salgari di Arianna Bonazzi (Minimum Fax Magazine agosto 2010)

salgari.jpg"Bel tipo quel letterato!... Un omettino magro, fra i trenta ed i quaranta, dai baffi biondi, tutto nervi e muscoli.

Se godesse una bella fama come letterato, io non lo so.

Si piccava però di essere una celebrità, ma io credo che i suoi famosi lavori dormissero negli scaffali polverosi dei librai.

Tipo alla buona del resto, buon compagnone, e soprattutto vero bohémien di istinti randagi.

Si diceva che aveva girato mezzo mondo e forse era vero perché parlava dell'America e della China come se non avesse abitato altri paesi.

Arenatosi in patria, aveva conservato però le sue abitudini randagie, percorrendo tutte le città della bassa, della media e dell'alta Italia, senza fermarsi in alcun luogo più d'un mese."

La descrizione di Roberto, uno dei letterati bohémiens, che frequentano la "topaia artistica" di via delle Scuole, è il fedele autoritratto del Capitano Salgari.

La mattina che mi è stato chiesto di scrivere del film su Emilio Salgari che Minimum fax media sta producendo, per la regia di Marco Serrecchia, accendevo il pc per la prima volta dopo una settimana di vacanza e raccogliendo le idee di tutto il lavoro fatto quest’anno sul progetto ho buttato un occhio al mio oroscopo sull’Internazionale. Brezsny dice dei Pesci per questa settimana:

«La mia amica Erica è andata da un erborista cinese a chiedere aiuto per un problema di pelle che altri sei medici non erano riusciti a guarire. "È una malattia molto rara", le ha detto l’erborista. Secondo lui c’era solo una cosa da fare: andare nelle paludi di Ruoergai nel Sichuan, in Cina, trovare un’aquila dalla coda bianca, raccogliere i suoi escrementi e applicarli sulla pelle. La prospettiva era scoraggiante perciò Erica ha deciso di farlo solo con la fantasia. Dopo una settimana, la sua pelle è migliorata. Dopo ventuno giorni era quasi guarita. La morale della storia è: visualizzare un’eroica missione risanatrice può aiutarti a risolvere un problema».

E subito m'illumino, non è questo che faceva Emilio Salgari?

Esigenze di sogno, d’evasione, il desiderio di stupirsi, la fame d’esotismo. Il "falso Capitano" che raccontava di aver visitato mezzo mondo senza aver mai lasciato l’Adriatico, ma che questo mondo aveva davvero conosciuto e visitato "attraverso gli occhi" di esploratori della tempra del veronese. Una strana figura di letterato errante che senza la minima paura si muoveva tra animali feroci e tagliatori di teste, che aveva imparato a conoscere e rispettare l’umanità più pericolosa al punto che la sola cosa che temesse veramente erano le malattie.

Il linguaggio delle passioni simulate, insomma, ma non per questo meno attraenti. Salgari narra ciò che il lettore vorrebbe essere: chi non vorrebbe per una volta trovarsi nei panni di Sandokan o del Corsaro Nero? Chi non vorrebbe provare spasimi amorosi che avranno per sicuro premio fanciulle da sogno, adolescenti dalla pelle immacolata, labbra di corallo e denti bianchissimi?

Quando mi sono trovata a collaborare per la realizzazione di questo documentario ho percepito immediatamente quale fosse l’entità del debito intellettuale che tanta letteratura ha verso questo scrittore, io stessa ho un legame stretto con Salgari. Sandokan è stato forse il primo libro che ho letto, tornavo da scuola e passavo i pomeriggi a casa di mia nonna a leggere e rileggere i "fotoromanzi" con Kabir Bedi, chi non ricorda lo sceneggiato televisivo o almeno la sigla…

Scorre il sangue... nelle vene

Forte vento... nella notte calda si alzerà!

Sandokan! Sandokan!

Giallo il sole la forza mi dà

Sandokan! Sandokan!

dammi forza ogni giorno ogni notte il coraggio verrà...

E quando Sandokan rivolgendosi a Marianna, la Perla di Labuan, dice di sé:  "Con te non posso mentire. Tu devi sapere chi sono.Il mio è il nome di un pirata… un nome che desta solo paura… un nome che annuncia il fuoco e la morte".

L’eroe salgariano non può mai assaporare la piena vittoria: o sconfigge i nemici ma rinuncia all’amore o per seguire l’amore deve piegarsi alle armi nemiche e rinunciare alla guerra.

Per noi è stato un anno speso all’insegna della ricerca e della documentazione, un passaggio inevitabile per chi si vuole cimentare con un’opera del genere, ma che in questo caso è stata davvero tempestosa. Il Capitano è stato il primo falsificatore di sé stesso e della sua vita; a cominciare da sua moglie Ida Peruzzi, subito ribattezzata Aida. Nel corso degli ultimi cento anni le opere di Emilio Salgari sono state le più inquinate, falsificate, mistificate, smontate e rimontate, malamente pubblicate di tutta la storia della letteratura italiana.

L’intenzione di questo film è quella di raccontare Emilio Salgari da un punto di vista finora inesplorato soffermandosi sugli ultimi venti anni della sua vita, gli anni torinesi. Fu un periodo floridissimo per il Salgari scrittore, che vide pubblicate alcune delle sue opere più importanti, quelle del cosiddetto "ciclo dei pirati della Malesia", ma allo stesso tempo fu un periodo tragico per il Salgari uomo, che piombato in uno stato di forte malessere si tolse la vita nei pressi della sua abitazione.

Sono gli anni in cui si consuma la parte più emblematica della sua vita, che si trasforma prima lentamente, poi sempre più vorticosamente, nel cliché dello scrittore misero e infelice. Ma com’è arrivato a questa misera fine il più importante romanziere italiano d’avventura?

Partiamo dalla città in cui viveva in quell’epoca, Torino.

Il legame con questa città è controverso. Da un lato la città in quegli anni appariva come un luogo monotono e grigio agli occhi dello scrittore, ma dall’altro ha saputo offrirgli le fonti letterarie, gli stimoli e gli incontri importanti per la sua inesauribile produzione letteraria.

Con questo film si cerca di ritrovare quelle connessioni che legarono Salgari alla sua personale geografia torinese, seguendo i suoi percorsi all’interno della città e recuperando "l’aria" della Torino di fine secolo, ripercorrendo parallelamente la geografia fantastica dei suoi romanzi, il suo "monde à part" composto di luoghi esotici, affascinanti e lontani: un atlante che esisteva solo nella sua mente fantasiosa.

Il documentario infine tenta di delineare i punti cardine della geografia interiore del Salgari uomo, quella che lo spinse al suicidio, esplorando la sua ultima abitazione di Corso Casale a Torino e ricostruendo i suoi ultimi anni di vita attraverso il suo noto e disperato epistolario.

Nel film si alterneranno questi tre diversi percorsi salgariani, che rappresentano altrettanti piani narrativi lungo un filo conduttore che seguirà cronologicamente gli ultimi vent’anni di vita dello scrittore fino alla sua morte il 25 aprile del 1911, l'anno in cui la città di Torino si preparava a festeggiare il Cinquantenario dell'Unità d'Italia.

"Vado a morire nella valle di S. Martino, presso il luogo ove andavamo a far colazione. Si troverà il mio cadavere in uno dei burroncelli che voi conoscete, perché andavamo a raccogliere i fiori".

Il 2011 sarà l’anno di Emilio Salgari che tra il centenario della sua morte e il centocinquantenario dell’Unità d’Italia sarà al centro di eventi e manifestazioni culturali. Minimum fax media proprio in questi giorni dopo un anno dall’inizio del progetto "Capitan Salgari" che ha portato alla realizzazione di un film-documentario girato tra tra Verona, Genova e Torino (dove verrà presentato in occasione della mostra sullo scrittore presso il Museo Regionale di Scienze Naturali).

 

Cos'è esattamente Capitan Salgari. In viaggio con l'immaginazione?

Capitan Salgari racconta Emilio Salgari da un punto di vista finora inesplorato. Racconta gli ultimi venti anni della sua vita, gli anni torinesi. Un periodo floridissimo per il Salgari scrittore, che vide pubblicate alcune delle sue opere più importanti, quelle del cosiddetto «ciclo dei pirati della Malesia», ma nello stesso tempo fu un periodo tragico per il Salgari uomo che, piombato in uno stato di forte malessere, si tolse la vita nei pressi della sua abitazione. Sono gli anni in cui si consuma la parte più emblematica della sua vita, che si trasforma prima lentamente, poi sempre più vorticosamente, nel cliché dello scrittore misero e infelice. Ma com’è arrivato a questa misera fine il più importante romanziere italiano d’avventura?

Nel film si alternano tre «geografie» salgariane, che fanno da diversi piani narrativi lungo un filo conduttore. Ritrova quelle connessioni che legarono Salgari alla sua personale geografia torinese, seguendo i suoi percorsi all’interno della città e recuperando «l’aria» della Torino di fine secolo. Parallelamente ripercorre la geografia fantastica dei suoi romanzi, il suo «monde à part», composto di luoghi esotici, affascinanti e lontani, un atlante che esisteva solo nella sua mente fantasiosa, e che ha accompagnato la giovinezza d’intere generazioni di lettori. Infine, racconta la geografia interiore del Salgari uomo, quella che lo spinse al suicidio, esplorando la sua ultima abitazione di Corso Casale a Torino e ricostruendo i suoi ultimi anni di vita attraverso il suo noto e disperato epistolario.

 

Vedi anche Auguri, Italia nel sito web di Minimum Fax.

 

Il film-documentario di Marco Serrecchia è stato anche presentato al Trento Film Festival 2011

 

 

 

 

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DSC04695.jpegQuesta pagina è la nuova casa di due blog che alimentavo separatamente. E che erano rispettivamente: Frammenti. Appunti e pensieri sparsi da un diario di bordo e Pensieri sparsi. Riflessioni su temi vari, racconti e piccoli testi senza pretese.

Era diventato davvero troppo dispendioso in termini di tempi richiesti alimentarli entrambi, anche perchè nati per caso, mentre armeggiavo - ancora alle prime armi - per creare un blog, me li ero ritrovati ambedue, benchè la mia idea originaria fosse stata quella di averne uno solo. Infatti, non a caso, le loro intestazioni erano abbastanza simili: creatone uno - non ricordo quale dei due per primo - lo ho "perso" (per quanto strano ciò possa sembrare) e mi diedi alacremente da fare per ricrearne uno nuovo. Qualche tempo - nel frattempo ero divenuto più bravino - il blog perso me lo ritrovai).

Ohibò! - dissi a me stesso - E ora cosa ne faccio?

La risposta più logica sarebbe stata: Disattiviamolo!. E invece...

Mi dissi: li tengo tutti e due. E così feci. E' stato bello finchè è durato...

Ma giocare su due tavoli - e sempre con la stessa effcienza - è molto complicato, ancora di più quando i tavoli diventano tre e poi quattro e via discorrendo....

Con overblog ho trovato una "casa" che mi sembra sicuramente più soddisfacente e così, dopo molte esitazioni, mi sono deciso a fare il grande passo del trasloco, non senza un certo dispiacere, perchè il cambiamento induce sempre un po' di malinconia e qualche nostalgia.

E quindi ora eccomi qua.

E quello che ho fatto - ciò mi consola molto - rimane là e chiunque se ha la curiosità può andare a dargli un'occhiata.

 

Seguendo il link potete leggere il mio curriculum.

 

 


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